Scrutatio

Sabato, 20 aprile 2024 - Beata Chiara Bosatta ( Letture di oggi)

Sapienza 13


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Vanità degli uomini, i quali non avendo conosciuto Dio per mezza delle creature, adorarono piuttosto le creature stesse come dei: più stolti ancora son quelli, che dio chiamano l'opera di un artefice, e da un idolo insensato chieggono aiuto.

1Or vani sono tutti gli uomini, i quali non hanno cognizione di Dio; e dalle buone cose, che veggonsi non sono giunti a conoscere colui, che è, né dalla considerazione delle opere conobber chi fosse l'artefice:2Ma dei, e rettori del mondo credettero essere o il fuoco, o il vento, o il mobil aere, o il coro delle stelle, o la massa delle acque, o il sole, o la luna.3Che se rapiti dalla bellezza di tali cose ne fecero dei, comprender debbono quanto più bello di esse sia il loro Signore, mentre tutte queste cose dall'autore della bellezza furono fatte.4Se poi la virtù ammirarono, e gli effetti delle medesime cose, da queste debbon intendere, che colui, il qual le creò, in virtù le sorpassa:5Imperocché dalla grandezza, e bellezza della creatura potrà intelligibilmente vedersi il lor Creatore:6Eppure meno è da dolersi di questi. Perocché errano forse in cercando Dio, e bramando di ritrovarlo.7Conciossiaché lui cercano, investigando le opere sue, e ne rimangono presi, perché buone sono le cose, che veggonsi.8Contuttociò neppur a questi si dee perdonare;9Imperocché se poteron saperne tanto da penetrare le cose del mondo, come mai il Signore di esso non iscopersero più agevolmente?10Ma sgraziatissimi sono, e la loro speranza hanno in cose morte coloro, che danno il nome di dei alle opere delle mani degli uomini, all'oro, all'argento lavorato con arte, e alle immagini di animali, o ad un vil sasso, opera di antica mano.11Come quando un legnaiuolo perito tronca una diritta pianta dal bosco, e con buon modo tutta ne rade la corteccia, e dell'arte sua ne forma un mobile atto a servire per le bisogne della vita,12E degli avanzi di tal lavoro ne fa uso per farsi da mangiare;13E un pezzo di questi non buono a farne nulla, bischenco, e pieno di nodi, a tempo avanzato lo lavora diligente mente collo scalpello, e secondo le regole dell'arte sua gli da figura, e lo fa simile all'immagine di un uomo,14Ovver gli di somiglianzà ad alcuno animale; e lo liscia col minio, e gli da color rosso col belletto, e lo pulisce da tutte le sue macchie,15E degna stanza a lui prepara, e lo colloca alla muraglia, dove lo assicura col ferro,16Affinchè non vada per terra, usando per esso tal diligenza, perché sa, ch'ei non può da se aitarsi, perché è un simolacro, ed ha bisogno di aiuto:17E a lui porge voti, e lo consulta intorno alle sue facoltà, e intorno a' figliuoli, e intorno ad un matrimonio; e non si vergogna di parlare con uno, che è senz'anima:18E da un invalido chiede con suppliche la sanità, e da un morto la vita, e in suo aiuto invoca un impotente:19E per fare un viaggio si raccomanda a chi nop può muoversi, e per far degli acquisti, o qualche lavoro, e pel felice evento di qualsisia cosa, fa preghiere a chi non è buono a nulla.

Note:

