Scrutatio

Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

Lettera ai Romani 9


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Per la rovina de' Giudei (della quale molto si affligge) dice, non rendersi vane le promesse fatte da Dio agl'Israeliti figliuoli di Abramo; dappoiché queste non appartengono a tutti i figliuoli carnali di Abramo, ma solo a quegli, i quali o Giudei, o Gentili, che siano per gratuita elezione di Dio sono costituiti figliuoli di Abramo mediante la fede. Dio ha misericordia di chi vuole, e indura chi vuole. I Giudei, perchè cercavano la giustizia non nella fede di Gesù Cristo, che fu da essi rigettato, ma sì nelle opere della legge, sono abbandonati nella loro iniquità, e giustificati i Gentili per la fede di Cristo.

1Dico la verità in Cristo, non mentisco, facendone a me fede la mia coscienza per lo Spirito santo:2Che io ho tristezza grande, e continuo affanno in cuor mio.3Perocché bramava di essere io stesso separato da Cristo pe' miei fratelli, che sono del sangue mio secondo la carne,4Che sono Israeliti, de' quali è la adozione in figliuoli, e la gloria, e la alleanza, e l'ordinazione della legge, e il culto, e le promesse:5De' quali i padri son quegli, da' quali è anche il Cristo secondo la carne, il quale è sopra tutte le cose benedetto Dio né secoli. Cosi sia.6Non già, che sia andata a voto la parola di Dio. Imperocché non tutti, quelli, che vengon da Israele, sono Israeliti:7Né que', che sono stirpe di Abramo, (sono) tutti figliuoli: ma in Isacco sarà la tua discendenza.8Viene a dire non i figliuoli della carne sono figliuoli di Dio: ma i figliuoli della promessa sono contati per discendenti.9Imperocché la parola della promessa è tale: verrò circa questo tempo: e Sara avrà un figliuolo.10Né ella solamente: ma anche Rebecca avendo conceputo in un atto (due figli) ad Isacco nostro padre.11Perocché non essendo quegli ancora nati, e non avendo fatto né bene, né male (affinchè fermo stesse il proponimento di Dio, che è secondo l'elezione).12Non per riguardo alle opere, ma a colui, che chiamò, fu detto a lei:13Il maggiore sarà servo del minore, conforme sta scritto: Ho amato Giacobbe, e ho odiato Esaù.14Che direm noi adunque? E in Dio ingiustizia? Mai no.15Conciossiaché egli dice a Mosè: Avrò misericordia di colui, del quale ho misericordia: e farò misericordia a colui, di cui avrò misericordia.16Non è adunque (ciò) né di chi vuole, né di chi corre, ma di Dio, che fa misericordia.17Imperocché dice la scrittura a Faraone: Per questo, appunto ti ho suscitato, affine di far vedere in te la mia potenza: e affinchè anuunziato sia il nome mio per tutto il mondo.18Egli ha adunque misericordia di chi vuole, e indura chi vuole.19Mi dirai però: E perché tuttora si querela? Conciossiaché, chi resiste al voler di lui?20O uomo, chi se' tu, che stai a tu per tu con Dio? Dirà forse il vaso di terra al vasajo: perché mi hai tu fatto così?21Non è egli adunque il vasajo padrone della creta, per far della medesima pasta un vaso per uso onorevole, un altro per uso vile?22Che se Dio volendo mostrar l'ira sua, e far conoscere la sua potenza, con pazienza molta sopportò i vasi d'ira atti alla perdizione,23Per far conoscere i tesori della sua gloria a prò de' vasi di misericordia, i quali egli preparò per la gloria;24Di noi, i quali di più egli chiamò non solo dal Giudaismo, ma anche dalle nazioni,25Come ei dice in Osea: chiamerò mio popolo il popolo non mio: e diletta la non diletta: e pervenuta a misericordia quella, che non avea conseguito misericordia.26E avverrà, che dove fu loro detto: Non (siete) voi mio popolo: quivi saran chiamati figliuoli di Dio vivo.27Isaia poi sclama sopra Israele: Se sarà il numero de' figliuoli d'Israele, come l'arena del mare, se ne salveranno gli avanzi.28Perocché (Dio) consumerà, e abbrevierà la parola con equità: dappoiché una parola abbreviata farà il Signore sopra la terra.29E come prima disse Isaia: se il Signore degli eserciti non avesse lasciato di noi semenza, saremmo diventati come Sodoma, e saremmo stati simili a Gomorra.30Che diremo adunque? Che le genti; le quali non seguivano la giustizia, hanno abbracciata la giustizia: quella giustizia, che viene dalla fede.31Israele poi, che seguiva la legge di giustizia, non è pervenuto alla legge di giustizia.32E perché? Perché non (la cercò) dalla fede, ma quasi dalle opere: imperocché urtarono nella pietra di inciampo,33Come sta scritto: Ecco, che io pongo in Sion una pietra di inciampo, pietra di scandalo: e chi crede in lui, non resterà confuso.

