Scrutatio

Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

Prima lettera ai Corinzi 4


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Come non si dee temerariamente giudicare de' ministri di Dio. Riprende i Corinti, per chè si gloriavano de' ministri, e de' doni ricevuti, e innalzando se stessi disprezzavano gli stessi Apostoli, benché Paolo gli avesse in Cristo generati. Dice, che in breve andrà a Corinto per riconvenire i falsi Apostoli.

1Così noi consideri ognuno come ministri di Cristo, e dispensatori de' misteri di Dio.2Del resto poi ne' dispensatori ricercasi, che sian trovati fedeli.3A me poi pochissimo importa di essere giudicato da voi, o in giudizio umano: anzi nemmeno io fo giudizio di me medesimo.4Imperocché non sono a me consapevole di cosa alcuna: ma non per questo sono giustificato: e chi mi giudica, è il Signore.5Per la qual cosa non vogliate giudicare prima del tempo, fin tanto che venga il Signore: il quale rischiarerà i nascondigli delle tenebre, e manifesterà i consigli de' cuori: e allora ciascheduno avrà lode da Dio.6Or queste cose, o fratelli, le ho in figura trasportate sopra di me, e di Apollo per riguardo a voi: affinchè per mezzo di noi impariate, onde di là da quel, che si è scritto, non si levi in superbia l'uno sopra dell'altro per cagion di un altro.7Imperocché chi è, che le differenzia? E che hai tu, che non lo abbi ricevuto? E se lo hai ricevuto, perché ne fai tu boria, come se non lo avessi ricevuto?8Già siete satolli, già siete arricchiti: senza di noi regnate: e voglia Dio, che regniate, affinchè noi pure con voi regniamo.9Imperocché io mi penso, che Dio ha esposti noi ultimi Apostoli, come destinati alla morte: conciossiachè siamo fatti spettacolo al mondo, agli Angeli, ed agli uomini.10Noi stolti per Cristo: e voi prudenti in Cristo: noi deboli, e voi forti: voi gloriosi, e noi disonorati.11Fino a questo punto noi soffriamo la fame, e la sete, e siamo ignudi, e siamo schiaffeggiati, e non abbiamo dove star fermi.12E ci affanniamo a lavorar colle nostre mani: maledetti benediciamo: perseguitati abbiamo pazienza:13Bestemmiati porgiamo suppliche: siamo divenuti come la spazzatura del mondo, la feccia di tutti sino a questo punto.14Non per fare a voi vergogna, scrivo queste cose, ma come miei figliuoli carissimi vi ammonisco.15Imperocché quando voi aveste dieci mila precettori in Cristo, non avete però molti padri. Conciossiachè in Cristo Gesù io vi ho generati per mezzo del Vangelo.16Per la qual cosa siate (vi prego) miei imitatori, come io di Cristo.17Per questo hovvi mandato Timoteo, che è mio figliuolo carissimo, e fedele nel Signore; il quale vi ridurrà a memoria le vie, che io seguo in Cristo Gesù, conforme insegno dappertutto in tutte le Chiese.18Come se non fossi io per venire a voi, taluni si sono gonfiati.19Ma verrò in breve da voi, se il Signore lo vorrà: e disaminerò non i discorsi di quegli, che si sono gonfiati, ma la virtù.20Imperocché non istà il regno di Dio nelle parole, ma si nella virtù.21Che volete? Che io venga a voi colla verga, o con amore, e spirito di mansuetudine?

Note:

4,1:Noi consideri ognuno, come ministri di Cristo, ec. Avendo di sopra rimproverato a' Corinti, che oltre modo si gloriassero de' loro maestri, viene adesso a dire quel che sia in sostanza il ministero apostolico, affinchè e niuno di coloro, che a tal uffizio sono chiamati, si arroghi più di quello, che se gli conviene, e ne abbiano gli altri una giusta stima. Dice pertanto: quello, che di noi dee credere ogni uomo, si è, che noi siamo servi, ed economi del padre di famiglia, che è Cristo, e eletti da lui per dispensare i suoi doni ai membri della stessa famiglia. Questi doni sono i misteri, e la dottrina del Vangelo, ed i sagramenti della Chiesa. Non è certamente di poco pregio una tale autorità, mentre ella ci costituisce in certa guisa mediatori tra Cristo, e i fedeli: con tutto ciò ognun sa, che e gli economi, e i dispensieri non han padronanza, o dominio delle cose, che amministrano; imperocchè queste son del padrone, e al padrone debbon essi render conto della loro amministrazione.

