Scrutatio

Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Qoelet 2


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Vanità de' piaceri, delle ricchezze, dei grandi edificj, e dei tesori accumulati per un erede non conosciuto.

1Io dissi in cuor mio: Anderò a provarla copia delle delizie, e a godere dei beni. E riconobbi, che questo pure è vanità.2Il riso lo condannai di pazzia: e al gaudio dissi: Come vanamente ti inganni!3Risolvei in cuor mio di divezzar la mia carne dal vino per rivolgere l'animo alla sapienza, e per fuggir la stoltezza; sino a tanto che io avessi veduto quel, che sia utile pe' figliuoli degli uomini, e quel, che sia necessario di fare sotto del sole nei giorni contati della sua vita.4Or io feci opere grandi, fabbricai delle case, e piantai delle vigne.5Piantai orti, e giardini, e vi messi ogni specie di piante.6E formai delle peschiere di acque per annaffiare la selva de' giovani arboscelli.7Ebbi in mio dominio dei servi, e delle serve con molta famiglia, ed armenti, e greggi di pecore numerosi, sorpassando tutti quelli, che furono avanti a me in Gerusalemme:8Ammassai argento, ed oro, e quel,che aveano di più prezioso i regi, e le provincie: e mi scelsi de' cantori, e delle cantatrici, e le delizie de' figliuoli degli uomini, delle coppe, e de' vasi per mescere i vini.9E superai nelle ricchezze tutti quei che furono prima di me in Gerusalemme; e la sapienza ancora fu sempre meco.10E non negai agli occhi miei nulla di tutto quel, ch'ei desiderarono, e non vietai al mio cuore, il godere di ogni piacere, e il deliziarsi in tutte queste cose preparate da me, e questa credetti la mia porzione, il godere di mie fatiche:11Ma volgendomi poi a tutte le opere fatte dalle mie mani, e alle fatiche, nelle quali io avea sudato inutilmente, in ogni cosa io vidi vanità, e afflizione di cuore, e che niente dura sotto il sole.12Passai a contemplar la saggezza, e gli errori, e la stoltezza. Che è egli l'uomo (dissi io) che seguir possa il re suo Creatore?13E riconobbi, come tanto va avanti la sapienza alla stoltezza, quanto la luce è distante dalle tenebre.14Il saggio ha occhi in testa: lo stolto cammina al buio: ma io appresi,che e l'uno, e l'altro vanno egualmente alla morte.15Onde io dissi in cuor mio: Se e lo stolto, ed io egualmente morremo, che giova a me l'aver fatto maggior studio della sapienza? E dopo averla discorsa coll'animo mio, conobbi, che questo stesso è vanità:16Perocché non sarà eterna la memoria del saggio, come neppure dello stolto; e i tempi avvenire seppelliran nell'oblio tutte a un modo le cose: muore il dotto appunto, come l'indotto.17E perciò mi venne a noja la vita o in veggendo come i mali tutti si trovano sotto del sole, e che tutto è vanità, ed è afflizione di spirito.18Detestai di poi tutta la mia sollecitudine, onde con tanto studio mi affannai sotto del sole, mentr'io son per avere un erede dopo di me,19Il quale io non so se sia per essere sapiente, o stolto, e il quale possederà le mie fatiche, che a me costarono sudori, ed affanni. Or v'ha egli cosa vana più di questa?20Per la qual cosa io mi presi riposo, e il cuor mio rìnunziò a travagliarsi mai più sotto del sole.21Conciossiachè dopo che uno ha faticato con saggezza, e prudenza, e sollecitudine, gli acquisti suoi lascia ad un infingardo: e questo è certamente vanità, e male grande.22Imperocché qual vantaggio trarrà l'uomo di tutte le sue fatiche, e delle afflizioni di spirito, ond'egli si è straziato sotto del sole?23Di dolori, e di amarezze sono pieni tutti i suoi giorni, e neppure la notte ha posa il suo spirito: e questo non è egli vanità?24Non è egli meglio mangiare, e bere, e far del bene all'anima propria colle proprie fatiche? E questo è pur dalla mano di Dio.25Chi consumerà, e accumulerà delizie, come ho fatto io?26All'uomo, che è retto dinanzi a lui, ha data Dio la sapienza, e la scienza, e la letizia; ma al peccatore ha date le afflizioni, e la inutile cura di accumulare, e ammassare de' beni per lasciarli a chi Dio vorrà: e questo pure è vanità, e inutile angoscia di animo.

