Scrutatio

Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

Giobbe 19


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Giobbe accusa i suoi amici di crudeltà; dice, che è flagellato da Dio senza merito, non pelle sue scelleraggini, ma per altre giuste cagioni, mostrando l'acerbità di sue afflizioni, e come è abbandonato dagli amici, onde si consola colla futura risurrezione.

1Ma Giobbe rispose, e disse:2Sino a quando affliggerete voi l'anima mia, e mi struggerete co' vostri ragionamenti?3Ecco che per la decima volta voi mi svergognate, e non avete rossore di opprimermi.4Certamente quando io sia nell'ignoranza, l'ignoranza mia resterà con me.5Ma voi vi alzate contro di me, e mi rimproverate le mie umiliazioni.6Almeno adesso intendete, che Dio non per elletto di suo retto giudicio mi ha afflitto, e mi ha investito co' suoi flagelli.7Se violentato ad alta voce io mi querelo, nissuno ascolta, e se getto strida nissuno mi fa ragione.8Egli mi ha serrata da tutte parti la strada, onde non ho passaggio, ed ha ingombrato di tenebre il mio cammino.9Mi ha spogliato della mia gloria, e mi ha levata di capo la mia corona.10Egli d'ogni parte mi strugge, ed io perisco, ed ogni speranza a me toglie come a pianta che è sradicata.11Il suo furore arde contro di me, ed ei mi ha trattato come nemico.12Son venute tutte insieme le sue milizie, e si sono fatta strada sopra di me, ed hanno assediata la mia casa da ogni lato.13Ha tenuti lungi da me i miei fratelli, e i miei familiari si son ritirati da me quasi fossero estranei.14I miei parenti mi han lasciato in abbandono, e chiunque mi conosceva si è scordato di me.15Quelli che nella casa mia abitavano, e le mie serve, mi han riguardato, come uomo non più veduto, e agli occhi loro comparisco come straniero.16Chiamai il mio servo, e non mi rispose, benché di propria bocca il pregassi.17La mia moglie ha avuto a schifo il mio alito; e a' miei figliuoli lo porgeva preghiere.18Gli stolti ancora mi dispregiavano, e dietro alle mie spalle sparlavan di me.19Quelli che erano una volta miei consiglieri mi hanno in abominio, e l'amico più caro mi ha voltato le spalle.20Le ossa mie, consunte le carni, stanno attaccate alla pelle, e le sole labbra sono rimase attorno a' miei denti.21Abbiate pietà di me, abbiate di me pietà almen voi, amici miei, perocché la man del Signore mi ha percosso.22Perché mi perseguitate voi come fa Dio, e vi satollate delle mie carni.23Chi mi darà, che siano scritte le mie parole? Chi mi darà, che siano impresse in un libro con istile di ferro,24E scolpite rimangano in tavola di piombo, ovver sulla pietra collo scalpello?25Imperocché io so, che vive il mio Redentore, e che nell'ultimo giorno io risorgerò della terra:26E di nuovo sarò rivestito di questa mia pelle, e nella mia carne vedrò il mio Dio,27Cui vedrò io medesimo, e non un altro, e in cui fisserò io stesso i miei occhi: questa è la speranza che nel mio seno io tengo riposta.28Perché adunque dite voi ora: Perseguitiamolo, e attacchiamoci alle sue parole per accusarlo?29Fuggite adunque il lampeggiar della spada; perocché spada vi è ultrice delle iniquità: sappiate che v'ha un giudizio.

Note:

19,3:Per la decima volta.E posto il numero definito pell'indefinito: voi già in tante volte, che mi avete parlato, non altro avete cercato, che di umiliarmi e opprimermi.

19,4:Quando io sia nell'ignoranza, ec. Se io nelle mie risposte, e nel difendere la mia innocenza ho errato, il male sarebbe tutto per me, a voi non ho fatto danno, né vi ho offesi.

19,5:E mi rimproverate le mie umiliazioni. Dalle miserie e dalla umiliazioni mie prendete motivo di accusarmi come peccatore.

19,6:Non per effetto di suo retta giudicio ec. Le miserie e i mali, che mi opprimono non procedono da Dio come Giudice e punitore delle colpe, le mie pene non sono effetto di sua giustizia vendicatrice, ne argomento di mia iniquità; ma elle procedono da più occulto ordine di providenza, la quale affligge i giusti per maggior loro bene.