4,2:Ne' dispensatori ricercasi, che sian trovati fedeli. Tutte le doti, che in un ministro di Cristo si ricercano, restringer si possono alla fedeltà, per cui non ad altro egli sia inteso nell'esercizio del suo ministero, che a procurare la gloria di Dio, e lo spirituale vantaggio delle membra di Cristo. In questo sta la sua gloria, e per questo vien celebrato allamente Mosè. Hebr. III. 5.

4,3-4:A me poi pochissimo importa ec. Di questa fedeltà, cosi essenziale al ministero ecclesiastico non è giudice l'uomo, ma Dio, e perciò io non mi metto in pena di quel che si giudichi intorno a me o presso di voi, o Corinti, od in qualunque altro tribunale, che umano sia; anzi quantunque a nissuna persona possa esser l'uomo più cognito, che a se stesso, non ardirei io però di portar sentenza sopra di me, sopra le opere mie, sopra le mie stesse intenzioni. Imperocchè quantunque di alcuna cosa non mi riprenda la mia coscienza, non per questo io ho una infallibile certezza di esser giusto, molte cose potendo esservi alla mia ignoranza nascose, per le quali non giusto, ma peccatore mi riconosca colui, che dice: Pravo è il cuore degli uomini, pravo, e imperscrutabile: chi potra giudicarne? Io signore, che le interiora disamino, e sono scrutatore de' cuori: Hierem. XVII. Al giudizio adunque di lui io rimetto me stesso, e lui aspetto, che intorno alla mia fedeltà pronunzi la sua sentenza.

4,5:Non vogliate giudicare prima del tempo, ec. Non prevenite adunque il giudizio di Dio, per non giudicar temerariamente: aspettate, che venga il Signore, e colla divina sua luce i cupi nascondigli delle umane coscienze rischiari, e il bene e il male di ogni uomo renda palese, e in faccia al mondo tutto disveli le intenzioni, i fini, i disegni, che ciascuno ebbe nell'operare anche il bene; e allora chi sarà degno di lode, la lode avrà non da giudice umano, ma si da Dio, e perciò sarà lode vera, lode giusta. Lascia l'Apostolo, che intendasi, che all'istesso modo giusto biasimo avrà, chi di biasimo e di condannazione sarà degno.

4,6:Or queste cose.... le ho in figura trasportate sopra di me, e di Apollo per riguardo a voi. Parlando l'Apostolo nel cap. 1. delle dissensioni di Corinto, avea dato luogo di pensare, che queste nate fossero per cagione de' veri predicatori del Vangelo, quali erano Cefa, Paolo, Apollo, ciascheduno de' quali avendo condotto alla fede una porzione de' fedeli di quella Chiesa, la smoderata affezione, che ognun di questi fedeli portava al proprio maestro, congiunta col disprezzo degli altri, cagionato avesse la divisione, e la discordia. Qui però egli ci fa sapere, che sotto il proprio suo nome, e sotto il nome di Cefa, e di Apollo aveva voluto indicare altri predicatori, e maestri, de' quali taceva il nome per rispetto di coloro, a' quali scriveva, ed a' quali certamente non recava onore l'impegno, con cui contendevan tra loro per amore de' falsi Apostoli.
Affinchè per mezzo di noi impariate, onde di la da quel, che si è scritto, ec. Affinchè da quello, che vi ho detto parlando di noi stessi Apostoli del Signore, impatriate, come è ingiusta cosa, ed irragionevole, che per riguardo del maestro (chiunque egli sia) si levi in superbia un fratello contro l'altro fratello. Imperocchè se una tal discordia sarebbe insoffribile anche quando si trattasse di veri Apostoli, e maestri, quali per grazia del Signore siam noi, lo è molto più ora, che per cagione di falsi maestri ella è nata. Quelle parole: di là da quel, che si è scritto: le riferisco a quello, che sopra tal dissensione avea detto l'Apostolo ne' capi precedenti, parlando sempre figuratamente de' falsi maestri sotto i nomi di Paolo, Apollo ec.