Note:

2,1: Anderò a provar la copia delle delizie. Ecco la sposizione del Nisseno: Dopo aver fatto saggio di una maniera di vivere ritirata e severa, si risolve di cercare le cose che piacciono, ed essendo stato pell'avanti alieno dal riso, e grave e costante come son quelli, che si studiano di acquistare scienza e sapienza, adesso si piega a fare sperimento di quelle cose, che si credono dolci e gradite secondo i sensi. S. Gregorio, M. Ugone e molti altri credono, che Salomone continuando il gravissimo suo sermone viene qui a proporre sotto il suo nome l'esempio di un uomo, il quale disgustato dallo studio delle scienze e della sapienza va cercando se può trovare ne' piaceri della vita quella satisfazione e felicità, che non avea fin allora trovata. Altri poi in gran numero suppongono, che di se stesso parli, e il fatto proprio e il suo proprio esempio egli racconti, e questa seconda opinione sembra più verisimile per quelle parole: Io dissi in cuor mio ec. Salomone adunque dice, che non per disperazione, nè per principio d'intemperanza, ma per fare sperienza del vero, cominciò a gustare le comodità della vita, le delizie e i beni sensibili. Ma riconobbi (segue egli a dire), che questo pure è vanità. Sopra le quali parole ottimamente osservò un dotto Interprete, che siccome il nome stesso di delizie, di piaceri ec., ha in se qualche cosa di lusinghiero, che irritar potrebbe, ed accendere la cupidità dell'uomo carnale, per questo Salomone prima di andar più innanzi a parlare di queste delizie, avverte e dichiara, ch'elle son cose vane, anzi pura e pretta vanità, affinchè nissuno dalla falsa loro apparenza si lasci abbagliare, ne sedurre dalle loro attrattive.

2,2:Il riso lo condannai di pazzia: e al gaudio dissi: ec.Parla del riso e del gaudio, come di due persone, e con grande enfasi dice, che lo smoderato riso condannò di pazzia, e al gaudio mondano disse, che era ingannato. Sogliono gli uomini di poca riflessione e giudicio negli avvenimenti felici, e quando han qualche straordinaria contentezza. tripudiare soverchiamente, e abbandonarsi al riso e all'allegrezza. Salomone non ad essi, ma al loro riso, e al loro gaudio volge le sue parole, e dice, che l'uno è pazzia, l'altro è inganno; perocchè stolto è veramente l'uomo, il quale per sì piccole e meschine cose, come sono tutte le fortune e consolazioni della terra, esulta senza contegno e misura, e trasportar si lascia da soverchia letizia, come se qualche cosa di solido, e di veramente grande avesse acquistato, quando di lì a poche ore quelle stesse cose, per cui s'inalbera cotanto e trionfa, le mirerà forse con disdegno, o almen con grandissima indifferenza: onde veramente un tal riso ed una tale allegrezza è degna di derisione: al gaudio dissi: Come vanamente t'inganni.

