Scrutatio

Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Giobbe 16


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Giobbe commosso dall'autorità degli amici piange i suoi dolori, e dimostra la grandezza di sua miseria, e com'ei patisce senza essere iniquo, della qual cosa dice essere Dio consapevole.

1Ma Giobbe rispose, e disse:2Ho udite sovente tali cose: voi siete tutti consolatoli molesti:3Non avrann' eglino fine i discorsi ampollosi? che costa a te il parlare?4Potrei anch' io parlar come voi: e foste pur voi ne' miei piedi:5Vi consolerei anch'io a parole, e piegherei la mia testa sopra di voi:6Vi farei cuore co' miei discorsi, e regolerei le mie labbra colla compassione verso di voi.7Ma or che farò? Se io parlerò non si accheterà il mio dolore, e se starò in silenzio egli non andrà lungi da me.8Ma adesso il dolor mio m' ha oppresso, e tutti i miei membri sono scompaginati.9Le grinze della mia pelle rendono testimonianza contro di me; e un mendace ragionatore sorge contro di me per contradirmi in faccia.10Aduna il suo furore contro di me, e minacciandomi digrigna i denti contro di me: con occhi terribili mi guarda il mio nemico.11Hanno aperte le loro bocche contro di me, e mi han percosso obbrobriosamente nella guancia; si son satollati delle mie pene.12Il Signore mi ha rinchiuso in balia dell'iniquo, e mi ha dato nelle mani degli empj.13Quell'io si beato una volta fai di repente ridotto in polvere; mi afferrò per la testa, m' infranse, e fecemi come suo bersaglio.14Mi ha cinto colle sue lance, ha impiagati tutti i miei fianchi, e senza pietà averne, le mie viscere ha sparse per terra.15Mi ha lacerato con ferite sopra ferite: qual gigante si è gettato sopra di me.16Porto cucito alla mia pelle il cilizio, e la mia carne ho ricoperta di cenere.17La mia faccia è gonfia dal pianto, e la caligine ingombra le mie pupille.18Queste cose ho sofferte, benché inique non fossero le opere mie, e pure offerissi a Dio le preghiere.19Terra, non ricoprire il mio sangue, non restino nascose in te le mie strida.20Perocché lassù in cielo è il mio testimone, e nell'alto si sta colui, che mi conosce intimamente.21I miei amici sono verbosi; a Dio spandono lagrime gli occhi miei.22E fosse egli pure il giudizio tra Dio, e l'uomo come il giudizio di un figliuolo dell'uomo col suo compagno.23Perocché già passano i corti anni, ed io batto una strada, per cui non ritornerò.

Note:

16,2:Consolatori molesti. Qual maniera di consolazione era mai questa? Supporlo peccatore ed empio, attribuire ai peccati di lui i mali presenti, e ripeter sempre le stesse accuse: non era egli questa un finir di opprimerlo, piuttosto che consolarlo?

16,3-4:Che costa a te il parlare? Rivolge qui il discorso ad Eliphaz, che avea parlato più duramente degli altri, e non avea detto se non cose ovvie, e comuni, e mai applicate; ed è verissimo proverbio, che è facil cosa ad un sano il dar consigli a' malati. E certamente non son tanto indietro (dice Giobbe), che non siami facile il dire a me stesso, o ad altri quello, che sapete dir voi.

16,4-6:E foste pur voi ne' miei piedi: vi consolerei ec.Se voi vi trovaste per alcun tempo nella stato, in cui mi ritrovo, vedreste, che io saprei trovar ben altre parole da consolarvi, e gli stessi gesti, e i movimenti della mia testa v'indicherebbero la pietà, che avrei delle vostre afflizioni. Procurerei di farvi coraggio co' miei discorsi, e vi parlerei con ispirito di amorevolezza e di compassione. Muovere ovver piegare la testa sopra un altro, talora significa schernire, talora compatire; vedi Nahum III. 7., e in questo secondo senso è usata questa frase in questo luogo.

16,8:Ma adesso il dolor mio m'ha oppresso, ec. Ma io sono adesso privo di ogni consolazione e di dentro, e fuori di me.