Note:

9,1:Dico la verità in Cristo, ec. Comincia a trattare in questo capitolo il grande argomento della origine della grazia, prendendone occasione dalla riprovazione de' Giudei, e dalla vocazione de' Gentili. In questo capitolo parla principalmente della elezione de' Gentili, e nel seguente della caduta de' Giudei.
In primo luogo dimostra una gran tenerezza d'affetto verso la sua nazione, di cui tesse un magnifico e giusto elogio, affinchè nissuno credesse, che in tutto quello che egli era per dire, avesse parte l'avversione, o il disprezzo. L'ardente brama, che egli ha di essere ascoltato, e creduto da quell'infelice popolo, fa sì, che con le più vive ragioni procuri di renderli persuasi, che per solo amor della verità, e per loro bene egli parla: dico la verità, come predicator della verità, in Cristo, cioè testimone Cristo, testimone la mia coscienza, testimone lo Spirito santo, il quale vede la mia stessa coscienza. Così egli tre testimoni adduce maggiori di ogni eccezione, Cristo, la coscienza, lo Spirito santo.

9,2:Che io ho tristezza grande, ec. Questa tristezza secondo Dio, perchè originata dalla carità, dice l'Apostolo, che era grande, continua e dell'intimo del suo cuore, afflitto senza misura per la terribil caduta de' suoi fratelli.

9,3:Bramava di essere io stesso separato ec. Nel Greco, e nella Volgata è anatema, la qual voce (oltre varie altre significazioni) si intende delle cose separate dall'uso, e dalla comunione degli uomini, non come sagre, ma come esecrabili, e degne di essere sterminate. Vedi Num. XXI. 3. Josue VI. 17. Dice adunque l'Apostolo, che bramerebbe di essere separato almen perun tempo (non dalla carità,e dalla grazia di Cristo) ma dalla beatitudine, e dalla gloria di Cristo. E vuol dire: quantunque tali, e tanti siano i beni, che abbiamo in Cristo, vorrei piuttosto, se ciò fosse lecito, di tutti questi essere privo, che vederei miei fratelli perire. Vedi s. Tommaso. La carità (dice ilGrisostomo) avea talmente occupato l'animo dell'Apostolo, che quello stesso, che sopra tutte le cose era desiderabile, cioè l'esser con Cristo, questo ancora egli per piacere a Cristo, e per condurre a lui i suoi cari fratelli egli il poneva in non cale, de compunct. lib. I. cap. VIII. Può anche intendersi, che bramasse, che sopra di lui, come sopra di un Anatema, fossero rovesciati i mali preparati da Dio alla sua nazione, purchè potesse ad essa recar salute.
Che sono del sangue mio secondo la carne. Fratelli, e dello stesso sangue secondo la comune origine di Abramo, ma non ancora fratelli secondo la comunione della fede, com'io pur vorrei.

9,4:Che sono Israeliti. Discendenti di Giacobbe, cui fu dato l'onorevole nome d'Israele, Gen. XXXII.
De'quali è l'adozione ... e la gloria. Questa adozione fu per gli uomini spirituali, che furono nel popolo Ebreo: imperocchè gli Ebrei carnali ebber lo spirito non di adozione, ma di servitù, come si vede nel capo VIII. La gloria può intendersi o quella, cui fu innalzata questa nazione per tanti illustri benefizi divini, e per tanti prodigi fatti per essa, ovvero la gloria stessa dell'adozione.
E la alleanza. Il patto stabilito da Dio con Abramo, e co' suoi discendenti. E la ordinazione della legge. La legge data allo stesso popolo per ministero di Mosè. E il culto. Il Greco dice: e la latria, vale a dire il culto supremo religioso renduto al solo vero Dio, a differenza di tutte le altre nazioni, dalle quali molti falsi dei erano adorati. Questo culto comprende tutte le prescrizioni della legge cerimoniale, il sacerdozio, i sagrifizi, ec. E le promesse. Le promesse del vecchio Testamento adempiute in Cristo furono principalmente fatte agli Ebrei; imperocchè Gesù Cristo (come dice altrove lo stesso Apostolo) fu ministro de' circoncisi per eseguir le promesse fatte ai Padri. Per la qual ragione lo stesso Salvatore disse, Matth. XV. 24.: Non sono stato mandato, se non alle pecorelle disperse della casa d'Israele. Vedi cap. II.36. 39. degli Atti, e capo XIII. 46.

