Scrutatio

Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Lettera ai Romani 1


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Paolo commenta il suo ministero Evangelico e per lo zelo grande di spargere dappertutto il Vangelo desidera di vedere i Romani. Dimostra, che i Gentili, i quali conosciuto Dio per mezzo delle creature, aveano rigettato il culto del medesimo, adorando le immagini di cose create, erano stati giustamente abbandonati da Dio, e in pena di tale ingratitudine eran caduti nelle orrende scelleratezze, che son qua noverate.

1Paolo, servo di Gesù Cristo, chiamato Apostolo, segregato pel Vangelo di Dio,2Il qual (Vangelo) aveva egli anticipatamente promesso per mezzo de' suoi profeti nelle sante scritture,3Risguardante il Figliuol suo (fatto a lui del seme di Davidde secondo la carne,4Predestinato Figliuolo di Dio per (propria) virtù secondo lo spirito di santificazione per la risurrezione da morte) Gesù Cristo Signor nostro:5Per cui ricevuto abbiamo la grazia e l'Apostolato presso tutte le genti affinchè alla fede nel nome di lui ubbidiscano,6Tra le quali siete anche voi chiamati di Gesù Cristo:7A tutti que' che sono in Roma, diletti di Dio, chiamati santi: grazia a voi, e pace da Dio padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.8E primieramente grazie rendo al mio Dio per Gesù Cristo a riguardo di tutti voi: perché per la vostra fede vien celebrata pel mondo tutto.9Imperocché è a me testimone Dio cui in servo col mio spirito in evangelizzando il suo figliuolo, come di continuo fo memoria di voi10Sempre nelle mie orazioni, chiedendo, che, se mai finalmente una volta mi sia concesso nella volontà di Dio un felice viaggio a voi io ne venga.11Conciossiaché bramo di vedervi, affin di comunicare a voi qualche parte di grazia spirituale per vostro conforto:12Viene a dire, per consolarmi insieme con voi per la scambievole fede e vostra, e mia.13Or io non voglio, che siavi ignoto, o fratelli, come feci spesso risoluzione di venir da voi per far qualche frutto anche tra voi, come tra le altre nazioni, ma sono stato fino a quest'ora impedito.14Sono debitore ai Greci, e ai Barbari, ai saggi, e agli stolti:15Cosi (quanto a me) sono pronto ad annunciare il Vangelo anche a voi che siete in Roma.16Imperocché io non mi vergogno del Vangelo. Conciossiachè egli è virtù di Dio per dar salute ad ogni credente, prima al Giudeo, e poi al Greco.17Imperocché la giustizia di Dio per esso si manifesta di fede in fede: conforme sta scritto: il giusto vive di fede.18Imperocché si manifesta l'ira di Dio dal cielo contro ogni empietà, e in giustizia degli uomini, come quegli, i quali la verità di Dio ritengono nell'ingiustizia:19Conciossiachè quello, che di Dio può conoscersi, è in essi manifesto. Dappoiché Dio lo ha ad essi manifestato.20Imperocché le invisibili cose di lui, dopo creato il mondo per le cose fatte comprendendosi, si veggono: anche l'eterna potenza, e il divino essere di lui, onde siano inescusabili.21Perché avendo conosciuto Dio, noi glorificarono come Dio né a lui grazie rendettero: ma infatuirono ne' loro pensamenti, e si ottenebrò lo stolto lor cuore:22Imperocché dicendo di esser saggi, diventarono stolti.23E cangiarono la gloria dell'incorruttibile Dio per la figura di un simulacro di uomo corruttibile, e di uccelli, e di quadrupedi, e di serpenti.24Per la qual cosa abbandonagli Iddio ai desiderj de' loro cuore, alla immondezza: talmente che disonorassero in se stessi i corpi loro:25Eglino, che cambiarono la verità di Dio per la menzogna: e rendettero onore, e servirono alla creatura piuttosto, che al Creatore, il quale è bene detto ne' secoli. Così sia.26Per questo gli diede Dio in balìa di ignominiose passioni. Imperocché le stesse loro donne l'ordine posto dalla natura cambiarono in disordine contrario alla natura.27E gli uomini similmente, lasciata la natural unione della donna, ne lor desiderj arsero scambievolmente, facendo cose obbrobriose l'un verso l'altro, e riportando in se stessi la condegna mercede del proprio errore.28E siccome non si curarono di riconoscer Dio: abbandonogli Iddio a un reprobo senso, onde facciano cosa non convenevoli,29Ricolmi di ogni iniquità, di malizia, di fornicazione, di avarizia, di malvagità, pieni di invidia, di omicidio, di discordia, di frode, di malignità, susurroni,30Detrattori, nemici di Dio, oltraggiatori, superbi, millantatori, inventori di male cose, disubbidienti ai genitori,31Stolti, disordinati, senza amore, senza legge, senza compassione.32I quali conosciuta avendo la gustizia di Dio, non intesero, come chi fa tali cose, è degno di morte: né solamente chi le fa, ma anche chi approva coloro, che le fanno.