16,9:Le grinze della mia pelle rendon testimonianza ec. Dalla mia stessa miseria, dalla enunciazione del mio corpo, e dalla pelle arsa, e grinzosa argomentano i miei stessi amici, che io sia un peccatore, e un empio. Di tale ingiustizia è accusato da Giobbe particolarmente Eliphaz, a cui da il nome di ragionatore mendace, e con molta ragione per quello che si è veduto.

16,10:Aduna il suo furore contro di me. ec. In questo e ne' seguenti versetti contiensi una forte e patetica dscrizione delle calamità senza fine, dalle quali era afflitto e straziato Giobbe. Il nemico crudele, di cui egli parli secondo alcuni Interpreti è il demonio. Sembrami però più verisimile, che senza dinotar veruno in particolare in questa pittura si rappresenti tutto insieme l'esercito ( per così dire) de' mali, che infierivano contro di lui, e da quali Giobbe era lacerato e quasi divorato continuamente. Questa sposizione conviene collo stato di un uomo pieno di aflizioni, e di dolori, e anche coll'espressioni, e colle parole di Giobbe. Ciò supposto agevolmente s'intende il perchè egli parli ora in singolare, come in questo versetto, ora in plurale come nel versetto II., riguardando egli tutta la schiera de' suoi mali or come, una sola persona, or come molti nemici. Descrive adunque i suoi mali sotto l'immagine di cani rabbiosi, di fiere crudeli, d'inumani carnefici, de' quali la sola vista lo rimpie di orrore, e di spavento, e il furore lo riduce all'estremo passo.

16,11:Mi han percosso obbrobrioaamente nella guancia. Non senza ragione credono alcuni Interpreti indicarsi con queste parole gl'insulti, e gli scherni, che egli ricevea dai demoni, i quali gli rinfacciavano il suo amore della giustizia, la speranza in Dio, ec. Ciò viene ad esprimersi vivamente sotto la similitudine delle guanciate, offesa che fu sempre considerata di somma ignominia.

16,12:Mi ha rinchiuso in balia dell'iniquo, ec. Dio stesso, il mio Dio egli è, che mi ha dato in potere di un tiranno crudele e inumano: ma che dico di un sol tiranno? Non di un solo, ma di molti tiranni mi ha dato Dio nelle mani.

16,13:Mi afferrò per la testa. La metafora è presa da' lottatori, che solevano, preso per la testa il nemico, sforzarsi di gittarlo per terra.
Facemi come suo bersaglio. Bersaglio agli strali non solo di Dio, ma anche degli uomini, amici e nemici, i quali non cessano di tormentarmi.

16,16:Porto cucito alla mia pelle il cilizio. Il cilizio attaccato alla mia pelle tiene per me il luogo di splendido veste, e l'ornato del mio corpo, e specialmente del capo ell'è la cenere. Si è veduto più volte come il cilizio, e la cenere erano i segni nel lutto, e nell'afflizione.

16,18:E pure offerissi a Dio le preghiere. E pure rendessi a Dio il mio culto: imperocchè sotto il nome di preghiere (che ne sono una parte) intendesi tutto il culto religioso.

16,19-21:Terra, non ricoprire il mio sangue, ec. La voce sangue significa in questo luogo i mortali dolori e le pene che l'opprimevano. Queste egli desidera, che non rimangano sepolte e ascese, o dimenticate giammai; ma sieno note a tutti gli uomini, e parlino in suo favore, e lo giustifichino, e le voci, e le strida di queste pene si facctan sentire per ogni parte, e giungano ancor fino al cielo, dove colui risiede, che egli appella come testimone e giudice di tutte le sue azioni e come intima conoscitore del suo interno. A lui (dice Giobbe) io rivolgo i miei gemiti e le mie lacrime, mentre gli amici, che dovrebbono consolarmi, le parole gettano in gran copia a solo fino di molestarmi e trafiggermi.

16,22-23:E foss'egli pure il giudizio ec. Al tribunale di Dio in mi appello, e bramerei, che, come nei giudizi umani costumasi, la sentenza di lui pronunziata fosse a sentita di tutti gli uomini, affinchè nissun dubbio restasse di mia innocenza. Ma presto sia risoluta la causa mia, perocchè poco ancor mi resta da vivere, ed è imminente il mio passaggio da questa vita, a cui più non ritornerà.