Scrutatio

Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Giobbe 7


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Giobbe espone le varie calamità della vita umana, e le sue, e non crede verisimile il suo ritorno alla felicità della vita presente; chiede ancora a Dio, che lo liberi dalle miserie, e ammira la providenza di Dio verso l'uomo infelice.

1Milizia ell'è la vita dell'uomo sopra la terra, e i giorni suoi son come quelli di un bracciante.2Come un servo sospira la sera, e il mercenario aspetta ansiosamente la fine del suo travaglio:3Cosi io pure ebbi in retaggio dei mesi vuoti (di ristoro), e contai delle notti dolorose.4Se mi metto a dormire io dico: Quando mi leverò? E dipoi bramerò che venga la sera, e sarò pieno di affanni sino al far della notte.5Coperta è la mia carne di putredine, e di croste schifose: la mia cute è secca, e intirizzita.6I miei giorni sono passati più velocemente, che non si recide dal tessitore la tela, e sono svaniti senza speranza,7Ricorditi, che la mia vita è un soffio, e che gli occhi miei non torneranno a vedere felicità.8E occhio d'uomo non mi vedrà: gli occhi tuoi sopra di me, e io più non sarò.9Come si dissipa, e svanisce una nuvola; così chi nell'inferno discende non ne uscirà.10Né tornerà più alla sua casa, né il luogo dove egli stava lo conoscerà più.11Per la qual cosa io pure non ratterrò la mia bocca; parlerò delle angustie del mio spirito, ragionerò delle amarezze dell'anima mia.12Son io come il mare, o come una balenna, che tu ini hai ristretto in un carcere?13Se io dirò: Mi darà conforto il mio letticciuolo, ed avrò alleviamento col ragionar meco stesso nel mio riposo:14Mi atterrirai co' sogni, e mi scuoterai con orrende visioni.15Per questo l'anima mia si elegge una fine violenta, e le ossa mie la morte.16Sono senza speranza: io più non viverò: abbi di me pietà, perocché i giorni miei sono un nulla.17Che è l'uomo, che tu ne fai tanto conto? e perché il tuo cuore si occupa intorno a lui?18Di gran mattino lo visiti, e lo metti repentinamente alla prova:19Sino a quando mi negherai compassione, e non mi permetterai d'inghiottire la mia saliva?20Peccai; che farò io con te, o osservatore degli uomini? Per qual motivo mi hai preso per tuo avversario, ond'io son divenuto grave a me stesso?21Per qual motivo non togli il mio peccato, e perché non cancelli la mia iniquità? Ecco che io dormirò nella polvere, e se al mattino mi cercherai, io più non sarò.

Note:

7,1:Milizia ell'è la vita dell'uomo sopra la terra. Invece di milizia i LXX leggono tentazione. Giobbe avea dato a conoscere il gran desiderio, che avea di morire; viene adesso a mostrare, che avuto riguardo si alle comuni miserie dell'umana vita, e si ancora a' gravissimi suoi patimenti, non è ingiusto, ne irrazionevole un tal desiderio. Vuolsi però osservare, che quantunque ed egli parli generalmente, e a tutti gli uomini in generale convenga quello, ch'ei dice delle calamita della vita presente, contuttociò se stesso principalmente ritrae Giobbe in questa pittura.
Il tempo di questa vita e tempo non di libertà, ne di pace, ne di riposo, ma tempo di servizio, di guerra e di combattimenti, tempo di prova, di fatiche, di pericoli.
E i giorni suoi son come quelli di un bracciante. Come un uomo, che lavora a giornata non aspetta riposo se non alla fine del giorno, quando riceve la sua mercede, ed è libero dal lavorare; cosi l'uomo fin che dura il giorno di questa vita non dee aspettarsi le requie. In questa similitudine del bracciante, come in quella della milizia, è accennata la brevità della vita, la fatica indefessa, l'espettazione del riposo, cioè della morte, il conseguimento del premio, e della mercede, vale a dire la felicità sperata nella vita futura: Imperocchè e il soldato milita sulla speranza del premio e della vittoria, e il bracciante per l'espettazione della mercede.

7,2:Come un servo sospira la sera, ec.Il Latino, e l'Ebreo propriamente portano, sospira l'ombra; ma per quest'ombra intendevi comunemente le tenebre della notte, al venir della quale il servo può respirar dalle fatiche.

7,3:Così io pure ebbi in retaggio de' mesi ec.Io son simile a un servo, che aspetta ansiosamente la sera, e a un mercenario, che brama e sospira la fine, e il premio di sue fatiche; ma laddove quelli giungono al termine dei loro desiderii, e ottengono l'uno il riposo, e l'altro lo mercede, a me e toccato di passare i mesi ne' travagli, e di aver delle notti non di riposo, ma di dolore, e d'affanno. Non senza ragione adunque io bramo la morte, mentre ella solo può metter fine ai miei mali.

