Scrutatio

Venerdi, 19 aprile 2024 - San Leone IX Papa ( Letture di oggi)

Giobbe 10


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Giobbe si querela delle sue afflizioni, domandandone a Dio la cagione, la quale dimostra non essere stata la sua malvagità, né l'ignoranza di Dio, il quale perfettamente conosce l'uomo, ch'egli ha creato: e di nuovo per l'eccesso de' suoi mali si lamenta d'esser nato.

1Noioso è divenuto all'anima mia il vivere: lascerò libero il corso alle mie parole contro di me: parlerò nell'amarezza dell'anima mia.2Dirò a Dio: Non voler tu condannarmi: fammi sapere il perché in tal guisa mi giudichi.3Parrà egli forse a te ben fatto il calunniarmi, e l'opprimer me opera delle tue mani, e favorire i consigli degli empj?4Son eglino forse gli occhi tuoi occhi di carne? E la tua vista sarà ella simile a quella dell'uomo?5Sun eglino forse i giorni tuoi come gli giorni dell'uomo, e gli anni tuoi simili agli anni dell'uomo?6Onde tu abbi da ire indagando le mie iniquità, e investigando i miei peccati,7Per sapere che nulla ho fatto di empio, e non v'ha chi possa sottrarmi alla tua mano.8Le mani tue mi lavorarono, e tutto parte a parte mi impastarono, e sì di repente mi atterri?9Di grazia ricorditi, che qual vaso di fango tu mi facesti, e nella polvere mi tornerai.10Non fosti tu forse, che mi spremesti qual latte, e mi rappigliasti come latte acquagliato?11Di pelle, e di carne tu mi vestisti, mi tessesti di ossa, e di nervi:12Mi donasti vita, e misericordia, il tuo favore custodì il mio spirito.13Abbenchè tu queste cose nasconda in cuor tuo, io però so che di tutte hai memoria.14Se io peccai, e per un tempo mi perdonasti: perché non permetti, che io sia mondo dalla mia iniquità?15E guai a me se io fossi empio; e se giusto fossi, non alzerei la testa satollo di afflizione, e di miseria.16E per la superbia mi prenderai qual lionessa, e in maniera portentosa tornerai a tormentarmi.17Tu novi testimoni produci contro di me, e contro di me raddoppi il tuo sdegno, e un esercito di travaglj fa a me guerra.18Perché fuor mi traesti dal sen materno? Foss' io stato consunto, senza che occhio umano m'avesse veduto.19Foss'io stato (come se non avessi avuta esistenza) trasportato dal sen materno al sepolcro.20Non finirà egli ben presto il numero de' miei giorni? lascia adunque ch'io pianga alcun poco il mio dolore:21Prima ch'io men vada colà donde non tornerò, a quella tenebrosa terra ingombrata da caligine di morte:22Terra di miseria, e di scurità, dove l'ombra di morte, e non verun ordine, ma sempiterno orrore ha sua stanza.

Note:

10,1:Lascerò libero il corso alle mie parole contro di me. Non mi tacerò, benché a me noccia il parlare.

10,2:Non voler tu condannarmi. Perdona se o con eccessivo ardimento, o inconsideratamente io parlo. Il perché in tal guisa mi giudichi. Ovvero: il perché così mi punisci come tradussero i LXX.

10,3:Parrà egli forse a te ben fatto ec. Non può mai essere, che tu Dio ottimo e giustissimo approvi, ch'io sia calunniato e oppresso, io, che pur sono opera delle tue mani, e tua creatura. Egli è proprio di te l'amare, il favorire le tue creature, e difenderle, e custodirle, e non il permettere, che sieno calunniate a torto, e oppresse. Or tu vedi come gli stessi amici d'ingiustìzia e di empietà mi accusano non con altro fondamento se non perchè io sono in miseria.
E favorire i consigli degli empi? Per questi empi alcuni intesero i demoni; altri gli amici di Giobbe; ma non mi sembra conveniente al carattere di Giobbe l'usare di tali termini contro gli amici, ne che questi (benché errassero nel giudizio, che facevan di lui) merita! potessero simile oltraggio; altri finalmente colGrlsostomo intendono generalmente i peccatori, e tutti quelli, che non temono Dio,i quali nel vedere afflitto e oppresso il giusto, e che tutto va a seconda per essi, insultano a Dio stesso, come presso Malachia, dicendo: falli quelli, che fun del male sana Inmni nel cospetto del Signore, e conoro a lui sono accetti, o almeno, quel Dio di giustizia dov'é? Cap. II. 17.