2,3:Risolvei in cuor mio di divezzar ec. Veduta la vanità delle contentezze del mondo, che io conobbi essere pazzia e inganno, risolvei di privar la mia carne del vino, e delle altre delizie, affin di attendere allo studio della sapienza, per cui potessi conoscere quello che sia utile all'uomo per fare acquisto di vero gaudio e di vera felicità, e quel che egli necessariamente far debba quaggiù in tutto il tempo della sua vita per un fine sì grande. Dicendo Salomone: ne' giorni contati della sua vita, viene a ripetere il detto di Giobbe: Brevi sono i giorni dell'uomo, tu hai contato il numero de' mesi sttoi, XIV. 5. Notò il Nisseno, che Salomone vuole andar ricercando quello che sia utile non ad una sola età, ma in perpetuo, e che buono sia per la prima età, e per quella di mezzo, e per l'ultima, e per tutti i giorni; conciossiachè le soddisfazioni del corpo quant'elle sono, nulla han di costante: vuol dunque andar ricercando quello che Cristo disse, il solo necessario, Luc. X. 42., a cui debbono essere intese le cure tutte, e i pensieri dell'uomo.

2,4: Feci opere grandi, fabbricai delle case, ec. Intorno alle grandiose fabbriche di Salomone vedi III. Reg. VII. 5. Piantai orti e giardini, ec. Gli orientali tutti hanno sempre amato di avere de' grandi e belli orti e giardini, ma piantati di arbori utili, e non solamente belli a vede re; e i più grandi signori si applicavano con genio alla cultura de' medesimi orti.

2,6:E formai delle peschiere ec. I viaggiatori raccontano che in due o tre luoghi della Palestina si mostrano tali peschiere, che voglionsi di Salomone; ma non si può dare sicura fede a simili tradizioni popolari.

2,7:Con molta famiglia. Secondo l'Ebreo intendonsi i figliuoli di queste serve e servi, i figliuoli di casa, quelli che i latini chiamarono vernae. Vedi quello, che si consumava pel vitto della famiglia di Salomone, III. Reg. pv. 22.

2,8:Ammassai argento ed oro, ec. Si dice che Salomone avesse di entrata ogni anno circa otto milioni e mezzo di scudi Romani, senza le gabelle e senza i tributi, che pagavano i re, che gli eran soggetti, e senza le ricchezze, che a lui portavano di tre in tre anni le sue navi, che andavano a Ophir. Tutto questo forma una massa quasi immensa di ricchezze. Vedi III. Reg. X. 27.
De' cantori e delle cantatrici. Davidde ne ebbe egli pure. Vedi II. Reg. XIX. 35.: ma forse li fe' servire solamente a cantar le laudi di Dio. E le delizie de' figliuoli degli uomini. Intendonsi comunemente le delizie, e la sontuosità della tavola.

2,9:E la sapienza ancora fu sempre meco. Se nel significato ordinario (e comune in questo libro) noi prendiamo qui il nome di sapienza, ne verrà evidentemente, che questo libro fu scritto da Salomone prima de' suoi errori, ne'quali egli certamente la sapienza perdè, cioè la virtù e la santità. Dall'altro canto molti non credendo possibile di unir insieme con tante delizie e profusioni e piaceri la vera sapienza, prendon questa voce in altra significazione e come se ella volesse in questo luogo indicare l'arte di regnare, ovvero la scienza delle cose naturali. Ma non mi sembra necessario di ricorrere a questa interpretazione. La ordinaria magnificenza, e il lusso regio di Salomone, e le ricchezze, onde Dio lo avea ricolmo, lo ponevano in istato di sperimentare quel che potessero a contentare e render pago il cuore dell'uomo tutte quelle cose, nelle quali credono gli stolti, che trovar si possa qualche soda felicità. Or siccome noi non veggiamo nelle Scritture, ch'ei sia biasimato per tale magnificenza, possiamo perciò supporre fondatamente, che in mezzo a tante delizie e grandezze conservasse egli il cuore assai libero e distaccato per non oltrepassare in veruna cosa i confini della temperanza, della onestà e della legge divina; e secondo questa limitazione intendiamo ancora le parole del versetto seguente; e così le intendiamo, perchè egli ci dice che la sapienza non lo abbandonò. Noterò, che in tutta la descrizione, che ci dà in questo luogo Salomone delle sue delizie e piaceri, non si accennano quelli che furono la cagione di sua caduta, donde può inferirsi, che la magnificenza e sontuosità delle fabbriche, la moltitudine dei servi e de' cortigiani, la ricchezza degli ornamenti delle case reali, la eleganza e grandiosità de' giardini, e simili opere di splendidezza e di lusso furono gli oggetti delle sue cure, dei suoi studi, e, com'ei dice, di sue fatiche, Vers. II.