Note:

1,1:Paolo. Intorno a questo nome vedi Atti XIII. 9.
Servo di Gesù Cristo. Con questa espressione vuole l'Apostolo dichiarare, come egli è tutto di Gesù Cristo; per lui evangelizza,per lui si affatica nella salute de' prossimi; per lui vive, consagrato a lui per una servitù di amore, e di dilezione, della ale si gloriava sì fattamente, che spesso si fa onore di questo titolo di servo di Gesù Cristo.
Chiamato Apostolo. Può anche tradursi per vocazione Apostolo: vale a dire, condotto al ministero Apostolico per una particolare chiamata di Dio (vedi Atti XIII.), non dalla ambizione, o dal desiderio di gloria umana. E alludesi ai famosi principi delle tribù, i quali con simil nome di chiamati si rammemorano, Num. I. 16.,secondo il testo originale. Or questi eran figure degli Apostoli di Gesù Cristo.
Segregato pel Vangelo.Queste parole hanno manifesta relazione a quelle degli Atti, cap. XIII. 2., dove lo Spirito santo ordinò, che si segregassero Saulo, e Barnaba, per mandargli a predicare alle genti il Vangelo.

1,2:Il qual (Vangelo) aveva egli ec. Quasi volesse dire: questo Vangelo, alla predicazione di cui son io stato chiamato, non è una novità, come forse taluno si pensa. Egli era stato promesso, e profetizzato da Dio in tutte le Scritture, e da tutti i profeti de' secoli precedenti, anzi tutte le Scritture, e i profeti, e la legge non ad altro furono destinati, che a condurre gli uomini a Cristo, e al Vangelo: imperocchè, come dice lo stesso Apostolo, fine della legge è Cristo.

1,3:Risguardante il Figliuol suo. Quello che segue dopo queste parole fino alle ultime del versetto 4., le ho chiuse in parentesi per chiarezza maggiore. In queste egli dice, che il Vangelo ha per materia, e argomento il Figliuolo di Dio; il quale (dice s. Ilario de Trin.) è vero, e proprio Figliuolo di origine, non di adozione, in realtà, e non di nome, per nascita, non per creazione.
Fatto a lui del seme di Davidde secondo la carne. Il qual Figliuolo fu nella generazione temporale fatto a lui (cioè a Dio), o sia per gloria di lui, del seme di David secondo la carne, cioè a dire secondo l'umana natura. Ha voluto l'Apostolo piuttosto dire fatto, che nato, perchè propriamente nato si dice quello, che secondo l'ordine naturale vien prodotto, come il frutto dall'albero; fatto dicesi quello, che dalla volontà di un libero agente producesi non secondo l'ordine naturale. Cristo procede dalla Vergine parte secondo l'ordine naturale, perchè fu conceputo, e prese carne nel seno di lei, e fu portato nove mesi nel virginale suo chiostro; ma essendo stato conceputo senza opera di uomo, per questo riguardo non dicesi nato, ma fatto. Così Eva nelle Scritture dicesi fatta di Adamo, non da lui nata; Isacco poi nato di Abramo, e non fatto di Abramo. Vuolsi ancora osservare, come l'Apostolo per rilevare la dignità reale di Cristo volle dirlo fatto del seme di David piuttosto, che del seme di Abramo. Finalmente riflettasi, come in queste poche parole: Il Figliuol suo fatto a lui del seme di David secondo la carne, dà a vedere l'Apostolo, come questo Figliuolo è distinto dal Padre, e ha due nature; di vina l'una, umana l'altra, ed è una sola persona, e un sol figliuolo.

