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Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

Lettera ai Romani 13


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Ammonisce gl'inferiori, che siano ubbidienti a' superiori, e a' magistrati civili anche per principio di coscienza. Dell'amore del prossimo, a cui riducesi tutta la legge; e del tempo di grazia, in cui passate le tenebre della legge, abbandonati i vizj, ti abbracciano le virtù di Cristo.

1Ogni anima sia soggetta alle podestà superiori: imperocché non è podestà, se non da Dio, e quelle, che sono son da Dio ordinate.2Per la qual cosa chi si oppone: alla podestà, resiste alla ordinazione di Dio. E que', che resistono, si comperano la dannazione:3Imperocché i principi sono il terrore non delle opere buone, ma delle cattive. Vuoi tu non aver paura della podestà? Opera bene; e da essa avrai lode:4Imperocché ella è ministra di Dio per te per il bene. Che se fai del male, temi: conciossiachè non indarno porta la spada. Imperocché ella è ministra di Dio vendicatrice per punire chiunque mal fa.5Per la qual cosa siate soggetti, come è necessario, non sol per tema dell'ira, ma anche per riguardo alla coscienza.6Imperocché per questo pure voi pagate i tributi: conciossiachè sono ministri di Dio, che in questo stesso lo servono.7Rendete adunque a tutti quel, che è dovuto: a chi il tributo, il tributo: a chi la gabella, la gabella: a chi il timore, il timore: a chi l'onore, l'onore.8Non vi resti con chicchessia altro debito, che quello dello scambievole amore; imperocché chi ama il prossimo ha adempiuta la legge.9Imperocché il non commetter adulterio: non ammazzare: non rubare: non dire il falso testimonio: non desiderare: e se alcun altro comandamento vi è, egli è rinnovellato in questo parlare: amerai il prossimo tuo come te stesso.10La dilezione del prossimo non fa il male. La dilezione adunque è il complemento della legge.11E ciò (fate) avendo riflesso al tempo: perché è già ora, che ci svegliamo dal sonno. Imperocché più vicina è adesso la nostra salute, che quando credemmo.12La notte è avvanzata, e il di si avvicina. Gettiam via adunque le opere delle tenebre, e rivestiamoci delle armi della luce.13Camminiamo con onestà, come essendo giorno: non nelle crapule, e nelle ubbriachezze, non nelle morbidezze, e nelle disonestà, non nella discordia, e nella invidia:14Ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo, e non abbiate cura della carne nelle sue concupiscenze.

Note:

13,1:Ogni anima sia soggetta alle podestà superiori: ec. Dopo i precetti, e le regole de' costumi, secondo le quali indirizzar dee la sua vita il cristiano come membro di quel mistico corpo, di cui è capo Gesù Cristo, viene a parlare dei doveri dello stesso Cristiano, in quanto egli è membro della civil società, affin di chiuder la bocca a' Gentili, i quali sparlavano su tal proposito de' cristiani, come men rispettosi verso de' principi, e facili a ribellarsi contro gli ordini de' medesimi. Questa calunnia, alla quale potè dar luogo il carattere inquieto, e turbolento degli Ebrei, co' quali Ebrei confondevansi dai Gentili i Cristiani, come abbiamo veduto negli Atti, questa calunnia è smentita qui dall'Apostolo col dimostrare, che non è abolita in questa parte la legge di Mosè, e che i Cristiani viventi sotto altro dominio tenuti sono a osservarne le legui secondo l'ordinazione di Dio medesimo, da cui stabilite sono le potestà pel pubblico bene. Dice adunque, che ogni anima, cioè ogni uomo, ha da viver soggetto, e subordinato e ubbidiente alle potestà superiori, che vuol dire, a coloro, che con assoluta autorità governano lo stato, e sono, come dice un antico autore, tutori dello stato.
Imperocchè non è podestà se non da Dio; e quelle, che sono, son da Dio ec. Ogni podestà nella sua istituzione viene da Dio, per cui regnano i regi, Prov.VIII. 15. Ella viene da Dio, come autore, e principio di tutto il bene; da Dio il quale ha voluto, gli uomini riuniti in che so cietà avessero un capo, per mezzo del quale fosser diretti al ben comune, nel quale anche il ben privato ritrovasi, per mezzo del quale repressi fossero i vizi, onorata, e ricompensata la virtù, e mantenuta la giustizia, e la pace. Noi (dice Tertulliano, parlando a nome di tutti i Cristiani nell'Apologia) veneriamo negli Imperadori il giudizio di Dio, il quale ha dato ad essi l'impero delle nazioni; e in altro luogo (ad Scapul.): Il Cristiano non è nimico di chicchessia, molto meno dell'Imperadore, per che sapendo egli, che questi è stato costituito dal suo Dio, non può far a meno di amarlo, di riverirlo, e onorarlo, e di bramargli salute. La proposizione adunque è generale, e inchiude tutte le podestà anche Gentili, e nemiche della fede; tuttesono da Dio, e ordinate tutte, e costituite da Dio.

