Scrutatio

Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

Genesi 2


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Dio, avendo compiuto in sei giorni il suo lavoro, riposa il settimo giorno, e lo benedice. Pone l'uomo nel paradiso ornato di varie piante fruttifere, e di correnti. Forma dalla costola dell'uomo Eva per suo aiuto; e istituisce il matrimonio.

1Furono adunque compiuti i cieli, e la terra, e tutto l'ornato loro.2E Dio ebbe compiuta il settimo giorno l'opera, ch'egli avea fatta: e riposò il settimo giorno da tutte le opere, che avea compiute.3E benedisse il settimo giorno, e lo santificò: perché in esso avea riposato da tutte le opere, che Dio avea create e fatte.4Tale fu la origine del cielo, e della terra, quando l'uno, e l'altra fu creata nel giorno, in cui il Signore Dio fece il cielo, e la terra.5E tutte le piante de' campi, prima che nascessero sulla terra, e tutte l'erbe della terra, prima che (da essa) spuntassero: imperocché il Signore non avea mandato pioggia sopra la terra; e uomo non era, che la coltivasse.6Ma saliva dalla terra una fonte ad inaffiare la superficie della terra.7Il Signore Dio adunque formò l'uomo di fango della terra, e gl'ispirò in faccia un soffio di vita: e l'uomo fu fatto anima vivente.8Or il Signore avea piantato da principio un paradiso di delizie; dove collocò l'uomo, che avea formato.9E il Signor Dio avea prodotto dalla terra ogni sorta di piante belle a vedersi, e di frutto dolce a mangiare, e l'albero eziandio della vita in mezzo al paradiso, e l'albero della scienza del bene e del male.10E da questo luogo di delizie scaturiva un fiume ad inaffiare il paradiso, il qual (fiume) di là si divide in quattro capi.11Uno dicesi Phison; ed è quello, che gira attorno il paese di Hevilath, dove nasce l'oro.12E l'oro di quel paese è ottimo: ivi trovasi il bdellio, e la pietra oniche.13E il nome del secondo fiume è Gehon: ed è quello che gira per tutta la terra d'Etiopia.14Il nome poi del terzo fiume è Tigri, che scorre verso gli Assirii. E il quarto fiume egli è l'Eufrate.15Il Signore Dio adunque prese l'uomo, e lo collocò nel paradiso di delizie, affinché lo coltivasse e lo custodisse.16E gli fé comando, dicendo: Mangia di tutte le piante del paradiso.17Ma del frutto dell'albero della scienza del bene e del male non mangiarne: imperocché in qualunque giorno tu ne mangerai, indubitatamente morrai.18Disse ancora Dio: Non è bene, che l'uomo sia solo: facciamogli un aiuto, che a lui rassomigli.19Avendo adunque il Signore Dio formati dalla terra tutti gli animali terrestri, e tutti gli uccelli dell'aria, li condusse ad Adamo, perché ei vedesse il nome da darsi ad essi: e ognun de' nomi, che diede Adamo agli animali viventi, è il vero nome di essi.20E Adamo impose nomi convenienti a tutti gli animali, e a tutti i volatili dell'aria, e a tutte le bestie della terra: ma non si trovava per Adamo un aiuto, che a lui somigliasse.21Mandò adunque il Signore Dio ad Adamo un profondo sonno; e mentre egli era addormentato, gli tolse una delle sue costole, e mise in luogo di essa della carne.22E della costola, che avea tolto da Adamo, ne fabbricò il Signore Dio una donna: e menolla ad Adamo.23E Adamo disse: Questo adesso osso delle mie ossa, e carne della mia carne, ella dall'uomo avrà il nome, perocché è stata tratta dall'uomo.24Per la qual cosa l'uomo lascerà il padre suo, e la madre, e starà unito alla sua moglie, e i due saranno sol una carne.25E l'uno e l'altra, Adamo cioè, e la sua moglie, erano ignudi; e non ne aveano vergogna.

Note:

2,1:E tutto L'ornato loro. Tutte le creature, che abbelliscono, e riempiono i cieli e la terra.

2,2:Riposò il settimo giorno. Scrive S. Agostino sent. 277. Che Dio riposasse da tutte le opere ma, non altrimenti si dee intendere, se non che verun altra natura non fu di poi formata da lui, senza però ch'ei lasciasse di reggere e di conservare quello, che avea già fatte. Dio sempre immobile e immutabile in se stesso produce tutti i cangiementi, che succedono nella natura: opera perpetuamente, e a tutte le operazioni concorre delle sue creature. Sopra questo misterioso riposo di Dio, vedi Heb. IV. 3., ec., e le annotazioni.

