Scrutatio

Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

Giobbe 6


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Giobbe dimostra com' egli patisce assai più di quello, che abbia meritato, si lamenta di essere abbandonato dagli amici, e riprende con forza anche questi tre, che erano andati a consolarlo, e chiede di essere udito pazientemente.

1Ma Giobbe rispose, e disse:2Volesse Dio, che si pesassero sulla bilancia i peccati, pe' quali ho meritato l'ira e la miserai, ch'io sopporto.3Si vedrebbe questa più pesante, che l'arena del mare: per la qual cosa eziandio le mie parole piene son di dolore:4Perch' io porto in me fisse le frecce del Signore, delle quali il veleno beve il mio spirito, e i terrori mi assediano.5Ragghia forse l'asino salvatico, quando ha dell'erba, o rugge il bue, allorché sta davanti a ben provvista mangiatoia?6O si può egli mangiare una cosa insipida, senza condirla col sale? o può egli alcuno frustare una cosa, la quale gustata reca la morte?7Quelle cose, che io per l'avanti non avrei voluto toccare, sono adesso nelle mie strettezze mio cibo.8Chi mi darà che sia adempiuta la mia richiesta, e che Dio mi conceda quel ch'io aspetto?9E che quegli, che ha principiato, egli stesso in polvere mi riduca; lasci agir la sua mano, e mi finisca?10E questa sia consolazione per me, che egli in affliggermi co' dolori, non mi risparmi, ed io non contradica alle parole del Santo.11Imperocché qual fortezza è la mia per durare? o qual lite sarà il mio, ond'io mi regga colla pazienza?12Non è fermezza di sasso la mia fermezza, né la mia carne è di bronzo.13Mirate com'io da me non posso aitarmi, e i miei più intimi si son ritirati da me.14Chiunque niega compassione all'amico, abbandona il timor del Signore.15I miei fratelli sono andati lungi da me, come torrente che passa rapidamente le valli.16A quei che temono la brinata caderà addosso la neve.17Quando principieranno a dissiparsi, si perderanno, e ai primi calori si struggeranno là dove sono.18Tortuose sono le vie, per le quali camminano, si ridurranno in nulla, e periranno.19Considerate i sentieri di Thema, e le strade di Saba, e aspettate alcun poco.20Sono confusi di mia speranza: sono venuti sin presso a me, e restati coperti di rossore.21In questo punto siete venuti, ed or in reggendo i mali miei v'inorridite.22Vi ho io forse detto: Portate, e donate a me qualche cosa de' vostri tesori?23Ovvero, liberatemi dal poter del nemico, e traetemi dalle mani de' potenti?24Insegnatemi, e io mi tacerò: e dov'io fui forse ignorante, istruitemi.25Per qual motivo intaccate voi le parole di verità, mentre non v'ha tra voi chi possa riprendermi?26I vostri studiati discorsi altro non son che rimproveri, e al vento gittate le parole.27Voi date adosso a un pupillo, e tentate di abbattere il vostro amico.28Pur conducete a fine la vostra impresa: porgete l'orecchio, e vedete se io dica bugia.29Rispondete, vi prego, senza altercazioni; e ragionando secondo giustizia pronunziate sentenza.30E non troverete ingiustizia nella mia lingua, né per mia bocca parlerà la stoltezza.

Note:

6,2-3:Volesse Dio, che si pesassero sulla bilancia i peccati... e la miseria, ec. Risponde al ragionamento di Eliphaz, il quale diceva, che i suoi mali erano la giusta pena de' peccati da lui commessi. Giobbe confessa di essere peccatore, ma pieno di giusta fidanza nella testimonianza della buona coscienza, afferma che secondo la ordinaria legge di sua providenza non essendo solito Iddio di punire colle più gravi pene i mali minori, chiunque ponesse da una parte della bilancia le sue colpe, dall'altra parte le infinite miserie, ond'egli è afflitto da Dio, vedrebbe, che queste preponderano oltre modo; perocehè la loro massa è quasi immensa come le arene del mare; per la qual cosa ognun può conoscere, che i suoi mali non sono la pena imposta dal giusto Dio ai suoi peccati; e per la stessa ragione nissuno dee marmigliarsi di sue querele, colle quali neppur può esprimere l'acerbità e la gravezza degli stessi suoi mali.