2,10:E questa credetti la mia porzione, ec.Credetti, che la porzione, la sorte, il frutto, che mi apparteneva, consistesse nel godere delle delizie, che io colle mie fatiche e colle mie diligenze avea preparate.

2,11:Vidi vanità e afflizione di cuore, e che niente dura ec. Vidi perdute e gettate inutilmente le mie fatiche, anzi il frutto, che io ne ritrassi, fu l'amarezza e l'afflizione dello spirito: perocchè nulla quaggiù dura, ma tutto passa e finisce e va in fumo. Vidi (dice il Nazianzeno), e considerai tutte le cose, le ricchezze, le delizie, la potenza, la gloria fugace, la sapienza stessa, la quale fugge più tosto di quel, che sia in nostro potere, e di poi le delizie, di nuovo la sapienza, i piaceri della gola, gli orti, i greggi de' schiavi, l'immensità delle possessioni, i cantori e le cantatrici, le armi, le guardie, le genti prostrate dinanzi al trono, i tributi raccolti, il fasto del regno, e finalmente tutte le cose o necessarie alla vita, o superflue; e dopo tutte queste cose, che fu?Tutto è vanità, vanità delle vanità, e presunzione di spirito, vale a dire impeto sconsigliato dell'animo, e strazio dell'uomo, gastigato forse con simil pena per ragione dell'antica caduta, cioè per la colpa del primo uomo.

2,12:Passati a contemplar la sapienza, e gli errori ec. Dopo aver condannata la vanità de' piaceri e delle grandezze umane, mi rivolsi a considerare quella pretesa sapienza, di cui un certo numero d'uomini si gloriano, e si pavoneggian cotanto, e più che sapere e prudenza, vi trovai errore e stoltezza, cioè presunzione di sapere e di virtù; conciossiachè come mai l'uomo, debole ed incostante com'è, e soggetto agli urti delle passioni, potrà star fermo nella sapienza a imitazione del suo Re e del suo Fattore sovrano? L'uomo, l'uomo stesso, che ama la sapienza, e ne fa professione, quanto spesso, e quanto facilmente cade in errori, e opera stoltamente, cioè contro le regole della verità e della legge del suo Creatore, di cui imitar dovrebbe la santità! E chi è tragli uomini, che imitar possa in qualche modo la bontà, la giustizia, la sapienza, la carità di Dio? Anzi chi è tragli uomini, che comprender possa l'immensità di questi divini attributi? Così non solo la sapienza speculativa, ma anche la sapienza pratica dell'uomo, è un mero nulla in comparazione della sapienza divina.

2,13:E riconobbi, ec. Or io conobbi come la sapienza vera, cioè la vera santità, e la vera virtù non può stare insieme con la stoltezza, come la luce non può star colle tenebre. Così l'Apostolo: Qual società la luce ha colle tenebre? II. Cor. VI, 14. La luce nelle Scritture è simbolo della sapienza, della virtù e della santità: le tenebre simbolo della stoltezza e della malizia. Quindi lo stesso Apostolo a' Cristiani convertiti dal gentilesimo diceva: Una volta eravate tenebre; ma adesso luce nel Signore: camminate da figliuoli della luce; or il frutto della luce consiste in ogni specie di bontà, nella giustizia e nella verità, Ephes. v. 8. 9.

