Scrutatio

Martedi, 16 aprile 2024 - Santa Bernadette Soubirous ( Letture di oggi)

Lettera agli Ebrei 12


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Coll'esempio degli antichi gl'induce a tollerare virilmente le afflizioni, e a fuggire il peccato: posta l'eccellenza del nuovo testamento sopra del vecchio, ci esorta a non essere disubbidienti, affinché non siamo costretti a soffrire maggiori gastighi, che i Giudei.

1Per la qual cosa noi pure avendo d'ogni parte sì gran nugolo di testimoni, sgravatici d'ogni incarco, e del peccato, che ci sta d'intorno, corriamo per la pazienza nella carriera, che ci è proposta:2Mirando all'autore, e consumatore della fede Gesù, il quale propostosi il gaudio sostenne la croce, non avendo fatto caso dell'ignominia, e siede alla destra del trono di Dio.3Imperocché ripensate attentamente a colui, che tale contro la sua propria persona sostenne contraddizione da' peccatori: affinchè non vi stanchiate, perdendovi d'animo.4Dappoiché non avete per anco resistito fino al sangue, pugnando contro il peccato:5E vi siete scordati di quella esortazione, la quale a voi parla come a' figliuoli, dicendo: figliuol mio, non trascurare la disciplina del Signore: e non ti venga a noia, quando da lui s'è ripreso.6Imperocché il Signore corregge quei che ama: e usa la sferza con ogni figliuolo, cui riconosce per suo.7Siate perseveranti sotto la disciplina. Dio si diporta con voi come con figliuoli: imperocché qual è il figliuolo, cui il padre non corregge?8Che se siete fuori della disciplina, alla quale tutti hanno parte: siete adunque bastardi, e non figliuoli.9Di più i padri nostri secondo la carne abbiamo avuti per precettori; e gli abbiam rispettati: e non saremo molto più ubbidienti al padre degli spiriti, per aver vita?10Imperocché quelli per il tempo di pochi giorni ci facevano i pedagoghi, secondo che lor pareva: ma questi in quello, che giova a divenir partecipi della di lui santità.11Or qualunque disciplina pel presente non sembra apportatrice di gaudio, ma di tristezza: dopo però, tranquillo frutto di giustizia rende a coloro, che in essa siano stati esercitati.12Per la qual cosa rinfrancate le languide mani, e le vacillanti ginocchia,13E fate diritta carreggiata co' vostri piedi: affinchè alcuno zoppicando non esca di strada, ma piuttosto si ammendi.14Cercate la pace con tutti, e la santità, senza di cui nissuno vedrà Dio:15Ponendo mente, che nissuno manchi alla grazia di Dio: che nissuna amara radice spuntando fuora, non rechi danno, e per essa molti restino infetti.16Che non (siavi) alcuno fornicatore, o profano, come Esaù, il quale per una pietanza vendè la sua primogenitura:17Imperocché sapete, come ancor poi bramando di essere erede della benedizione, fu rigettato; conciossiaché non trovò luogo a penitenza, quantunque con lagrime la ricercasse.18Imperocché non vi siete appressati al monte palpabile, e al fuoco ardente, e al turbine, e alla caligine, e alla bufera,19E al suon della tromba, e al rimbombo delle parole, per cui que', che l'udirono, domandarono, che non fosse fatta lor più parola.20Imperocché non reggevano a quella intimazione: se anche una bestia toccherà il monte, sarà lapidata.21E tanto era terribile quel, che vedeasi, che Mosé disse: sono spaurito, e tremante.22Ma vi siete appressati al monte di Sion, e alla citta di Dio vivo, alla Gerusalemme celeste, e alla moltitudine di molte migliaja di Angeli,23E alla Chiesa de' primogeniti, i quali sono registrati nel cielo, e a Dio giudice di tutti, e agli spiriti de' giusti perfetti,24E al mediatore della nuova alleanza Gesù, e all'aspersione di quel sangue, che parla meglio, che Abele.25Badate di non rifiutare colui, che parla. Imperocché se per aver rifiutato colui, che loro parlava sopra la trini, quelli non ebbero scampo: molto più noi, volgendo le spalle a lui, che ci parla dal cielo:26La voce del quale scosse allora la terra: e adesso fa promessa, dicendo i ancora una volta; e io sommoverò non solo la terra, ma anche il cielo.27Or dacché egli dice: ancor una volta: dichiara la traslazione delle cose instabili come fattizie, affinchè quelle rimangano, che sono immobili.28Per la qual cosa attenendoci al regno immobile, abbiamo la grazia, per la quale accetti a Dio lo serviamo con timore, e riverenza.29Imperocché il nostro Dio è un fuoco divoratore.