9,5:De'quali i padri son quelli ec. Questi Ebrei sono discendenti di que' Patriarchi a Dio tanto cari, da' quali ha voluto discendere anche il Messia secondo la carne, facendosi uomo nel sen di una Vergine della stirpe e famiglia di Davidde. E quello che maggiormente dimostra la grandezza, anzi l'immensità di tal benefizio, si è, che questo discendente di Davidde secondo la carne è insieme vero Dio laudabile per tutti i secoli, come nota l'Apostolo.
Questo versetto distrugge quattro differenti eresie: primo, quella dei Manichei, i quali dicevano, che Cristo non ebbe un vero corpo, ma apparente e fantastico. Or contro di essi dice l'Apostolo, che Cristo fu discendente di Davidde secondo la carne. Secondo, quella de' Valentiniani, i quali dicevano, che il corpo di Gesù Cristo non era della comune massa del genere umano, ma venuto dal cielo; e qui si dice, che il medesimo Cristo era Giudeo secondo la carne. Terzo, quella di Nestorio, il quale diceva, altra cosa essere il figliuolo dell'uomo, altra il Figliuolo di Dio; e qui noi leggiamo, che colui, che è secondo la carne figliuol di Davidde, è insieme Dio, e sopra tutte le cose. Quarto finalmente, quella di Ario, il quale asseriva, che Cristo è minore del Padre, e creato dal niente; laddove l'Apostolo e Dio lo appella, e dice, che egli è sopra tutte le cose, ed è laudabile per tutti i secoli, parole, che a Dio solo convengono, e di lui solo si dicono nelle Scritture.Da'quali è il Cristo secondo la carne, il quale essendo Dio sopra tutte le cose, è laudabile ne' secoli, ec.

9,6:Non già, che sia andata a vuoto ec. Quello che... io ho detto della afflizione, che in me cagiona lo stato presente della mia nazione, non lo ho detto, perchè io mi creda, che sia per la riprovazione de' Giudei andata in fumo la parola di Dio, vale a dire le promesse fatte ad Abramo, le quali il loro adempimento dovevano ricevere in uno spirituale Israele.
Non tutti quelli che vengono da Israele, sono Israeliti. Sarà sempre ferma, e immutabile la parola di Dio, perchè se in tanti dei discendenti di Giacobbe ella non ha luogo, ciò succede, perchè questi non sono suoi veri figliuoli, nè degni del nome, che a lui fu imposto da Dio, allorchè chiamollo Israele, Gen. XXXII., 28.; e in altri avrà luogo la stessa parola degni di sì bel nome. Del nome di veri Israeliti osserva Tertulliano, che sono specialmente degni i martiri della Chiesa Cristiana superiori agli Angeli in questo, che ebber la sorte di morire per Dio, che e il massimo segno d'amore, cui arrivar possa una creatura. La interpretazione più giusta del nome Israel secondo s. Girolamo (de quaest. Heb. in Gen. ) si è: forte a petto a Dio.

9,7:Nè que', che sono stirpe di Abramo (sono) tutti figliuoli. Non tutti quelli, i quali vengono da Abramo per carnale generazione, sono suoi figliuoli secondo lo spirito, ed eredi delle promesse, e della benedizione di Dio.
Ma in Isacco sarà la tua discendenza. Dimostra con le parole dette da Dio ad Abramo, allorchè ordinògli di scacciare il suo figliuolo Ismaele, che non tutti quelli che discendono da Abramo secondo la carne, sono quel seme, cui fatta fu la promessa. Imperocchè Dio espressamente dichiara ad Abramo, che quantunque due fossero i suoi figliuoli, i discendenti del solo Isacco saranno quella stirpe, in cui passeranno le ragioni delle promesse divine.

9,8:Viene a dire, non i figliuoli della carne sono figliuoli di Dio, ec. Figliuolo della carne si dice qui Ismaele nato di Abramo, e di Agar ambedue in età ancor vegeta: figliuolo della promessa si chiama Isacco nato anch'egli di Abramo, e di Sara, ma che erano ambedue in età avanzata, quando per conseguenza secondo l'ordinario tenore della natura non potevano sperar figliuoli, nato perciò in virtù della speciale promessa, che Dio gli fece di dargli questo figliuolo. Gen. XVIII. Dice adunque l'Apostolo, che dalle parole di Dio, e dal fatto stesso rilevasi, che in figliuoli di Dio non sono adottati, e fatti eredi delle promesse que', che non altro titolo hanno, che di essere figliuoli di Abramo secondo la carne, ma bensì i figliuoli nati a lui in virtù della promessa divina sono i veri discendenti di Abramo per l'imitazione della fede di questo Patriarca. Ed ecco la ragio ne, per cui, discacciato Ismaele nato secondo la carne Isacco fu tenuto per figliuolo, ed erede.

9,9:La parola della promessa è tale: verrò circa questo tempo: ec. Riporta le parole della promessa, dalle quali apparisce, che Isacco è figliuolo di Abramo non secondo la carne, ma conceduto a lui per dono di Dio in virtù della stessa promessa; per la qual cosa in lui sono figurati tutti quelli che sono figliuoli della promessa.
Verrò circa questo tempo. Si accenna il tempo della grazia, la pienezza del tempo, quando Dio mandò il suo Figliuolo, ec. Gal. V.
E Sara avrà un figliuolo. In virtù della promessa medesima, che or io ne fo. La generazione adunque di Isacco fu figura della rigenerazione, e adozione gratuita sì delle genti, e sì ancora dello stesso Israele; come il discacciamento di Ismaele adombrò la riprovazione degli Ebrei carnali.