13,2:Per la qual cosa chi si oppone alla podestà, ec. Chi adunque non ubbidisce alla podestà, niega ubbidienza a una istituzione di Dio medesimo, e si merita gastigo e dalla podestà medesima, cui ha insultato, e anche da Dio, il quale con pena eterna punirà una tale disubbidienza. Ma come adunque gli Apostoli, e infiniti Cristiani poterono con questi principi disubbidire a' giudici, a' magistrati, e agli stessi imperatori? Questa difficoltà è sciolta da quella bella risposta data dall'Apostolo Pietro al sinedrio Giudaico, allorchè da questo gli fu intimato di non predicar più il nome di Gesù Cristo. Imperocchè abbiam veduto, come egli rispose, che era conveniente di ubbidire a Dio piuttosto, che agli uomini; risposta piena di sapienza celeste. Conciossiachè anche secondo le leggi umane un uomo, il quale per ubbidire al preciso comando del principe l'ordine trasgredisca di un giudice, o di un magistrato inferiore, non si dirà, che abbia perciò disprezzato la podestà.

13,3:I principi sono il terrore non delle opere buone, ma delle cattive. Dopo aver mostrato, quanto sia degna di rispetto la pubblica podestà a motivo della sua origine, dimostra la stessa verità dal fine, cui la stessa podestà è ordinata, e diretta. I principi come tali, e secondo la legge della lor costituzione sono posti per raffrenare, e atterrire i cattivi con la minaccia del presente gastigo, non per ritrarre l'uomo dal bene.
Vuoi tu non aver paura della podestà? Opera bene; ec. La maniera di non temere la pena minacciata dalle leggi della civil podestà si è di sempre ben fare, che così non timore, e pena, ma pace, e onore si avrà. Ma in qual maniera tutto quello, che si dice in questo versetto, potea verificarsi sotto il governo de' Neroni, dei Caligoli, ec., allora quando e i gastighi erano pe' buoni, l'impunità, e gli onori per i cattivi? Può benissimo verificarsi, perchè se talora da un ingiusto principe è perseguitato l'uomo dabbene, non ha questi però ragion di temere, perchè egli ben sa, che il male stesso, che gli vien fatto, in suo bene e onore ridonderà: Se per la giustizia patite, voi beati, I. Pet. III. 14.

13,4:Ella è ministra di Dio ec. Questa podestà è ministra di Dio per vantaggio di ciascun uomo, e per il bene generale: or conciossiachè lo stesso fine, le stesse intenzioni debbe avere il ministro, che il padrone, da cui ei riceve la autorità, quindi è, che la podestà civile bene ordinata a quel fine si indirizza, per cui Dio la stabilì, che è di punire il male, e promuovere il bene. Chi fa adunque del male, ha gran ragione di temere questa podestà, la quale ha in mano la spada per gastigare, e uccidere chiunque mal fa.

13,5:Per la qual cosa siate soggetti, com'è necessario, non sol per tema ec. È necessario adunque, che siate soggetti, e ubbidienti alle podestà, perchè Dio così vuole, e che lo siate non tanto per timor del gastigo, quanto per principio di coscienza, persuasi cioè, che ai principi dee ubbidirsi, come a ministri, e luogotenenti di Dio medesimo, contro di cui si pecca, quando contro una podestà da lui stabilita si pecca. Da questa sentenza dell'Apostolo ne inferiscono i Teologi, che le leggi umane legittimamente promulgate obbligano non solo nel foro esteriore, com' essi dicono, ma anche nell'interiore della coscienza; il che vuol dire, che chi le trasgredisce, non solo è degno del gastigo temporale, ma è reo di peccato, e degno de' gastighi di Dio. Vedi il Grisostomo sopra questo luogo.

13,6:Imperocchè per questo pure voi pagate i tributi. Per le stesse ragioni dette di sopra si pagano al principe i tributi, i quali sono una ricognizione della loro podestà, e un segno di soggezione in chi lo paga.
Conciossiachè sono ministri di Dio, ec. Ripete con piacere la denominazione data ai principi di ministri di Dio, come quella che infinitamente rileva l'augusto loro carattere, e fa intendere, qual sorta di riverenza, e di ossequio sia lor dovuto. Essi adunque come ministri di Dio a lui servono, e alle ordinazioni della sua provvidenza per ragione di quello stesso comun bene, di cui si è parlato; quali cure però, quali molestie, e difficoltà, e spine non porta seco un tal ministero? A ragione però se gli pagano i tributi, senza de' quali non potrebbero nè sostenere il proprio stato, nè soddisfare agli obblighi del lor ministero. È da notarsi, che sotto il nome di tributo (che era in que' tempi quello che noi diciamo il testatico) si comprendono tutte le gravezze pubbliche, delle quali una è la gabella specificata nel versicolo seguente.

