Scrutatio

Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Qoelet 9


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Nessuno sa se sia degno di amore, e dì odio: esercitarsi adesso nelle buone opere, mentre è tempo. La sapienza vai più che la fortezza: sapienza del povero poco prezzata.

1Tutte queste cose io disaminai nel mio cuore, affin di discernerle chiaramente. I giusti, e i sapienti, e le opere loro sono nella mano di Dio; eppur non sa l'uomo s'ei sia degno di amore, o di odio:2Ma tutto rimane nell'incertezza sino al tempo, che verrà; perocché tutto succede del pari al giusto, ed all'empio, al buono, ed al cattivo, al mondo, e all'immondo, a colui, che immola vittime, e a colui che disprezza i sacrifizj, come l'uomo retto cosi il peccatore, e come è trattato colui, che spergiura, cosi quegli che giura secondo la verità.3Questa è la cosa più dolorosa di quante ne avvengono sotto del sole l'esser tutti soggetti a' medesimi avvenimenti: per la qual cosa eziandio i cuori de' figliuoli degli uomini si riempiono di malizia, e di petulanza nel tempo di loro vita, e dì poi sono strascinati nell'interno.4Non v' ha chi viva per sempre o di tal cosa si lusinghi: un cane vivo val più, che un lion morto.5Perocché quelli, che vivono sanno d'avere; il morire: i morti poi non sanno più nulla, e non han più veruna mercede, e la loro memoria è stata messa in oblio;6l'amore, e l'odio, e le invidie son ancora unite insieme; ed ei non hanno parte a questo secolo, né a cosa che facciasi sotto del sole.7Va adunque, e mangia lietamente il tuo pane, e bevi con letizia il tuo vino, mentre le opere tue a Dio sono accette.8In ogni tempo sian candide le tue vesti, e non manchi unguento al tuo capo.9Goditi la vita colla tua cara moglie per tutti i giorni della istabil tua vita conceduti a te sotto del sole per tutto il tempo di tua vanità: perocché questa è la tua sorte mentre vivi, e pe' travagli, che sopporti quaggiù.10Tutto quello, che può operai la tua mano, fallo con sollecitudine; perocché né azione, né pensiero, né saggezza, né scienza ha luogo nel sepolcro, verso del quale tu corri.11Mi volsi ad altra parte, e osservai come sotto del sole né la corsa è serbata pei lesti di gamba, né la guerra pei valorosi, né il pane pei sapienti, né le ricchezze pei dotti, né il favore pei bravi artefici: ma l'occasione, ed il caso ha luogo in tutte le cose.12L'uomo non sa il suo fine, ma come i pesci son presi all'amo, e gli uccelli al laccio, così sono sorpresi gli uomini dal tempo cattivo, che lor sopraggiunge a un tratto.13Vidi ancora sotto del sole una sorta di saggezza, ch'io reputo grandissima:14Era una piccola città poco popolata: un re grande andò a campo sotto di lei, e aperse trinciera, e alzò de' fortini attorno, e strinse l'assedio.15E vi si trovò dentro un pover uomo, ma saggio, il quale col suo sapere liberò la città, ma nessuno di poi si ricordò di quel pover nomo.16Or io concludeva, che val più la sapienza, che la fortezza: ma come mai la saggezza di quel pover uomo fu disprezzata, e non fu tenuto conto di sue parole?17Le parole de' saggi si ascoltano in silenzio, più che le grida di uno che regna tra gli stolti.18Val più la sapienza, che le armi guerriere, e chi in una sola cosa difetta, perde molti vantaggi.