1,4:Predestinato Figliuolo di Dio per propria virtù. Celebra qui nuovamente la grandezza di Cristo particolarmente secondo la carne; e per intelligenza di queste parole è da osservarsi, che essendo in Cristo due nature, la divina, e l'umana, di lui perciò possono dirsi alcune cose secondo la divina, altre secondo l'umana natura: Io, e il Padre siamo una sol cosa, conviene al Verbo incarnato secondo la natura divina; Cristo è morto, conviene allo stesso Verbo secondo l'esser di uomo. Nella stessa guisa si dice adesso, che lo stesso Cristo in quanto uomo fu predestinato dal Padre ad essere Figliuolo di Dio; cioè a dire, che la natura umana fu predestinata ad essere unita alla natura divina del Figliuol di Dio in una stessa persona, come si direbbe, che un uomo fu predestinato ad essere unito a Dio per la grazia, e per l'unione di adozione, la qual unione è effetto del Battesimo. Vedi Aug. Tr. 105. in Joan. in fin. E affinchè nissuno credesse, che Figliuolo di Dio fosse Cristo solamente per adozione, aggiugne quelle parole per virtù, ovvero per propria virtù, volendo dire, che egli fu predestinato ad essere tal Figliuolo, che avesse egual virtù, e potenza, anzi la stessa virtù, e potenza del Padre. A questo sentimento di Paolo hanno relazione quelle parole dell'Apocalisse: E degno l'agnello, che è stato ucciso, di ricevere la potenza, e la divinità, e la gloria, ec. Apocal. v. 12.
E in questo discorso dell'Apostolo si osservi, come egli spiegando il mistero della Incarnaziona scende dal Figliuolo di Dio alla carne, e da questa per mezzo della predestinazione sale nuovamente al Figliuolo di Dio, affinchè si venisse a intendere, come nè la gloria della divinità tolse di mezzo l'infermità della carne, nè questa diminuì in Cristo la maesta dell'esser divino. In vece di predestinato credono alcuni, che il Greco possa tradursi, dichiarato, dimostrato: ma in primo luogo i Padri Latini leggono tutti come la nostra Volgata, e anche alcuni de' Padri Greci; in secondo luogo non abbiamo esempi per provare, che in questo secondo significato sia usata la voce Greca nelle Scritture. Contuttociò il Grisostomo, e altri interpreti Greci la hanno presa in questo secondo senso, ed ella vorrà dire, che Cristo è stato dichiarato, dimostrato Figliuolo di Dio per la virtù, o sia potestà de' miracoli fatti in prova di sua divinità.
Secondo lo spirito di santificazione, per la risurrezione da morte. Che Gesù Cristo sia Figliuolo naturale di Dio apparisce, primo dallo Spirito santificante diffuso da lui ne'cuori de' fedeli; secondo dalla risurrezione da morte, la qual risurrezione è portata frequentemente nelle Scritture, come evidentissima prova della divinità di Gesù Cristo; e può anche ciò intendersi della risurrezione degli uomini, i quali udiranno la voce del Figliuolo di Dio nell'ultimo giorno, e al comando di lui usciranno da' sepolcri; e finalmente può parimente spiegarsi della risurrezione spirituale dalla morte del peccato, come insegna s. Tommaso.

