Scrutatio

Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

Giobbe 13


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Giobbe per le loro stesse parole confuta gli amici, affermando, ch'ei saranno condannati da Dio: difende ancora contro gli amici la sua innocenza, e pazienza, domandando a Dio per quali peccati egli sia affitto sì gravemente.

1Tutte queste cose l'occhio mio già le vide, e l'orecchio le ascoltò, e ad una ad una io le compresi.2Quel che sapete voi io pur lo so, ne sono inferiore a voi.3Con tutto questo io parlerò all'Onnipotente, e con Dio bramo discorrerla:4Facendo prima vedere come voi fabbri siete di menzogne, e sostenitori di false dottrine.5E piacesse a Dio, che steste in silenzio per farvi creder sapienti.6Udite adunque la mia correzione, e ponete mente alla sentenza, che uscirà dalle mie labbra.7Ha egli forse bisogno Iddio di vostre menzogne, onde per lui parliate con fraude?8Forse volete prestargli favore? ovver tentate di patrocinar la causa di Dio?9Sarà egli ciò grato a lui, cui nulla può essere ascoso? o sarà egli deluso, come il sarebbe un uomo, da' vostri inganni?10Egli stesso vi condannerà, perché occultamente cercate il suo favore.11Tosto che egli si moverà vi porrà in iscompiglio, e co' suoi terrori vi scuoterà.12La vostra memoria sarà come cenere, si ridurranno in fango le vostre cervici.13Tacete un tantino, affinchè io dica tutto quello, che la mente mi suggerisca.14Per qual motivo mi straccio co' miei denti le carni, e l'anima mia porto nelle mie mani?15Quand'anche egli mi desse morte, in lui spererò; ma accuserò le opere mie dinanzi a lui.16Ed egli sarà mio Salvatore; perocché non comparirà dinanzi a lui verun degli ipocriti.17Ponete mente alle mie parole, e le orecchie porgete a' miei enimmi.18Se sarò giudicato, io so, che sarò riconosciuto per giusto.19Chi è che voglia venir con me in giudizio? venga pure. Perché mi consumo tacendo?20Sol due cose non fare a me (o Signore); e allora non mi nasconderò dalla tua faccia:21Ritira da me la tua mano, e non mi sbigottire co' tuoi terrori.22Interrogami, ed io risponderò; o permetti ch'io parli, e tu rispondimi.23Quante ho io iniquitadi, e peccati? fammi conoscere le mie scelleraggini, e i miei delitti.24Perché nascondi il tuo volto, e mi consideri per tuo nimico?25Contro una foglia, che il vento disperde dimostri la tua possanza, e ad una secca paglia fai guerra:26Perocché amare cose tu scrivi contro di me, e consunto mi vuoi pei peccati di mia adolescenza.27Mi hai inceppati i piedi, hai notati tutti i miei andamenti, e hai posto mente a tutte le orme de' passi miei:28Di me che debbo ridurmi in putredine, ed essere come una veste rosa dalle tignuole.

Note:

13,3:Con tutto questo io parlerò all'Onnipotente, ec. Quantunque io non abbia da temere, che mi manchin parole per rispondere a voi; con tutto ciò non con voi, ma con Dio, che è verità e bontà, amo di trattar la mia causa giudicialmente.

13,4:Fabbri siete di menzogne, e sostenitori di false dottrine.Quanto alle menzogne, gli amici di Giobbe lo accusavano, anzi lo supponevano reo di gravi delitti; quanto alle false dottrine, tutto il loro errore consisteva nel credere, che l'uomo non è afflitto, ne vessato colle tribolazioni se non per ragione de' suoi falli.

13,7:Ha agli forse bisogno Iddio di vostra menzogne? Voi pretendete di giustificare la providenza e la giustizia di Dio, il quale ha aggravata in tal guisa la sua mano sopra di me; ma perché volerla difendere colla menzogna, offendendo a un tempo la verità e la carità, offendendo e lui, e me? lo riconosco pure e adoro la stessa providenza, e la giustizia di Dio; ma so, che in difesa della verità dee essere senza intacco della verità, e della carità.