9,10:Nè ella solamente: ec. Non solamente Sara ebbe un figliuolo, di cui le era stata fatta promessa, ma anche Rebecca moglie di Isacco, la quale divenne in un solo atto gravida di due figliuoli. Dimostra con un altro esempio, che i soli figliuoli della promessa, vale a dire gli eletti, sono salvati. All'esempio de' figliuoli di Abramo poteva forse il Giudeo rispondere, che Ismaele era nato di una serva, Isacco di donna libera, e fors'anche, che Ismaele fu generato da Abramo prima, che ei fosse circonciso, Isacco dopo la circoncisione. Porta adunque l'Apostolo un esempio di due figliuoli non solo dello stesso padre, ma anche della medesima madre, conceputi in un medesimo tempo, de' quali l'uno è eletto, l'altro è riprovato, onde non possa il Giudeo la speranza della giustizia riporre ne' meriti de' padri, nè vantarsi superbamente con quelle parole: Abbiamo Abramo per padre. Matth. III., nè su tal presunzione si scandalizzas sero della preferenza, che Dio dava a' Gentili.

9,11-12:Non essendo quelli ancora nati (i due figliuoli Esaù, e Giacobbe). I Manichei dicevano, che la diversità della sorte, che tocca a ciaschedun uomo in questa vita, nasce dalla diversa costellazione, sotto di cui uno è nato; contro dei quali egregiamente s. Agostino si vale di quest'esempio dei due figliuoli di Isacco; de' quali prima, che venissero alla luce, fu predetta, e stabilita la sorte.
E non avendo fatto nè bene, nè male. Con queste parole si butta a terra la dottrina de' Pelagiani, i quali dicono, che pe' meriti precedenti si concede la grazia.
(Affinchè fermo stesse il proponimento di Dio, che è secondo l'elezione). Affinchè stesse fermo il proponimento, o sia il volere di Dio (che avea determinato di esaltare uno de' due gemelli sopra dell'altro), il qual proponimento non ha origine dai meriti, ma dalla libera elezione, per cui Dio di spontanea volontà l'uno elesse, e non l'altro, e lo elesse, non perchè fosse già santo, ma affinchè santo divenisse. Non per riguardo adunque a merito alcuno, ma per mera grazia di Dio, che chiamò Gia cobbe, fu detto a Rebecca, che il maggiore sarebbe servo del minore, cangiato in tal modo anche il diritto della primogenitura tanto stimato presso gli Ebrei. Vedi Gen. XXVII. 37. Circa l'adempimento letterale di questa promessa vedi gli Interpreti sopra questo luogo del Ge nesi. Nel senso spirituale inteso qui particolarmente da Paolo, così lo spiega s. Agostino in psalm. 40. Il figliuolo maggiore è il popolo primogenito riprovato; il figliuolo minore è il nuovo popolo eletto. Il maggiore servirà al minore; questo si è adesso verificato; adesso i Giudei sono nostri servi, portano i libri santi a noi, che gli studiamo. E in un altro senso ancora più generale, quest'oracolo si adempie negli eletti, e ne' reprobi, perchè tutto quello, che fassi da' reprobi, o intorno ad essi, al bene serve, e alla salute degli eletti.

9,13:Conforme sta scritto: Ho amato Giacobbe, e ho odiato Esaù. Cita l'Apostolo le parole di Dio presso Malachia, cap. 1. 2., le quali parole non alle sole persone de' due fratelli, ma ancora a' loro posteri debbono riferirsi sì nel senso letterale, e sì ancora nello spirituale. La dilezione di Dio appartiene alla eterna predestinazione di Dio a favore degli eletti; l'odio di Dio alla riprovazione eterna appartiene, con la quale rigetta Dio i peccatori: imperocchè null'altra cosa può esser oggetto dell'odio di Dio fuori che il peccato. La differenza, che passa tra l'una, e l'altra, si è, che la predestinazione porta seco la preparazione de' meriti, mediante i quali si arriva alla gloria; ma la riprovazione di Dio non porta seco la preparazione de' peccati, i quali alla pena eterna conducono. Dal che ne segue, che la prescienza de' meriti non può esser in verun modo cagione della predesti nazione di Dio, perchè questi entrano anzi nella prede stinazione, e da essa hanno origine; ma la previsione de' peccati è cagione della riprovazione, quanto alla pena, proponendo Dio di punire i cattivi a motivo de' peccati, che hanno da loro stessi, e non da Dio, nella stessa guisa, che dispose di ricompensare i giusti a motivo dei meriti, che da loro stessi non hanno, ma per l'aiuto della grazia: La perdizione tua, o Israele, viene da te; di me viene solamente il tuo soccorso. Osea XIII.