1,5:Per cui ricevuto abbiamo la grazia, e l'Apostolato ec. Col nome di grazia intendesi il benefizio divino della rigenerazione, benefizio comune a tutti i fedeli; l'Apostolato poi è un dono speciale conferito da Cristo ad alcuni ministri eletti, ordinato però al ben comune, e generale, cioè a farsi, che tutte le genti (non i soli Ebrei, o alcune determinate nazioni) obbediscano alla fede, vale a dire alla dottrina della fede, Nel nome di lui. Ubbidiscano alla fede per autorità dello stesso Cristo. Imperocchè nella stessa guisa che Cristo venne nel nome del Padre, cioè per autorità del Padre, così gli Apostoli sono mandati da Cristo, rivestiti della autorità compartita ad essi dal Salvatore, come a suoi ambasciadori, e ministri.

1,6:Tra le quali siete anche voi chiamati di Gesù Cristo. Tra queste nazioni avete luogo anche voi, o Romani, i quali se vi gloriate del fastoso titolo di signori del mondo, molto più dovete gloriarvi del nome di servi, discepoli, e figliuoli di Gesù Cristo, a tanto onore chiamati nello stesso modo, che gli altri popoli, per gratuita misericordia divina. La Volgata non ha potuto con la voce chiamati esprimere la forza della voce Greca, che a quella corrisponde, e nello stesso caso siamo noi, ma con essa dinota l'Apostolo il dono della elezione di Dio, e l'invito divino, per cui egli i chiamati riceve, e tiene per suoi, un nuovo dominio acquistando sopra di essi per tal chiamata. Veggasi Isaia, XLVIII. 12., e Marc. XIII. 27., dove la stessa voce si adopera, e ha la stessa enfasi, come anche nel versetto seguente, e in altri luoghi di queste Epistole.

1,7:Diletti di Dio. Ecco la prima origine della grazia, la dilezione di Dio; imperocchè l'amore di Dio verso la creatura da alcun bene che sia in essa non nasce (come nell'amore degli uomini addiviene), ma questa stessa dilezione di tutto il bene della creatura è sorgente; dappoichè in Dio voler bene è lo stesso, che far del bene, la volontà di Dio essendo delle cose tutte cagione.
Chiamati Santi. Fatti per mezzo della interior vocazione santi, santificati per mezzo della grazia, e dei sa gramenti di grazia.
Grazia a voi, e pace. La grazia è il primo, e massimo di tutti i doni di Dio, e col nome di pace si intende nelle Scritture il complesso di tutti i beni, e particolarmente de' beni spirituali.
Da Dio Padre nostro. Da lui, che è nostro Dio, ed è divenuto nostro Padre, mentre ci ha adottati in figliuoli per Gesù Cristo.
E dal Signore Gesù Cristo. Così sempre più dimostra, che, e il Padre, e il Figliuolo, hanno eguale la potenza, e la divinità.

1,8:Al mio Dio per Gesù Cristo ec. Dice mio Dio per gratitudine della grazia, colla quale (come disse nel versetto primo) fu segregato pel Vangelo dello stesso Dio; e aggiungendo per Gesù Cristo, il mediatore accenna tra Dio, e gli uomini, per le mani di cui presentiamo a Dio le orazioni nostre, e i nostri ringraziamenti, affinchè con lo stesso ordine, col quale a noi vengono le grazie, e i doni celesti, con quel medesimo ritornino a Dio le dimostrazioni della nostra gratitudine; cioè per mezzo di Gesù Cristo, che è il principio e la sorgente di ogni bene per noi, e per cui sono grate a Dio le offerte, che noi gli facciamo. Su tal fondamento la Chiesa ogni sua preghiera a Dio indirizza per Gesù Cristo. Rende a Dio grazie per la eccellenza de' Romani nella fede, riguardando in questo dono di Dio non solo il proprio lor bene, ma anche il vantaggio, che agli altri popoli deri var dovea dall'esempio di una città, che era capo di sì grande imperio.

