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Giovedi, 18 aprile 2024 - San Galdino ( Letture di oggi)

Lettera ai Romani 7


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A somiglianza della donna, cui è morto il marito, noi siam per Cristo sciolti dalla legge, per lo quale l'affetto al peccato più veemente rendevasi, affinchè serviamo a Cristo nella novità dello spirito. Con l'occasion della legge, che vieta il peccato, si dilatò, e crebbe lo stesso peccato, abbenchè santa, e spirituale fosse la legge; anzi anche adesso combattuti dal fomite della carne siamo sollecitati, benché contro nostra voglia, a quelle cose, le quali secondo la ragione detestiamo, e sono contrarie alla legge.

1Non sapete voi, o fratelli, (imperocché con persone perite della legge io parlo), che la legge all'uomo impera, Uno che egli vive?2Imperocché la donna soggetta ad un marito è legata per legge al marito vivente: che se questi venga a morire, è sciolta dalla legge del marito?3Per la qual cosa vivente il marito, sarà chiamata adultera, se stia con altro uomo: morto poi il marito, è sciolta dalla legge del marito: onde non sia adultera se stia con altro uomo.4Così anche voi, fratelli miei, siete morti alla legge pel corpo di Cristo: affinchè siate di un altro, il quale ri suscitò da morte: onde frutti portiamo per Iddio.5Imperocché quando noi eravamo (uomini) carnali, le affezioni peccaminose occasionate dalla legge agivano nelle nostre membra per produr frutti di morte:6Ma adesso siamo sciolti dalla legge di morte, cui eravamo legati, affinchè serviamo secondo il nuovo spirito, non secondo l'antica lettera.7Che diremo adunque? La legge è ella un peccato? Mai no. Ma io non ho conosciuto il peccato, se non per mezzo della legge: imperocché io non conosceva la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare.8Ma il peccato presa occasione da quel comandamento, cagionò in me ogni cupidità. Imperocché senza la legge il peccato era morto.9Io poi una volta senza legge vivea. Ma venuto il comandamento, il peccato tornò a rivivere,10E io morii: e si trovò, che quel comandamento dato per vita fu morte per me.11Imperocché il peccato, presa occasione da quel comandamento, mi sedusse, e per esso mi uccise.12Per la qual cosa la legge (è) santa, e il comandamento santo, e giusto, e buono.13Una cosa adunque, che è buona, si fé' morte per me? Mai no. Bensì il peccato affinchè apparisca, come il peccato per mezzo di una cosa buona manipolò per me la morte: onde divenisse il peccato eccessivamente peccatore per ragion del comandamento.14Imperocché sappiamo, che la legge è spirituale: ma io sono carnale, venduto (schiavo) al peccato.15Imperocché quello, che io fo, non intendo: dappoiché non fo il bene, che amo: ma quel male, che odio, quello io fo.16Che se fo quello, che non amo: come buona approvo la legge.17Adesso poi non lo fo già io, ma il peccato, che abita in me.18Imperocché so, che non abita in me, viene a dire nella mia carne, il bene. Perché il volere lo ho dappresso: ma di fare il bene interamente non trovo via.19Conciossiachè non fa il bene, che voglio: ma quel male che non voglio, quello io fo.20Che se io fo quel, che non voglio: non son già io, che lo fo, ma il peccato che abita in me.21Io trovo adunque nel voler io fare il bene, esservi questa legge, che il male mi sta dappresso:22Imperocché mi diletto nella legge di Dio secondo l'uomo interiore:23Ma veggo un'altra legge nelle mie membra, che si oppone alla legge della mia mente, e mi fa schiavo della legge del peccato, la quale è nelle mie membra.24Infelice me? chi mi libererà da questo corpo di morte?25La grazia di Dio per Gesù Cristo Signor nostro. Dunque io stesso con la mente servo alla legge di Dio, con la carne poi alla legge del peccato.