9,14:Che direm noi adunque? ec. L'uomo carnale, e superbo non potendo comprendere mistero sì grande, invece di adorare la profondità dei giudizi divini, e confessare la propria ignoranza, invece di prendere da tali verità un utilissimo argomento di vera cristiana umiltà, e di quel santo timore e tremore, col quale giusta l'avviso di Paolo operar dobbiamo la nostra salute, si inalbera, e mormora contro Dio, e quasi quasi ardisce di dubitare di sua giustizia. A costui risponde Paolo con quel che segue.

9,15:Egli dice a Mosè: ec. Questo luogo dell'Esodo nella nostra Volgata sta in questa guisa: Avrò misericordia di chi vorrò, e userò clemenza con chi a me piacerà; della qual versione il senso è assai chiaro. E nello stesso senso è citato dall'Apostolo, benchè egli il riferisca secondo la versione dei LXX. Or dalle citate parole apparisce, che la ragione della misericordia, e predestinazione di Dio non è ne' meriti, che o precedano, o seguano la grazia, ma nella sola volontà divina, per cui alcuni libera con misericordia. Or egli è da osservare, che dove non è debito, non havvi nè obbligazione di dare, nè ingiustizia in non dare. Onde è, che se un uomo di due poveri, che incontri in eguale necessità, dia all'uno tutto quel che può dare in limosina, e niente doni all'altro, egli fa misericordia al primo, e non fa ingiustizia al secondo. Essendo adunque gli uomini tutti pel peccato di Adamo rei di eterna dannazione, quelli, che Dio libera, per sola misericordia son liberati, e con questi è misericordioso; con quelli che non libera usa di sua giustizia. Dov'è adunque la pretesa ingiustizia di Dio? Si potrà ella arguire o dal bene, che per pura cle menza egli fa ad alcuni, o dalla giustizia stessa, che egli esercita verso di altri?

9,16:Non è adunque (ciò) nè di chi vuole, ec. Conclusione evidente della dottrina premessa si è, che nè dal volere dell'uomo, nè dalle esteriori operazioni dell'uomo viene, che uno sia stato eletto da Dio. Correre in questo luogo, e in altri è usato dall'Apostolo per significare l'esercizio delle buone opere nella via della salute; ma fa egli ancora allusione al fatto di Giacobbe, e di Esaù, poichè questi e bramò la benedizione, e corse alla caccia per caparrarsi vieppiù la predilezione del padre. Vedi Gen. XXVII. Ella è adunque opra della sola misericordia di Dio la elezione di coloro, che sono da lui liberati: nè togliesi perciò in alcun modo il libero arbitrio; perchè l'uomo dopo che è stato chiamato, e prevenuto dalla grazia di Dio, alla vocazione acconsente liberamente, e alla giustizia si prepara, e divenuto giusto corre nella via della salute operando il bene, onde della propria vocazione, ed elezione si certifica, come dice altrove l'Apostolo. Ma a questo passo ascoltisi s. Agostino Enchirid. cap. XXXIII: E' in qual modo si dice egli, che non è nè di chi vuole, nè di chi corre, ma di Dio, che fa misericordia, se non perchè dal Signore è preparata la volontà stessa dell'uomo? Imperocchè se ciò fosse detto sul riflesso, che (la elezione) viene dall'uno, e dall'altro, cioè a dire e dalla volontà dell'uomo, e dalla misericordia, di Dio, quasi dir volesse l'Apostolo, non basta la sola volontà dell'uomo, se la misericordia divina essa pure non intervenga, si potrebbe dire ancora per converso: non da Dio, che fa misericordia, ma dall'uomo, che vuole, mentre la sola misericordia non fa il tutto. Chè se niun Cristiano osa di così parlare per non contraddire all'Apostolo, rimane adunque, che intendasi avere in tal guisa parlato lo stesso Apostolo, perchè tutto si attribuisca a Dio, il quale la buona volontà dell'uomo prepara per aiutarla, e la aiuta quando ella è preparata.