4,7:Chi è, che te differenzia? ec. In questo versetto alcuni Interpreti credono, che s. Paolo parli ai maestri, per cagione de' quali erano i Corinti in discordia. Altri poi indifferentemente lo applicano ai discepoli, come ai maestri. La prima opinione sembra pin verisimile. Vuole l'Apostolo reprimere la superbia di coloro, i quali pel loro talenti erano altamente ammirati in Corinto, onde coll'aura popolare, che godevano, si innalzavano fuor di misura contro gli stessi Apostoli. Suppone adunque l'Apostolo, che siano in costoro delle doti, e delle preroga tive non ordinarie: ma dice egli a ciascun di essi: chi è, che te differenzia? Vale a dire, chi è, che ti fa superiore agli altri tuoi fratelli nelle grazie, e ne' doni, pe' quali se' montato in superbia? Certamente Dio è quegli, che te ha distinto sopra degli altri; perchè adunque ti insuper bisci contro il tuo prossimo?
Ma queste parole possono avere eziandio un senso più sublime, e riferirsi a quella separazione, che Iddio fa di un uomo dalla massa di perdizione, e in questo senso le intese s. Agostino, ed alcuni antichi concili, e s. Tommaso; e secondo questa interpretazione ottimamente da queste parole si inferisce, che tutto quello che di bene ha l'uomo, come le virtù, la cooperazione alla grazia, il consenso della volontà, ec., tutto deve rifondersi nell'autore, e donatore di ogni bene. E questo secondo senso resta confermato dalle parole, che seguono: che hai tu, che non abbi ricevnto le quali sembrano una spiegazione delle prime. Tu se' stato separato, e distinto, e segregato da tanti altri uomini non per opera tua propria, ma sì di Dio; ma se'tu forse stato segregato per alcuna cosa, che fosse in te, che degna fosse della predilezione di Dio Mai no. Imperocchè tu nulla hai, che non sia stato a te dato dal medesimo Dio. Perchè adunque di quello, che hai, ti glori, come se non da Dio ti fosse venuto, ma acquistato lo avessi con la tua industria e fatica?

4,8:Già siete satolli, già siete arricchiti; senza di noi regnate: e voglia Dio, che ec. Deride qui giustamente l'Apostolo la presunzion di costoro: voi già siete pieni di dottrina, niuna cosa omai più vi manca, per cui d'uopo siavi di ricorrere da noi Apostoli, siete anzi in tale abbondanza, che de' vostri tesori altrui potete far parte. Quindi è, che con assoluta potestà governate, e regnate nella Chiesa di Dio, e il maggior vostro trionfo si è di regnare senza di noi, che siamo esclusi dal vostro con sorzio. E volesse pur Dio, che veramente regnaste in quella guisa, che dee regnare un maestro della verità, vale a dire, che in Cristo, e per Cristo regnaste, onde il vostro regno fosse tutto indiritto a procurar la salute de' Corinti; non invidieremmo a voi un tal regno, che anzi parrebbe a noi di esserne a parte, e ci crederemmo felici per la vostra felicità.