13,8:Forse volete prestargli favore?Voi vi arrogate di giudicare tra Dio, e me, ma almen lo faceste secondo le regole della giustizia; ma voi senza badare al torto, che fate a me, non avete altro in mira che di farvi merito con Dio, e prestargli favore, come se del vostro favore egli abbisognasse per essere giustificato. Mirando da una parte la grandezza e maestà di Dio, dall'altra il mio misero stato voi dite, che essendo infelice io non posso essere se non peccatore; onde secondo voi non può sostenersi la causa della Provvidenza divina, se in grazia di lei non conculcate l'innocenza del povero oppresso.

13,9:Sarà egli ciò grato a lui, ec. Egli ben vede come non per vero zelo, e secondo la scienza, ma per ispirito di amor proprio, e perché sperate, che debba essere utile a voi il far cosi, sentenziate ingiustamente contro di me; ma io vi avverto, che ciò a lui non può piacere, e che il vostro inganno, la falsa vostra persuasione, la quale servirebbe forse a indurre in errore un uomo, non servirà, mai a ingannare, e sedurre Dio.

13,10:Perché occultamento cercate ec. Egli vi condannerà, perche voi facendo mostra di voler giudicare secondo la pura giustizia, colla segreta intenzione, che è nota a Dio, pretendete di farvi merito con lui con isfregio della mia innocenza, onde ne veramente onorate Dio, e siete crudeli verso di me.

13,11:Tosto che egli si moverà. ec. Quand'egli sorgerà in mia difesa, e punira i vostri storti giudizi.

13,12:La vostra memoria sarà come cenere. Come cenere, che al più leggero soffio di vento sparisce; cosi spariranno, e saran cancellate dalla memoria degli uomini tutte le vostre prerogative, delle quali andato superbi.
Si ridurranno in fango le matre comici. La cervice in terram è messa sovente nelle Scritture per la presunzione e superbia. Tutta la vostra presunzione si ridurrà in vilissimo fango. Colle minacce di questi due versetti pretende Giobbe di ridurre gli amici a guardarsi dal giudicare temerariamente, e sul fundamento della sola esterna apparenza.

13,14:Per qual motivo mi straccio co' miei denti le carni. Vale a dire mi consumo pegl'interni dolori? Imperocchè questa frase lacerasi le carni co' denti è molto simile a quella de' Greci, i quali di un uomo sommamente afflitto e quasi ridotto in disperazione solevan dire, ch'ei si mangiava il proprio cuore. Per qual ragione, per qual mio peccato (dice Giobbe) mi struggo io di dolore, e di affanno? E l'anima mia porto nelle mie mani? Questa frase avere o sia portare l'anima proprio nelle mie mani significa essere come in bocca alla morte. Congiungendo queste colle precedenti parole il senso di questo versetto mi sembra essere: Per qual motivo mi abbandonere' io all'impazienza e alla disperazione? Non ho io adunque a chi rivolgermi, ne donde sperare aiuto? La risposta è nel versetto seguente.

13,15:Quand'anche egli mi desse la morte, in lui spererò. Questo è quello, che l'Apostolo disse sperare contro speranza, Rom. IV. 18. Tralle fauci della morte (dice Giobbe) io non cesserò di sperare in lui. Quanto mai contiene e di fede, e di amore della bontà di Dio una così invincibile, e ammirabile speranza!
Ma accuserò le opere mie. Dimostra come quello che ha detto non è sentimento di presunzione, ma di giusta fidanza nella bontà di Dio, mentre è disposto ad accusarsi dinanzi a lui, e a far penitenza di tutto quello, che può aver commesso contro di lui.