Note:

7,1:Non sapete voi, o fratelli (imperocchè... parlo), ec. Dopo aver dimostrato, che per la grazia di Gesù Cristo siam morti al peccato, viene adesso a farvedere, come per la medesima grazia siam liberati dalla servitù della legge. E parlando ai convertiti Giudei di soverchio affezionati alla legge di Mosè, contro di essi combatte con similitudini, e ragioni tratte dalla medesima legge. Dice egli adunque: la legge comanda all'uomo, fino a tanto che egli è vivo; imperocchè essendo data la legge per dirigere le azioni dell'uomo, ne viene in conseguenza, che per la morte dell'uomo si sciolga il vincolo della legge.

7,2-3:Imperocchè la donna ec.La donna, la quale secondo la parola della Genesi III. 16. è sotto la potestà del marito, è tenuta secondo la legge a, convivere col marito, fino a tanto che egli vive: morto lui ella è sciolta dalla legge del marito, o sia dalla legge del matrimonio; e ciò è tanto vero, che se darassi a un altro uomo, vi vente il primo marito, sarà ella condannata come adultera; lo che non accaderà quando, morto quello, ne sposi un altro.

7,4:Cosi anche voi...... siete morti alla legge pel corpo di Cristo. Nella stessa guisa essendo voi divenuti membri del corpo di Cristo, ed essendo morti, e sepolti con lui, conforme si è già veduto, è finito riguardo a voi l'impero della legge, e voi siete ad essa morti. Forse per non disgustare di soverchio i Giudei non dice l'Apostolo, seguendo il filo della similitudine: la legge è morta per voi: ma piuttosto voi siete morti alla legge: benchè dall'una cosa l'altra ne venga; imperocchè siccome morto uno de' due coniugi, si scioglie d'ambe le parti il vincolo del matrimonio; così supposta la nostra morte, la morte ancor della legge se ne inferisce, che è per riguardo a noi, come se più non fosse.
Affinchè siate di un altro, ec. Allude tuttora alla similitudine del matrimonio, e vuol dire, essere noi morti alla legge, e la legge a noi, affinchè, come la donna libera dal primo vincolo può contrar con un altro uomo, così potessimo noi liberi dalla legge essere di un altro, vale a dire, di Gesù Cristo, il quale risuscitò da morte, perchè noi pure con lui risuscitassimo, e divenuti in lui nuove creature e nuovi uomini, camminassimo secondo la legge non della lettera, ma dello spirito.
Onde frutti portiamo per Iddio. Fa anche qui allusione alla sua similitudine del matrimonio; e siccome il frutto di questa unione è la prole, così il frutto di coloro, i quali morti alla legge, e risuscitati con Cristo, e con esso uniti, nelle vie della nuova vita camminano, il lor frutto sono le buone opere, per le quali Dio è onorato.

7,5:Imperocchè, quando noi eravamo (uomini) carnali, ec. Nel precedente stato nostro sotto la servitù della legge non uomini spirituali eravamo noi, ma carnali, pochi essendo quelli, che in tale stato vivessero secondo lo spirito, e que', che tali erano, appartenevano al regno non della legge, ma della grazia, come abbiam detto più volte. Aggiungasi a questo, che i precetti di Mosè erano carnali, come la circoncisione, e le promesse, e le minacce della legge, prese letteralmente, alla vita temporale si riducevano. Con grande energia però l'Apostolo spiegar volendo la infinita differenza tra lo stato della legge, e quel della grazia, il primo dice, che fu uno stato di uomini carnali, il secondo di uomini viventi, e operanti secondo lo spirito.
Le affezioni peccaminose occasionate dalla legge agivano nelle nostre membra ec. In tale stato adunque i rei, e peccaminosi affetti, irritati dalla stessa proibizione della legge, muovevano le nostre membra, onde di istrumenti servissero a produrre velenosi, e mortiferi frutti di opere ree.

