Scrutatio

Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

Giobbe 31


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Giobbe per purgarsi dalla calunnia degli amici, invocata il sommo Giudice testimone di sua innocenza, racconta le virtù, alle quali si era assuefatto dà fanciullo.

1Feci patto cogli occhi miei di non pensar neppure a una vergine.2Perocché qual communicazione avrebbe con me di lassù Iddio, e come avrebbe possesso di me l'Onnipotente dall'alto?3Non è ella stabilita pe' malvagi la perdizione, e la diseredazione per quelli, che commettono l'iniquità?4Non istà egli attento a tutti i miei andamenti, e non conta egli tutti i miei passi?5Se io amai la menzogna, e se i miei piedi corsero a tessere degli inganni.6Mi pesi Dio sulla sua giusta bilancia, e conosca la mia schiettezza.7Se torsero dalla retta via i miei passi, e se dietro a' miei occhi se n'andò il mio cuore, e macchia si attaccò alle mie mani,8Semini io, e un altro si mangi il frutto, e sia sradicata la mia progenie.9Se fu sedotto il mio cuore per amore di donna, e se insidiai alla porta del mio amico,10Sia svituperata da un altro la mia consorte, e serva alla libidine altrui.11Perocché questa è scelleraggine orrenda, e grandissima iniquità.12Ella è fuoco che brugerà sino all'esterminio, e che tutti estirpa i rampolli.13Se io sdegnai di venire a discussione col mio servo, e cuna mia serva, quando si querelavan di me;14Perocché come fare' io allorché il Signore si alzerà a far giudizio? e quando mi interrogherà, che potre'io rispondergli?15Non fece egli me chi fece anche lui; e forse quell'uno non ci formò nel sen della madre?16Se negai a' poveri quello che domandavano, e se delusi l'espettazione della vedova.17Se il mio pane mangiai da me solo, e non ne feci parte al pupillo:18Perocché dall'infanzia meco crebbe la misericordia, e meco uscì dal sen, di mia madre.19Se disprezzai colui, che periva, perché non avea da coprirsi, e il povero, ch'era ignudo.20Se neo mi han date benedizioni i suoi fianchi, e se egli non fu riscaldato dalla lana delle mie pecore:21Se la mano alzai contro il pupillo, anche quando mi vedea superiore alla porta;22Si stacchi il mio omero dalla sua giuntura, e il mio braccio si spezzi colle sue ossa.23Perocché temei sempre Dio, come una piena di acque sospesa sopra di me, e la maestà di lui non poteva io sostenere.24Se il poter mio credetti che consistesse nell'oro, e se all'oro fino io dissi: Confido in te.25Se mia consolazione riposi nelle mie molte ricchezze, e ne' molti acquisti fatti colle mie mani.26Se al sole alzai gli occhi quando vibrava splendori, e alla luna quand'era più chiara:27E si rallegrò segretamente il cuor mio, e la mia mano portai alla bocca per baciarla:28Lo che è delitto grandissimo, ed è un rinnegare l'altissimo Iddio.29Se mi rallegrai della rovina di chi mi odiava, e festeggiai pel male, in cui era caduto.30Perocché non permisi che la mia lingua peccasse col mandare imprecazioni contro la vita di lui.31Se la gente della mia casa non dicevano: Chi ci darà, a mangiare dello sue carni?32Non istette il pellegrino allo scoperto; la mia porta fu aperta al passaggero.33Se, qual suole l'uomo; io ascosi il mio peccato, e celai nel mio seno l'iniquità:34Se la gran turba m'intimidì, e se mi spaventò il disprezzo dei parenti, e se non piuttosto mi tacqui, e non uscii di mia casa.35Chi mi darà uno che mi ascolti, e che i miei desiderj esaudisca l'Onnipotente, e colui che giudica scriva egli il libello;36Affinchè sull'omero mio io lo porti, e me l'avvolga alla testa qual diadema?37Lo reciterei a parte a parte, e lo presenterei a lui, come a mio principe.38Se la mia terra grida contro di me, e se con lei piangono i solchi:39Se senza pagarne il prezzo ho io mangiati i suoi frutti, e afflissi l'anima di quelli, che la coltivano:40Nascano per me triboli in vece di grano, e spine in cambio di orzo.

Note:

31,1:Feci patto cogli occhi miei ec. Osservò il Grisostomo, che Giobbe in questo luogo espresse la perfezione somma della dottrina evangelica. Notisi in primo luogo, che questo patto fermato co' suoi occhi da Giobbe suppone evidentemente la discordia e la contrarietà, che è tra l'uomo interiore e l'uomo esteriore; suppone quell'altra legge, che l'uomo trova nelle sue membra, legge, che ripugna alla legge della mente, come parla l'Apostolo. Rom. VII. 23.; fa un patto l'uomo colle sue membra e col proprio corpo, allorché l'obbliga ad essere sottomesso alla ragione, e a Dio. Notisi in secondo luogo, che siccome per osservare perfettamente la castità si dell'animo, e si del corpo, il primo mezzo si è di frenare la curiosità degli occhi; perciò dice Giobbe, che il suo patto egli fece co' propri occhi; perocchè egli già sapeva, che il solo guardare una donna per desiderarla, è lo stesso che peccare con essa, Math. v. 28. Siccome poi grandissima è la relazione, che passa tra gli occhi e il cuore, e tra la vista e il pensiero, perciò dice Giobbe, che fece patto cogli occhi suoi di non pensare neppure ad una vergine. L'anima (dice s. Gregorio) allorché incauta non si guarda dal mirar quello, che è atto a svegliare la concupiscenza accecata, dipoi comincia a desiderar quel che ha veduto. Quindi osservò lo stesso Santo, che Giobbe tanto prima del vangelo conobbe quello, che omai più non conoscevano gli Ebrei a' tempi di Gesù Cristo, vale a dire, che dall'autore della purità è condannato la lussuria non solo nell'opera, ma anche nel solo pensiero.
In terzo luogo dicendo Giobbe, che egli si era guardato, dal fissar l'occhio in una vergine, in cui la bellezza suol essere accompagnata dalla modestia, e da una certa ritrosia, che insinua a prima vista piuttosto rispetto, che altra passione, viene perciò a dimostrare quanto ei fosse ancor più cauto e temperante riguardo ad altre donne.

31,2:Qual comunicazione avrebbe con me ec. Se io coi cattivi pensieri, e co' turpi affetti macchiassi il mio cuore, potre'io essere tempio di Dio, potrebb' egli indursi o graziarmi di sua presenza, potrebb' egli aver possesso di un cuore, che non è degno di lui, se non è puro? Notisi col Grisostomo, che il vizio della impurità fa oltraggio a Dio e allo Spirito di santificazione, che vuol abitar nell'uomo: la qual verità è sovente ribattuto da Paolo. vedi 1, Corinth. VI. 13-19., Hebr. x. 29.

31,3:Non è ella stabilita ec. Non è egli vero, che Dio manderà in perdizione, diserederà que' cattivi figliuoli, i quali colla impurità profaneranno il tempio di Dio, che erano cui medesimi? perocchè sta scritto: se alcuno violerà il tempio di Dio, lo mandere Dio in perdizione.

31,4:Non istà egli attento ec. Vale a dire: per frenare e mortificare i miei occhi, e per guardarmi da ogni macchia d'impurità ebbi sempre in cuore questa verità, che Dio attentamente osservava, e contava tutti i miei passi.

31,7:Se dietro a'miei occhi se n' andò il mio cuore. Notisi, che in un uomo corrotto dalla passione ogni cosa è sconvolta; chi dee guidare va dietro, chi dee andar dietro fa da condottiero. Da tal disordine dice Giobbe, ch'ei fu sempre lontano, che il suo cuore non andò dietro a' suoi occhi, la vista de' beni altrui non eccitò in lui la bramosia di occuparli, ch'ei fuggì l'avarizia, e non contaminò le sue mani coll'usurparsi la roba altrui.

31,10:Sia svituperata da un altro ec. Che per giusta permissione di Dio sia tal pena sovente serbata agli adulteri apparisce dalle parole di Dio stesso a Davidde. II. Reg. XII. 12.

31,11:Questa è scelleraggine orrenda ec. L'adulterio (dice il Grisostomo) è un latrocinio, anzi e cosa peggiore e più grave di qualunque latrocinio.

31,12:È fuoco che brucerà ec. l'adulterio è paragonato a un fuoco, che divorerà ogni bene nella casa dell'adultero, e ne sperde tutta la posterità Vedi Sap. IV. 3. 4., ec.

31,13:Quando si querelavan di me. Questo solo da a conoscere l'umanità di un tal padrone, a cui non temevano di esporne le loro doglianze i servi e le serve, e di farnelo giudice.

31,15:Chi fece anche lui; ec. Chi fece me, fece il mio servo, ed egli ed io fummo formati nello stesso modo nel seno di una donna dal medesimo Dio.

31,17:Da me solo. Vale a dire senza farne parte ai poveri, e particolarmente a' poveri pupilli incapaci di guadagnarsi il pane, e talvolta anche di domandarlo. Erano di più gli antichi grandemente ospitali, come si è veduto nella storia de' patriarchi, e come vedremo riguardo a Giobbe vers 32.

31,20:Se non mi han date benedizioni i suoi fianchi, ec. Riscaldati colla veste donatagli da me.

31,21:Anche quando mi vedea superiore alla porta. Non minacciai, non trattai con durezza, ne con superbia il pupillo nemmen quando io avea evidentemente la ragione dalla mia parte; nemmen quando io avrei potuto a termini di giustizia farlo condannare, non procedetti verso di lui a rigore, ma con modestia, e carità. Essere superiore alla porta è lo stesso che essere superiore, vincitore in giudizio, perché, come si è detto più volte, alla porta giudicavansi le cause.