1,9:Cui io servo col mio spirito. Servire in questo luogo propriamente è rendere a Dio il culto di religione, che gli è dovuto. Or l'Apostolo dice, che il culto, che egli a Dio rende, non è un culto carnale, qual era quello delle cerimonie, e de' sagrifizi legali, ma spirituale, e di amore, nel qual amore principalmente consiste (come dice s. Agostino) il culto cristiano.

1,10:Chiedendo che se mai ec. Tutte queste parole unite con quelle del versetto precedente, che legano con esse, dipingono la viva e ardente carità dell'Apostolo verso la Chiesa di Roma.

1,11-12:Bramo di vedervi, affin ec. Il motivo del desiderio, che ho di vedervi, si è per farvi alcuna parte delle grazie, e de' lumi celesti comunicati a me da Dio per vantaggio de' cristiani del gentilesimo, de' quali io sono Apostolo.
Per vostro conforto. Non vuol dire apertamente, che i Romani avesser bisogno delle sue istruzioni, come de boli ancora nella fede; ma lo accenna appena con molto riguardo, e addolcisce ancor più queste parole sì misurate con dire nel versetto seguente, che il fine, ch'ei si prefigge, non è solo di recare ad essi conforto, e conso lazione, ma di riceverne ancora da essi,trattando insie me delle cose appartenenti a quella fede e dottrina, che avevano comune con lui. Modestia degna della carità dell'Apostolo, il quale dovendo di poi riprendere i Romani, si cattiva così la loro benevolenza, e li dispone ad ascoltare con maggior frutto i suoi avvertimenti. Nota Teodoreto, che Paolo dice: affin di comunicare a voi qualche parte di grazia spirituale, perchè quanto alla dottrina Evangelica la avevano ricevuta i Romani dal grande Apostolo Pietro.

1,13:Ma sono stato sino a quest'ora impedito. E da chi era egli stato impedito, se non da Dio, da cui sono tutti diretti i passi de' suoi predicatori?

1,14:Sono debitore ai Greci, e ai Barbari. Col nome di Greci comprende le nazioni più colte, tra le quali avevano il primo luogo i Romani, e i Greci; i Barbari erano le nazioni più rozze, e feroci, le quali non conoscevano le arti, nè le scienze de' Greci. Non fa egli parola de' Giudei, perchè la sua missione era principalmente pei Gentili.
Ai saggi, e agli stolti. Queste parole sono una spiegazione delle precedenti, perchè i Greci si arrogavano il nome di sapienti, e le nazioni barbare disprezzavano come ignoranti, e prive di buon senso.

1,16:Non mi vergogno del Vangelo. Checchè si giudichi il mondo della dottrina, che io predico, e quantunque ella sembri stoltezza a molti de' Gentili, io non mi sono vergognato di predicarla anche nelle città più illustri, e colte, come Atene,Antiochia, Corinto, e non mi vergognerò di predicarla quando che sia nella stessa sede dell'imperio, e delle arti, e delle scienze.
Egli è la virtù di Dio per dar salute a ogni credente. Elogio magnifico del Vangelo. Egli è la virtù di Dio, la potenza, o l'istrumento della potenza di Dio, per cui si ottiene la remissione de' peccati, e la grazia santificante, e per esso è condotto l'uomo alla salute, e alla vita eterna per mezzo della fede.
Prima al Giudeo, e poi al Greco. Quanto al fine, cioè quanto al conseguir la salute mediante il Vangelo, non vi ha distinzione tra 'l Giudeo, e il Gentile: imperocchè a tutti è offerto il Vangelo; quanto all'ordine sono primi invitati al Vangelo i Giudei, perchè a questi fu promesso il Messia.