Note:

9,1-2:Sono nella mano di Dio. Essere nella mano di Dio vuol dire essere amato, protetto da Dio. Vedi Isai. XLVI. 16. Ecco in qual maniera spone queste parole un Greco Interprete: Avea detto di sopra quali sieno le cose difficili a conoscersi per ritrarci dalla inutile, e vana sol lecitudine d'indagarle; adesso propone quello, che dal l'occhio del saggio può vedersi, cioè che gli uomini giusti, e saggi insieme colle opere loro sotto l'ombra di Dio, e sotto la protezione della destra di lui riposano. quanto poi agli empi, di essi sta scritto: Eglino dalla mano tua son rigettati.
Eppur non sa l'uomo s'ei sia degno di amore, o di odio. Quanto è vero e certo, e notissimo, che Dio ama i giusti, altrettanto è dubbiosa cosa, ed incerta se un uomo sia veramente giusto dinanzi a Dio, e per conseguenza s'ei sia degno dell'amore, o dell'odio di Dio: dove intendesi propriamente di quell'amore, con cui Dio ama il giusto per la sua giustizia, e di quell'odio, con cui è odiato da Dio il peccatore per ragione del peccato. Vedi s. Girolamo, e s. Tommaso I. 2. q. 12. art. 5. Dalle quali parole si dimostra evidentemente la incertezza della grazia, come dicono i Teologi contro gli eretici; dovendo sempre i santi stessi, finchè vivono su questa terra, dir coll'Apostolo: Di nissuna cosa son consapevole a me stesso, ma non per questo io sono giustificato, ma Dio è che mi giudica, I. Cor. IV. Tutto adunque rimane oscuro ed incerto (dice il Savio) sino al tempo futuro, cioè sino alla morte, quando il Signore illuminerà le tenebre, e farà manifesti i consigli de' cuori. Perocchè nel tempo d'adesso per quanto sembri ad un uomo di amare Dio e di operar santamente, contuttociò il cuore dell'uomo è talmente imperscrutabile, che non può alcuno conoscere perfettamente se stesso, nè distinguere, se quel ch'ei fa di bene sia forse da umani fini corrotto, e molti sono i difetti dell'uomo, i quali solamente nella tentazione vengon a manifestarsi, onde dice s. Bernardo: Certezza noi non l'abbiamo, ma ci consola la fiducia della speranza, affinchè per la soverchia pena di tal dubbietà non sia tormentato eccessivamente l'animo. Così tra la disperazione de' dannati, e la stolta presunzione degli Eretici noi tenghiamo la via di mezzo, affinchè con filiale speranza, e insieme con timore e tremore, operiamo la nostra salute.
Perocchè tutto succede ec. Ecco una delle ragioni, per cui non può distinguersi se uno sia giusto, od ingiusto. Il signore permette, che la zizania cresca insieme col buon frumento, e manda le avversità e le felicità temporali tanto a' buoni, come a' cattivi indistintamente.

9,3:Questa è la cosa più dolorosa ec. Cosa dolorosa, cosa molestissima e pericolosissima per molti ella è questa, che i giusti e gli empi abbiano quaggiù la stessa sorte, e sieno soggetti agli stessi avvenimenti; perocchè agli uomini deboli e carnali frequentemente ciò serve di occasione di abbandonar la pietà e di riempirsi di malvagità e di petulanza, fino a disprezzare la legge e Dio stesso nel tempo di questa vita, onde nella loro morte sono strascinati dalle stesse loro scelleratezze nel profondo dell'inferno. Così i cattivi si fanno occasione di scandalo e di rovina di quelle stesse cose, che Dio con somma sapienza dispose per la santificazione de' giusti, e per istruzione e avvertimento degli stessi peccatori, i quali da' mali, con cui Dio punisce i leggieri falli dei giusti in questa vita, possono e debbono argomentare la severità de' gastighi riserbati per essi nel secolo futuro.