13,7:Rendete.... a tutti quel che è dovuto: a chi il tributo, il tributo: a chi la gabella, ec. Il tributo, la gabella, il timore di riverenza, l'onore, e il rispetto sono dovuti a' principi per obbligo di religione, e di coscienza secondo l'Apostolo. Veggasi intorno a tutti questi punti, l'apologetico di Tertulliano, dove evidentemente dimostra, che Roma migliori sudditi, nè più fedeli non avea de' Cristiani; e tali saran sempre i sudditi, quando siano veramente Cristiani. E in proposito delle gabelle egli dice: Le gabelle renderanno grazia ai Cristiani, i quali pagano quel che debbono con la stessa fede, con cui ci guardiamo dal rubare l'altrui.

13,8:Non vi resti con chicchessia altro debito, ec. Pagate a ciascheduno quello che gli dovete, in guisa che non altro debito vi rimanga, che quello che non può mai estinguersi, il debito della carità. Gli altri debiti pagati una volta più non sono: il debito di amare si pagherà sempre, e rimarrà sempre, perchè riman sempre viva la causa di questo debito di amore, vale a dire la somiglianza e di natura, e di grazia, che ha con noi il nostro prossimo.
Imperocchè chi ama il prossimo, ha adempiuta la legge. Non potete liberarvi dal debito di amare il prossimo, mentre in questo amore posa il pieno adempimento di tutta la legge: parla qui l'Apostolo o solamente di quella parte della divina legge, che riguarda i doveri dell'uomo verso dell'uomo, o se di tutta la legge divina si vuol che egli parli, intenderassi compreso nell'amore del prossimo l'amore di Dio, e ciò non senza ragione, perchè non si ama veramente il prossimo, se non quando in Dio, e per Dio si ama.

13,9:Imperocchè il non commettere adulterio: ec. Novera vari comandamenti divini, i quali, come tutti gli altri, dice, che contenuti sono quasi in compendio in quella parola del Levitico (cap. XIX. 18.) ripetuta da Cristo: Amerai il prossimo tuo, come te stesso. Che vuol dire, amerai tutti gli uomini con amore simile a quello che porti a te stesso, volendo, e desiderando il loro bene, e procurandolo giusta tua possa.

13,10:La dilezione del prossimo non fa il male. Chi ama il prossimo, non gli fa alcuno dei mali, che sono proibiti dalla legge: donde efficacemente conclude, che il comandamento della dilezione tutti gli altri comandamenti contiene, e che osservato questo si ha la piena, e perfetta osservanza della legge.

13,11:E ciò (fate) avendo riflesso al tempo: perche e già ora, ec. Quello che si è detto dell'obbligo di rendere, e praticare mai sempre la carità, viene ancora più a proposito riguardo alla condizione del tempo, in cui siamo, conciossiachè è ora, che ci svegliamo dal sonno, vale a dire dalla torpidezza, e dalla negligenza, mentre al termine della nostra corsa ci avanziamo, mentre la salute, che Cristo ci ha meritata, è molto più a noi vicina adesso, che allora quando abbracciammo la fede. Maggiore adunque dee essere e la nostra vigilanza, e l'ardore della carità.

13,12:La notte è avanzata, e il dì si avvicina. La notte di questo secolo piena di tenebre, di ignoranza e di errore sta già sul finire per noi, e si approssima il giorno, giorno desiderevole e lieto, in cui otterremo la salute, e la gloria, che aspettiamo. Rigettiamo adunque con aborrimento e orrore lungi da noi le opere delle tenebre, cioè i peccati, e rivestiamoci delle lucide armi della Cristiana milizia, con le quali armi possiamo difenderci contro i nostri nemici, i quali se in ogni tempo si aggirano intorno a noi per divorarci, molto più lo faranno, allorchè veggono, che poco tempo lor resta.

13,13:Camminiamo con onestà, come essendo giorno: ec. L'avvicinamento stesso del nostro giorno ci avverte di far si, che riguardo a Dio, e alla salute sia la nostra maniera di vivere di onestà adorna, e di virtù, talmente che il chiarore del giorno nulla discuopra in noi, onde abbiamo da vergognarci.

13,14:Ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo. Rigettate le opere delle tenebre, rivestitevi di Gesù Cristo, delle sue virtù, del suo Spirito, della sua grazia.
E non abbiate cura della carne nelle sue concupiscenze. Vuol dire l'Apostolo: io non vi proibisco di aver cura assolutamente della carne anche in quanto una tal cura moderata è necessaria al sostentamento della vita; vi dico bensì di guardarvi dall'averne cura persecondare gli sregolati suoi appetiti: imperocchè in questo senso è verissimo, che nulla dobbiamo alla carne, nè dee camminare secondo la carne chi è stato chiamato a camminare, e vivere secondo lo spirito.