7,6:Ma adesso siamo sciolti dalla legge di morte, cui eravamo legati. Ora poi dopo la morte dell'uomo vecchio mediante il Battesimo siam liberati da quella legge, la quale, quantunque buona, e santa, e giusta in se stessa, era a noi per nostra colpa occasione di peccato, e di morte, sotto la qual legge eravam tenuti quai servi.
Affinchè serviamo secondo il nuovo spirito, non secondo l'antica lettera. Affinchè alla giustizia serviamo, e a Dio, seguendo il nuovo spirito, che abbiamo ricevuto, e per la grazia di questo spirito adempiendo i divini comandamenti, e non seguendo la nuda lettera della legge, la quale scompagnata dalla grazia dello Spirito santo facea conoscere il male senza curarlo. L'antica lettera significa la vecchia legge presa nel senso puramente letterale scolpita in tavole di pietra, e non animata dalla grazia dello Spirito santo. La novità dello spirito e la legge nuova avvivata dalla grazia dello Spirito santo, e da lui scolpita ne' cuori dei fedeli: Darò a voi un cuor nuovo, e uno spirito nuovo porrò in mezzo a voi, Ezechiel. XXXVI. 26.

7,7:Che diremo adunque? ec. Se le affezioni peccami nose hanno presa dalla legge occasione d'imperversar maggiormente, e di far produrre a noi frutti di morte, e se perciò la stessa legge può in certo modo chiamarsi legge di morte, si potrà egli dire, che la legge un male sia, e un peccato, onde non senza colpa sia il Legislatore, che diede tal legge? Guardici Dio da simil bestemmia.
Ma io non ho conosciuto il peccato, ec. Prima che fosse data la legge, poteva l'uomo ignorare, che alcune cose fosser peccato; ma data la legge, in cui tali cose furono espressamente vietate, non rimase ombra di pretesto all'uomo per ricoprire la sua ignoranza, e malvagità. I desideri pravi del cuore non ridotti ad effetto, non erano creduti peccaminosi generalmente presso i pagani, e quel che è piu, neppur eran creduti tali da molti Ebrei. Vedi Joseph. Ant. lib. XII. cap. XIII., e s. Matth. v. 27.
Imperocchè io non conosceva la concupiscenza, se la legge ec. La concupiscenza è chiamata da s. Agostino peccato generale, perchè radice, e causa di ogni peccato si è mai sempre una qualche speciale concupiscenza. Or la concupiscenza di ciò che è vietato, è un male interno, e del cuore, ed è proibita dalla legge di Dio, non da alcuna umana legge, perchè Dio solo vede il cuore dell'uomo, e l'uomo stesso condanna per aver desiderato in cuor suo ciò, che è vietato, quantunque il desiderio stesso passato non sia ad alcun atto esteriore. È adunque benefizio della legge, che il peccato conoscasi, nè alcuno, che io pensi, avrà ardimento di biasimare perciò la legge.

7,8:Ma il peccato, presa occasione ec. Col nome di peccato anche qui intendesi la abituale concupiscenza, fonte, e fomite di tutti i peccati.Vuolsi di più osservare,chel'Apostolo trasferisce nella propria persona quello, che a tutto il suo popolo era comune, sì per umiltà, e si ancora, perchè delle cose odiose suole egli sempre così parlare, come osserva il Grisostomo, affine di insinuarsi più facilmente negli animi degli uditori, facendo suoi propri i mali di tutti. Dice egli adunque, che la concupiscenza da quel comandamento Non desiderare, prese occasione di eccitare in lui ogni sorta di pravi desideri; non dice, che a tali desideri abbia dato occasione quel comandamento della legge, ma che la concupiscenza prese dalla legge occasione di fare tutto il contrario di quello, che coman dava la legge. Così la legge è esente da ogni biasimo, perchè dimostrando quel che era male, e vietandolo, non fece se non quel che era utile e buono per gli uomini, e della sola concupiscenza è la colpa, perchè ella prese da un bene occasione di male.
Imperocchè senza la legge il peccato era morto. Il peccato avanti, che fosse data la legge, era come morto, sia perchè non era conosciuta ancora tutta la malizia del peccato, sia perchè potea riputarsi come abbattuto, e debilitato a' paragone di quello, che fu dopo la legge, allorchè lo stesso peccato in certo modo riprese vita, e con furore più grande si levò su ai danni dell'uomo. Da queste terribili verità vuole che s'intenda l'Apostolo, quanto poco fosse sperabile di conseguir la giustizia me diante la legge, dalla qual legge non solo non fu vinto o represso il peccato, ma crebbe questo fuormisura, e vin citore si stese per ogni parte, prendendo occasione dalla legge medesima di fortificarsi, e farsi signore degli uomini.