2,3:E benedisse il settimo giorno, e lo santificò. Questa maniera di parlare sembra assai favorevole alla opinione di quegli interpetri antichi e moderni, i quali hanno creduto, che fin da quel tempo rimanesse il sabato assegnato da Dio al suo culto in memoria del beneficio della creazione, e che come tale fu osservato e onorato da' figliuoli di Adamo.

2,4-5:Fece il cielo e la terra, e tutte le piante de' campi, prima che, ec. rafferma la descrizione, che ci ha data della creazione del cielo e della terra: e aggiunge, che, riguardo alle piante e all'erbe della campagna, elle ancora furono immediatamente prodotte da Dio, e che nissuno dee figurarsele come uscite fuori dalla terra; mentre questa non avea ancor'uomo, che la coltivasse, nè pioggia dal cielo era caduta ad irrigarla e fecondarla. Mosè va incontro a un errore facile ad insinuarsi nelle menti degli uomini: ed e di riguardare la terra come principio delle creature, ond'ella è ripiena. I filosofi dell'Egitto all'umido calore della terra attribuirono stoltamente prima origine delle cose terrestri.

2,6:Ma saliva dalla terra una fonte ad innaffiare ec. La voce Ebrea invece di fonte potrebbe tradursi vapore; onde verrebbe ad intendersi, come il sottile umore attratto per forza del sole dalla terra e dal mare, e addensato dal freddo della notte, sciogliendosi quindi in rugiada dovea servire a mantenere l'umido sopra la terra. Il Caldeo in cambio di vapore mette nuvola, la quale è un aggregato di addensati vapori. Questa sposizione però sembra, che mal convenga con quello, che dicesi nel verso precedente, ed anche coll'intenzione di Mosè, il quale (come abbiam detto) ha voluto farci sapere, che Dio era stato l'immediato Fattore delle piante e dell'erbe, ond'era allor vestita la terra, senza che alla produzione di esse potesse concorrere o la terra stessa, che mancava di umore, ovvero l'opera dell'uomo, il quale non fu creato, se non dopo di esse. Per la qual cosa vari dotti interpetri, anche Cattolici intendono ripetuta nel testo originale al principio di questo versetto la negazione posta nel precedente, onde si dovrebbe tradurre in tal guisa: Il Signore non aveva mandato pioggia sopra la terra, e uomo non era, che la collivasse, e (non) saliva dalla terra vapore, che innaffiasse, ec. Quest'interpetri provano molto bene, che molte volte nell'Ebreo si omette in un membretto seguente la negativa posta in quello, che è innanzi; la quale perciò dee allor sottintendersi. Questa versione fa un ottimo scuso; mentre cosi Mosè viene in queste ultime parole ad escludere anche le rugiada, togliendo i vapori, i quali alzatisi dalla terra, addonsatisi pel freddo notturno scendessero ad omettere la superficie della medesima terra. Imperocchè sappiamo, che in molti luoghi, dove rado sono le pioggie, suppliscono al bisogno della campagna le rugiade, e le guazze abbondanti.

2,7:Dio adunque formò ec. Torna Mosè a spiegare più distintamente la creazione dell'uomo. Egli ci rappresenta Dio Creatore, il quale colle proprie sue mani forma di umida terra e di polvere una statua, la quale, benchè ancor priva di moto e di vita, porta già nella sua figura, e soprattutto nell'applicazione del grande Artefice, sicuro indizio di dover essere qualche cosa di grande e di sublime. Imperocchè questa statua (dice Tertulliano) è formata non dalla imperiosa parola, ma dalla stessa benefica mano del Creatore.
E gl'ispirò in faccia ec. Sembra evidente da queste parole, che Dio comunica all'uomo, per cosi dire, una porzione del suo stesso essere, facendogli parte del suo proprio spirito; onde L'immortalità dello spirito umano, indicata da Mosè in molti altri luoghi, viene a dimostrarsi in queste stesse parole. Questa verità, che l'anima infuso da Dio nell'uomo sia di un'origine tutta divina, e perciò immateriale e immortale: questa verità non poté essere di poi talmente offuscata dalle tenebre del Gentilesimo, che non si trovi ripetuta e celebrata presso i filosofi e i poeti pagani. L'Apostolo delle Genti citò di un antico poeta quelle parole: Di lui eziandio siamo progenie, Atti XVII. 28.
E l'uomo fu fatto anima vivente. Il soffio di Dio, o sia l'anima, che Dio unì al corpo dell'uomo, fu per lui il principio di sentire, di ragionare e di vivere. Questa unione di sostanze tra loro si diverse, materiale l'una, l'altra spirituale, questa unione, è una delle maggiori meraviglie, che sieno nella natura. Dio solo poté effettuarlo colla sua onnipotenza; e l'uomo può ben sentirla, ma non comprenderlo.

