Scrutatio

Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

Prima lettera ai Corinzi 13


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Necessità della carità, uffizj della medesima, sua perpetuità, ed eccellenza sopra la fede, la speranza, e gli altri doni.

1Quand'io parlassi le lingue degli uomini, e degli Angeli, se non ho la carità, sono come un bronzo suonante, o un cembalo squillante.2E quando avessi la profezia, e intendessi tutti i misterj, e tutto lo scibile: e quando avessi tutta la fede, talmente, che trasportassi le montagne, se non ho la carità, sono un niente.3E quando distribuissi in nudrimento de' poveri tutte le mie facoltà, e quando sacrificassi il mio corpo ad esser bruciato, se non ho la carità nulla mi giova.4La carità è paziente, e benefica: la carità non è astiosa, non è insolente, non si gonfia,5Non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si muove ad ira, non pensa male,6Non gode dell'ingiustizia, ma fa suo godimento del godimento della verità:7A tutto s'accommoda, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.8La carità mai vien meno: ma le profezie passeranno, e cesseranno le lingue, e la scienza sarà abolita.9Imperocché imperfettamente conosciamo, e imperfettamente profetiamo.10Venuto poi che sia quello, che è perfetto, sarà rimosso quello, che è imperfetto.11Allorché io ero bambino, parlava da bambino, aveva gusti da bambino, pensava da bambino. Divenuto poi uomo, ho mandato via quelle cose, che erano da bambino.12Veggiamo adesso a traverso di uno specchio, per enimma: allora poi faccia a faccia. Ora conosco in parte: allora poi conoscerò in quel modo stesso, ond'io son pur conosciuto.13Ora poi resta la fede, la speranza, la carità, queste tre cose: la più grande però di queste è la carità.

Note:

13,1:Quando io parlassi le lingue degli uomini, ec. Il dono delle lingue era molto stimato da' Corinti. Per questo l'Apostolo volendo dare ad intendere la eccellenza della carita sopra tutti i doni, dai quali taluno prendea talvolta argomento di vanagloria, da questo dono comincia.
E degli Angeli. Non vuol dire con questo, che gli Angeli abbiano lingua: ma che quando parlasse e tutte le lingue, che si parlan dagli uomini, e quelle ancora, che parlar potrebbero gli Angeli, se avessero lingue, mancando a lui la carità, sarebbe lo stesso, che se null'altro fosse, che un vano suono insignificante, capace forse di dilettare, o di essere in qualche modo utile agli altri, ma non di giovare a se stesso, e di essere buono per se medesimo: imperocchè e questo, e gli altri doni può avere un uomo, e perdere la salute.

13,2:E quando avessi la profezia, ec. Il dono di conoscere per divina rivelazione le cose occulte, particolarmente le divine; e perciò a questa aggiugne l'Apostolo la sapienza, vale a dire la scienza delle cose divine, dei misteri di Dio. Lo scibile poi riguarda la cognizione delle cose umane, delle loro cause, ed effetti.
Sono un niente. Sono di niuna considerazione, di nessun pregio riguardo a Dio.

13,3:E quando distribuissi ec., e quando sacrificassi il mio corpo ec. Intendasi, quando ciò pur facessi per la confessione del nome di Cristo. Ed è ancor da notare, che con queste due specie di opere, di soccorrere i poveri, e di patire per la fede, tutto comprendesi il bene, che può farsi dall'uomo, e tutto questo dice l'Apostolo, che nulla giova a chi non ha la carità; conciossiachè, come dice s. Agostino, inutilmente ha tutte le cose, chi non ha quell'una, per mezzo di cui delle altre tutte utilmente si vaglia: e un altro assioma del medesimo Padre si è: Se questa manchi, in vano si avranno tutte le altre co se; avuta questa tutte relativamente si posseggono. Non giova adunque quanto al merito di vita eterna (la quale a que' soli, che amano Dio, è promessa) nè la beneficenza verso de' prossimi, nè la pazienza stessa ne' tormenti per la fede sofferti, dove manchi la carità. Il Grisostomo, e s. Basilio osservano, che parla qui l'Apostolo condizionatamente, e per una maniera di iperbole, onde vuol dire: se dar si potesse, che io soffrendo il martirio per la fede, senza carità lo soffrissi; nulla a me gioverebbe lo stesso martirio.