7,9:Io poi una volta senza legge ec. Trasferisce anche qui nella sua persona ciò, che era comune a tutti gli uomini, facendo egli la figura di ciascheduno di essi, e adattando a ciascuno lo stato di tutto il genere umano. Quindi egli dice io viveva, o piuttosto, mi credeva vivo una volta, essendo senza legge, mentre non era a me noto, che il peccato mi aveva data la morte. Ecco in queste brevi parole lo stato dell'uomo avanti la legge. Ma venuto il comandamento, il peccato tornò a rivivere. Data di poi la legge, quel peccato, che prima era come morto (sia perchè non lo ravvisava io in me stesso, sia perchè era men forte, e meno potente) ripigliò nuova vita, e nuove forze.

7,10:E io morii. E io illuminato dalla legge mi conobbi morto, vale a dire, reo di eterna morte.
E si trovò, ec. E di fatto avvenne, che quella legge, che mi era stata data per condurmi alla vita, divento occasione di morte per me, come trasgressore della medesima legge.

7,11:Imperocchè il peccato, ec. E ciò avvenne, perchè la concupiscenza viepiu accesa dalla stessa proibizione della legge, da questa prese occasione di alienarmi sempre più con le sue lusinghe dalle vie della giustizia, e della legge si valse per darmi più sicuramente la morte, inducendomi a trasgredire la stessa legge. La vita e la morte, di cui si parla nel versetto precedente, e in questo, sono la vita eterna, e la morte eterna.

7,12:Per la qual cosa la legge ec. La legge adunque di Dio è santa, e ciascheduno de' comandamenti della stessa legge, come quello: Non desiderare ec., è santo, e giusto, e buono.

7,13:Una cosa adunque, che è buona, si fe' morte per me? Una cosa, che è buona in se stessa, poteva ella mai esser vera causa di morte per me? Risponde l'Apostolo, che ciò non può esser giammai, e che altrove, che nella legge, cercar si dee la vera causa, e il vero principio di nostra morte.
Bensi il peccato, ec. Non la legge, ma il peccato fu la vera causa della mia morte, e qui ancora il peccato significa la concupiscenza, fomite del peccato.
Affinchè apparisca, ec. Onde conoscasi avere il peccato cagionata a me la morte per mezzo di un bene, qual è la legge: lo che dimostra, quale sia la malignita del peccato, il quale cambiò in veleno lo stesso rimedio.
Onde divenisse il peccato eccessivamente peccatore per ragion del comandamento. Onde della legge stessa (data per reprimere il peccato) abusandosi il peccato, e pren dendo dalla medesima occasione di dilatare il suo regno si moltiplicasse, e crescesse oltre ogni misura lo stesso peccato per la stessa ragione, per cui doveva essere represso, e abbattuto; vale a dire per ragion della legge, che lo condannava. Parla l'Apostolo del peccato come di una persona, e quasi di un tiranno, le di cui mire tendono tutte ad accrescere senza moderazione alcuna per qualunque via la sua potenza. Così s' intende in qual modo per ragion della legge divenisse il peccato eccessivamente e formisura peccatore; divenuta per la stessa proibizione della legge più furiosa la concupiscenza, divenuta di maggior malizia e gravezza la colpa del disprezzo della legge, e finalmente molte cose di nuovo ordinando o vietando la legge, e non dando forze e virtù per l'adempimento di quello che comandava, creb bero all'infinito le trasgressioni, e i peccati.