2,14:Il saggio ha occhi in testa: ec. È una maniera di proverbio, che vuol dire: il saggio ha occhi che veggono chiaro nel capo, ha, dico, non tanto gli occhi corporali nella fronte, quanto gli occhi spirituali nella mente, co' quali mira e considera tutte le cose, e dirige i suoi

2,15:E dopo averla discorsa coll'animo mio, conobbi, ec. Dopo averla discorsa meco stesso conobbi, come lo stesso attendere alla sapienza, cioè lo stesso amare. e praticar la virtù, se non si riferisce ad altro fine fuori della vita presente, se non si riferisce alla vita eterna avvenire, questo stesso è vanità: conciossiachè la stessa virtù non esime i buoni dalle sciagure, nè da'dolori, nè dalla morte.

2,16:Non sarà eterna la memoria del saggio, ec. Benchè la sapienza sia tanto superiore alla stoltezza, quanto la luce è superiore alle tenebre, contuttociò tanto è vero, che la sapienza non può salvare il saggio dalla morte, che ella non può nemmeno salvare la memoria di lui dalla oblivione e dalla dimenticanza degli uomini. il dotto, e l'indotto significano qui lo stesso, che il sapiente e lo stolto, come in vari luoghi de' Proverbi. Muore il saggio, e lo stolto; perisce eziandio la memoria del saggio, come dello stolto: lo che forma una pienissima dimostrazione di una vita futura, e di un futuro giudizio, in cui sia dato a' giusti il loro premio, e la loro pena a' cattivi; perocchè nè gli uni nè gli altri han ricevuto quaggiù quel che han meritato. Tolta poi la speranza di un bene avvenire, verrebbe ad essere grandemente dolorosa la vita presente: onde disse l'Apostolo: Se per questa vita solamente speriamo in Cristo, siamo i più miserabili di tutti gli uomini, I. Cor. XV. 19. La differenza adunque tral giusto e l'empio si vedrà dopo la morte, conciossiachè la morte de' santi è preziosa nel cospetto di Dio, Psal. CXV., la morte de' peccatori è pessima, Psal. XXXIII. il giusto sarà in eterna memoria, Psal. III. Dio non ha più memoria de' peccatori, ed ei sono esclusi dalla cura di Dio, Psal. LXXXVII. 5. Ed ei son pascolo della morte, Psal. IV. 8.

2,17:Mi venne a noia la vita in veggendo ec. Questo tedio della vita lo provano i santi sì per ragione delle cure e molestie e dolori e della corta durata delle cose di quaggiù, e sì ancora per ragion delle tentazioni, e de' pericoli di peccare e di perdersi; perocchè, come dice Giobbe: Milizia ell'è la vita dell'uomo sopra la terra, Job VII. I. Quindi i desideri, e le querele di Paolo: Infelice me, chi mi libererà da questo corpo di morte o Rom. VII. Vedi anche Giobbe X. I. Giona IV. 8., Davidde Psal. CX. Vers. 8 Geremia XX. 14. Elia III. Reg. XIX. 4.