13,1:Vani sono tutti gli uomini, ec. Comincia qui il Savio a parlare della gentilesca teologia, la quale, come notò s. Agostino de civit. VI. 5.,si divideva in due rami, la teologia delle favole, a cui si riuniva quella del popolo, detta perciò teologia civile; e la naturale. La teologia civile dava gli onori divini, primo, a creature vilissime, consacrate dalla cecità e dalla empietà degli uomini, a' bovi, alle pecore, ai pesci, alle mosche ec.: secondo, non solo agli uomini, ma anche alle immagini di uomini morti, e di più scellerati, e ai demoni, i quali nelle stesse immagini ponevano la loro fede. La teologia naturale adorava le parti principali di questo universo, il sole, la luna, le stelle, l'aria, il fuoco, l'acqua ec. Ha parlato della prima specie di teologia, o sia superstizione civile, nel capo precedente; della seconda parlerà alla fine di questo, e nel capo 14.; tratta adesso della naturale, che era propria dei filosofi. Così senza allontanarsi dallo scopo suo principale, che è di commendare la sapienza, la pietà e la religione, lo Scrittore sacro confuta l'idolatria, e fa vedere a quali stravaganze ed a quali vitu perosissimi eccessi conduca la dimenticanza di Dio, e fino a qual segno l'umana ragione abbandonata a se stessa può degradarsi e avvilirsi, e quanto bisogno abbia l'uomo della luce di Dio, per saper quello che di Dio dee credere, e quello che dee fare per piacergli. Questa scienza di Dio perfetta, esente da ogni macchia, purgata da ogni ombra li errore, sicura, infallibile, degna in fine di esser la regola di uno spirito fatto a immagine e somiglianza del suo Creatore; questa scienza nelle sole Scritture sante si trova, onde s. Giustino martire di se stesso racconta, che dopo avere inutilmente studiate e disaminate le varie dottrine di tutte le sette dei filosofi, e dopo avere inutilmente fatto uso di tutte le cognizioni umane, per sua buona sorte trovati avendo i libri santi, dalla luce e purezza e santità di questi fu preso in guisa, che ogni altra cosa mise da parte; perocchè dovette egli conoscere, che se qualche cosa di utile dai libri de' Gentili filosofi potea raccogliersi, ne' libri divinamente ispirati si ritrovava, e trovavasi in essi quello che in nissun altro libro non avea potuto trovare, la cognizione del vero Dio. Il culto del vero Dio e la dottrina di salute. Vedi Justin. dia. cum Triph. Dice adunque il Savio, che voni, cioè stolti e mentecatti sono tutti quegli uomini, i quali non conoscon il vero Dio, e dalla bellezza, eccellenza e bontà del cose create non han saputo innalzarsi alla cognizione di lui, che è il vero essere per sua essenza, e dalla vista e considerazione di tante opere non furon capaci d'intendere chi ne fosse stato l'artefice.

13,2:Ma dei... credettero essere o il fuoco, ec. Ecco gli dei de' filosofi, de' quali alcuni dio credettero il fuoco, altri il vento, altri l'aere più puro e sottile ec., i quali dei furono pur riconosciuti chi da questa, e chi da quella nazione.
O la massa delle acque. Il mare, che il Greco dice acqua violenta, il mare inquieto agitato dalle tempeste. Eraclito Efesio disse, che dio era il fuoco; Anassimene, che dio era l'aria; e Zenone, che era l'aere, o l'etere: Zenocrate e Alcmeone diedero la divinità alle stelle. Talete (uno dei sette famosi sapienti) all'acqua; quanto al sole ed alla luna, il culto rendluto all'uno e all'altra fu la prima, e la più antica superstizione di tutto l'oriente.

13,3-5:Se rapiti dalla bellezza di tali cose ec. L'argomento è semplice, e irresistibile. O uomini, se di queste creature voi amate la beltà, elle vi annunziano una infinitamente maggior bellezza nel lor Creatore: se gli effetti e i vantaggi, che da esse a voi vengono, sollecitano la vostra riconoscenza, ma quanto più dee esser potente a farvi del bene colui, che a queste diè l'essere! Elle adunque a voi predicano, e gridano, che lui amiate, da cini hanno avuto e la loro bellezza e la virtù di giovarvi; e se alle loro voci voi resistete, siete inescusabili, perchè in asse voi dovete necessariamente vedere e riconoscere un Creatore più bello senza paragone e più grande e più potente: ma il cielo e la terra e l'universo tutto ai sordi parlano (dice s. Agostino) se lo stesso Dio per sua bonta al cuor dell'uomo non parla. Vedi confess. X. 6.

13,7-9:E ne rimangono presi, perchè ec. Rimangon presi dalla bellezza e grandezza delle opere di Dio, e dal bene grande, che in esse ritrovano; onde questa bontà credono essere la bontà somma, suprema, assoluta, e alle stesse opere attribuiscono la divinità. Hanno adunque una tal quale scusa i filosofi, scusa però da non ammettersi, e che non basta certamente a lavarli dalla colpa di lor cecità; conciossiachè se eglino ebbero sagacità e sottigliezza per intendere moltissimi segreti della natura, come mai non arrivarono a conoscere l'esistenza del Padrone della natura? lnescusabili sono essi adunque, ma meno rei e meno stolti di quelli, de' quali si parla in appresso.