9,4:Non v'ha chi viva per sempre, ec. Questa è una delle cose, che sono massimamente comuni al buono e al cattivo, al giusto e all'empio, la morte, a cui tutti sono soggetti; anzi riguardo alla morte una sorte stessa hanno gli uomini e le bestie, onde dice s. Girolamo: O fragile, e caduca natura de' mortali! Se la fede di Cristo al cielo non c'innalza, e se all'anima non si promette l'eternità, la condizione de' corpi è pari a quella delle bestie, e de' giumenti: muore il giusto ugualmente, e l'ingiusto ec.
Un cane vivo val più ec. Quantunque per quel che riguarda il tempo d'adesso agli stessi mali sieno esposti i buoni, come i cattivi, contuttociò la vita presente è da tenersi in gran pregio, perchè ella è il mezzo, onde l'uomo può prepararsi a star bene nella futura eternità. Quindi siccome per comune proverbio suoi dirsi, che più vale un can vivo, che un morto lione, così il più piccolo e meschino uomo, che vive, è preferibile all'empio morto, benchè ricco e possente egli fosse; conciossiachè tutta la umana possanza e grandezza colla morte finisce, e i potenti ed i grandi non lasciano dietro a se nient'altro, che la lor pelle, e una splendida sepoltura; il più meschino facendo buon uso della vita mortale può meritarsi l'eterna.
Non debbo lasciar di notare, che questo proverbio: Val più un cane vivo, che un lione morto, si applica molto bene a'peccatori penitenti e fervorosi, paragonati co' giusti tiepidi e negligenti: onde s. Gregorio: Per lo più è a Dio più grata la vita fervorosa dopo il peccato, che la torbida e sonnacchiosa innocenza. Così Paolo, Matteo, la Maddalena ec. nella santità di vita andarono innanzi a molti innocenti. E in un senso non molto diverso un antico Interprete dice: È migliore un cane (cioè un penitente) umile, che vive a Dio, sendo morto al mondo, che un lione, cioè un superbo reprobo morto a Dio, e che vive pel secolo. Il cane era del numero degli animali immondi secondo gli Ebrei, onde col nome di questo animale erano significati i Gentili. Vedi Matth. XV. 26.

9,5:Quelli che vivono, sanno di avere a morire. E per conseguenza col timor della morte possono animarsi a ben operare: ma i morti nulla possono aggiungere a quello, che seco portarono nell'uscire da questa vita. Così s. Girolamo e molti altri.
I morti poi non sanno più nulla, e non han più veruna mercede, ec. I morti non sanno più verun modo di aiutarsi e di liberarsi dalla miseria, quando in essa sieno caduti, e non possono più acquistarsi alcun merito presso Dio, perchè nulla possono più operare, onde aver premio e ricompensa, finito essendo colla morte quello stato, in cui sono capaci gli uomini di meritare. L'uomo mieterà alla morte quel che avrà seminato nella sua vita, come dice l'Apostolo.
E la loro memoria è stata messa in oblio. La particella causale quia, è posta sovente per la congiuntiva, e qui torna molto bene d'intenderla in tal guisa, perchè alle altre ragioni, colle quali il Savio dimostra in questo versetto la verità di quel proverbio: Val più un cane vivo, ec. si aggiunge questa, che i morti sono dimenticati affatto, e negletti, e non si ha più pensiero di essi da' viventi; ei sono già in quella, che Davidde chiama terra di oblivione, Psal. LXXXVII. 13; sono nella fossa e nel sepolcro quanto al corpo, sono nella casa della loro eternità quanto allo spirito, separati totalmente e divisi dalle cose del mondo, e dal mondo messi in oblio.

9,6:L'amore e l'odio e le invidie son ancora finite insieme. Non ha più luogo ne' morti nè l'amore sregolato verso le creature, nè l'odio, nè l'invidia riguardo a' prossimi, che restano in vita. S'insinua con questa sentenza, che siccome la morte pon fine alle passioni degli uomini. così il pensiero della morte servirà mirabilmente a frenarle e correggerle.
Ed ei non hanno parte a questo secolo, ec. Nulla hanno di comune col mondo, che hanno lasciato con tutte le cose, che sono in esso, delle quali nessuna più ad essi appartiene. È espresso con gran forza ed energia l'universale spogliamento, a cui nella sua morte riducesi l'uomo: allora per lui veramente è morto il mondo, come al mondo è morto egli stesso.