13,4: La carità è paziente, ec. Descrizione ammirabile della carità, quale non da altri potea dettarsi, che da un cuore pieno di essa. Dopo averne dimostrato di sopra la necessità, ne dimostra adesso l'utilità e l'efficacia, perchè tutte le opere di virtù si esercitano mediante la carità. Ella è paziente, vale a dire, fa, che pazientemente si soffra tutto quello che di avverso, e penoso può avvenire in questo mondo.
È benefica. La benignità significa la propensione a far bene, ed a giovare a tutti gli uomini; onde quel greco proverbio: L'uomo benigno è un bene comune.
Non è astiosa. Fa, che non si invidii il bene del prossimo ec.
Non è insolente. Si intende contro del prossimo.
Non si gonfia. Non si innalza superbamente sopra degli altri.

13,5:Non è ambiziosa. Il greco secondo la interpretazione del Grisostomo porta: non è schizzinosa; vale a dire, non teme, che possa recarle disonore qualunque ufficio, in cui ella possa giovar ai prossimi.

13,6: Fa suo godimento del godimento della verità. Nobilmente esprime l'Apostolo il carattere della vera carità, la quale quanto si affligge de' peccati, ne' quali vede cadere i fratelli, altrettanto si consola e gode del bene, che questi fanno, essendo proprio del buon servo e fedele, come dice s. Ilario, di godere de' guadagni del padrone, e di attristarsi delle sue perdite.

13,7: A tutto s'accomoda. Così s. Cipriano: il greco però può tradursi: cnopre tutto, intendendo degli errori, e mancamenti de' fratelli; gli dissimula, non gli propala.
Tutto crede. Crede del prossimo tutto quello che si può creder di bene, non essendo sospettosa la carità, ma sempre inclinata alla parte migliore.
Tutto spera. Non dispera mai nè della conversione, nè dell'avanzamento, e perfezione de' fratelli. S. Tommaso, ed altri spiegano questo credere, e questo sperare della virtù della fede, e della speranza nelle divine promesse. Ma la prima spiegazione sembra più coerente al disegno dell'Apostolo.
Tutto sopporta. Porta con pazienza, e tollera i mali, che le sono fatti, e i nemici, da' quali le vengono fatti. La Volgata potrebbe anche tradursi: tutto aspetta con pazienza: intendendo ciò delle promesse di Dio, quantunque talor differite per lungo tempo.

13,8: La carità mai vien meno. Dura, e durerà mai sempre anche nella vita avvenire, anche per tutta l'eternita.
Ma le profezie ec. Non avrà luogo nella vita futura nè la predizione delle cose future, nè la sposizione de' misteri, nè la varietà de' linguaggi, nè il dono della scienza data da Dio, affine di persuadere la verità della religione per mezzo delle cognizioni umane. Nulla di tutto questo rimarrà nella perfezione della vita avvenire; non le profezie, perchè niuna cosa potrà esser rimota alla cognizione de' beati, i quali tutto vedranno in Dio; non le lingue, perchè saran tutte intese da tutti; non finalmente la scienza imperfetta e manchevole, qual può aversi di presente, come osserva l'Apostolo nel versetto seguente.

13,9-10: Imperfettamente conosciamo, e imperfettamente profetiamo ec. Conosciamo, ma come si può conoscere in uno stato d'imperfezione, e profetiamo, perchè siamo in uno stato d'imperfezione, e la nostra scienza, e il dono di profetare è adattato alle circostanze, e al bisogno di uomini viatori, quali noi siamo. Nello stato poi di perfezione sarà tolta ogni imperfezione, sollevato l'intel letto dell'uomo a veder tutto, e tutto conoscere in Dio.