7,4:Quando mi leverò? I LXX: Quando si farà giorno? Quando sarebbe tempo di riposare, non facendo tregua i miei dolori, e non permettendomi di chiudere gli occhi, infinità mi sembra la notte e, chieggo di vederne la fine; ma venuto il giorno non divenendo perciò migliore lo stato mio pe' dolori, onde mi trovo assediato, torno a bramare la sera con isperanza, che il venir della notte mi porterà sollievo, e riposo.
L'ultimo membro nell'Ebreo porta: sarò piena di agitazione fino al crepuscolo, lo che s'intenderebbe del crepusculo mattutino. E questa lezione sembra la vera, descrivendosi da Giobbe le agitazioni, e i movimenti che fa per ogni parte, un malato nel tempo della notte, nella quale secondo l'espressione di un antico scrittore ogni cambiamento è cercato dal malato stesso come un rimedio. I LXX parimente lessero fino al mattino.

7,6:I miei giorni sono passati più velocemente ec. Oppresso da tanti mali Giobbe considera la sua vita come già vicina al suo termine; quindi i lamenti sopra la corta durata della sua vita. I miei giorni, la mia vita saran finiti in minor tempo, che non impiega un tessitore a recidere dall'estremità dell'ordito la tela, che e già finita.
E sono svaniti senza speranza. Senza speranza di prolungamento, ovvero di miglior sorte.

7,7:Ricordati che la mia vita è un soffio. Parla a Dio, nelle mani di cui sta la vita, e la morte, e a lui rammenta come è fugace la vita, e com'egli non ha più speranza di tornare a godere la passata tranquillità, e l'affanno de' beni, ond'era stato spogliato.

7,8:E occhio d'uomo non mi vedrà. Sarò in breve sottratto agli occhi degli uomini.
Gli occhi tuoi sopra di me ec. Tu mi trafiggi coll'irato tuo sguardo, e mi togli la vita.

7,9-10:Come si dissipa, e svanisce una marcia; ec. Con questa similitudine vuol dimostrare l'irrevocabile mutazione, che avvien nell'uomo per la morte. Come una nuvola dissipata, e sciolta dal vento o dal sole non torna mai più a vedersi, così un uomo caduto nello stato di morte non ritorna allo stato di vita, di cui godea pell'avanti, non torna più alla sua casa, ec. Ho voluto ritenere, la voce inferno, colla quale nel vecchio Testamento s'intende talora il sepolcro, talora il luogo, dove andavano a posare le anime separata da' corpi. Vedi quello, che abbiamo notato Gen. XXVII 34. E in questo luogo di Giobbe sembra più naturale il prendere questa voce nel secondo senso, che. il voler restringerla al primo.
Né il luogo, dove egli stava ec. Non sarà conosciuto nella città, in cui visse, ne dagli uomini. co' quali gin converso o n'quali ei sovrastava.

7,11:Per la qual cosa io pure non ratterrò ec. Tale essendo l'infelicità del mio stato lascerò alla mia bocca la libertà di dolersi, e di gemere, e di sfogare l'interna mia amarezza.

7,12:Son io come il mare, ec. Si vede da vari scrittori profani, che gli antichi consideravano il mare come una gran bestia feroce, e indomita, e nelle Scritture Sovente si dice, che Dio tiene chiuso dentro certi limiti lo stesso mare, oltre i quali per quanto egli frema e infurii, non può mai avanzarsi. v. Jerem. v. 22. Amos v. 8. IX. 6., Job. XXXVIII 8. ec. Le balene essendo corpi vastissimi hanno quasi per loro prigione il mar grande, l'oceano, da cui non possono uscire. Son io (dico Giobbe) violento furioso com'è il mare, o tanto terribile, e crudele verso degli altri come sono quelle vaste bestie marine, delle quali sono preda i pesci minori, talmente che fosse necessario di chiudermi, e affrenarmi tralle crude ritorte di tanti mali? vi era forse bisogno di tanto per domarmi e conquidermi?

7,13-14:Ed avrò alleviamenlo col ragionare ec. Sovente accade, che l'uomo stanco dagli affanni della giornata trovi alleviamento la notte nella meditazione delle verità, particolarmente di quelle della religione attissime a consolare e, sostenere lo spirito dell'uomo nelle grandi sciagure. Ma dice Giobbe, che una tal consolazione o non è per lui, o è molto breve e passeggera mentre infestata si trova ben presto da sogni orribili, e da funeste visioni. Notisi come il sant'uomo attribuisce a Dio i terreri, onde era agitato le notti da' demoni, a'quali era stato permesso dallo stesso Dio di tormentarlo anche in tal guisa. Imperocchè quantunque non sia cosa straordinaria, che un uomo afflitto nell'anima, e nel corpo com'era Giobbe sin inquietato da sogni e, da notturni spaventi originali dalla perturbata fantasia; contuttocio sembrami più verisimile, e più conveniente all'espressioni di Giobbe l'opinione di quegli antichi Interpreti, i quali credono, che anche in questo avesse parte il demonio, il quale in sogno gli apparisse sotto varie forme per non lasciarlo in verun tempo senza tormento.