13,16:Perocchè non comparirà. L'empio, l'ipocrita non avrà coraggio di presentarsi al tribunale di questo giudice; io ardisco, io bramo di comparire dinanzi a lui, ed egli per sua misericordia mi salverà.

13,17:A miei enimmi. Udite le mie ragioni, le quali a voi sembrano tanti enimmi, benché sieno chiarissime.

13,18:Se sarò giudicato, io so, ec. Se la mia causa sarà trattata in giudizio, la testimonianza che a me rende la mia coscienza, mi ripromette, che io sarò riconosciuto per giusto. Notisi pero, che questa è una persuasione umana non certa, ne infallibile. Vedi cap. IX. 21., e anche v.16.

13,19:Perché mi consumo tacendo? Mi lascerò io opprimere dalle accuse de' miei avversari senza dire una parola per mia difesa?

13,21:Ritira da me la tua mano, e non mi sbigottire ec.Ecco le due cose, che io domando a te, o Signore, prima d'intraprendere la mia difesa: allontana per alcun poco da me la tua verga, si mitighi l'orribil mia pena, e nascondi agli occhi miei lo splendore della terribile tua maestà.

13,22:Interrogami, e io risponderò, ec. In questo discorso di Giobbe, e nella maniera, ond'egli imprende a difendere la sua innocenza abbiamo un ritratto della dolce e amorosa fidanza, colla quale il giusto senza derogare al rispetto infinito, che deesi a una tal maestà, espone famigliarmente al tuo Dio tutti i pensieri e i movimenti del proprio cuore, e le tentazioni stesse, e le querele, che in lui risveglia la non intesa condotta tenuta dal suo Signore riguardo a lui.

13,23:Quante ho io iniquitadi ec. I miei amici mi accusano, anzi mi condannano risolutamente com'empio, ma non san dire in che consista la mia iniquità: a te nulla è ascoso; piaccia adunque a te di farmi conoscere i miei reati.

13,25:Contro una foglia, ec. Ecco come nello stesso cuore mirabilmente si unisca l'amorosa fidanza in Dio, e il disprezzo di ec. medesimo. Che son lo (dice Giobbe) se non una foglia secca e una vile pagliuzza? Abbi adunque compassione di me tu, che se' la fortezza del povero nella tribolazione, Isai. XXV. 4.

13,26:Amare cose tu scrivi ec. i giudici scriveano di pugno le loro sentenze, le quali o leggevano essi stessi, o facevan leggere da qualche loro ministro. Amara certamente, e funesta è la sentenza, che tu hai pronunziata contro di me condannandomi a tanti mali.
Pe' peccati di mia adolescenza. Vale a dire pei peccati commessi in un'età piena d'ignoranza, e di debolezza, onde più facilmente ritrovano pietà, e perdono gli stessi peccati. S'inferisce da queste parole (come notarono alcuni Interpreti Greci) la insigne santità di Giobbe, il quale nissuna colpa sapeva di aver commesso dopo in prima tenera età.

13,27:Mi hai inceppati i piedi, ec.? Frattanto come reo, e peccatore trattandomi tu hai messo i miei piedi nei ceppi. Credono con ragione gl'Interpreti, che alluda Giobbe a una spezial malattia, che lo tormentava nelle gambe, e rendevalo immobile.
Hai notati tutti i miei andamenti, ec. Nissuna azione mia per piccola, che ella fosse, hai lasciato di squittinare minutamente, notandone le cagioni, i principii, le intenzioni, contando tutti i miei passi, e tutti chiamandogli a rigorosissimo esame.

13,28:Di me che debbo ridurmi ec. Ma a che tanta severità, o Signor mio, verso un meschino che da sè si riduce in putredine, e, sarà roso interamente da' vermi come una veste è rosa dalle tignuole? Accenna Giobbe il proprio corpo, e dice: Questa mia veste di carne mortale, e corruttibile non si ridurrà ella da se in marciume, e in polvere senza che tu faccia di me si aspro governo?