9,7:Va' adunque, e mangia lietamente il tuo pane, ec. Le ultime parole di questo versetto illustrano e giustificano (per così dire) le prime. Mentre le opere tue a Dio sono accette, vale a dire, supponendo io, che tu viva in modo di piacere a Dio, e supponendo che tu l'onori colle opere tue, io ti dico di viver lieto, e di mangiare lietamente il tuo pane ec. Dice il tuo pane; vale a dire il pane necessario alla tua sostentazione, ovvero il pane, che Dio ha a te assegnato. E pare a me assai chiaro, che mangiare il suo pane, e bere il suo vino, non vuol dir altro, che vivere, cioè sostentare e conservare col frugale uso di tal cose la vita. Vivi lieto facendo il necessario uso delle cose presenti, se hai buona fidanza nelle opere tue, perchè in esse ti studi di piacere al Signore; quindi s. Ambrogio dice: Vuoi tu avere buona letizia o fa'che a Dio piacciano le opere tue. Quindi ancora l'Apostolo trai frutti dello spirito pone il gaudio, Gal. V. 22., e ne' Proverbi XV.15. sta scritto: la mente tranquilla è come perpetuo convito. Ecco finalmente la sposizione di s. Girolamo: Va' e mangia ec. Ora che tu hai compreso, come, tutto colla morte finisce, e come penitenza non è nell'inferno nè ritorno alla virtù, mentre nel secolo presente tu vivi studiati, affrettati a far penitenza, lavora mentre hai ancor tempo. E prendendo semplicemente le riferite parole, elle saran simili a quelle: sia che voi mangiate, sia che beviate, od altra cosa facciate, fate il tutto nel nome del Signore, I. Cor. X. 31. Perocchè vera letizia e cuor buono non ha chi smoderatamente abusa delle creature, ma è meglio di pensare così: Se le opere dell'uomo saranno accette dinanzi a Dio, egli non potrà aver penuria del vero pane, nè del vino pi giato nella vigna di Sorech..., Osserva i comandamenti, e troverai il mistico pane e il vino spirituale. Quello adunque, che dicesi: va', e mangia lietamente, ec., ella è la stessa parola di quell'Ecclesiaste, che dice, nel Vangelo: Chi ha sete venga a me, e beva, Jo. VII. 37., e ne' Proverbi: Venite, mangiate il mio pane, e bevete il mio vino. Prov. IX. 5.

9,8:Sieno candide le tue vesti, e non manchi unguento ec. Le vesti bianche si usavano nel tempo di letizia, come le nere in tempo di duolo; così l'ungersi e profumarsi la testa era proprio de' giorni di festa, onde Cristo volendo dire a' suoi discepoli, che in differenza degl'ipocriti nascondessero agli occhi altrui la loro mortificazione e i loro digiuni, si espresse in tal guisa: Tu quando digiuni profumati la testa, Matth. VI. 17.Si espone adunque in primo luogo con queste parole il detto di sopra intorno all'onesta e santa letizia del cuore; ma e la bianchezza delle vesti e l'olio hanno ancora altra significazione nelle Scritture, significazione notata molto bene da s. Girolamo, che dice: Sieno candide le tue vesti ec. in ogni tempo abbi o candide le tue vesti: non portare giammai veste immonda: perocchè il popolo, sta scritto, che pianse in negre vesti; ma tu ammantati di luce, e non di maledizione: rivestiti di viscere di misericordia, di benignità, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, Coloss. III. Ed essendoti spogliato del vecchio uomo colle opere di lui, rivestiti del nuovo, il quale di giorno in giorno si rinnovella. E quando dice: Non manchi olio al tuo capo, convien osservare, che l'olio e nutre il lume e le membra stanche ricrea; ed havvi un olio spirituale, olio di esultazione, di cui sta scritto: Ti unse, o Dio, il tuo Dio di olio di esultazione, Psal. XIV. 8.: quest' olio aver nol possono i peccatori. Intendesi adunque per le bianche vesti la purità de' costumi, e per l'olio la mi sericordia verso de' prossimi, ovver tutti quanti i doni dello Spirito santo.

