Scrutatio

Martedi, 16 aprile 2024 - Santa Bernadette Soubirous ( Letture di oggi)

Isaia 6


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Isaia vede la gloria di Dio; e condanna se stesso per aver taciuto: sono purificate le sue labbra, ed egli si dimostra pronto a predicare. Si predice l'accecamento del popolo fino alla desolazione delle città di Giuda, e la consolazione di colei, che era derelitta.

1Nell'anno, in cui si morì il re Ozia, io vidi il Signore sedente sopra un trono eccelso, ed elevato; e le estremità (della veste) di lui riempievano il tempio.2Intorno al trono stavano i Serafini, ognuno di essi aveva sei ale: con due velavano la faccia di lui, e con due velavano i piedi di lui, e con due volavano.3E ad alta voce cantavano alternativamente, e dicevano: Santo, santo, santo il Signore Dio degli eserciti; della gloria di lui è piena tutta la terra.4E si smossero i cardini delle porte alla voce del cantante, e la casa si empiè di fumo.5Ed io dissi: Guai a me, perchè ho taciuto, perchè uomo di labbra immonde son io, e vivo in mezzo ad un popolo di labbra immonde, ed il Re Signor degli eserciti ho veduto cogli occhi miei.6E volò a me uno de' Serafini, ed avea nella sua mano una pietruzza, la quale avea colle molle presa di su l'altare.7E toccò la mia bocca, e disse: Ecco che questo ha toccate le tue labbra, e sarà tolta la tua iniquità, e sarà lavato il tuo peccato.8E udii la voce del Signor, che di ceva: Chi manderò io? e chi anderà per noi? E io dissi: Eccomi, manda me.9Ed egli disse: Va, e dirai a questo popolo: Ascoltate, è non vogliate capire: e vedete, e non vogliate intenderla.10Acceca il cuore di questo popolo e istupidisci le sue orecchie, e chiudi a lui gli occhi, affinchè non avvenga, che co' suoi occhi egli vegga, e oda co' suoi orecchi, e col cuore comprenda, e convertasi, ed io lo sani.11E dissi: Fino a quando, o Signore? Ed egli disse: Fino a tanto, che desolate rimangano le città, senza di chi le abiti, e le case senza uomo, e la terra sarà lasciata deserta.12E il Signore manderà lontano gli uomini, e moltiplicheranno gli abbandonati sopra la terra.13Ed ancora ella sarà decimata: e di nuovo sarà mostrata a dito come un terebinto, od una quercia, che spandeva i suoi rami: seme santo sarà quello, che di lei resterà in piedi.

Note:

6,1:Nell'anno in cui si mori il re Ozia. Cioè l'anno cinquantadue del regno di questo principe, a cui succedette il figliuolo Joathan.
Vidi il Signore sedente ec. Isaia in ispirito è trasportato nel tempio, dove vede il Signore come un gran monarca assiso sul suo trono circondato da' Serafini, e dalla stessa immensa sua maestà. Vedi Augustin. Cont. Adi mant. cap. 28. Questo trono era simile al propiziatorio sostenuto da due Cherubini, Exod. XXV.
E le estremità (della veste) ec. Ovvero: le frange del manto reale: queste frange sono simboli della potenza e della immensa gloria del Signore. S. Girolamo, e gene ralmente i Padri e gl'Interpreti, affermano, che quello che fu veduto da Isaia era il Figliuolo di Dio, e ciò evidentemente dimostrasi da quel che si legge Joan. XII. 41, dove son riferiti i due versetti 9. 10., come pronunziati da Isaia allorchè vide la gloria di Cristo. Vedi questo luogo di s. Giovanni, e le annotazioni.