13,11: Allorchè io era bambino, ec. Con leggiadrissima similitudine cerca l'Apostolo di far intendere la differenza, e la distanza infinita dallo stato presente al futuro. Siamo come fanciulli in questo secolo, nel quale riceviamo, per così dire, i primi rudimenti della nostra esistenza, e della cognizione delle cose celesti, delle quali non parliamo, se non come fanciulli, nè sappiamo pensarne, se non, come fanciulli, oscuramente, imperfettamente. Ma noi aspettiamo la fine di quest'infanzia, e la perfetta nostra virilità; allora si, che noi, cangiata in visione la fede, penseremo da uomini fatti, e ragioneremo da creature perfette.

13,12: Veggiamo adesso a traverso ec. Noi non veggiamo Dio nella vita presente, se non nella luce riflessa, che di lui tramandano agli occhi nostri le creature, per le quali le invisibili cose di Dio da noi si conoscono, Rom. I. Ma quantunque nelle creature tutte mirabilmente risplendano la potenza, la bontà, la sapienza, e gli altri attributi di Dio, con tutto ciò nè gli stessi attributi possiam chiaramente comprendere, quali essi sono, nè idea formarcene se non confusa, e troppo dal vero lontana: e perciò soggiugne Paolo, che non veggiamo, se non per enimina, che vuol dire oscuramente, essendo l'enimma una maniera di discorso oscuro, ed intrigato.
Allora poi faccia a faccia. Ora conosco in parte: allora poi ec. Quando veggiamo una cosa in uno specchio, non la cosa stessa veggiamo, ma l'immagine di essa, come abbiam detto. Non così da noi nell'altra vita vedrassi Dio, e tutte le cose in lui, ma lo vedremo qual egli è (I. loann. III.), lo vedrem chiaramente, distintamente, e faccia a faccia nella sua propria essenza. Io benchè Apostolo, dice Paolo, benchè rapito al cielo, in parte, cioè imperfettamente conosco adesso quello che conosco di Dio; ma allora lo conoscerò, come sono da lui conosciuto; in quella stessa guisa, che l'intimo essere mio da Dio è conosciuto, e veduto, nella stessa guisa conoscerò io pure, e vedrò il mio Dio. Notisi, che non vuol dire l'Apostolo, che avremo cognizione di Dio eguale a quella, che Dio ha di noi, ma bensì simile.
Il Grisostomo ed altri danno a queste parole: come io son pur conosciuto, un senso più ampio, aggiungendo alla cognizione l'amore, onde dice l'Apostolo: Nella stessa guisa, che Dio pria mi conobbe, quando io andava lontan da lui, e cercommi, e a sè mi trasse, affinchè lo conoscessi, lo cercassi, e lo amassi; così allora io conoscerò quel che egli è in se stesso, e quello che egli è riguardo a me, e a lui correrò, e in lui mi immergerò.

13,13: Ora poi resta la fede, la speranza, la carità, ec. Nel secolo presente restano come necessarie per tutti queste tre virtù a differenza dei doni, i quali non sono di assoluta necessita, e possono cessare anche nella vita presente, come hanno già in grandissima parte cessato.
Queste tre cose. Numero sagro, la qual cosa è notata dall'Apostolo, perchè queste tre virtù hanno visibilmente relazione alle tre divine persone; la fede al Padre, da cui comincia la dichiarazione della nostra credenza esposta nel simbolo; la speranza al Figliuolo, per cui siamo al Padre condotti; la carità allo Spirito santo, il quale è l'amore del Padre, e del Figliuolo. Di queste tre la carità è la maggiore, perchè ella è che a Dio simili ci rende, e a Dio ci congiunge, e perchè senza di questa sono inutili le altre due, come disse fin dal principio; onde s. Ignazio martire: la fede èprincipio di vita; il fine della rita è la carità.