10,4:Son eglino forse gli occhi tuoi ec.Il mio Giudice. non può (come gli uomini) errare per ignoranza, ne per poca avvedutezza; gli occhi di lui sono perspicacissimi; egli vede le cose occulte e ascose nelle tenebre, perché la luce è con lui, Dan. II. 22. La seconda parte di questo versetto e una sposizione della prima.

10,5-7:Son eglino forse i giorni luci come i giorni dell'uomo, ec.I giorni dell'uomo son brevi, gli anni dell'uomo non pochi; onde meraviglia non è se i giudici della terra di molte cose sono ignoranti, e abbisognano di tempo per investigare, e conoscere la verità; ma tu, o Dio, tu se' ab eterno, e nissuna nuova scienza porterà a te il giorno di domane, perché tutto è noto a te e il passato e il presente e il futuro, così tu non hai hisogno nè di tempo ne di lungo esame per conoscere la mia innocenza.
E non v'ha chi possa sottrarmi ec.I LXX lessero: Ma e chi è, che dalle tue mani mi tragga? Tu sai, che io non ho operato da empio, ma chi è, che dal tuo sdegno mi liberi? La lezione della volgata da lo stesso senso, purché la particella congiuntivo e s'interpreti per abbenchè. La sposizione di s. Agostino e questa: Tu sai, che nulla ho fallo di empio riguardo agli uomini, ma chi é che dalla mano tua passa essere liberato quando tu entri in giudizio? Finalmente questa sentenza di Giobbe è simile a quella di Paolo: Non sono a me consapevole di cosa alcuna, ma non per questo sono giustificato, 1. Cor. IV. 4.

10,8:Le mani tue mi lavorarono, ec. Rammenta con molta tenerezza e gratitudine il benefizio della creazione, e la bontà grande del suo Fattore nel formarlo, e nel ricolmarlo di doni e di lavori, donde prende argomento di sperare, e di chiedere nuove grazie. Ho tradotto mi lavorarono piuttosto che mi fecero, ovver mi formarono per accostarmi più al senso della voce Ebrea, la quale esprime la diligenza e lo studio, che pone un artefice nel fare qualche squisito lavoro. Ottimamente spiegò i sensi di Giobbe s. Ambrogio in Ps. 118. Non abbandonare, o Signore, l'opera tua: te autore del mio essere io interpello, Te mio fattore: altro soccorso io non cerco; impiega la mano tua a darmi aiuto tu, che la impiegasti a crearmi.

10,9:Qual vaso di fango tu mi facesti. ec. Ricordati come di umida terra tu mi formasti in Adamo, e come secondo la sentenza data da te contro l'uom peccatore io dovrò risolvermi in polvere.

10,10:Non farti tu forse, che mi spremesti qual latte, ec. A Dio attribuisce la propagazione, e formazione dell'uomo, la qual veramente è tutta opera, e benefizio del medesimo Dio, come, notò S. Agostino in Ps. 118 ed è anche ripetuto in molti luoghi delle Scritture. Sembra qui insinuato l'opinione di vari antichi scrittori, i quali credettero formarsi il feto nel sen della madre, come un latte, che si acquaglia. vedi Sap. VII. 2.; e non la meraviglia, che Giobbe in una cosa appartenente alla storia della natura si adatti alla maniera di pensare degli uomini del suo tempo, e tanto più ciò dee concedersi, perché anche oggigiorno la generazione dell'uomo è un mistero.