9,17:Imperocchè dice la Scrittura a Faraone: Per questo appunto ti ho suscitato, ec. Ha provato di sopra, che non è ingiusto Dio nell'amare ab eterno i giusti; prova adesso, che egli non è ingiusto nel riprovare ab eterno i cattivi. Il passo dell'Esodo citato dall'Apostolo, nella edizione dei LXX porta: ti ho serbato, ma leggendosi anche come porta qui la Volgata, non varia il sentimento. Essendo tu degno di morte (dice Dio a Faraone) ti ho serbato ancor in vita, ovvero, essendo tu in certa guisa già morto dinanzi a me pelle tue male opere, ti ho quasi risuscitato, accordandoti vita, affine di dimostrare in te la mia onnipotenza. Non è Dio adunque cagione della malizia di Faraone, ma, come quegli, che sa colla infinita sua sapienza trarre il bene dal male, la malizia stessa di Faraone servir fece alla manifestazione di sua potenza, e di sua giustizia, allorchè, giunta al colmo la ostinazione di quel regnante, coi noti tremendi gastighi punì la di lui empietà, e le crudeltà esercitate contro il popolo d'Israele. Per giusto adunque, e terribil giudizio permette talora Dio, che in pena delle precedenti iniquità, in altre, e più gravi trabocchi il peccatore, abusando egli, pel perverso uso che fa del suo libero arbitrio, di quelle cose medesime, le quali atte sono a indurlo al bene. Il fatto stesso di Faraone dà luce a questa dottrina. È dovere dei Sovrani la difesa dello stato. Faraone di un tal sentimento, che viene da Dio, si servì come di pretesto per opprimere il popolo di Dio. Il popolo de' figliuoli d'Israele (dice egli, Exod. I. 9.10) è assai numeroso: vediamo di opprimerlo con arte, affinchè non si vada ingrossando, e in caso, che ci sia mossa guerra, si unisca co' nostri nemici. Non poteva egli provvedere alla sicurezza del regno per altre vie, e particolarmente con caparrarsi l'amor degli Israeliti per mezzo di un moderato e dolce governo? Sì certamente. Ma un tal pensiero mal potea combinar colle idee, e co' sentimenti di quel crudele, e superbo monarca. Veggasi qui s. Tommaso e Ben. Pererio disput. VIII. in cap. XI. Exod., e in cap. IX. ep. ad Rom. disput. IX. Affine di far vedere in te ec. Sa Iddio far buon uso de' cattivi, i quali non sono stati da lui creati per esser cattivi, ma li sopporta egli pazientemente per avver timento de' cattivi, e per esercizio dei buoni, e tutto questo, affinchè annunziato sia il suo nome per tutta la terra, dice s. Agostino tract. 32. in Erod. Così adunque dimostrasi, come la divina sapienza alla manifestazione della sua gloria rivolge la malizia stessa degli uomini, ordinando Dio al bene la stessa malizia, della quale egli non è l'autore.

9,18:Ha adunque misericordia di chi vuole, e indura chi vuole. La prima parte di questo versetto è evidente per le cose dette di sopra. Quanto alla seconda parte, l'induramento del cuore non viene da Dio direttamente, quasi egli sia l'autore della ostinazione de' reprobi nel loro mal fare, ma bensì indirettamente, permettendo, che perseverino, e crescano nella malizia, negando loro la grazia: onde dice s. Agostino, che indurare è lo stesso, che non volere far misericordia, non volere ammollire il cuore del peccatore. Quindi lo stesso Santo dice: Dio rende male per male, perchè è giusto, rende bene per male, perchè egli è buono, rende bene per bene, perchè egli è buono e giusto; non rende giammai male per bene, perchè non è ingiusto, de Grat., et lib. arb. cap. XXIII.

9,19:Mi dirai però: E perchè tuttor si querela? Conciossiachè, chi resiste ec. Contro quest'ultima conclusione potevano opporre i Giudei a Paolo: se Dio fa misericordia a chi vuole, e indura chi vuole, perchè adunque si lamenta egli di que' che non si convertono per esser salvi? Conciossiachè chi è, che al voler di lui possa opporsi?

9,20-21:O uomo, chi se'tu, che stai a tu per tu con Dio? Poteva subito rispondere, che Dio a ragion si la menta de' peccatori, perchè volontariamente, e libera mente peccano; ma i suoi contraddittori meritavano di essere ripresi, e svergognati della temerità, con la quale ardivano di intaccare i consigli di Dio; e perciò a loro si volge con questa severa interrogazione: o uomo, e con qual titolo ti arroghi tu di discutere i giudizi divini, tu che altro non sei, che cecità, e miseria?
Dirà forse ilvaso di terra ec. Se un artefice illustre compone di vil materia un vaso degno per sua bellezza di servir di ornamento alla casa di un grande, ciò si ascrive alla bontà dell'artefice; se della stessa vile materia fa un altro vaso ad usi inferiori, questo vaso, se di ragione fosse dotato, non avrebbe certo nè motivo, nè ardir di lagnarsi; potrebbe in certo modo lagnarsi, se essendo di nobil materia composto, ad usi vili fosse impiegato. L'uomo, come dice Giobbe (xxx. 19.), è paragonato al fango, di cui fu formato, ma infinitamente più vile, e abietto egli è divenuto per la corruzione del peccato originale. Debbe egli adunque riconoscere dalla bontà, e clemenza di Dio tutto quello, che riceve di bene. Che se Dio a maggiorgrado non lo promuove, ma nella sua miseria lo lascia, niuna ingiuria gli fa, nè egli ha onde dolersi. Il reprobo non può dire a Dio (come osserva s. Agostino) perchè mi hai tu fatto un vaso di ignominia? Imperocchè egli è, come tutti gli uomini, della massa del fango, cioè del peccato dopo la prevaricazione di Adamo. Per la qual cosa (segue a dire il santo Dottore) se tu, o uomo, vuoi poter dire a Dio, perchè mi hai fatto ec., non voler più esser fango, ma procura di di ventare figliuolo di Dio mediante la di lui misericordia.