1,17:La giustizia di Dio per esso si manifesta di fede in fede. La giustizia di Dio, non la giustizia Giudaica, non la giustizia apparente dei sapienti del gentilesimo, ma quella giustizia, che viene da Dio, quella, di cui egli riveste l'uomo, allorchè giustifica l'empio, quella, per cui siamo fatti giusti negli occhi di lui, si manifesta pel Vangelo, Aug. de sp., et. lit. cap. 9. Conciossiachè per la fede del Vangelo furono, e sono giustificati gli uomini in qualunque stagione, e come dice l'Apostolo, di fede in fede, passando cioè dalla fede del vecchio Testamento alla fede del nuovo; perchè, siccome nel vecchio Testamento ricevevano gli uomini la giustizia per la fede in Cristo venturo; così nel nuovo per la fede in Cristo venuto sono giustificati.
Il giusto vive di fede. Che della fede in Cristo si parli in queste parole di Habacuc, evidentemente apparisce da quel che precede, dove una chiarissima profezia trovasi riguardante il medesimo Cristo: Colui, che finora è veduto da lungi, verrà egli pur alla fine, e non mentirà,; se porrà indugio, e tu aspettalo; perocchè certamente egli verrà, e non tarderà. Or chi è incredulo, non avrà in sè un'anima retta; il giusto poi della fede sua viverà.Il giusto adunque vive di fede, vale a dire ha la vita della grazia mediante la fede; egli, che era morto per lo peccato, ricevuta la giustizia della fede, vive a Dio. Non solamente però la fede giustifica l'uomo, ma la giustizia di lui nutrisce, e promuove, e nelle afflizioni lo sostiene; onde di queste stesse parole del Profeta si valse l'Apostolo a confortar la pazienza degli Ebrei (Heb. x.), dicendo, che il giusto vive nel bene, sta fermo nel bene mediante la fede aspettante i beni futuri. Viene adunque dalla fede sì la prima giustizia, per cui l'uomo di nemico di Dio diventa amico, e figliuolo, e sì ancora la seconda giustizia, che è l'augumento, e progresso della giustizia; dalla fede però non informe, ma formata, e viva, e operante per la carità.

1,18:Imperocchè si manifesta l'ira di Dio dal cielo' ec. Fa vedere, che (conforme avea detto), la virtù della grazia Evangelica è a tutti gli uomini principio di salute, ed è necessaria primieramente a' Gentili, perchè la umana sapienza e filosofia non avea potuto condurgli a salute; e di poi mostrerà, come ella è necessaria in secondo luogo anche al Giudeo, cui nè la legge, nè le cerimonie della legge erano state sufficienti per conseguir la giustizia, e la salute. Cominciando adunque da' Gentili, dice, che pel Vangelo si rivela dal cielo (di dove Dio le cose di quaggiu governa) la vendetta, che Dio sta per fare della empieta, vale a dire de' peccati commessi contro Dio, e dell'ingiustizia, che vuol dire de' peccati contro il prossimo; e con quella parola dal cielo due cose dimostra l'Apostolo; primo contro gli Epicurei la providenza, con la quale Dio le cose umane tutte regge, e dispone; secondo l'infallibilità delle minacce fatte nel Vangelo agli empi e agli ingiusti, come quelle, che dal cielo e da Dio stesso vengono, e sono scritte nel Vangelo per divina rivelazione dettato.
La verità di Dio ritengono ec. La cognizione del vero Dio conduce a ben fare; ma ella è come legata, e renduta schiava da' pravi affetti, onde innalzarsi non possa alle opere di pietà. Potea dire: ritengono la verità di Dio nell'errore, il che era purvero, perchè molte opinioni fal sissime intorno alla natura divina ebber corso tra i Pagani; ma ha voluto dire nell'ingiustizia, per significare la somma ingiuria fatta a Dio da costoro, i quali avendo conosciuto, che uno è il vero Dio creatore, e conserva tore di tutte le cose, lungi dal rendere a lui il culto dovuto, onorarono in vece di lui le creature, e gli stessi demoni.