6,2:Stavano i Serafini ec. Il nome di Serafini significa, ardenti, infiammati, lo che si spiega dell'ardore di lor carità. Due di questi Serafini stavano presso al trono di Dio, e sembra, che stavano alzati in aria. Egli aveano sei ale. Con due velavano la faccia di lui, ec. Velavano con due delle loro ale la faccia di Dio, vale a dire la divinità di lui, e l'eternità, e gli altri suoi attributi; e con due velavano i piedi di lui, cioè la umanità santa del Verbo fatto carne, e la sua passione ec., dimostrando, come non solo la divinità del Figliuolo di Dio, ma anche i misteri di lui incarnato, agli stessi Serafini sono incomprensibili. Quindi colle stesse ale, colle quali velavano la faccia di Dio, velavano ancora la propria faccia in segno di somma riverenza, e con quelle, onde velavano i piedi di lui, velavano ancora i propri piedi per verecondia, non la sciando vedere la imperfezione del loro amore comparato alla infinita dignità del loro Signore, dice il Grisostomo, Serm. IV. Nell'Ebreo e ne' LXX si legge: velavano la faccia, velavano i piedi; lo che ottimamente si spiega, come abbiam detto.
E con due volavano. Vale a dire stavano pronti per volare ad ogni cenno del Signore.

6,3:Cantavano alternativamente, e dicevano: Santo, ec. Cantavano alternativamente, dice s. Cirillo, non perchè si stancassero nel cantare, ma perchè si lasciavano l'uno all'altro l'onore di celebrare le lodi del Signore. E quel anche l'altro; onde s. Girolamo che diceva l'uno, lo diceva per questi due Serafini intese i due Testamenti, perocchè quello, che canta il vecchio Testamento, è ripetuto, e si dice nel nuovo; nulla è in essi discordante o diverso. Da quello, che Isaia vide e udi farsi da' Sera fini, la Chiesa imparò a cantare le lodi di Dio alternativamente, e a doppio coro, come scrive il Damasceno. La repetizione fatta tre volte della stessa voce Santo indica il mistero delle tre divine Persone in una sola sostanza; onde questo inno de' Serafini fu sempre nella bocca della Chiesa, da cui fu usato e si usa ogni di nel sacrifizio della messa, e ciò con tanto miglior ragione, perchè le ultime parole di esso (della gloria di lui è piena tutta la terra) specialmente riguardano il mistero della incarnazione del Verbo, il quale alla terra tutta fece conoscere la gloria di Dio conosciuto pell'avanti da' soli Giudei. Questo grandissimo avvenimento è celebrato dagli Angeli santi con quelle parole, avendo essi nell'opera della incarnazione discoperti nuovi tesori della bontà, e sapienza, e potenza divina.

6,4:E si smossero i cardini delle porte ec. La voce forte e sonora del Serafino, che cantava (perocchè uno per volta cantava, come si è detto) facea sì, che i cardini delle porte del tempio si scuotevano, quasi fossero commosse da quel canto celeste. E quelle stesse voci, Santo, santo, santo, parea, che chiedesser vendetta, delle profanazioni commesse dagli Ebrei nel tempio stesso di questo Dio santo. E' la casa si empiè di fumo. Questo fumo, o nebbia, o caligine, di cui fu ripieno il tempio, toglieva agli occhi del Profeta la vista di lui, che abita una luce inaccessibile. Così Dio sul Sina apparve e parlò a Mosè essendo involto e velato da densa caligine, Exod. XX. Così ancora nella dedicazione del tempio di Salomone, III. Reg. VIII. Ma molto a proposito s. Girolamo osserva, che nel tempo stesso, in cui i Serafini annunziano, che della gloria di Dio è piena tutta la terra, la sola casa e il tempio Giudaico resta ottenebrato pel fumo procedente dall'accesa ira di Dio, il quale lo stesso tempio destinava alle fiamme.