Note:

12,1:Noi pure avendo d'ogni parte si gran nugolo ec. I santi, de' quali ha rammemorata, ed encomiata nel capitolo precedente la fede, sono come tanti illustri testimoni della virtù, ed efficacia, e utilità della medesima fede. Or l'esempio di tanti santi è una fortissima esortazione, la quale ci necessita in certo modo a imitarne i costumi; imperocchè, come ben osserva s. Agostino, nella stessa guisa, che lo Spirito santo ci parla nelle Scritture, nelle geste ancora de' santi ci parla, le quali sono e precetto, e forma di vita per noi; anzi questo hanno di più le azioni de' santi, che queste i precetti stessi rischiarano, se mai in qualche parte fossero oscuri.Le divine Scritture non solamente contengono i precetti di Dio, ma anche la vita, e i costumi de' giusti, affinchè se mai per accidente non fosse chiaro, in qual modo intender si debba quel, che è prescritto, dalla maniera di operare dei santi venga ad intendersi, De mendac. cap. XV. Stimolati adunque da tali domestici esempi de' padri nostri dobbiamo noi (dice l'Apostolo) scarchi d'ogni terreno affetto, e liberi dalle occasioni del peccato, le quali di leggieri ci impacciano, correre pazientemente, e con perseveranza la carriera, che Dio ci ha aperta, ed assegnata. Si serve qui l'Apostolo della similitudine de' giuochi celebri nella Grecia, tra' quali era quel della corsa, similitudine usata in altri luoghi, e particolarmente I. Cor. IX. 24. 25. 26., il qual passo ha molta relazione con questo.

12,2:Mirando all'autore, e consumatore della fede ec. Per sostenersi in questa corsa, e giungere al premio promesso, abbiasi mai sempre davanti Gesù crocifisso autor della fede, perchè e a noi la insegnò, e la grazia ci dà per credere; consumatore della fede, perchè col suo sagrifizio ha perfezionati i fedeli, non solo santificandoli, ma conducendoli alla perfetta, e consumata felicità. Sembra, che alluda l'Apostolo a quello, che sta scritto nei Numeri sopra il serpente di bronzo: chi lo mirerà, viverà. Or in questo serpente un gran mistero fu significato di una cosa futura, come attesta il Signore (Joann. III.). Fu detto a Mosè, che facesse un serpente di bronzo, e lo innalzasse sopra un legno nel deserto, e avvertisse il popolo d'Israelle, che se alcuno fosse stato morso dal serpente, mirasse a quel serpente elevato sopra a quel legno. Cosi fu fatto; coloro che erano morsicati, miravano ed eran sanati. Che son eglino i serpenti, che mordono? I peccati, che nascono dalla mortalità della carne. Che è egli il serpente innalzato? La morte di Cristo sopra la Croce; s. Agostino tract. 12. in Joan.
Il quale propostosi il gaudio sostenne la croce, ec. Avendo dinanzi agli occhi il gaudio eterno, l'eterna felicità, della quale doveva egli far acquisto con la sua morte, sostenne (senza far caso dell'ignominia) la croce, supplizio non solo acerbissimo, ma di più infamissimo, e siede glorioso alla destra del Padre in premio dell'altissima umiliazione, alla quale discese per noi. Vedi cap. VIII.1. Seguendo la lezione greca, si tradurrà ed esporrà in questo modo: il quale in vece del gaudio propostogli sostenne la croce: e vorrà significare, che Cristo disprezzata la vita tranquilla, e gloriosa, ch'ei potea menare sopra la terra, volle anzi e patire, e morire.

12,3-4:Imperocchè ripensate attentamente a colui, ec. Non v' ha tribolazione, e travaglio, al quale non trovisi alleggiamento, e rimedio nella croce di Cristo. In questa croce si mostra l'ubbidienza a' divini voleri, la tenera filiale pietà verso Dio, la carità verso i prossimi, la pazienza, la perseveranza ec. A gran ragione perciò esorta gli Ebrei, che attentamente considerino l'uomo Dio, il quale sì orribil contradizione ebbe da soffrire nella sua propria persona dagli empi, e dagli infedeli; contraddizione, nella quale comprendonsi infinite calunnie, scherni, obbrobri, maledizioni, strapazzi, tormenti, che Cristo soffrì dalla mano di quei medesimi, per amor dei quali pativa; imperocchè Cristo pei peccati nostri mori, il giusto per gli ingiusti, 1. Pet. III. Qual forza non ha sopra un cuore fedele in mezzo alle più cocenti afflizioni esempio sì grande per sostenere la pazienza? Voi avete patito molto, ma non avete ancora patito fino a dare il sangue per Cristo, com'ei lo ha dato per voi; e voi combattete per resistere al peccato, il solo vostro vero nemico, combattete per non perire peccando; egli ha dato il sangue per meritarvi la grazia, senza la quale non si vince il peccato.

12,5:E vi siete scordati di quella esortazione, ec. Siete caduti in tanta freddezza, che pare, vi siate affatto di menticati di quelle parole della sapienza, la quale come figliuoli cari esortandovi, dice, che non portiate impazientemente la disciplina del Signore, e non vi contristiate, nè vi perdiate di animo, quando ei vi riprende, e corregge. Queste parole, e le seguenti sono del capo III de Proverbi vers. II. 12. con qualche differenza dalla nostra volgata quanto ai termini non quanto al senso, essendo prese dalla versione de' LXX.