9,22:Che se Dio volendo mostrar l'ira sua, ec. Si dee qui sottintendere: e che avrai tu da dolerti, o da opporre alla condotta di Dio, se egli volendo ec. Simili reticenze sono familiari all'Apostolo: ma qui ha gran forza questa maniera di parlare rotta e veemente, trattandosi di ribattere le ingiustissime querele degli empi, i quali volevano attribuire a Dio stesso l'origine della loro per dizione, come vedesi nel versetto 19. Repressa adunque la superbia de' suoi contradittori, o piuttosto de' nemici della verità, passa l'Apostolo a porre in veduta alcune ragioni, per le quali è piaciuto a Dio di fare misericordia ad alcuni, lasciando gli altri nella loro miseria, che è lo stesso, che dire di eleggere i primi, e riprovare i secondi. Il fine di tutte le opere di Dio è la manifestazione della sua gloria. Manifesta egli la sua giustizia in quelli, che pe' loro demeriti ad eterni gastighi condanna: manifesta la misericordia in quelli che sono da lui liberati. Dio adunque volendo mostrare l'ira sua, vale a dire la sua vendicatrice giustizia, e la potenza infinita, con la quale sa assoggettare e domare i superbi, con longanimità, e pazienza grande sopportò que', che altro non sono, che vasi, e strumenti d'ira, o sia di punizione e di vendetta, atti alla perdizione, che è la dannazione eterna, di cui si sono per propria loro colpa renduti degni. Ritrae adunque in tal modo Iddio la sua gloria dalla riprovazione de' peccatori, esaltando nella loro depressione la sua giustizia, e la sua potenza, e anche la pazienza divina, con la quale lungamente li tollera prima di gastigarli.

9,23:Per far conoscere i tesori ec. La perdizione de' re probi dà gran risalto alla carità di Dio, dalla quale sola riconoscer debbono i Santi la loro liberazione dagli infiniti mali, ne' quali senza di lei sarebbero anch'essi caduti. Questi perciò sono detti vasi di misericordia, cioè strumenti, de' quali si serve Dio per manifestare la sua misericordia. Questi egli va disponendo, e preparando alla gloria eterna, onde di essi sta scritto: Dio, che prepara i monti con la sua fortezza; con la sua fortezza (dice s. Agostino), non con la fortezza, che abbiano essi monti umili, e bassi in se stessi, eccelsi in Dio.

9,24:I quali di più egli chiamò non solo dal Giudaismo, ec. Questi vasi di misericordia da lui preparati egli trasse con sua chiamata non solo dal popolo Ebreo, ma ancora dalle nazioni, o sia da tutto il Gentilesimo. Verità, come abbiam detto più volte, udita mal volentieri dal superbo Giudeo, dimostrata dall'Apostolo colla testimonianza irrefragabile delle Scritture.

9,25-26:Chiamerò mio popolo ec. In questo primo luogo di Osea si promette a Gentili, che saranno a parte an ch'essi una volta del nome di popolo di Dio, di popolo diletto, di popolo riguardato con occhio di misericordia. Nel seguente poi è lorò promessa di più la stessa adozione in figliuoli di Dio. I Giudei come da parte di Dio stesso dicevano a' Gentili, voi non siete mio popolo, e Dio dice, che nei luoghi medesimi, dove fu rinfacciata a' Gentili la loro miseria, ivi si udirà il nome di figliuoli di Dio vivo comunicato agli stessi Gentili.

9,27:Isaia poi sclama sopra Israele: ec. Il nuovo popolo adunque sarà composto principalmente di Gentili, i quali sono stati nominati i primi dall'Apostolo per dare a intendere a' Giudei la preferenza, che quegli avrebber sopra di loro; in secondo luogo entreranno nel nuovo popolo di Dio i Giudei,ai quali, come dice l'Apostolo, con libertà grande Isaia dichiara, quanto scarso sarebbe stato il numero di coloro, che dovevano credere, ed esser salvi; imperocchè questo numero è paragonato dal Profeta a quei pochi Giudei, i quali dopo la dispersione delle dieci tribù tornarono a rivedere la patria, ovvero a quelli che avanzarono alla orribile strage fatta da Sennacherib. Si prova adunque dalle parole del Profeta e la vocazione dei Giudei, e la riprovazione della massima parte della nazione.