2,8:Or il Signor avea piantato... un paradiso (o sia un orto) di delizie ec. l'Ebreo può anche tradursi: avea piantato un paradiso in Eden a Levante, o sia, dalla parte di Levante, e così l'intesero i LXX. Eden e il nome proprio del luogo, dove Dio avea piantato il paradiso: e questo luogo era verso l'oriente, o si prenda questa determinazione in senso generale, e assolutamente, ovvero rispetto al luogo, dove Mosè scriveva questa storia. La traduzione però della nostra volgata, benché diversa, sta benissimo col testo originale. Quella parola da principio diede occasione agli Ebrei, citati da S. Girolamo, di credere, che il paradiso terrestre fosse stato creato prima della terra; ma la maggior parte de' Padri e de gl'interpetri antichi e moderni lo credono formato nel terzo giorno, e alcuni pochi subito dopo la creazione del primo uomo; perché in fatti Mosè ci dice, che per farne abitazione dell'uomo avea Dio piantato questo paradiso.

2,9:E Dio avea prodotto ec. Vuol dire, che Dio avea riunito in questo luogo tutta la magnificenza e vaghezza delle piante, sparsa da lui nella creazione per tutta la terra.
E albero eziandio della vita. Vale a dire una pianta, i cui frutti gustati di tanto intanto avrebbero servito a conservare la vita, e a tener sempre lontana la morte: i frutti delle altre piante doveano servire all'uomo di nudrimento; i frutti di questa servivano a mantenere l'uomo in una perpetua giovinezza.
L'albero della scienza del bene e del male. Così fu nominato da Dio questa seconda pianta, quand' egli mostrandola al primo uomo gli proibì di gustare del frutto di essa: e la ragion di tal nome si e la determinazione l'atto da Dio di conservare ed accrescere la giustizia e la felicità dell'uomo, ove, obbedendo al divieto, si fosse astenuto dal cogliere e gustar de' frutti di quella pianta; e di punirlo di morte, ove disobbediente ne avesse mangiato. Quest' albero adunque dovea far sentire all'uomo la differenza, che passa tra l'obbedienza e la disobbedienza a Dio: tra la felicità promessa all'obbedienza, e l'infelicità nella quale precipitò l'uomo disobbediente. Quest' albero in in effetto ci privò di tutti i beni, e ci sommerse in un abisso di mali, e ci fece per una trista sperienza conoscitori del bene e del male. Dio non avendo espressa la precisa specie e qualità di queste due piante, son perciò vane ed inutili tutte le congetture dell'umana curiosità. A noi dee bastar di sapere, che l'una e l'altra pianta era buona di sua natura; che la virtù della prima destinata a serbar l'uomo immortale, era un effetto della libera volontà del Creatore; che la proibizione di mangiare de' frutti della seconda fu una riserva del supremo Padrone, che volle (come notò il Grisostomo) serbare intero il suo dominio sopra dell'uomo, e fargli sentire, come di tanti beni, onde si vedeva circondato, egli ora non il signore, ma un semplice usufruttuario, Hom. 16. in. Gen.