9,9:Goditi la vita colla tua cara moglie ec. È qui raccomandata con molta grazia la mutua carità e castità de' coniugi, come notò un greco Interprete. Vivi lieto, e in pace, e in unione perfetta colla tua diletta compagna. Ma s. Girolamo ed altri per questa consorte intese la sapienza, di cui sta scritto: Ella ti farà glorioso, quando tra le braccia la stringerai, Prov. IV. 8. Segue egli a dire: I giorni di vanità sono i giorni di questo secolo cattivo, e molto bene disse Salomone, che ne' giorni di nostra vanità cerchiamo la vera vita nello sposalizio della sapienza: questa è la nostra porzione, e questo il frutto di nostre fatiche, se in questa immaginaria nostra vita trovar potremo la vita vera.

9,10:Tutto quello, che può operar la tua mano, fallo con sollecitudine. Sapientissimo insegnamento, cui è simile quel dell'Apostolo: Mentre abbiamo tempo operiamo il bene, Gal. VI. 10.; e altrove: Ecco ora il tempo accettevole, ecco ora i giorni di salute, II. Cor. VI. 2. vedi anche Eccl. XIV. 17., Nè azione, nè pensiero ec. Dopo la morte, e quando l'uomo è giunto al sepolcro, verso di cui a ogni momento egli s'incammina, non vi sarà più facoltà di operare, nè di pensare a quello, che sia utile, nè ha più luogo la sapienza o la scienza per riparare le negligenze usate in vita e per fuggire i mali eterni, ne'quali l'anima infelice precipitata si fosse per aver perduto inutilmente il tempo di far il bene, e di acquistarsi ne' cieli quel tesoro, che mai non ha fine.

9,11:Mi volsi ad altra parte, e osservai come ec. vidi nelle cose del mondo questa instabilità, e questo (alme no apparente) disordine, che quelli, che in velocità sorpassano ogni altro, non sempre arrivano i primi alla meta e all'acquisto del premio, e non sempre i più valorosi soldati ottengon vittoria, e non sempre i saggi hanno pane da sostentarsi, nè i dotti arrivano ad acquistare le ricchezze, e finalmente gli artefici più intelligenti non sempre sono in maggiore stima e favore, che gl'ignoranti, ma sono anzi sovente contrariati o negletti. E in tutto han più potere le circostanze de' tempi, e mille accidentali cagioni, che il consiglio, o l'arte, o industria del l'uomo. C'insegna adunque Salomone in primo luogo, che non dobbiamo stupirci, o prenderne argomento di scandalo, se alla fatica e alla industria non è data quaggiù sovente la ricompensa, o se anzi i premi, che sarebber dovuti al merito, sieno talora occupati da chi ne è indegno: tuttociò accade pergiusti, ma segreti e non intesi giudizi di Dio, e ciò dee illuminarci a sollevare le nostre speranze da questa vanità alla verità, e alla giusta mercede, che si averà nella vita avvenire, quando delle opere nostre il fine sia di piacere a Dio, e di fare la sua volontà; in secondo luogo sono avvisati i sapienti, i dotti, i valorosi, gli uomini di qualunque capacità ed industria, a non fidarsi di loro stessi, ma di Dio, a cui si appar tiene di dare felice successo a quello che intraprendono; conciossiachè egli è, che le cause seconde tutte, anche libere, ordina, combina e dispone secondo i certissimi e sapientissimi decreti di sua Providenza. In un senso più sublime, o sia (com'ei dice) anagogico, mirabilmente è illustrata questa sentenza da s. Girolamo in tal guisa: Chi con catene di ferro è legato, o ritenuto in ceppi di piombo..., non è capace di correre in quella carriera, di cui parlava Paolo quando disse: ho terminata la carriera, ho conservata la fede, II. Tim. IV. 7. Ma nemmen colui, che è scarco e leggero non può senza Dio aiutatore pervenire alla meta: e quando si tratterà di combattere contro le nemiche potestà nem men quegli che è robusto non può colle sole sue forze vincer la pugna; e colui ancora, che è perfetto tra' figliuoli degli uomini, il pane vivo e celeste non può avere se non gli è dato dalla Sapienza, che dice: Venite, mangiate il mio pane. E siccome vi sono le ricchezze, delle quali l'Apostolo esortava gli uomini a farsi ricchi mediante le buone opere, egli è pur da sapersi, che l'uomo anche saggio di tal ricchezze non può fare acquisto, se dal Signore non le riceve, a cui elle appartengono ec.