6,4:Perch'io porto in me fisse ec. Le frecce scagliate contro di me dall'Onnipotente mi hanno trafitto, e io le porto fisse nelle intime viscere, e il veleno, ond'elle son tinte m'abbrucia e consuma il mio spirito. Alludesi qui all'uso di varie nazioni, le quali tingevano di veleno le frecce, come i Persiani, gli Sciti, e anche fino a' nostri tempi alcuni popoli dell'America.

6,5:Ragghia forse l'asino ec. Non è di genio dell'uomo il dolersi, il gemere, l'alzar le stride, se grave cagione a ciò nol costringe. Così l'asino selvaggio non ragghia e il bue non muggisce, quando l'uno trova dell'erba da pascersi, e l'altro ha piena la sua mangiatoia. Credete voi ch' io fossi per lamentarmi in tal guisa, sola violenza dei dolori non mi strappasse di bocca le voci e le querele?
L'asino salvatico e una specie di animale notissimo nella Giudea e nelle vicine regioni. Vedi Giuseppe. B. L.1. 16.

6,6:O si può egli mangiare una cosa insipida, ec. Ambedue le parti di questo versetto hanno non poca oscurità. Il senso, che sembrami più naturale, egli è questo. Giobbe si duole del poco amore e della indiscrezione de' suoi amici, e dice, che se que' cibi che sono di lor natura insipidi, e perciò ingrati al palato, e poco amici allo stomaco, perché si mangino e facciano pro, fa d'uopo, che sien conditi col sale, molto più convenevol sarebbe, che a rendere a lui tollerabili le sue amarezze, e gli acerbissimi affanni, avesser gli stessi amici adoprato il condimento di benigna consolazione, la quale pur essi gli dinegano. Egli infatti non avea fin qui udito da loro se non rimproveri e accuse.
O può egli alcuno gustare una cosa, ec. Chi è mai di animo tanto fermo, e di cuore si risoluto, che possa senza commozione e senza ribrezzo tracannare una avvelenata bevanda, da cui sa venirgliene sicura la morte? E a me, che sono costretto a bere ogni di l'amarissimo calice preparatomi dal Signore, voi proibir volete di dolermi, e di far parola?

6,7:Quelle cose, che io per l'aventi ec. I sospiri, i gemiti, le querele sono di presente mio cibo, non perché tali cose sien di mio genio, ma perchè sono conformi al misero stato in cui mi ritrovo.

6,9:Lasci agir la sua mano, e mi finisca? Non agisca verso di me come un uomo, che ha il braccio impacciato, o legato, non mi percuota più con misura. Dio infatti avea permesso al Demonio d'incrudelire contro Giobbe, ma non di ucciderlo. Giobbe brama la morte, e a Dio la chiede, come il principio del suo refrigerio nella beata immortalità, non facendo alcun caso delle speranze, che Eliphaz voleva dargli di sorte migliore nella vita presente. Vedi cap. IV. 6. v. 16.

6,10:E questa sia consolazione per me, ec.Chiede non di esser libero da' suoi mali, ma di morire ne' mali stessi; chiede l'accrescimento de' medesimi mali, purché, in essi possa resistere senza colpa, senza offendere il Santo, e purché serbar possa intiera la speranza della perfetta liberazione sua nella morte. Ben lungi (dice egli) che lo voglia contradire e oppormi a Dio, che mi flagellò, io bramo anzi la morte, purché questa fissa mi trovi e immobile in questa mia rassegnazione a' voleri del Santo. Giobbe adunque disteso nel letto de' dolori, per effetto di amore verso il suo Dio, dice colla sposa della Cantica: ho lavati i miei piedi, temo, che alzandomi, demanda a' negozi della vita, non mi avvenga d'imbrattarli di nuovo. Cant. v. 3.

6,11:Qual fortezza è la mia per durare? ec. Eliphaz diceva a Giobbe, che ricorresse all'orazione; ma potrei io (dice Giobbe) colle mie forze portare il peso di tanti mali? La tolleranza di Giobbe (dice il Grisostomo) non era effetto della robustezza del corpo, ma della pietà, e del timore di Dio, e adesso tutta la sua fidanza è riposta non nel sua coraggio, ma nell'orazione.
O qualfine sarà il mio, ec. Che ho io da aspettare quaggiu, onde mi adatti a sopportare con pazienza la vita, e a non bramare la morte?