2,10:E da questo luogo... scaturiva ec. In più luoghi della scrittura si fa menzione del paese di Eden, Isai. XXXVII. 12.,IV.Reg. XXIII.11. XIX.12. 13. XVI. 6. 24., Ezech. XXVII. 28. Da questi luoghi venghiamo a conoscere, che lo stesso paese dovea essere vicino all'Armenia, e alle sorgenti dell'Eufrate, e del Tigri: quindi è, che presso a' monti dell'Armenia han collocato il paradiso terrestre vari autori moderni, dove hanno certa loro origine que' due fiumi. Noi seguiremo questa opinione come quella, che sembraci atta assai meglio d'ogni altro ad evacuare le difficoltà, che in si ardua materia s'incontreranno.
Scaturiva un fiume... il quale di là si divide ec. Dal centro del paradiso sgorgava una sorgente, la quale spartivasi in quattro bei canali ad inaffiare (per quanto sembra) i quattro lati del paradiso. Questi quattro canali, scorrendo dipoi pella vicina terre, crescevano in quattro gran fiumi, che sono il Tigri, l'Eufrate, il Phison e il Gehon. Così stava certamente la cosa, allorché Dio collocò l'uomo nel paradiso, e cosi dovea essere a' tempi ancor di Mosè, e forse anche molti secoli appresso. Vedi Eccl. XXIV. 35. 36. 37. Ma non è possibile a noi, né necessario all'avveramento della storia di Mosè il mostrare adesso nell'Armenia quattro fiumi nascenti da una stessa sorgente. Basta al nostro intento il trovare in una certa estensione di paese quattro fiumi simili a' descritti da Mosè, i quali poterono nascere un di da uno stesso fonte, benché ciò non sia al presente. Che il Tigri e l'Eufrate avessero un di comune l'origine, il troviam ripetuto in molti autori profani assai posteriori a Mosè: ma egli è certo, che in differenti luoghi nascono adesso que' fiumi; lo che ci dà luogo di poter dire,che anche degli altri due (che noi crediamo essere il Fasi, e l'Arasse) cangiata sia la sorgente. Simili strabalzamenti di fiumi e di laghi, cagionati da'diluvj, da' tremuoti, e delle vicende del tempo, leggon si nelle storie, e nelle relazioni antiche e moderne. E forse Dio collo stesso caugiamento operato nell'origine di questi fiumi volle abolir la memoria di un luogo, in cui l'uomo avea stranamente abusato de' suoi benefizj.

2,11:Uno dicesi Phison. Questo abbiam detto essere il Fasi, il quale nasce nell'Armenia, e si scarica nel ponte Eussino. Egli è il fiume più grande e famoso, che abbia la Colchide, paese celebre una volta pel suo gran commercio. Vedi. Plin. lib. VI. cap. 5.
Egli gira per tutto il paese di Hevilath, dove nasce l'oro. Nel cap. X. vedremo un Hevilath figliuolo di Chus, e un altro Hevilath figliuolo di Jectan. Ma o sia da uno di questi due, o da un terzo a noi ignoto che abbia preso il suo nome il paese bagnato dal Fasi, questo paese era vicino all'Armenia, e alle sorgenti dell'Eufrate e del Tigri: la Colchide era in grandissima rinomanza per la quantità e la bontà dell'oro, onde arricchivanla i suoi fiumi e torrenti. Ne abbiamo una prova nella favola del vello d'oro. Vedi Plin. lib. 23. cap. 3.

2,12:Vi si trova il bdellio. La voce Ebreo bedolah è pochissimo conosciuta. L'Arabo, il Siro e molti altri interpetri credono, che significhi la perla: e benché non si peschino in oggi perle nel Fasi, ciò non farebbe difficoltà; perché può essere accaduto, che o sieno state esaurite, o non se ne faccia ricerca; oltre di che se ne pescano ne' mari vicini: le che serve a spiegare l'espressione di Mosè. Ma tenendosi alla versione della volgata, il bdellio e una specie di gomma odorosa, di cui Plin. lib. XII. cap. 9.

2,13:Il nome del secondo fiume è Gehon. L'Arasse nasce nell'Armenia sul monte Ararat, in distanza di 6000 passi dall'Eufrate, e va a scaricarsi nel mare Caspio. Il nome di Gehon conviene benissimo a questo fiume come quello, che denota l'impetuosità della sua corrente; la quale impetuosità fu dimostrata da Virgilio, che scrisse lib. VIII. AEneid.
Il ponte Da dosso si scotea l'Armenio Arasse.
Ed è quello, che gira attorno alla terra d'Etiopia. Ovvero, come ha l'Ebreo: attorno alla terra di Chus. Queste parole l'anno una grave difficoltà. Non possiam negare, che ordinariamente nelle Scritture la terra di Chus sia l'Etiopia; e tale e anche l'interpetrazione de' LXX. e di S. Girolamo. Contuttociò il celebre Bochart ha dimostrato, che fa d'uopo riconoscere nelle Scritture più d'un paese, che abbia portato il nome di Chus, per essere stato abitato, e popolato da'discendenti di Chus figliuolo di Cham. Tale direm che fosse questo paese bagnato dal l'Arasse, conforme scrive Mosè. E non è forse improbabile, che questo nome di Chus siasi con qualche alterazione conservato nel nome degli Sciti, i quali, secondo vari antichi storici, abitaron da prima presso l'Arasse. Imperocchè Chus secondo l'inflessione del dialetto Celtico, di cosi Cuth, onde poi i Cuthi, ovvero gli Sciti. Vedi il Calmet.