7,15:L'anima mia si elegge ec. Ad una tal vita preferisco la morte qualunque ella sia o violenta, o naturale.

7,10:Sono senza speranza: ec. Non ho più speranza di vita, non curo, e non bramo la vita.
I giorni miei sono un nulla.I LXX lessero, Vana è la mia vita.

7,17:Che è l'uomo, che tu ne fai? ec. Ella è certamente manifesta prova della stima, che tu fai dell'uomo, o Signore, il vedere con quanta cura le azioni di lui, e i passi tutti tu osservi, e con quanta attenzione il tuo cuore si occupa in pensare ad una creatura si fragile, e misera e soggetta a cadere in tante sciagure. Il cuore è posto in questo luogo per la mente, il pensiero; come ne' proverbi, cap. XXVII. 23., secondo il testo originale: appone car tuum ad greges, che la nostra Volgata tradusse: greges tuos considera: bada a' tuoi greggi.

7,18:Di gran mattina lo visiti. Rappresenta Dio come un padre di famiglia, il quale di gran mattino si sveglia col pensiero di provvedere alle domestiche occorrenze. Cosi tu, o buon Dio, che hai cura di ciascuno degli uomini come di tutti, e di tutti come di un solo, al ben dell'uomo rivolgi la continua amorosa tua pronidenza.
E la metti repentinamente alta prova. Ora colle prosperità, e co' benefizi, ora colle afflizioni, e coi dolori repentinamente lo provi per far conoscere quale egli sta in cuor suo, e se sia degno di te.

7,19:Sino a quando mi negherai ec. Ma sebbene io come retti e salutari sono i tuoi consigli in tutto quello, che da te si fa intorno all'uomo, permetti nondimeno, o Signore, ch'io ti chiegga di aver compassione di me, e di concedermi alcun momento per respirar da' miei mali. Questa frase non avere spazio di inghiottire in propria saliva è una iperbole, e una maniera di proverbio, con cui vuol significare, che un sol momento non gli rimane, in cui facciano pausa i suoi dolori.

7,20:Peccai; che farò io? ec. Se io ho peccato, e son divenuto degno dell'ira tua, in qual modo potrò placarti, o Dio, che osservi si minutamente le azioni e i passi degli uomini?
Per qual motivo mi hai preso ec.? Per qual motivo mi tratti quasi implacabil nemico, mentre con tanto ardore desidero, e chiedo di non esser giammai separato dalla tua carità, e dalla tua grazia? Certamente il pensare che tu mi riguardi come nemico, insoffribil mi rende a me stesso. Un dotto interprete crede, che Giobbe con queste parole per qual motivo mi hai preso per tua avversario, ond'io, ec. deplori la legge funesta della carne ripugnante alla legge della mente, per cui l'uomo anche giusto è in un certo senso renduto schiavo della legge del peccato. Vedi Rom. VII. 22. 23., ec., e quello, che nello stesso luogo si è notato. Secondo l'uomo interiore il giusto si diletta nella legge di Dio (come dice l'Apostolo); ma secondo la legge della concupiscenza egli è contrario alla legge di Dio e questa dura contradizione, ch'ei trova dentro di se, è molestissima al giusto, e per ragion di essa diceva Paolo: Infelice me! chi mi libererà da questo corpo di morte? Questa sposizione può ancora legare con quello che segue.

7,21:Per qual motivo non togli ec. Non è egli facile a te il perdonare i peccati? È forse venuta meno riguardo in me la tua potenza, o la tua misericordia?
Seguendo la seconda sposizione del versetto precedente verrà Giobbe a concludere, che la speranza della sua libertà perfetta e riposta nella misericordia divina, che perdona il peccato, e libera ancor dalle pene dello stesso peccato. Cosi l'Apostolo dopo aver detto: Infelice me, chi mi libererà ec. rispose: la grazia di Dio per sua Cristo.
Ecco che ia dormirò ec. Giobbe ragiona con Dio come, si farebbe con un uomo affezionato, e compassionevole. Non sta lenta la tua pietà a soccorrcrmi; perocchè io passo ben presto dalla vita al sepolcro, e forse al nuovo giorno io non saro in istato di godere de' tuoi favori, perché non sarà più in vita.