6,14:Chiunque niega compassione all'amico, ec. Ritorce contro di Eliphaz quelle parole dov'è il tuo timore, ec. cap. IV. 6.

6,15:I miei fratelli ec. Per nome di fratelli s'intendono i parenti prossimi, e quelli del medesimo sangue.
Come torrente che, ec. Un torrente a chi lo mira quando egli è gonfio, sembra, che debba recare dovizioso umore, e fertilità alle valli; ma in brevissimo tempo le lascia asciutte. Così a vedere le dimostrazioni d'affetto dei miei fratelli nel tempo di mia prosperità si sarebbe creduto, che lo troverei sempre nel loro buon cuore ogni sorta di consolazione, e d'aiuto, ma la stagione cambiò, se n' andarono i dì felici, ed ei mi lasciarono in abbandono.

6,16-18:A quei che temono la brinata ec. Tutte queste cose sono dette da Giobbe riguardo agli amici e parenti, i quali lo avevano crudelmente abbandonato. Temono dice egli di accostarsi a me, perché temono di partecipare a' miei mali; ma Dio, che punisce l'inumanità e la durezza verso de' poveri, li farà cadere in mali peggiori: dissimula Dio al presente la loro iniquità, ma verrà il momento, in cui sentiranno l'ardore della divina giustizia, da cui saranno distrutti con tutta la loro felicità. Le loro vie non sono diritte, e storte sono le loro massime, e non è sincero, ne animato dalla carità il loro cuore; per questo avranno cattiva fine.

6,19:Considerate i sentieri di Thema, ec. In questo luogo, come nel versetto precedente, per sentieri e per vie s'intende la maniera di agire e di operare. Or ecco (per quanto a me pare) la sposizione di queste parole: mi abbandonarono disamorati i miei fratelli, quelli della mia patria, gli Husiti. Osservate adesso in qual maniera si diportino verso di me quelli di Thema, e quelli di Saba. Eliphaz era di Thema, e altri amici del paese di Saba, che forse erano venuti a vedere il povero Giobbe non lo aveano trattato meglio degli altri.

6,20:Sono confusi di mia speranza. Restano confusi in udire la fidanza, ch'io mostro d'avere nella mia buona coscienza. Quindi appena arrivati presso di me, invece di consolarmi, si vergognano dei miei sentimenti e de' discorsi, che hanno udito da me.

6,21:In questo punto siete venuti, ec. Ecco il gran sollievo, che io ricevo da voi: appena giunti dinanzi a me, appena osservata la miseria, a cui son ridotto, mi prendete in orrore come un uomo reo e peccatore, perché sono un uomo afflitto e tribolato senza misura.

6,22:Vi ho forse detto: Portate, ec. Sarebb'egli forse, che voi amaste di tenermi per uomo cattivo, affine di aver giusto pretesto di non ispendere qualche cosa del vostro per alleggiare i miei mali? Ma io nulla vi chiesi, o vi chieggo.

6,23:Dal poter del nemico ec. lL'Ebreo può anche tradursi: dal potere, dalla violenza della tribolazione. Li certamente la tribolazione stessa e i dolori, da' quali era straziato, sono intesi qui pe' nemici potenti di Giobbe.

6,24:E dov'io fui forse ignorante, istruitemi. Ignorare sovente nelle Scritture significa peccare per ignoranza; e questo senso abbiam voluto qui esprimere nella versione: se in alcuna cosa per ignoranza io peccai, illuminatemi e istruitemi.

6,25:Per qual motivo intaccate voi le parole di verità? La verità è disgustosa per molti, e questo si avvera in voi, i quali rigettate came false, o imprudenti le mie parole, le quali a' pregiudizi vostri si oppongono: perocchè voi supponete, che la stessa mia calamita tenga luogo di dimostrazione evidente contro di me. Il povero (dice lo Spirito Santo) parla sensatamente, e non gli è dato retta: parla il povero, e quelli dicono, chi è costui? Eccli. XIII. 27.29.

6,28-29:Porgete l'orecchio, e vedete, ec. Non pretendo di vietare a voi di far diligente esame di tutte le mie parole; chieggo solamente, che spassionato prestiate l'orecchio alle mie difese per giudicare rettamente se quello, che io ho detto, sia verità, o menzogna.