1,19:Quello che di Dio può conoscersi, è in essi manifesto; ec. Nell'interno lume donato loro da Dio chiara mente conoscono quello, che della divinità può sapersi quaggiù dall'uomo. L'intima persuasione di un Dio è fin da principio la dote dell'anima, dice Tertulliano contr. Marcion.

1,20:Imperocchè le invisibili cose di lui, ec. L'esser di Dio, non quale è in se stesso, dall'uomo si conosce in questa vita; e per questo non dice lo invisibile, ma le invisibili cose di lui: imperocchè da quegli attributi, i quali sparsi nelle creature si osservano fatte da lui, veniamo a conoscere, e contemplare l'esser divino, ora come bontà, or come sapienza, o potenza, o giustizia, ec.
Per le cose fatte comprendendosi, si veggono. Spiega con mirabile brevità ed enfasi il magistero di Dio per farsi conoscere agli uomini. Egli è invisibile, e rimoto da' sensi, ma si è renduto visibile, e quasi sensibile all'uomo nelle sue creature.
Onde siano inescusabili. S. Cipriano de idol. vanit. Il massimo de' delitti si è di non voler conoscere colui, che tu non puoi ignorare.

1,21:Nol glorificarono come Dio, ec. Conosciuto Dio non lo adorarono, nè lo servirono, nè grati furono a lui dei beni ricevuti; anzi per una orribil depravazione di cuore attribuirono questi beni, de' quali godevano, o al caso, o alla fortuna, o alle stelle, o finalmente a se stessi, e alla propria prudenza e virtù. Per questo aggiugne infatuirono nei loro pensamenti: in luogo della vera sapienza, alla quale facevano professione di aspirare, die dero in una orribile stupidità, e dopo tanti studii, e ricerche si condussero ad abbracciare, e consagrare l'errore.

1,22:Dicendo di esser saggi, ec. Ecco il principio, e l'origine di questa deplorabile cecità. Pieni di se stessi, e affidati interamente a se stessi si credettero pervenuti a quella sapienza, che da Dio solo può concedersi all'uomo; e pena di questa superbia si fu la ignoranza, e stoltezza estrema, nella quale precipitarono. Vuolsi osservare, che quantunque l'Apostolo prenda di mira in questo discorso tutto il corpo de' Gentili, impugna però principalmente le molte, e varie sette de' filosofi, i quali nelle nazioni più celebri, come Greci, Romani, Etruschi, Egiziani, ec. erano quasi i depositari della scienza delle cose divine, e i maestri delle regole del costume.

1,23:E cangiarono la gloria dell'incorruttibile Dio ec. Trasportarono la gloria di Dio, l'onore dovuto a Dio, l'incomunicabil nome di Dio non solo a uomini corruttibili, ma fino al legno, alla pietra, ai metalli: rendetter culto alle statue di uomini non solo mortali, ma morti, come Giove, Mercurio, ec., e alle immagini di uccelli, e di altri animali; imperocchè non vi fu quasi creatura al mondo, la quale da qualche nazione non fosse adorata.

1,24:Per la qual cosa abbandonogli Iddio ec. Ecco la pena corrispondente a sì enorme delitto: siccome l'uomo non ebbe orrore di attribuire alle stesse bestie l'esser di Dio; così Dio permise, che la parte divina dell'uomo divenisse soggetta a quello che l'uomo ha di simile alle bestie, cioè all'appetito sensuale. Non dicesi, che Dio abbandoni gli uomini all'impurità, perchè egli inclini direttamente al male l'affetto dell'uomo, la qual cosa non fa Dio, perchè tutto egli ordina per la sua gloria, alla quale si oppone il peccato; ma dicesi che abbandona l'uomo al peccato, in quanto sottrae con giustizia agli empi la grazia, per mezzo di cui erano rattenuti dal peccare. Lasciai (dice Dio nel salm. LXXX.) che andasser dietro ai desiderii del loro cuore; cammineranno secondo le loro invenzioni. Quindi accade sovente, che il primo peccato è cagion del secondo, e il secondo è pena del primo; così s. Tommaso dopo s. Agost. cont. Jut. V. 3. de grat., et. lib. arb. cap. 21.