7,14:Imperocchè sappiamo, che la legge è spirituale. Dopo aver dimostrato, che buona, e santa è la legge, e che non dalla legge, ma dal peccato venne all'uomo la morte, viene adesso a provare la bontà della medesima legge dalla ripugnanza, che l'uomo ha al bene, ripugnanza, che non può essere tolta, o superata dalla legge, e dalla qual ripugnanza procede che non sia sta ta la legge ritegno e freno al peccato, ma piuttosto in citamento. La legge adunque è spirituale, la qual cosa dice Paolo essere nota a chiunque, come egli, delle cose della legge è intelligente: sappiamo. È da notarsi, che secondo il linguaggio del nostro Apostolo due cose tra lor contrarie ed opposte sono lo spirito e la carne; per lo spirito intendendosi la natura dell'uomo divina, e intera, e incorrotta; e per la carne la natura dell'uomo terrena, e guasta, e soggettata al giogo del peccato. Quindi spirituale è la legge, perchè perfettamente con cordante con le mozioni, e co' lumi dello spirito, e della ragione, che è nell'uomo.
Ma io sono carnale, venduto ec. Non sono d'accordo gl'Interpreti intorno alla spiegazione di queste parole di s. Paolo, e di tutto quello, che segue in questo capitolo, a motivo, che alcuni hanno creduto, che l'Apostolo in persona propria parlar voglia dell'uomo non ancora rigenerato, o sia appartenente tuttora al regno della legge; altri poi, che egli parli dell'uomo già rinato alla vita spirituale, e appartenente al regno della grazia. S. Agostino, che una volta aveva inteso secondo quel primo senso questo luogo dell'Apostolo, conobbe dipoi, cheve ramente non l'aveva niente inteso, e lo stesso avvenne a s. Girolamo, il quale cangiata similmente opinione, al secondo senso si attenne, al quale dà ancora gran peso l'autorità di s. Ilario, di s. Gregorio Nazianzeno, e di s. Ambrogio presso lo stesso Agostino, cont. Jul. lib. VI. 11., e questo seguiremo noi con questi Padri, e con s. Tommaso, come più naturale, e più adattato alle espressioni e ai principi dell'Apostolo. Questa parola io s'intende di quella parte dell'uomo, che è in lui la più nobi le, ed eminente, cioè a dir la ragione, per la quale egli dai bruti animali distinguesi.
Per la qual cosa, io sono carnale, lo stesso significa, che se dicesse: la mia ragione è carnale, e si dice carnale la ragione anche dell'uomo rinato, perchè combattuta dalle suggestioni, e dagli appetiti della carne; imperocchè non è estinta in lui totalmente la concupiscenza, ond' egli portando in sè questa funesta sorgente di pravi desiderii, e questa corrotta inclinazione, non senza difficoltà ubbidisce alla legge, e resiste al peccato. Questa ribellion della carne contro lo spirito è originata dal peccato di Adamo come si è detto più volte.
Venduto (schiavo) al peccato. Schiavo del peccato, venduto al peccato, ricevuta in prezzo, dice s. Agostino, la dolcezza di un piacer temporale. Or gli uomini, che sono rinati alla vita dell'anima, quantunque liberi siano, ed esenti dalla tirannia del peccato per virtù della grazia, non sono però interamente sciolti, e franchi dai lacci del peccato, ma servi del peccato secondo la carne, e per ragione della originale corruzione, e della infermità della stessa carne; servi non volontari, ma che l'ingiusto dominio vorriano scuotere, e sospirano ansio samente la perfetta libertà.