2,18-19:Detestai dipoi tutta la mia sollecitudine, ec. Tralle passioni degli uomini, una delle più forti e più comuni si è quella di accumulare: e sogliono i padri di famiglia coonestare sovente la smoderata avidità col pre testo de' figliuoli, a'quali convien provedere, e nei quali sembra, che continui a vivere lo stesso padre. Salomone dimostra quanto grande sia questa specie di vanità. In primo luogo adunque questa misera affannosa sollecitu dine di far roba e ricchezze, per cui l'uomo tormenta e consuma la propria vita, non sa l'uomo per chi egli se la prenda, conciossiachè se egli dice, che pensa a'figliuoli, questi posson mancare, e morire prima di lui, verissima essendo la sentenza di Davidde: Tesoreggia (l'uomo), e non sa per chi egli accumuli, Psal. XXXVIII. 7. in secon do luogo quando suoi eredi sieno i figliuoli (arricchiti il più delle volte coi peccati e colla dannazione eterna del padre), egli non sa se questi figliuoli saranno saggi, o stolti, grati alla memoria di lui, od ingrati, se custodi delle ricchezze, e dissipatori; se finalmente de' beni, che ereditàno, si serviranno in bene. o in male, per loro de coro e salute temporale ed eterna, ovvero per loro ob brobrio, e ruina, e dannazione. A' genitori, i quali non credono di poter fare a' figliuoli il più gran vantaggio che di lasciarli molto ricchi, e perciò si scusano dalla obbligazione di dare il superfluo a' poveri, parla in tal guisa s. Cipriano: Tu dici, che hai molti figliuoli, e ciò ti rattiene dall'esercitare le opere di carità; ed io ti , dico, che per questo appunto tu hai da farne in gran , numero, perchè di molti figliuoli se' padre: perocchè molti son quelli, a' quali dei pregare, che sia propizio il Signore, e molti son quelli, dei quali hai da redime re i peccati colle limosine, molti quelli de' quali hanno da purgarsi le coscienze, molti, dei quali le anime han no da liberarsi... Che se tu ami veracemente i tuoi fi gliuoli, se per essi tu hai piena e paterna tenerezza di carità, molto più hai da fare buone opere per racco mandarli con esse a Dio; e non si tu solo il loro padre, tu debole e impotente, tu, che presto più non sa rai; ma trova ad essi un padre, che eterno sia e po tente: a lui raccomanda le facoltà che tu serbi a' tuoi eredi: sia egli il tutore e curatore de' tuoi figliuoli, egli colla eterna sua maestà sia lor protettore contro tutte le ingiurie del secolo. il patrimonio confidato a Dio nol rapisce la Repubblica, nè il Fisco lo invade, nè la ca lunnia forense il distrugge: è in sicuro l'eredità conser vata sotto la custodia di Dio. Questo dicesi provedere in futuro a'cari pegni, questo è assicurare con paterna pietàde gli eredi futuri, come ne fa fede la Scrittura, che dice: Io fui giovine,perocchè sono già vecchio, e non vidi abbandonato il giusto, nè la stirpe di lui man cante di pane. Tuttodì egli fa opere di misericordia, e dà in prestito, e il seme di lui sarà in benedizione », Lib. de opere, et eleem.

2,21:Dopo che uno ha faticato con sapienza, prudenza e sollecitudine, ec. Segue a dimostrare la vanità di ammassar ricchezze per un erede immeritevole, e stolto. Un uomo colla sapienza, vale a dire colla pietà e colla virtù, e per mezzo della prudenza, con cui dirige i suoi affari, e finalmente colla diligenza e coll'industria farà degli acquisti, e li lascerà per sua sciagura a un infingardo, a un uomo, che è buono a nulla, onde, come dice s. Girolamo: il sudor del defunto, servirà allo scialacqua mento del vivo.

2,23:Di dolori e di amarezze sono pieni ec. Spiega ciò molto bene s. Agostino, tract. IX. in Jo.O uomo, che ti affanni amando l'avarizia, con fatica si ama quel che tu ami. L'avarizia ti ordinerà di subire fatiche, pericoli, tristezze, tribolazioni, e tu farai quel, che ella comanda; e con qual fine? per empiere lo scrigno, e perdere la tranquillità: tu forse godevi più quiete prima di aver le ricchezze, che dopo. Ecco quello, che ti ordinò l'avarizia: empiesti la casa, si temono i ladri; facesti acquisto dell'oro, e perdesti il sonno. Dio si acquista e si tiene senza fatica od affanno quando si ama.