6,5:Guai a me, perchè ho taciuto, ec. Isaia avrebbe desiderato di unirsi co' Serafini a lodare il Signore; ma lo stesso vedere con quanta riverenza e tremore stavano quelli dinanzi alla maestà di Dio cantando la loro lauda lo fa rientrare in se stesso a considerare la propria indegnità. Onde dice: Guai a me che non apersi la bocca, perchè conobbi, che le labbra mie erano immonde, ed io son peccatore, e abito in mezzo a un popolo peccatore, e im mondo di labbra. Il peccato, che ritenne Isaia, e gli tolse il coraggio di unirsi con quegli spiriti beati a lodare Dio, secondo s. Girolamo, e s. Cirillo, ed altri, fu peccato di lingua, e non di aver trascorso colla stessa lingua in qual che mancamento, ma di aver taciuto qualche volta, e non aver parlato contro i peccati del popolo e dei grandi, e forse fu specialmente il peccato di aver taciuto quando il re Ozia volle offerire l'incenso, usurpando i diritti del sacerdozio, II. Paral. XXVI. 16. 17. Comunque sia, Isaia confessa di aver peccato colle sue labbra, dalla qual sorta di mancamento rarissimo è l'uomo, che vada esente sopra la terra; e che il peccato di lui non fosse grave si può intendere dalla sublime visione, di cui Dio lo graziò; contuttociò egli si riconosce indegno di cantare le lodi del Signore, fino che sia purificato da lui. Notisi in questo proposito, come la vista di Dio ingenera nell'uomo umiltà, e quanto più un uomo conosce Dio, tanto più si riempie di riverenza e ammirazione verso di lui, e di disprezzo di se medesimo. Vedine gli esempi Gen. XVIII. 27. Earod. III. 6. Jerem. I. 6. Dan. VII. 15, X. 8. Ezech. 11. I.
E vivo in mezzo ad un popolo di labbra immonde. Come se dir volesse, che è difficile il vivere con persone, che peccano colla loro lingua, e non isdrucciolare in qualche simile mancamento.
Ed il Re Signor degli eserciti ho veduto ec. Non ho fatto giusta stima del mio peccato, se non quando ho veduta la maestà, la santità, la grandezza del Re de' secoli, e ho veduti e uditi i suoi Serafini stare intorno al suo trono, e celebrare la sua santità.

6,6-7:Ed avea nella sua mano una pietruzza, ec. L'Angelo colla pietruzza ardente, che avea preso di su l'altare, tocca le labbra di Isaia, gastigando il peccato di lui ed espiandolo. Così questa pietruzza era simbolo della penitenza, e della grazia dello Spirito santo, per cui Isaia non sol fu purificato dalla sua colpa, ma ripieno di quella magnanimità e fidanza, che al suo ministero si conveniva, e di quell'ardore di carità, per cui fosse degno di lodare co' Serafini il Signore.

6,8:Chi manderò io? e chi anderà per noi? Anche in questo luogo osservò s. Girolamo indicata la diversità delle Persone, e l'unità della divinità; perocchè uno solo parla: Chi manderò io? e chi anderà a portare la parola da parte di noi.
Eccomi, manda me. Notò s. Girolamo, che il Profeta non disse: Eccomi, anderò io. Ma si offerse al servigio del signore quando questi lo avesse mandato; onde meritò di udire: Va'. Il sentire, che Dio cerca chi vada a servirlo, è uno stimolo al cuor del Profeta per muoverlo a desiderare di essere capace di tal ministero; ma egli noll' assumerà, se Dio a lui non lo impone. Ma quando Dio ha detto a lui: Va'; allora il Profeta è ripieno di generoso ardimento, e sulla parola del Signore egli va ad adempiere l'ufficio qualunque egli sia.

6,9:Ascoltate, e non vogliate capire: ec. Va', e fa' sapere a questo popolo, che egli udirà e vedrà, ma non vorrà nè capire, nè intendere. Questo popolo parla continuamente del Messia aspettato, lo desidera, lo chiama, ma io fo sapere a te e a lui, che il Messia verrà, ed eglino ascolteranno le sue parole, ma alle sue parole non crederanno, vedranno i suoi miracoli, ma non vorranno intendere la verità e la forza di essi per dimostrare come egli è mandato dal Padre; vedranno in lui l'adempimento di tutte le profezie, e non vorranno intendere, ch'egli è veramente il Cristo, e lo rigetteranno.