9,12:L'uomo non sa il suo fine, ec. Pel fine alcuni Interpreti intendono l'esito degli affari e dei disegni del l'uomo, altri intendono la morte con s. Girolamo. Il senso è sempre l'istesso. Come i pesci sono improvvisamente presi all'amo nel tempo che senza verun sospetto o timore guizzano e saltan lieti intorno all'esca, e come gli uccelli mentre scherzano e cantano intorno al lacciuolo, che ei non conoscono, repentinamente v'incappano; così gli uomini, allorchè si credono in piena pace e tranquillità sono sorpresi dalle sciagure e dalla morte. Vedi I. Thessal. v. 3.
S. Agostino de Agon. Christ. cap. 7. applica molto bene questa bella sentenza dicendo: il pesce è tutto lieto quando, non veggendo l'amo, divora l'esca; ma quando comincia il pescatore a trarlo a sè, ei comincia a sentir nelle viscere acerbo dolore, e finalmente dalla sua letizia per ragion di quell'esca, che sì gli piacque, è tratto alla morte: così avviene di tutti quelli, che delle temporali delizie si credon beati: egli hanno preso già l'amo, e con esso vanno aggirandosi. Verrà tempo, che conosceranno quali tormenti si abbiano con tanta avidità divorati.

9,13-15:Vidi ancora sotto del sole ec. Torna Salomone a parlare delle lodi della sapienza, di cui porta un esempio, e in questo ravvisa un nuovo argomento della vanità delle umane cose, vale a dire, che una tal sapienza, che recò salute alla città, che era vicina al suo esterminio, non solo riman senza premio, ma è tosto messa in oblio.

9,16:Or io concludeva, ec. Da questo fatto io ne inferiva, che la sapienza è preferibile alla fortezza: ma io diceva ancora: come può darsi, che la sapienza di quel povero fosse negletta, e che nissuno i consigli di lui dappoi ascoltasse? Gli uomini badano assai più all'esterno splendore, che al vero merito e alla vera virtù.

9,17:Le parole de' saggi si ascoltano in silenzio, ec. Se la moltitudine ignorante non fa caso delle parole de' saggi, sono però questi nscoltati con rispettoso silenzio dalle persone intelligenti; con silenzio, dico, e con rispetto e timore più grande di quel, che sieno ascoltate le grida di un principe della città, che favella a gente stolta; perocchè questa non si mette in pena di tutto quel che può dire un uomo, che ha in mano la potestà, ma è privo di Senno.

9,18:Val più la sapienza, che le armi guerriere, ec. Lo ha dimostrato il Savio ne' versetti, che precedono. E chi in una sola cosa difetta, ec. Un solo tratto di stoltezza può esser principio di molti mali e per chi difettò, e per mille altri. Si adatta a questo luogo quel proverbio: Lo stolto getta la pietra nel pozzo, e mille saggi non potran trarla fuora.