2,14:Il Tigri, che scorre verso gli Assirj. L'Assiria, o sia il paese di Assur, per consenso de' più antichi scrittori, era di là del Tigri; e ciò crediamo, che abbia voluto significare Mosè. La sorgente di questo fiume è nella grande Armenia. Vedi Plin. Lib. VII. cap. 2.
Il quarto fiume egli è l'Eufrate. Per testimonianza di Strabone e di Plinio, questo fiume (il quale nelle Scritture è detto semplicemente il fiume, ovvero il gran fiume) nasce sul monte Abo, o sia Aba nell'Armenia.

2,15:Il Signore Dio adunque prese l'uomo, e lo collocò nel paradiso ec. l'uomo adunque fu creato fuora del paradiso, affinchè riconoscesse come un avere e benefizio di Dio, e non come una cosa dovuta alla sua natura la sorte d'avere un albergo così felice.
Affinché lo coltivano, e lo custodisce. Dio non vuole, che l'uomo, benché provveduto di tutto e fornito d'ogni sorta di delizie, passi il suo tempo in una molle oziosità. Egli dee occuparsi nella cultura del paradiso per conservarne l'amenità, e guardarlo degli oltraggi degli animali: ma la sua occupazione sarà senza affanno e stanchezza; sarà un onesto esercizio, non un faticoso lavoro. Sarà egli uno strano pensamento (dice S. Agostino) il credere che l'uomo collocato nel paradiso dovesse esercitare l'agricoltura non con travaglio di servo, ma per onesto piacere dell'anima? Vedi anche il Grisostomo hom. 14 in Gen.

2,17:Non mangiarne: imperocchè in qualunque giorno tune mangerei indubitatamente morrai. Dio (come notò S. Basilio di Seleucia) affisse, per cosi dire, all'albero questo comandamento. Egli esige dall'uomo obbedienza; e quanto sia grande e importante questa virtù, e come da se sola basti a tener l'uomo unito con Dio, gliel fa conoscere con proibirgli di astenersi da una cosa non mala, dice S. Agostino de peccat. mer. et ram. cap. 21. Aggiunge la terribil minaccia: tu indubitatamente morrai: ch'è quanto dire diverrai soggetto alla morte, diverrai mortale, come hanno alcune versioni: tu non avrai più diritto a' frutti dell'albero della vita, e non avrai più alcun mezzo o aiuto per tener lontana la morte: ogni passo, ogni momento ti torrà una parte delle tue forze, e ti menerà verso il sepolcro. La morte adunque è pena del peccato: Per un uomo entrò nel mondo il peccato, e pel peccato la morte e così ancora a tutti gli uomini si stese la morte, (perchè) tutti in lui (in Adamo) peccarono, Rom. v. 12. Concil. Trid. sess. 7. Sap. I. 13. II. 23. 24.

2,18:Non è bene, che L'uomo sia solo. Mosè viene adesso per una maniera di recapitolazione ad esporre più diffusamente quello che avea solamente accennato nel capo 1. Vers, 27. Imperocchè nissuno dee dubitare, ch'Eva fosse creata, come Adamo, nel sesto giorno, dicendo ivi Mosè: li creò maschio e femmina.
Facciamogli un aiuto, che a lui rassomigli. Diamogli una compagna simile a lui per la condizione di sua natura, capace perciò di concorrere coll'uomo all'esecuzione de' miei di segni, e di unirsi con esso lui a lodarmi e rendermi grazie de' benefizii fatti da me a tutte le creature.

2,19:Li condusse ad Adamo, ec. Prima di dare all'uomo l'aiuto, che li mancava, Dio fa passare, come in rivista, dinanzi a lui tutti gli animali, affinchè egli col lume datogli dal Signore distingua, a che possa essergli utile ciascuno di essi, e come padrone di tutti imponga loro il nome, che più convenga.
Ognun de' nomi, che diede Adamo.. è il vero nome di essi. E nome conveniente, adattato alla natura di ciascuno degli animali; lo che dimostra la profonda sapienza data da Dio al primo uomo. Ma da queste parole viene ancora ad inferirsi, che i nomi dati da Adamo agli animali eransi conservati fino a Mosè nel linguaggio, in cui questi parlava; lo che proverebbe, che il linguaggio del primo uomo fu l'Ebreo. Il celebre Bochart. ha dimostrato con molto etimologie la grande conformità, che passa tralla natura degli animali e i nomi, che questi hanno nella lingua Ebreo; e possiamo ben credere, che ciò si dimostrerebbe anche meglio, se maggiori cognizioni aver potessimo della medesima lingua. Vedi Giuseppe Antiq. tib. I. cap. 1. Comunemente gl'Interpetri, dopo S. Agostino (lib. 9. da Gen. ad lit. cap. 12.), credono, che i pesci non dovettero comparire dinanzi ad Adamo cogli altri animali; e il testo medesimo sembra favorevole a questa opinione.