7,15:Imperocchè quello, che io fo, non intendo. Intendere in questo luogo significa approvare, volere, accon sentire. Dice adunque l'uomo rigenerato: quello, che io fo, non approve; vale a dire, i movimenti della concupiscenza, che in me si fanno, senza che la ragione, o l'intelletto abbiavi parte, perchè la concupiscenza previene il giudizio dell'intelletto, da cui tali cose sono aborrite.
Non fo il bene, che amo; ma quel male, che odio, ec. L'uomo sotto la grazia con piena volontà desidera di conservare il cuore, e la mente libera dalle prave affezioni, ma mol fa a motivo de' disordinati movimenti della concupiscenza, che nel sensibile appetito continua mente si svegliano. È proprio adunque dell'uomo rigenerato il voler sempre il bene, ma non sempre ei lo fa, o nol fa sempre perfettamente. Ed è proprio dello stesso uomo di non volere il male, e di odiarlo, ma pur talora egli lo fa per lo meno con azione imperfetta, consistente nella sola concupiscenza dell'appetito sensitivo, facendo con la carne quello, che con la mente detesta. Imperocchè il raffrenare i primi moti della concupiscenza (dei quali parla qui l'Apostolo) è cosa ardua, e difficile, impossibile il togliergli interamente, come dice s. Ambrogio. Questo interno combattimento con molta vivezza è dipinto da s. Agostino confess. VIII. II., et. serm. XLV. de temp., e da s. Bernardo serm. in coena Dom. de Bapi. et sacram. Alt.

7,16:Che se fo quello, che non amo; come buona approvo la legge. Da questo stesso interno combattimento, che è nell'uomo, chiaramente apparisce, che buona è la legge; imperocchè l'avversione, che io ho al male, che è pur anco proibito dalla legge, è una approvazione della legge: non vorrei fare quel che fo, perchè credo, che è male, ed in conseguenza io vengo a riconoscere, che buona è la legge che lo condanna.

7,17:Adesso poi non lo fo già io, ma il peccato, che abita in me. Io ho detto, che con la volontà, e con l'intelletto vo daccordo con la legge: ora poi mentre opero contro la legge non sono io, che deliberatamente operi, ma bensì il peccato, che abita in me; vale a dire la concupiscenza, donde apparisce, che io non sono ancora in perfetta libertà. Sono adunque tuttora servo del peccato, perchè egli opera in me, come se avesse impero sopra di me. Queste parole, come dietro a s. Agostino osserva l'angelico Dottore, non possono intendersi se non dell'uomo, che sia sotto la grazia. Imperocchè laddove l'uomo non ancora rigenerato fa il male non solo secondo la carne, o sia coll'appetito sensitivo, ma anche con la mente, e con la volontà; l'uomo rigenerato per lo contrario il male, che opera, non lo fa con la mente, e con la volontà, ma per la inclinazione rea della concupiscenza; onde siccome a questo male la ragione, e la volontà non ha parte, così rettamente si dice, che non egli, ma il peccato abitante in lui (vale a dire la concupiscenza, che mai non abbandona l'uomo ) fa il male. Imperocchè adeguatamente parlando non opera l'uomo se non quello che il principio della volontà o pera in lui; onde i movimenti della concupiscenza, i quali dalla volontà non procedono, non sono opere dell'uomo, nè egli è che le faccia, ma il peccato.