9,28:Perocchè (Dio) consumerà, ec. Isaia avea detto di sopra, che di un popol grande, quale era l'Ebreo, alla venuta del Messia si salverebbero solamente gli avanzi; conferma adesso la medesima predizione, dicendo, che Dio darà compimento alla sua parola, riducendo con giusto giudizio a breve e scarso numero gli Israeliti, che crederanno, e otterranno salute, mentre la gran moltitudine perira nella sua miscredenza. Per la parola abbreviata intendesi la stessa profezia di abbreviazione (per cosi dire) secondo la qual profezia il numero degli Israeliti fedeli sarà abbreviato, e ristretto agli avanzi. Tale è la prima sposizione letterale di questo luogo. Havvi in secondo luogo chi crede descriversi dal Profeta la virtù della parola Evangelica, la quale è parola consumata perchè trovasi in essa il perfetto adempimento della legge, ed è parola accorciata, perchè tolta la moltiplicità dei sagrifizi, e de' precetti morali, con un solo sagritizio, e con due soli comandamenti abbracciò tutte le figure dell'antica legge, e tutti i precetti morali; e tutto ciò sarà fatto con equità, perchè nulla sarà tralasciato di quello, che utile sia da osservarsi. Ma quello che è da notarsi principalmente, si è, che questa parola sarà fatta dal Signore sopra la terra: vale a dire dal Signore abitante sopra la terra, vestito di umana carne, perchè infatti di molto maggior virtù, ed efficacia debbe esser quella parola, la quale dallo stesso Verbo incarnato fu annunziata, che quella, che per ordine di lui fu promulgata dal suo mi mistro Mosè. S. Cipriano e s. Girolamo, e altri Padri in quelle parole: una parola abbreviata farà il Signore sopra la terra, hanno riconosciuto espressamente dichiarato il mistero della incarnazione: una parola abbreviata (dice s. Girolamo) librò Dio nella sua equità, affin di salvare per mezzo della umiltà, e della incarnazione di Cristo tutti coloro, che credessero in lui: ad Hebid. quaest. 50.

9,29:Se il Signore degli eserciti non avesse lasciato di noi semenza, saremmo diventati ec. Se alla venuta del Cristo non avesse Dio nella generale ribellione del popolo Ebreo separato un piccol numero di giusti, che credettero al Vangelo, questa nazione infelice sarebbe stata in teramente riprovata e sterminata non men, che Sodoma, e Gomorra. Imperocchè il peccato degli Ebrei uccisori del Cristo fu ancor più grave ed enorme, che quello di Sodoma e di Gomorra, Jerem. Thren. IV. 16.

9,30:Che diremo adunque? Che le genti, ec. Che inferiremo noi da tali verità? Che hanno abbracciata la giustizia le genti, quelle genti, che la giustizia nè cercavano, nè conoscevano; dal che apparisce, come per pura, e gratuita misericordia di Dio pervenute sono a quella giustizia, che non si ottiene per mezzo delle opere, ma me diante la fede, che è quanto dire alla giustizia non della legge Giudaica, ma del Vangelo.

9,31:Israele poi, che seguiva la legge di giustizia, non è pervenuto ec. Notisi, che degli Ebrei parlando, non dice l'Apostolo, che seguissero la giustizia, ma bensì, che seguivano la legge di giustizia; conciossiachè delle opere ancor della legge erano privi, vivendo male, e peccando; ma contuttociò essi si vantavano della legge, e professavano di osservarla; ma alla vera giustizia non pervennero, non avendo penetrato sino al termine della legge, ma essendosi perduti, per così dire, sulla fine del corso mentre rigettarono, e crocifisser colui, che era il fine di tutta la legge, e l'oggetto di tutte le speranze degli uomini.

9,32:E perchè? Perchè non (la cercò) dalla fede, ma quasi dalle opere. Restarono adunque delusi misera mente perchè tutta la speranza di essere giustificati riposero nelle opere prescritte dalla legge, e non nella fede del Salvatore, e attenendosi alle ombre, e alle figure ripudiarono la verità. Giudicarono, o che le opere della legge fosservalevoli ad ottener la vera giustizia, quando valevoli realmente non erano, ovvero che la giustizia, che per esse opere poteva ottenersi,fosse la vera quando vera giustizia non era. Vedi sopra cap. III.
Imperocchè urtarono nella pietra d'inciampo. La pietra è Cristo, divenuto occasione di inciampo per li Giudei a motivo della umiltà, e della infermità della carne, di cui vestito comparve: Era come ascoso il suo volto, e spregevole, onde nol guardammo in faccia, Isaia LIII. 3.

9,33:Come sta scritto: Ecco, che io pongo in Sion una pietra d'inciampo, ec. Era egli credibile, che il popolo di Dio in sì gran cecità cadesse, che inciampo e rovina fosse per lui quel Cristo, che aspettava con tanta ansietà? Ciò non era solamente credibile, ma certissimo; imperocchè tanto tempo avanti l'avea predetto Isaia, e la sua profezia è stata letta e riletta da' Giudei, senza che mai ne penetrassero il vero senso. Io porrò (dice Dio) in Sion (cioè nella Chiesa, che ebbe sua culla in Gerusalemme) una pietra, la quale diverrà pietra di inciampo per molti a motivo della loro perversa malizia, benchè ella sia per se stessa pietra angolare, e fondamentale della medesima Chiesa, e base di ogni salute per quelli che in lui crederanno, i quali non saranno nelle loro speranze delusi. Questo versetto è cavato da due differenti luoghi di Isaia, il principio e la fine dal capo XXVIII. 16., e il di mezzo dal capo XVIII. 4., valendosi al solito l'Apostolo della versione dei LXX.