1,25:Cambiarono la verità di Dio per la menzogna. Eglino, che in cambio del vero Dio adorarono gli idoli, che altro non sono, che menzogna, e col nome di menzogna, e di vanità sono nominati nelle Scritture.
Il quale è benedetto ne' secoli. Questa maniera di adorazione, che è molto frequente nelle Scritture, è usata qui dall'Apostolo, come per rimettere, Dio in possesso dell'onore, che egli si merita da tutti gli uomini, il qual onore era a lui tolto dagli empi.

1,26:Gli diede Dio in balia di ignominiose passioni. Vale a dire a passioni non nominande; lo che se dee osservarsi tra' cristiani riguardo a qualsisia peccato di impurità, molto più ha luogo in que' terribili disordini, ne'quali permise Dio, che precipitasse tutto il gentilesimo, disordini, i quali l'Apostolo è costretto a rammentare, primo per risvegliare una salutar confusione nei Gentili non convertiti, affinchè riconoscano dalla qualita de' frutti, quanto fosse abbominevole la superstiziosa loro credenza, dalla quale erano o scusati, o ancor approvati tali disordini; secondo affinchè si ricordino i convertiti Gentili, da qual abisso di corruzione gli abbia tratti la divina misericordia, e a lei grazie ne rendano, e una simil misericordia domandino per gli altri. Questa riflessione tocca anche adesso ciascheduno de' cristiani, i quali da questo breve racconto, che fa l'Apostolo della perversità de' costumi dell'idolatria (racconto, nel quale egli dice assai meno di quello che da autori profani, e contemporanei è stato scritto), debbono prenderne argomento di benedire, e lodare il Signore per Gesù Cristo Signor nostro, il quale ci chiamò dalla immondezza alla santificazione, e dal regno delle tenebre, e del peccato, alla luce della verità, e alla purità de' costumi: onde dice altrove l'Apostolo: questo voi già foste, ma siete stati lavati, siete santificati, ec.

1,27:Riportando in se stessi la condegna mercede ec. Nella deformazione della loro natura (degradata, e avvilita sotto la condizione delle bestie, le quali non conoscono tanta infamità) ricevono costoro secondo l'ordine della giustizia divina la pena dovuta all'errore volontario, e funesto, per cui disonorato avendo, quant'era in loro, la natura divina, furono abbandonati fino a disonorare la propria loro natura.

1,28:E siccome non si curarono di riconoscere ec. E siccome, quantunque e pellume naturale, e per le cose create conoscessero Dio, giudicarono meglio dimostrare di non conoscerlo, affine di più liberamente peccare; così una tal perversità di mente punì Dio con permettere, che dessero in reprobo senso, cioè in reprobo, e storto giudizio, talmente che le cose stesse, le quali col solo lume naturale si conoscono illecite, come lecite difendessero, e facessero continuamente.

1,32:I quali conosciuta avendo ec. I quali conosciuto avendo, che Dio è giusto, contuttociò accecati dalla loro malizia credettero, che egli di tali peccati non fosse per far vendetta, nè volesse di eterna morte punire e chi gli fa, e chi con approvarli se ne rende debitore. L'Apostolo conquide con queste ultime parole i filosofi, molti de' quali conoscendo e la vanità dell'idolatria, e la bruttezza de' vizi, o dissimulavano per umano rispetto, o eziandio approvavano le maggiori scelleratezze; come tra gli altri facevano tutti quelli, i quali sostenevano, niuna cosa essere disonesta di sua natura, ma solo per legge umana. E chi riunir volesse le strane dottrine di tutti i filosofi di differenti nazioni intorno alle regole de' costu mi, verrebbe a conoscere, niuna specie di iniquità potersi o commettere, o immaginare, la quale non abbia trovato presso alcuni di essi patrocinio, e difesa.