10,12:Mi donasti vita.Mi desti un' anima, per cui io vivo, Gen. II. 7.
E misericordia. Mi ricolmasti di molti e grandi benefizi a salute dell'anima e dei corpo.
E il tuo favore custodi ii mio spirito. La tua providenza, la tua amorosa vigilante assistenza non mi lasciò in verun tempo.

10,13:Abbenche' tu queste cose nasconda ec. Tu mostri adesso di non ricordarti più dell'antica tua misericordia, mostri di non ricordarti com' io sono opera tua, tua creatura amata e beneficata altamente da te; ma io so, che tutto è presente a te, ne io m'indurro a creder giammai, che tu mi abbi dimenticato, ma solo dissimuli, e come se più non mi conoscessi, mi tratti con tanta severità.

10,14:Se io peccai, e per un tempo mi perdonasti: ec. Se nella mia gioventù, ec. nella scorsa mia vita in qualche cosa io peccai, tu pur mi perdonasti, e mi desti segni di riconciliazione e di amore; che se solamente a tempo mi perdonasti, qual è adunque il motivo, per cui la memoria rappelli delle passate mie colpe?

10,15-16:E guai a me se io fossi empio; ec. Se io fossi empio non avrei altro da aspettarmi, se non eterna infelicità, ed essendo anche giusto non ardirò di alzare la testa trovandomi oppresso sotto il peso di tanta miseria. E se alzassi la testa, tu puniresti la mia superbia trafiggendomi cogli acuti dardi di nuovi e squisiti dolori, come un cacciatore trafigge una feroce lionessa, e torneresti a straziarmi con quasi incredibili e prodigiosi tormenti.

10,17:Tu nuovi testimoni produci ec. Questi testimoni prodotti contro di Giobbe sono gli stessi mali, e le moltiplicate calamità, ond'egli era afflitto; imperocchè le pene non solo van dietro alla colpa, ma si considerano iu certo modo come testimoni del peccato commesso dall'uomo, e di tali testimoni facevano uso contro di Giobbe i suoi amici per convincerlo di peccato.

10,20:Lascia adunque, chi io pianga ec. Concedimi prima della mia morte alcun breve spazio di tempo non per altro, che per piangere e deplorare i miei mali.

10,21-22:Prima ch'io men vada... a quella tenebrosa terra. La descrizione di Giobbe non sembra permettere, che per questa terra di tenebre, di culigine, di miserie, e di orrore s'intenda altro luogo fuori che l'inferno. Tale è la sposizione di s. Agostino seguitata da molti altri interpreti Greci e Latini. Ed ecco le parole del s. Dottore: Brama Giobbe un po' di riposo prima di andare alle pene eterne non per altro certamente se non per non andarvi; come se noi ad alcuna dicessimo: emendati prima di dannarti perocchè emendata che egli sia non si dannerà. In una parola, espone qui Giobbe il timore di perdersi e di dannarsi; e secondo l'osservazione di un Greco interprete egli parla così, perché teme, che non ottenendo qualche tempo di sollievo e di respiro, se in mezzo a tali e tanti tormenti dee lasciare la vita, non gli avvenga di essere separato per sempre dalla vista di Dio, e rilegato cogli empi nell'inferno. v. Gregorio lib. LX. Moral. 45 L'immutabilita dello stato dei dannati è dimostrata in quelle parole donde non tornerò; come l'eternità delle pene in quelle altre parole ma sempiterna orrore ec. Notisi ancora, che nell'inferno non manca quell'ordine, che appartiene alla giustizia divina, la quale a proporzione de' peccati punisce i peccatori. Quando adunque dice Giobbe, che non è verun ordine nell'inferno, vuol indicare la confusione, che regna tragli stessi dannati mescolati tra loro senza distinzione di grado, ne di dignità, e il disordine, che regna nelle anime e negli affetti dei reprobi.