19,9:Mi ha spogliata della mia gloria, ec. La gloria e la corona, onde dice di essere stato spogliata da Dio significano tutte quelle cose, per le quali egli era onorato e distinto, come le ricchezze, le dignità, la figliuolanza, ec.

19,10:Come a pianta che è sradicata. Una pianta sbarbicata dal suolo non può più rinverdire e rivivere; cosi Dio mi ha tolto ogni speranza di ricuperare la pristina felicità.

19,12:E si sono fatta strada sopra di me. Mi hanno prostrato e calpestato come si calpesta una pubblica strada.

19,15:Quelli che nella casa mia abitavano. Quelli che abitavano sotto lo stesso tetto con me: lo che intendesi comunemente de' servi. Ma la voce Ebreo tradotta con quella di inquilini nella nostra volgata, in altri luoghi tradotta colla voce proseliti, onde alcuni Interpreti sono di parere, che si parli qui di uomini Gentili convertiti da Giobbe alla vera religione, e abitanti con lui.

19,17:E a' miei figliuoli io porgevo preghiere. I LXX lessero: A' figliuoli delle mie concubine mi raccomandai con dolci parole. Le concubine, (come si è detto più volte) erano mogli legittime, ma di secondo ordine: i figliuoli di queste si educavano separatamente da' figliuoli delle legittime consorti, ed essi non aveano parte nella eredità del padre. Questi erano stati lasciati in vita non per consolazione, ma per maggior tormento di Giobbe, verso del quale si diportavano da cattivi e ingrati figliuoli. Ma stando alla nostra volgata per questi figliuoli possiamo intendere i nipoti di Giobbe, i figliuoli degli estinti suoi figli.

19,20:Le ossa mia, ec.A' dolori, che gli venivan di fuori dall'abbandonamento universale, e dalla crudeltà degli uomini unisce i dolori estremi, ch'ei soffriva nel proprio corpo.
E le sole labbra sono rimase ec. Osservano alcuni Interpreti, che il demonio avendo percosso Giobbe in tutte le parti del corpo, gli lasciò liberi gl'istrumenti della favella come un'occasione di peccare, e di offendere Dio con parole di bestemmia, che era quello che unicamente cercava lo stesso demonio. vedi cap. II. 5.

19,11:Abbiate pietà di me, ec. Tal'è (dice qui S. Gregorio) lo spirito de' giusti, che quando si veggono maltrattati ingiustamente dai loro avversari, eleggono piuttosto di usar preghiere, che di adirarsi.
Perocchè la man del Signore mi ha percosso. È da notarsi il motivo, che egli adduce per muovere a compassione gli amici. La mano di Dio, quella mano gravissima e pesantissima, la mano di Dio mi ha percosso: or egli non mi percuoie perchè gli altri pur mi percuotano: imperocchè a gran peccato egli ascrive non solo il percuotere l'uomo, che da lui fu percosso, ma anche il non averne compassione, il negargli le consolazioni, che un uomo infelice ha diritto di aspettarsi dagli altri uomini.Vedi Ps. 68. 27.

19,22:E vi satollate delle mie carni? Voi mi perseguitate perché Dio mi perseguita; Dio mi perseguita per amore e per mio bene; voi mi perseguitate con malizia, e per crudeltà, e coi vostri insulti, coi vostri oltraggi quasi con rabbioso canino dente mi divorate.

19,23-24:Chi mi darà, che sieno scritte le mio parole? ec. Le parole, che Giobbe desidera registrare ad eterna memoria sono quelle, nelle quali egli spiega in appresso la sua viva fede nel liberatore e Salvatore degli uomini, la speranza della futura risurrezione, e della venuta dello stesso liberatore a rimunerar la pazienza, e i travagli de' giusti.
Ovver sulla pietra collo scalpello? Ovvero col bulino. Sono notate qui le più antiche maniere di scrivere. Si scriveva con istile di ferro sopra tavolette di legno coperte di cera, o si incidevano le scritture nel piombo, o sulla pietra. L'inchiostro,le penne, la carta e la cartapecora vennero molto tempo dopo.