2,20:Ma non si trovano per Adamo ec. Adamo, benché vedesse negli animali molti tratti della sapienza infinita del Creatore, non trovò però in alcuno di essi nulla di simile alle doti interiori ed esteriori, ond'egli era adorno.

2,21:Un profondo sonno. Tale è il significato della voce originale, in luogo della quale i LXX traducono estasi. Adamo dunque in questo sonno mandatogli da Dio la rapito fuor di se stesso, e coll'animo libero e sciolto da' sensi non solo vide quello, che Dio fece sopra di lui, ma ne intese ancora tutto il mistero. Egli in questo punto entrando nel santuario di Dio, ebbe l'intelligenza delle ultime cose, dice S. Agostino.
Gli tolse una delle sue costole, ec. Chi avrebbe immaginato nel Creatore una si straordinaria invenzione per formare una donna? Ma quanto così diviene sensibile la relazione tralla figura e la cosa figurata! Dorme Adamo (dice S. Agostino), affinché Eva sia formata; muore Cristo affinché sia formata la Chiesa; a Cristo morto è traforato il costato, affinché ne sgorgano i Sacramenti, pe' quali si formi la Chiesa, Sent. 328.

2,23:Questo adesso osso delle mie ossa. ec. Adamo riscosso dalla sua estasi mentre DIO presenta a lui la sua compagna, riconosce in essa un'immagine degna di se, e come un altro se stesso.

2,24:Lascerà l'uomo il padre ma ec. Queste parole sono riferito da Gesù Cristo. Math. III. 5. come parole di Dio a dimostrare l'indissolubilità del matrimonio; lo che dimostra che per istinto dello spirito di Dio furon proferite da Adamo. Elle sono stato e saranno per tutti i secoli la legge immutabile dell'unione legittima dell'uomo e della donna, anche dopo che, sollevatesi nel cuor dell'uomo la inquiete passioni hanno renduta difficile e penosa all'uomo non più innocente una tal legge. Vedi 1. Cor. VII. 3. l'Apostolo ci ha anche insegnato a riconoseere nell'unione di Adamo con Eva il mistero di Cristo e della sua Chiesa, Gal. v. 3. 24. ec.

2,25:Erano ignudi; e non ne aveano vergogna. Non era ancora avvenuto nell'uomo quello strano cangiamento per ragione del quale la carne desidera contro lo spirito, e lo spirito contro la carne. Nissun contrasto essendovi tra l'uomo interiore e l'esteriore, non eravi onde arrossire della nudità. Ma sentiamo qui Agostino, ch'espone il felice stato dell'uomo innocente. L'uomo vivea nel paradiso, com' egli volea, mentre quello egli volea, ch'era stato da Dio ordinato. Vivea godendo di Dio; della bontà del quale egli era buono. Vivea senza bisogno, e avea potestà di vivere sempre così. Avea comodo il cibo per non patire la fame; avea l'albero della vita, perché non venisse a discioglierlo la vecchiezza. Nissun'ombra di corruzione nel corpo, per cui fosse data a' sensi di lui alcuna molestia. Nissuna malattia al di dentro, nissuna offesa si temeva al di fuora. Sanità perfetta nella carne, tranquillità assoluta nell'anima. Come nel paradiso non era né caldo, né freddo; così in colui, che vi abitava, non era alterato il buon volere né da cupidità, mi da timore. Nissuna malinconia. Nissuna vana allegrezza. Un vero perpetuo gaudio scendeva in lui da Dio, verso di cui portavasi l'ardente carità di cuore puro, di buona coscienza, e di fede non finta. Vegliavano di concordia la mente e il corpo: osservavasi senza fatica il comandamento; nel gravava né l'ozio, nè la stanchezza; ne cadeva sopra di lui il sonno, se non volontario.