Scrutatio

Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

Giobbe 17


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Giobbe per la sua grande afflizione afferma, che nulla più per lui vi rimane, fuorché, la morte, e accusa gli amici di stoltezza, perchè la sola presente rimunerazione stabiliscono: egli poi aspetta la requie futura.

1Si va consumando il mio spirito, si accorciano i giorni miei, e solo per me vi resta il sepolcro.2Io non peccai, e gli occhi miei nuotano nelle amarezze.3Liberami, o Signore, e pommi presso di te, e chicchessia armi sua mano a combattere contro di me.4Il loro cuore hai tenuto lontano dalla saggezza; per questo ei non saranno esaltati.5Egli promette acquisti a' suoi compagni; ma gli occhi de' suoi figliuoli verranno meno.6Egli mi ha renduto quasi favola del volgo, e sono negli occhi loro oggetto di orrore.7Pel gran dispetto ho perduto il lume degli occhi, e le mie membra son quasi ridotte nel nulla.8Rimarranno di ciò stupefatti i giusti, e l'innocente si leverà contro l'ipocrita.9Ma il giusto terrà sua strada, e quegli, che ha pure le mani crescerà in fortezza.10Voi pertanto cangiate di parere, e venite, ed io non troverò tra voi verun capiente.11Sen fuggono i giorni miei, i miei disegni si risolvono in fumo, e mi tormentano il cuore.12La notte hanno cambiata in giorno, e di nuovo dopo le tenebre spero la luce.13Quand' io avrò aspettato pazientemente, la mia casa el' è il sepolcro, e nelle tenebre ho disteso il mio letticciuolo.14Alla putredine ho detto tu se' mio padre, e ai vermi voi siete mia madre, e mia sorella,15Dov' è adunque adesso la mia espettazione, e chi è che consideri la mia pazienza?16Nel cupo sepolcro scenderà ogni cosa con me; credi tu che ivi almeno io avrò requie?

Note:

17,1:Si va consumando il mio spirito. Lo spirito vale in questo luogo o gli spiriti vitali, ovver la stessa respirazione.

17,2:Nuotano nelle amarezze. In un mare di amarissimo pianto.

17,3:Liberami, o Signore, ec. Bellissima apostrofe a Dio, che solo è fedele, e la protezione di cui basta a difenderlo da tutti i nemici.

17,4:Il loro cuore hai tenuto lontano ec. Parla de' suoi amici, i quali non intendendo i consigli della sapienza di Dio, superbi della loro umana sapienza veggendo l'amico nell'afflizione lo giudicavano reo e peccatore a proporzione de' mali, che egli pativa. Per questo (dice Giobbe) alla fine non rimarranno con gloria, ma con ignominia e confusione. E cosi avvenne di fatto. Vedi cap. 42.

17,5:Egli promette ec. Ognuno di questi amici promette acquisti e vittorie a' compagni; ma sarà infelice ed egli e i suoi figliuoli. Forse queste parole sono dette per Eliphaz, come anche quelle del versetto seguente.

17,6:Sono negli occhi loro oggetto di orrore. Come esempio terribile de' rigori, co' quali la divina giustizia punisce i peccati. Mi considerano (dice Giobbe) come un esempio orrendo a vedersi di quello, che sa fare l'ira di Dio a danno de' peccatori.

17,7:Pel gran dispetto ec. Dimostra quanto lo affliggessero questi ingiusti giudizi de' propri amici.
E le mie membra son quasi ec. Questo interno dolore finisce di struggere anche il mio corpo.

17,8:Rimarranno di ciò stupefatti i giusti, ec.I giusti, veggendo afflitto l'innocente, ne resteranno altamente ammirati non intendendo i profondi segreti della Providenza divina. L'innocente stesso commosso da' falsi giudizi, che fanno di lui gl' ipocriti, e i cattivi, i quali perchè lo veggono infelice lo abominano come peccatore, non si può rattenere dal versarsi in querele, e riprensioni contro di essi. Sembra, che voglia scusare quell'acerbezza, colla quale egli inveisce in più luoghi contro di questi amici, i quali invece di consolarlo, nuovi motivi porgevano a lui di dolore.

17,9:Ma il giusto terrà sua strada, ec. Ma il giusto benchè non intenda i misteri della Providenza, che lo affligge, non si ritira per questo dalla pietà, ma appunto perchè egli è retto, e puro nel suo operare, si rende più forte, e costante nella tribolazione.

17,10:E venite, ed io non troverò ec. Cangiate pensiero, non mi condannate più come empio sul solo argumento di mie sciagure; e tornate pure a disputare con me; perocchè lo farovvi vedere, che non si trova tra voi chi meriti il nome di vero sapiente.

17,11:Sen fuggono i giorni miei. Rompe qui il suo discorso, e violentato (per cosi dire) da' suoi dolori ritorna alle querele, e a' lamenti.
I miei disegni ec. i miei disegni, le mie speranze tutte svaniscono, e mi straziano il cuore.

17,12:La notte hanno cambiato in giorno. Questi pensieri, queste speranze, che si dileguano e vanno in fumo fanno si, che la notte (il tempo della quiete) sia per me quello, che è il giorno per gli altri uomini, fanno si, che la notte sia tempo di agitazione e di turbamento perpetuo.
E di nuovo dopo le tenebre spero la luce. Queste parole sembrami, che debbano congiungersi con quelle del versetto seguente. La notte diviene per me giorno di fatica e di agitazione: dietro alla notte io spero il giorno della consolazione; ma qual fondamento ho io per isperarlo e aspettarlo, mentre nello stato in cui mi ritrovo, tutto quello ch'io posso aspettarmi si è il sepolcro?

17,13:La mia casa ell'e' il sepolcro. Ecco il luogo del mio riposo. La casa, ch'io avrò in comune cogli altri morti.

17,14:Alla putredine ho detto: ec. Non poteva più fortemente esprimere l'affetto, con cui riguardava la morte, che valendosi in tal maniera de' teneri nomi di padre, di madre, di sorella. Notisi, che la putredine e i vermi sono da lui considerati come la famiglia, ch'egli avrà nella casa dei sepolcro.

17,15:Dov'è adunque adesso re. Sembra rivolgere il discorso ad Eliphaz, che gli mostrava nell'avvenire una sorte migliore. Che mi resta egli da sperare in questa vita, la quale già e quasi finita per me?

17,16:Credi tu, che ivi almeno io avrò requie? Tutte le speranze di felicità temporale scenderanno con me nel sepolcro; e credi tu, che questa requie del sepolcro aspettata e bramata cotanto, verra una volta per me? Cosi esprime il vivissimo desiderio di morire.