7,18:Imperocchè so, che non abita in me, viene a dire nella mia carne, il bene. Dimostra come il peccato abitante nell'uomo fa il male. Confesso (dice egli) la mia infermità; imperocchè e per ragione e per isperienza io so, che quantunque rinovato io sia, e riformato per la grazia del Salvatore, non abita in me (in quanto alla carne, e all'appetito sensitivo) alcun bene. Egli è qui da motarsi, come in questo, e in molti altri luoghi la parola carne adoprasi per significare tutto l'uomo, in quanto egli è carnale, e corrotto. Or questa corruzione dell'uomo non è solamente nella carne, in quanto dall'anima si distingue, benchè nella carne massimamente si scorga per la ribellione de' sensi, e delle membra; questa corruzione è ancora nell'anima, e da lei sono i vizi dello spirito, la superbia, l'invidia ec. i quali perciò sono chiamati dal nostro Apostolo opere della carne, Gal. V. 19. Siccome adunque l'uomo anche rigenerato rimane tuttora infermo, ed inclinato al male, in quanto è carnale, quindi è, che dice l'Apostolo: non abita il bene in me, vale a dire nella mia carne; imperocchè non nell'uomo carnale e corrotto, ma in un altro uomo vchiamato altrove da Paolo l'uomo ascoso del cuore, in questo uomo, e nel cuore di lui abita il bene.
Il volere lo ho dappresso. Il volere il bene è quasi in mano mia, e in mio potere, perchè, come dice s. Agostino, lib. III. de lib. arb. cap. III., niuna cosa è tanto in potere dell'uomo, quanto la volontà dell'uomo.
Ma di fare il bene interamente non trovo via. Non egualmente è facile a me di fare il bene come di volerlo; trovo facoltà per volerlo; non la trovo per farlo. I Pelagiani abusavano di questo versetto, e ne inferivano, che adunque secondo la mente di Paolo il principio di ogni opera buona è da noi, e dalle forze del nostro libero arbitrio, perchè da noi stessi vogliamo il bene; ma siccome in questo luogo si parla dell'uomo rigenerato dalla grazia di Gesù Cristo egli è un effetto della medesima grazia il buon volere dell'uomo, e per questo altrove disse lo stesso Apostolo: Dio è quegli, che opera in noi il volere, e il fare. Mediante adunque la grazia e voglio il bene, e qualche bene ancora io opero, perchè e la concupiscenza reprimo, e al contrario delle sue suggestioni cerco di agire guidato dallo spirito; ma non trovo in me potestà di fare il bene perfettamente, sicchè da tutto quello che io mi opero, resti la concupiscenza del tutto esclusa.

7,19:Conciossiachè non fo il bene.... ma quel male, ec. Ripete quello che aveva detto Vers. 15., provando dalle azioni stesse dell'uomo rinato, che egli non ha facoltà di fare il bene perfettamente. Vedi Vers. 15.

7,20:Che se io fo ec. Qui pure ripete il Vers. 17. Con questo argomento dimostrò la bontà della legge Vers. 16. 17. Qui poi con lo stesso dimostra, come nell'uomo domini il peccato, che opera in lui contro la sua volontà.

7,21:Io trovo adunque nel voler io far il bene, esservi questa legge, che il male mi sta dappresso. Io tocco con mano per la quotidiana esperienza, che volendo operare il bene, una legge vi è per me, cioè contro di me, che è la legge del peccato, da cui come da un nimico, che stammi dappresso, e dappertutto mi siegue, incitato sono a peccare. Altri in altra guisa spiegano queste parole, e come se l'Apostolo volesse dire: Io sperimento adunque, che la legge è daccordo con me, che amò di fare il bene, ed è conforme alla mia ragione, per cui approvo il bene, e detesto il male: e questo era necessario, perchè il male mi sta vicino, abitando, per cosi dire, presso la mia ragione, perchè abita nella mia carne. La prima spiegazione è più semplice, e naturale.

7,22:Mi diletto nella legge di Dio secondo ec. Approvo con l'intelletto, e abbraccio con amore la legge divina secondo l'uomo interiore, secondo la mente, e la ragione illuminata dalla grazia, e fortificata dallo spirito del Signore. Questa dilettazione non appartiene se non al giusto, e non al giusto imperfetto, ma sì al perfetto, e nòn nasce se non da una grazia grande di Dio come dice s. Agostino de nupt. etc. cap. XXX.