6,10:Acceca il cuore di questo popolo, ec. Vale a dire: predici, e annunzia, che questo popolo alla venuta del Messia sarà cieco e sordo, talmente che non vedrà, e non udirà; donde pure avverrà, che per la sua volontaria cecità e sordità, e per le tenebre, nelle quali è involto il suo cuore, egli alla predicazione, a' miracoli, a tutto quel che vedranno delle opere e della vita del loro Messia non si convertiranno, ed io non li sanerò. Notisi in primo luogo, che si dice farsi dal Profeta quello che il profeta annunzin per ordine di Dio che avverrà, come osserva s. Agostino quaest. 66. E in questo senso è detto qui da Dio al Profeta: acceca il cuore di questo popolo. Di questa maniera di parlare sono molti esempi nelle Scritture. Vedi Jerem. 1. 10. Isai. XLIII. 28. Exod. XIX. 10. Joel 1. 14., II. 16. ec. In secondo luogo osserverò, come questo passo di Isaia è citato sovente nel nuovo Testamento a dimostrare, come il volontario accecamento della nazione Ebrea era stato in termini chiarissimi e fortissimi predetto da Dio per Isaia. Imperocchè conveniva, che gli Evangelisti e gli Apostoli prevenissero una obiezione, che potea farsi contro la missione di Gesù Cristo; conciossiachè potevano dire gl'increduli: Se Gesù è il vero Messia e Salvatore degli uomini, come non è egli stato riconosciuto dal suo popolo e dagli Scribi e da' Pontefici, che leggevano le Scritture, e udirono la predicazione di lui, e ne videro i prodigi? Ma quando una cecità e un induramento, che non parea quasi possibile, si dimostra essere stato predetto in più luoghi delle stesse Scritture, ma particolarmente in questo, la difficoltà sparisce, e si viene a comprendere, come può avvenire, che il peccato sparga sopra il cuore dell'uomo sì dense tenebre, che lo riduca a non sapere far più verun uso delle stesse sue facoltà naturali per discernere la verità anche patente.

6,11-13:E dissi: Fino a quando, o Signore? ec. Il Profeta con vivo sentimento di compassione domanda a Dio: Ma per quanto tempo, o Signore, durerà in tale deplorabile cecità questo popolo? Il Signore risponde: Questo popolo, dopo che avra messo a morte il suo Cristo, sebbene lo vegga dipoi glorificato colla sua risurrezione dn morte, colla missione dello Spirito santo sopra i fedeli, colla conversione de' Gentili ec. continuerà nel suo induramento di cuore fino alla intera sua desolazione, fino a tanto, che devastate sieno da' Romani le sue città, ed essi sieno dispersi per tutta la terra, e finiscano di essere un popolo. Notisi, che questa parola: fino a tanto, donec, non include, che dopo quel tempo sieno per illuminarsi e ammollirsi i cuori degli Ebrei, ma solo, che non saranno illuminati quando succederà la loro distruzione, e in simil senso è usata la voce donec in altri luoghi, come si è osservato. Durerà nella sua cecità la nazione mandata lungi dalla nativa sua terra: e quella piccola porzione, che rimarrà nel paese, moltiplicherà; ma nuovamente saran decimati: perocchè gli Ebrei cresciuti di numero, ribellatisi contro i Romani saranno messi a fil di spada dall'imperatore Adriano in tal guisa, che di essi resterà appena un uomo ogni dieci; ciò avvenne cinquanta anni dopo, che Gerusalemme era stata espugnata e distrutta da Tito, e allora fu proibito agli Ebrei fuggitivi di mettere il piede nella loro terra, e solamente, in un dato giorno dell'anno comperavano alcuni di essi a denaro contante la permissione di andare a piangere e urlare sopra le rovine dell'arso tempio. Vedi s. Girolamo, s.Cirillo, ec. sopra quelle parole: ed ancora ella sarà decimata: cioè la terra, la nazione Ebrea.
E di nuovo sarà mostrata a dito ec. Notisi, che il verbo convertetur è posto qui in vece dell'avverbio iterum, di nuovo, come in molti altri luoghi. Vedi Psal. LXXXIV. 7, et LXXVII. 41. La Giudea sotto Adriano sarà di nuovo mostrata a dito, come esempio terribile delle vendette di Dio contro de' peccatori, che a lui volgono le spalle: ella sarà come un terebinto o come un'annosa quercia che spandevano i loro rami per ogni parte, e di poi riman l'uno e l'altra senza vita e senza l'ornamento delle sue foglie. Dall'Ebreo apparisce, che tale debb'essere il senso di queste parole.
Seme santo sarà ec. Ma non resterà egli semenza alcuna del popolo del Signore? Sarà egli tutto accecato, in durato, abbandonato in guisa, che egli perisca del tutto? Il Profeta, che avea detto, come rimarrebbono reliquie di Gerusalemme cap. IV. 3., la stessa promessa ripete adesso, e dice, che di lei resterà semenza, e che questa sarà santa, accennando gli Ebrei convertiti a Cristo, i quali non se lo saranno santi, ma padri ancora di gente santa, essendo essi stati i fondatori di molte e molte chiese cristiane.