2,24:Non è egli meglio mangiare e bere? Considerata l'estrema vanità, e stoltezza degli avari, io dico, che è meglio il mangiare e bere, cioè usare con moderazione de' beni acquistati colle proprie oneste fatiche, in vece di martoriarsi in grazia degli eredi futuri. E far del bene all'anima propria o Vale a dire, non privarsi, come fan no gli avari, di quelle comodità, che convengono alla propria condizione, e al proprio bisogno. Il Caldeo, e altri interpretano queste parole delle opere di misericordia, e di pietà, che sono vita e salute per l'anima di chi le esercita.
E questo è pur dalla mano di Dio. Mi è paruto esser cosa giustissima, che ciascheduno faccia uso di sue fatiche, e che è dono di Dio il dare all'uomo questa volontà di vivere di quello, che ha acquistato coi suoi sudori e vigilie; così s. Girolamo. Paragona Salomone la vita di un uomo, il quale si serve dei beni datigli da Dio, e acquistati colle sue fatiche, e ne fa uso a procurarsi le necessità, ed anche le oneste convenienti comodità, alla stoltezza di un altro uomo, che se medesimo affligge e maltratta pel solo fine di accumulare senza dire mai, basta, tirandosi addosso le inquietudini, e le amarezze, di cui ha già parlato di sopra; e dice, che il primo opera assai meglio, che il secondo. Non esclude adunque, nè intacca Salomone un'altra maniera di vita ancor più lodevole, che è di quelli, i quali per principio di virtù e di amore di Dio preeleggono la privazione delle comodità della vita, e i rigori e le mortificazioni della penitenza.

2,25:Chi consumerà ec. Chi sarà, che possa agguagliare la sontuosità, la grandiosità, la magnificenza mia? Io nella condizione di gran re consumai largamente, e feci ampla provvisione di comodità e di delizie; onde fui in istato di conoscere di tutte le cose di quaggiù il valore riguardo alla felicità e contentezza dell'uomo. Notisi, co me certe parole, le quali presso i latini e presso di noi non hanno se non cattivo significato, non lo hanno sempre tale nelle Scritture; così e ne' Vangeli, e altrove abbiamo osservato che la voce Inebriari, che corrisponde rigorosamente parlando alla italiana ubbriacarsi, è usata più volte in miglior senso, cioè di esilararsi dentro i ter mini della temperanza. Vedi Gen. XLIII. 34. Così in questo luogo va inteso il verbo devorare, onde Simmaco tradusse: chi spenderà, ovvero chi consumerà, e questa ver sione abbiam noi seguitata, la quale è conforme all'uso ordinario della voce Ebrea. Vedi il Menochio.

2,26:All'uomo, che è retto ec. Segue a dimostrare la vanità e stoltezza degli avari; tral saggio, o sia giusto, e lo stolto, o sia peccatore, la differenza è questa, che Dio al saggio, che è tale nel suo cospetto (al saggio, che a lui piace), dà la sapienza per intendere la verità, cioè per intendere, come il vero bene dell'uomo è posto in Dio, e nella pietà, e gli dà ancora la scienza, cioè la prudenza per far buon uso de' beni presenti, impiegandoli nel sostentare se stesso e la sua famiglia, e nel soccorre re i bisognosi: e finalmente gli dà la letizia, e la conso lazione proveniente dalla buona coscienza e dalla speran za della futura felicità; al peccatore poi (in pena dello smoderato affetto alle ricchezze) dà Dio l'afflizione e l'inutile affanno di adunare con gran fatica e ansietà di spirito i suoi tesori per lasciarli non a chi egli forse si pensa, ma a chi Dio vorrà, che di que' beni abbia il possesso. Così dello stesso peccatore dice Giobbe: Se egli avrà ammassato, come terra, l'argento, e come fango avrà preparato delle vestimenta, egli veramente le preparerà, ma si vestirà di quelle il giusto, e l'argento sarà distribuito dall'innocente. Job XXVII. 16. Vedi anche Prov. XIII. 22. Ecco adunque una gran vanità e miseria e affilizione di spirito.