19,25:So, che vive il mio Redentore, ec. Per comune sentenza de' Padri e degli Interpreti questo Redentore egli è il figliuolo di Dio, il Verbo di Dio fatto carne, il quale fu in ogni tempo l'unico oggetto della speranza, e dell'amore de' giusti. La sua fede in questo Redentore esprime Giobbe con quella parola io so, colla qual parola e indicata un' indubitata certissima scienza. Vedi Gen. LXVIII. 19. Rom. VI. 9. VIII. 28. ec. Ma di più la voce Redentore nel testo originale propriamente significa colui, il quale riscatta o una cosa, o una persona dalle altrui mani; la riscatta, dico, per titolo di consanguinità: quindi il nome di Redentore degli uomini propriamente conviene al figliuolo di Dio, il quale divenuto nostro fratello acquistò diritto di redimerci col sangue suo, il quale perché era nostro sangue fu insieme il titolo, e il premo del nostro riscatto. Vedi Levit. XXX. 25., Ruth, III. 13. Questo Redentore io so, ch'ei vive (dice Giobbe), vale a dire, vive di una vita immortale dopo la morte sofferta per la mia redenzione. Cosi S. Girolamo ep. 55. ad Pammach., e S. Gregorio lib. XIV. 16. Dunque anche io a imitazione di lui risorgere nell'ultimo giorno a vita immortale e beata. Dalla risurrezione di Cristo argomenta la futura nostra risurrezione anche Paolo. 1. Cor. XV. 12. 20. 21. Rom. VI. 5
Risorgerò dalla terra. Da quella terra, da cui la creatrice mano mi trasse, da quella terra, nella quale dee risolversi la mia carne, da quella terra mi trarre di bel nuovo la mano del mio Redentore.

19,26:E di nuovo sarò rivestito di questa mia pelle. Evidentemente e qui stabilita la dottrina della Chiesa, secondo la quale il corpo risuscitato sarà quello stesso, che ciascuno di noi ebbe nella vita presente; imperocchè se diverso fosse il corpo che risorgesse, vano sarebbe il nome di risurrezione. Vedi. I. Cor. XV. 53. 54.
E nella mia carne vedrò il mio Dio. lo stesso in questa mia carne, (nella mia carne straziata adesso da' dolori, e rosa da' vermi, ma risuscitata in quel dì, e rinnovata) vedrò il mio Dio, il mio Giudice. A gran ragione S. Girolamo. ep. ad Pammach., lasciò scritto che nissuno dopo Cristo si chiaramente parlo della risurrezione come Giobbe prima di Cristo. Egli non solo sperò la risurrezione, ma la comprese, e la vide. Ma secondo un' altra sposizione indicata da S. Agostino e da altri, queste parole riferirsi possono al mistero del Verbo fatto Uomo. Ecco le parole di s. Agostino: Giobbe profeta insigne disse: vedrò il mio Dio nella mia carne; la qual com egli profetando annunziò riguardo a quel tempo, nel quale il Verbo di Dio si rivestì di nostra carne.

19,27:Cui vedrò io medesimo, ec. Non si contenta di aver detto una volta, ch'ei vedrà il suo Dio; questa sorte è si grande, e riempie, e mette in movimento tutti gli affetti di Giobbe in tal guisa, che ei non si sazia di ridirla in più modi: io lo vedrò, lo vedrò co' miei propri occhi, lo vedrò io da per me, ne avrò bisogno, che un altro il vegga per me, e di lui mi rechi novella. Egli è evidente, che Giobbe si promette di vedere in quel giorno il suo Salvatore cinto di gloria e di maestà, la vista del quale d'incredibil consolazione e piacere ricolmerà tutti i giusti.
Questa è la speranza, ec. Ecco la mia speranza, speranza non incerta o fallace, speranza, che non potrà essermi tolta, perchè io nel mio seno gelosamente la serbo.

19,28:Perché adunque dite voi ec. Tale essendo la mia fede e la mia speranza, per qual motivo vi studiate di affliggermi calunniando le mie parole, e cercando in esse pretesti per accusarmi? Vedi Grisostomo in Cat.

19,29:Fuggite adunque il lampeggiar della spada; ec. Temete lo sdegno di Dio, che punisce i calunniatori, riparatevi colla penitenza dalla spada vendicatrice.
Sappiate che vi ha un giudizio.Havvi un giudizio, a cui tutti dovran comparire gli uomini, havvi un giudice, il quale prenderà un dì in mano la causa dell'innocente afflitto e oppresso. Con lui avrete da fare se continuerete a vessarmi come ora fate.