4,9:Io mi penso, che Dio ha esposti noi ultimi Apostoli, come destinati alla morte; ec. Avendo dipinto l'Apostolo il carattere de' falsi maestri nel verso precedente, viene adesso a rappresentare la figura de' veri Apostoli di Gesù Cristo: ne' primi spira per ogni parte la vanità, la superbia, l'impero; in questi risplendono la umiltà, la mansuetudine, i patimenti, gli obbrobri sofferti per Cristo. Primieramente parlando e di sè, e degli altri Apostoli suoi colleghi, dice: io mi penso, che noi altri Apostoli, a' quali da questi nuovi maestri appena è concesso l'infimo luogo tra' fedeli, noi ha Dio esposti agli occhi di tutti come uomini condannati a combattere nell'anfiteatro contro le bestie, vale a dire come uomini della ultima, e più miserabile condizione. I Romani si dilettavano del barbaro e crudele spettacolo de' gladiatori, i quali talor combattevano tra di loro nell'anfiteatro fino alla morte, talora contro bestie feroci, tori, leoni, tigri, orsi, ec. In cambio de' veri gladiatori allevati per questo crudele mestiere eran talora condannati, ed esposti alle bestie i rei di gravi delitti, e questa maniera di morte soffrirono frequentemente i cristiani ne' tempi delle persecuzioni, e frequentemente udivasi ne' teatri, e nelle adunanze de' pagani quella voce inumana; i Cristiani alle bestie. Siamo fatti spettacolo al mondo, agli Angeli, ed agli uomini. Fatti per servir di spettacolo al mondo tutto, che ha gli occhi sopra di noi; vale a dire spettacolo agli Angeli, ai buoni Angeli, che accorrono per nostro, conforto, ai cattivi Angeli, che ci odiano, e ci perseguitano; spettacolo agli uomini e buoni, e cattivi: i primi rimirano con piacere gli esempi, che noi diamo lor di pazienza; i secondi ci deridono, e delle nostre pene si pascono. Ecco quel mondo, che per differenti motivi sta osservando i nostri combattinenti, e con eguale avidità il fine aspetta di nostra scena.

4,10:Noi stolti per Cristo, e voi prudenti in Cristo; ec. Noi stolti per amore di Cristo, per cui ci esponiamo senza riguardo ai tormenti, ed alla morte; voi a giudizio vostro prudenti in Cristo, mentre il Vangelo, e la dottrina di lui predicate, ma schivate cautamente i pericoli di patire, e di essere perseguitati per simil cagione. Noi deboli, cioè miseri, ed afflitti pe' mali, che incontriamo continuamente; voi forti, che colla vostra industria, e per mezzo degli amici, che avete nel mondo, tenete lontana da voi la tribolazione; voi gloriosi presso i Corinti per la eloquenza, e per la scienza mondana; noi disonorati e presso di voi, che avete rossore della nostra rozzezza, e presso il mondo tutto, che ci perseguita, e ci detesta.

4,11:Fino a questo punto noi soffriamo la fame, e la sete, e siamo ignudi ec. Dal principio della nostra predicazione fino a questo tempo, in cui io vi parlo, il tenore di nostra vita non si è mai cangiato; a noi tocca a mancare del necessario per sostentare la vita, di cibo, di bevanda, e fino di veste acconcia a coprirci dalle ingiurie delle stagioni.
E siamo schiaffeggiati. A noi tocca il patire trattamenti obbrobriosi, e crudeli.
E non abbiamo dove star fermi. Sbalzati continuamente dalla furia della persecuzione d'un luogo in un altro, niun riposo è concesso nè al nostro spirito, nè al nostro corpo.

4,12:E ci affanniamo a lavorar colle nostre mani. Abbian veduto anche negli Atti, che l'Apostolo lavorava per guadagnare col sudore della sua fronte tanto da sostentarsi per non essere d'aggravio ad alcuno, e per dare esempio a' fedeli di fuggir l'ozio. E questa, e altre cose, che del suo Apostolato racconta Paolo, sono da lui raccontate a confusione de' falsi Apostoli di Corinto, i quali ben lungi dal fare, o patire alcuna di tali cose per il Vangelo, dal Vangelo anzi ricavavan lucro ed onore.

4,13:Bestemmiati porgiamo suppliche. Offesi con parole d'improperio porgiamo suppliche a Dio per chi ci bestemmia, rendendo il bene per male secondo il precetto di Cristo.
Queste parole pero possono anche interpretarsi in questa guisa: porgiamo suppliche; vale a dire rispondiamo con umiltà, e in aria di supplichevoli.
Divenuti come la spazzatura.... la feccia di tutti ec. Siamo riguardati dagli uomini come la feccia del genere umano, i più vili di tutti i mortali, e come degni di essere rigettati dal consorzio degli uomini.