7,23:Ma veggo un'altra legge ec. La concupiscenza è chiamata legge, perchè siccome la legge indirizza, eguida gli uomini al bene; così la concupiscenza li guida al male. Per un'altra ragione ancora la concupiscenza può dirsi legge, ed è, perchè non solo ella ebbo per sua cagione il peccato, il quale preso il dominio del peccatore lo sotto pose alla concupiscenza quasi a una dura legge, ma di più fu ella anche una giusta pena imposta da Dio all'uom peccatore, che dopo che egli ebbe disubbidito al suo Creatore la parte inferiore dell'uomo non prestasse più ubbidienza alla superiore; e questa disubbidienza, e questa ribellione, che chiamasi concupiscenza, si dice legge, perchè nelle mani della stessa concupiscenza fu lasciato l'uomo per legge della divina giustizia, e per giusto di vino giudizio, come osserva s. Tommaso dopo s. Agostino, e s. Anselmo.
Nelle mie membra: vuol dire in me. Vedi cap. VI. 19.
Che si oppone alla legge della mia mente. Questa legge fa due effetti nell'uomo; primo, resiste alla retta ragione, e alle naturali nozioni del giusto, e dell'onesto, che è quello che l'Apostolo dice legge della mente, scritta nel cuore degli uomini, come si è detto cap. II. 15. e della contradizione, che è tra queste due leggi, si dice altrove: la carne desidera contro lo spirito, lo spirito contro la carne, Gal. 5. 17.
E mi fa schiavo della legge del peccato. Ecco il secondo effetto della stessa legge, il quale si è, che ella fa forza continuamente per condurre l'uomo sotto la legge del peccato, o sia nella schiavitudine del peccato: tale è la spiegazione, che dà s. Agostino a questa parola captivan tem. S. Tommaso poi supponendo con lo stesso s. Agostino, che qui si parli sempre dell'uomo rinato alla grazia, spiega la stessa parola relativamente ai moti della concupiscenza, secondo i quali può dirsi che anche questo uomo sia schiavo della legge del peccato. Vedi quello che abbiam detto al Vers. 15.

7,24:Infelice me! Chi mi libererà ec. Alla trista, e umiliante pittura fatta di sopra della interna contraddizione, che è nell'uomo, dà l'Apostolo l'ultima mano con questa patetica esclamazione; Infelice me! Parola di un uomo, che di continuo, e vigorosamente combatte contro la legge del peccato, come notò s. Agostino serm. 45. de temp. Ei vorrebbe non sempre vincer pugnando, ma giungere finalmente una volta alla pace: quindi confessata umilmente la propria miseria va cercando consolazione, e soccorso; e perciò domanda chi mai sia, che lo liberi da un corpo soggetto alla morte per cagion del peccato. E per qual motivo domanda egli di esser liberato dal corpo mortale, se non perchè durante la vita presente, la legge, e la servitù del peccato tuttora rimane nel modo già detto? Brama adunque un corpo immortale, e libero dalla corruzione del peccato, come avrallo il giusto nella risurrezione.

7,25:La grazia di Dio per Gesù Cristo Signor nostro. Si consola colla rimembranza della grazia di Dio, la quale dice, che libero lo renderà interamente dalla corruzione del corpo per Gesù Cristo.
Dunque io stesso ec. Io medesimo, io un solo, e medesimo uomo, aiutato dalla grazia con la mente mia servo alla legge di Dio, approvandone la giustizia, ed amandola: con la carne, e secondo l'uomo vecchio servo alla legge del peccato, e allà concupiscenza, la quale con gli sregolati suoi movimenti, i quali io non posso impedire, resiste alla legge di Dio, benchè alle suggestioni di lei io non acconsenta. Ecco i due me tra loro sì opposti, e discor di, che trova in sè il giusto, onde e la sua miseria de plora, e la liberazione domanda, e dalla sola grazia del Salvatore l'aspetta, il quale riformerà il corpo di nostra bassezza raffigurato al corpo della sua gloria.