13,10:Ma sgraziatissimi ec. Parla di quelli, che non il sole, la luna, le stelle, o alcuna delle cose dette di sopra adoravano, ma idoli d'oro, d'argento, di pietra, di terra, di legno, idoli rappresentanti uomini morti, ovvero bestie vili e prive di ragione. A queste statue dava pregio e accresceva venerazione l'esser lavoro di antica mano. In questi idoli il popolo generalmente credeva che abitasse la divinità, e rendesse oracoli, e operasse prodigi, e ricevesse le adorazioni degli uomini.

13,11:Come quando un legnaiuolo perito ec. Questa bella descrizione mette in chiarissima veduta la estrema stoltezza vergognosissima degl'idolatri.

13,12:Per farsi da mangiare. Per far bollire la pignatta.

13,14:Lo liscia col minio. Si vede, che il color rosso si dava alla faccia degli dei ab antico. Plinio racconta, che l'uso portava di dare il belletto al viso della statua di Giove ne' giorni festivi. Vedilo lib. XXXIII. 6.
Due cose noterò in questo luogo: primo, i Cristiani hanno delle immagini di Cristo, de' santi, e anche alcuna, che Dio rappresenta, alle quali rendono onore: ma i Cristiani nulla credono essere di divino o di spirituale in queste immagini: le pitture e le statue, che Dio rappresentano in quella forma, sotto la quale egli si degnò di apparire ad Abramo, a Mosè, ai profeti santi, sanno tutti i Cristiani che nè la divinità contengono, nè la dimostra no quale ella è, ma qual si mostrò agli uomini: le pitture e le statue del Salvatore e de' servi di Dio son destinate a nutrir la pietà colla ricordanza di quello, che Cristo per noi fece e patì, e a risvegliare l'imitazione colla memoria delle virtù praticate dai santi. Quindi, come osservò s. Basilio, il culto delle immagini presso i cristiani è di sua natura intieramente relativo a ciò, che per esse viene rappresentato. Vedi anche il sacro Concilio di Trento. in secondo luogo, ma e perchè in leggendo la descrizione patetica fatta qui dallo Spirito santo degli orrendi deliri, nei quali la natural debolezza, e molto più la depravazione del cuore precipitò tutto il genere umano, ridotto a tanta viltà di adorare non solo i muti animali, ma anche il sasso ed il legno. Perchè, dico, in leggendo tali cose non ci farem noi a ripensare, che in tale abisso di cecità si giacque (tolto un solo popolo) il mondo tutto fino nlla ventita di Cristo, e a riflettere col grande Apostolo delle genti che noi una volta Gentili di origine, che eravamo detti incirconcisi da quelli, che circoncisi s'appellano secondo la carne per la manofatta circoncisione, eravamo in quel tempo senza Cristo (in cui credere e sperare), alieni dalla società d'Israele, stranieri rispetto a' testamenti, senza speranza di promessa, e senza Dio in questo mondo? e che per pura gratuita mise ricordia egli è avvenuto, che adesso in Cristo Gesù noi, che eravamo lontani, sin nn diventati vicini mercè del sangue di Cristo: perocchè egli è nostra pace, egli, che delle due case ne ha fatta una sola, annullando la parete intermedia di separazione, le mimistà,.. performare in se stesso de' due (del Giuleo e del Gentile) un solo uomo per riconciliargli ambedue in un solo corpo con Dio; ed egli venne ad annunziar la pace a noi che eravamo lontani, e puce ai vicini? Ephes. II. II. 12. 13. 14. 16. 17. E qual è il saggio, che di tali verità faccia conserva in cuor suo, e intenda l'ampiezza delle divine misericordie, per le quali mutamento sìgrande si fece in nostro vantag gio sopra la terra, ch'ei non intenda eziandio qual debba essere la nostra riconoscenza verso Dio, il quale trattici dalla potestà delle tenebre ci trasferi nel Regno del suo diletto Figliuolo nel quale divenimmo luce noi, che una volta fummo tenebre, e oscurità, e corruzione?