4,14:Non per fare a voi vergogna, scrivo queste cose. Dopo espresse le note, e i segni del vero apostolato, e posto tacitamente in confronto co' falsi dottori il carattere de' veri, rivolge l'Apostolo le sue parole a' fedeli di Corinto. Io, dice, non iscrivo a voi queste cose per farvi arrossire della ingiusta preferenza, che date a' vostri maestri sopra di noi dopo tutto quello che abbiam fatto, e patito per il Vangelo, e per voi; ve lo scrivo bensi come a figliuoli, che con affetto paterno io amo, per ammonirvi, come pur debbo.

4,15:Quando voi aveste dieci mila precettori in Cristo, ec. Voi potete avere quanti precettori a voi piace, i quali vi istruiscano, e si adoperino a formare la vostra vita, e i vostri costumi secondo Cristo, e il Vangelo; ma dei padri un solo ne avete, e questo padre sono io stesso, che vi ho generati alla vita spirituale mediante la fede, che a voi predicai, non essendovi ella ancora stata predicata da altri: la qual cosa effetto fu non della mia propria virtù, ma della grazia di Gesù Cristo. Or l'amore, e la sollecitudine di tutti i vostri precettori agguagliar non potrà giammai l'amore di un padre, nè la sollecitudine d'un padre pel vostro bene.

4,16:Siate.... miei imitatori, come io di Cristo. È proprio de' buoni figliuoli il seguire le tracce del padre. Imitate adunque me vostro padre: nè equesta imitazione è impossibile, mentre io imito lo stesso Cristo; anzi per questo appunto debbo essere imitato da voi, perchè imito Gesù Cristo. Avvertimento importante, dice s. Tommaso, per le persone subordinate all'altrui podestà, le quali sono tenute a imitare i superiori, ma solo in quanto questi imitano Gesù Cristo.

4,17:Per questo hovvi mandato Timoteo, ec. Ed affinchè la maniera di imitarmi sempre più impariate, ho spedito a voi Timoteo, il quale per l'imitazione della mia vita è a me in luogo di caro figlio, ed amato da me con affetto veramente paterno. Egli vi ridurrà a memoria la via, e il sistema, ch'io tengo nel conversare, e nel predicare secondo la dottrina di Cristo Gesù, che è quella, che vien da me insegnata in tutte le Chiese. Imperocchè quello che a voi ho insegnato, insegnato lo ho ancora a tutti i fedeli, nè alcuna cosa ingiungo a voi, ch'io non abbia ingiunta a tutti gli altri.

4,18:Come se non fossi io per venire ec. Parla di coloro, i quali dalla sua assenza prendevano ardimento di insolentire, e di turbare la Chiesa con le loro fazioni. Intende egli anche qui i maestri, de' quali ha parlato di sopra.

4,19:Verrò.... e disaminerò non i discorsi.... ma la virtù. L'intenzione di Paolo era di seguir dappresso Timoteo per portarsi a Corinto, ma nol potè fare almen così presto, onde scrisse la seconda sua lettera. Dice adunque, che giunto ch'ei sia a Corinto, disaminera non le belle parole, nè gli studiati ragionamenti di coloro, che in sua assenza si erano arrogati l'assoluto governo de' fedeli di quella Chiesa, ma bensì la virtù, vale a dire l'efficacia della loro predicazione,e il frutto, che avran prodotto le loro parole, ed il loro governo: imperocchè da questo si conoscerà, quale sia il loro merito, e di quale stima sian degni.

4,20:Non istà il regno di Dio ec. Il regno di Dio, vale a dire la perfezione cristiana,per la quale Dio regna negli animi de' fedeli, non consiste nell'abbondanza delle parole, ma nella virtù, e nella santità de' costumi. Vedi Matth. VII. 21.

4,21:Che volete? Che io venga ec. Minaccia a' Corinti la correzione indicata per la verga, che è propria del padre, ma insieme come padre desidera, che si risolvano di ripararsi dal gastigo, correggendo essi stessi, ed emendando i lor mancamenti, ond'egli abbia luogo di comparir tra di loro non con aria di severità, ma con tutte le dimostrazioni di affetto, e di dolcezza.