31,26-28:Se al sole alzai gli occhi ec. Io non rendei giammai alcuna sorta di culto ne al sole, ne alla luna. Tale è il senso di questo luogo secondo la comune sposizione degl'Interpreti Latini. E cosa notissima, che questa specie d'idolatria fu in gran voga presso tutti i popoli dell'Oriente. Adoravano il sole nel suo nascere; la luna adoravano principalmente quand'era piena, come apparisce da quelle parole et lunam incedentem clare. Una maniera di culto consisteva nel portar la mano alla bocca, e baciarla, che e propriamcnte quello, che i latini dissero adorare.
E si rallegrò segretamente il cuor mio. Nel mirare la bellezza dell'uno e dell'altra.

31,29:Se mi rallegrai della rovina di chi m'odiava, ec. Gran prova di quel perfetto amor de' nemici, che e comandato si strettamente nel Vangelo. Forse taluno rinunzierà alla vendetta, ma poi veggendo punito da Dio, o dagli uomini il nemico, quant'è difficile, ch'ei non ne senta una certa sodisfazione e piacere!

31,31:Chi ci darà a mangiare delle sue carni? il Grisostomo, s. Gregorio e altri Interpreti credono descritto in questo luogo il grande amore, che i famigliari di Giobbe portavano a lui: lo amavan questi con tanta passione, che desideravano di nasconderlo nelle proprie loro viscere. Noi usiamo una simil frase a significare un affetto eccessivo, e la Chiesa si serve di queste parole di Giobbe ad esprimere l'ardente brama, che hanno i suoi veri figliuoli di nutrirsi delle carni sante del Salvatore. Giobbe (così il Grisostomo) per dimostrar l'amore, che portavano a lui i suoi servi, disse, che quelli per l'eccessivo amore, che aveano per lui solevano dire, chi ci darà il mangiare delle sue carni? Così Cristo ha data a noi la sua carne e con ciò c'invitò ad amarlo grandemente. Homil. 25 in cap. X. 1. ad Corinth.

31,33:Se, qual suole l'uomo, io ascosi ec. Se io imitai, o imito il costume degli uomini, i quali con ogni studio s'industriano di coprire i propri falli; se dicendomi esente da gravi colpe io parlo per unità e non per amore del vero. Osservano gl'interpreti essere stata in uso fino dai tempi di Giobbe una pubblica confessione de' peccati.

31,34:Se la gran turba m'intimidì. Non mi lasciai guidare dalla moltitudine, non tralasciai di sostenere la verita e la giustizia anche contro le voglie e, l'ostinazione del maggior numero.
E se mi spavento il disprezzo de' parenti, e se non piuttosto mi tacqui, ec. Se i disprezzi, le parole mordaci delle persone dal mio sangue mi fecer paura, e m'indussero a fare cosa contro l'onestà e il giusto, e se non piuttosto tollerai con pazienza e in silenzio i loro rimprocci, tenendomi in casa mia per non espormi alla loro escandescenza.

31,35-36:Chi mi darà una che mi ascolti, e che ec. Si può ordinare in tal guisa, ed esporre il discorso di Giobbe: chi mi darà, che l'Onnipotente esaudisca i miei desiderii, e mi conceda un uditore dissappassionato, che ascolti le mie difese, e il libello dell'accusa da portarsi contro di me lo scriva lo stesso avversario prevenuto e animato contro di me? Questo libello vorre'io portare sulle mie spalle, e farne corona alle mie tempie. Vuolsi qui osservare, che in antico usavano di portar sulle spalle non solo i distintivi della propria dignità, ma anche tutte quelle cose, che potevano far loro onore. Quindi è, che di Cristo dice Isaia ( IX. 6.) che egli avrebbe portati i segni del suo principato sopra i suoi omeri; e in un altro luogo (XXII. 20. 22.) lo stesso profeta parlando di Eliacim dice, che Dio avrebbe messa su gli omeri di lui la chiave di David. Così dice Giobbe, che la sua innocenza è tanto chiara, e le accuse portate contro di lui son tanto false e insussistenti, che egli se ne farà onore, e il libello, in cui quelle sieno scritte, lo porterà sulle sue spalle, e se lo cingerà alla fronte a modo di diadema. A chi sa come i libri in antico eran lunghe membrane, che poi si avvolgevano ad un bastoncello, non sarà difficil d'intendere il doppio uso, che dice Giobbe di voler fare del libello d'accusa.

31,37:La reciterei a parte a parte, ec. Io stesso lo reciterei senza confusione in parte a parte dinanzi a Dio, e a lui lo presenterei, che e mio Re e mio Signore, la di cui legge ha avuto sempre dinanzi agli occhi in tutti i tempi e in tutte le circostanze della mia vita. Notisi in tutto questo discorso la fermezza propria della buona coscienza e insieme l'umiltà, colla quale Giobbe (dopo aver allermato che nulla egli teme tutte le accuse de' suoi avversari) il giudizio però della sua causa rimette a Dio, ne vuol credersi giustificato se non quando Dio lo giustifichi.

31,38:Se la mia terra grida contro di me, e se ec. Se la terra, se i solchi stessi lavorati con gran fatica da' miei operai gridano contro di me, perché io ritenni la mercede di quegl'infelici. Dicesi, che gridi contro d'un uomo la terra, quando ella è in certo modo consapevole di qualche delitto commesso in essa terra dall'uomo.

31,39:Se senza pagarne il prezzo ec. È una sposizione del versetto precedente.