12,6:Il Signore corregge quei che ama: ec. Non sono adunque del numero dei figliuoli coloro, che Dio non flagella, dice s. Agostino: non figurarti di dover essere senza flagello, se tu forse non pensi ad essere diseredato: egli flagella ogni figliuolo, cui riconosce per suo. E' come? Ogni figliuolo? Dove pensavi tu di nasconderti? Ogni figliuolo, e niuno è eccettuato, niuno sarà senza flagello. Vuoi tu sapere, fino a qual segno sia vero, che flagella ogni figliuolo? Anche l'unico figlio senza peccato non fu senza flaqello. In ps. XXXI. Ma si osservi col Grisostomo, che la Scrittura non dice, che tutti coloro, che sono sotto il flagello, siano figliuoli, ma sì, che tutti i figliuoli sono sotto il flagello; imperocchè sotto il flagello sono anche molti cattivi, ma questi non sono flagellati come figliuoli, ma puniti come cattivi, Hom. 29.

12,7:Qual è il figliuolo, cui il padre non corregge?Allude al versetto 24. del capo XIII. de' Proverbi: chi risparmia la verga vuol male al figliuolo.

12,8:Che se siete fuori della disciplina, ec. Se foste lasciati senza correzione, senza disciplina, senza flagello, contro quello, che avviene a tutti i veri figliuoli, sareste adunque non veri figliuoli voi, ma bastardi. Sentenza terribile per tutti coloro, i quali s'immaginassero, che una vita di piacere, di mollezza, e di bel tempo possa star col Vangelo, e con la professione cristiana. Tutto questo discorso dell'Apostolo tende a dimostrare, e persuadere agli Ebrei tribolati, che non la tribolazione, ma la mancanza della tribolazione debbe essere argomento di timore, e di pena per un'anima fedele.

12,9:I padri nostri secondo la carne ec. Di quei padri nostri, ai quali dobbiamo l'esistenza corporale, e non l'anima, abbiamo ascoltato con docilità gli insegnamenti, e ne abbiamo rispettati i comandi. Non sarem noi ancor più soggetti, e ubbidienti al creatore delle anime nostre, le quali da lui immediatamente ablbiam ricevute, quando ne' corpi nostri le infuse?

12,10:Quelli per il tempo di pochi giorni ec. Segue a mostrare, quanto abbiam più ragione di conformarci alla disciplina del Padre celeste, che non a quella de' padri terreni. Primo, il fine della correzione di questi si restringe alla vita presente, breve, transitoria; secondo, ci correggevan essi secondo quello, che lor pareva, ma nei loro giudizi potevano essere talora guidati o da passione, o da errore. La disciplina del Signore, ed è sempre diretta da una sapienza infallibile nelle sue disposizioni, ed ha per oggetto un bene infinito, ed eterno, val a dire, che per essa noi siamo purgati, e fatti partecipi della santità del medesimo nostro Padre celeste, e in tal guisa atti degni del cielo.

12,11:Qualunque disciplina pel presente non sembra ec. A giudicar delle cose secondo i sensi, la disciplina, e la correzione è penosa, e reca tristezza, e non satisfazione, o contento: imperocchè le afflizioni, e i flagelli ci amareggiano, ci perturbano, e ci tengono inquieti: ma esercitati una volta che siamo in questa scuola, le stesse afflizioni rendono a noi il frutto di santità, e di giustizia, accompagnato da somma pace. L'uomo cristiano per l'esercizio della pazienza diventa ogni di più robusto, e in superabile, come un atleta diventa più forte, quanto più spesso combatte.

12,12:Per la qual cosa rinfrancate le languide mani, ec. Continuando la metafora degli atleti, gli esorta a scuotere la pigrizia, e il torpore, ed a prender forza, e vigore per camminare nella pazienza, e nelle opere di pietà. Vedi Isai. XXXV. 3.

12,13:E fate diritta carreggiata co' vostri piedi. Pei piedi sono significate nel linguaggio della Scrittura le affezioni del cuore, le quali, quando sono rette, e regolate secondo la diritta norma della divina legge, portano l'uomo spirituale a tutto il bene, e a Dio. Queste parole sono di Salomone, Prov. IV. 26., secondo i Settanta.
Affinchè alcuno zoppicando ec. Onde non avvenga, che alcuno zoppicando in materia di fede, dalla verità si dilunghi con pericolo di abbandonare totalmente la vera credenza; ma piuttosto si corregga, e rientri nel buon sentiero. Sembra, che voglia parlare della perpetua inclinazione degli Ebrei a voler far un misto della legge, e del cristianesimo, e sembra ancora, che voglia alludere a quelle parole d'Isaia XXX: la strada ella è questa; camminate per essa, e non piegate nè a destra, nè a sinistra; or la mistica strada è Cristo, Jo. XIV. 6.

12,14:La santità, senza di cui nissuno vedrà Dio. Non solo il Grisostomo, ma anche s. Tommaso per santità intende la castità, la purità, e mondezza del cuore, della quale sta scritto Matt. V.: beati i mondi di cuore, perchè eglino vedranno Dio.

12,15:Che nissuno manchi alla grazia di Dio. Vuole, che con una sollecitudine santa di carità gli uni per gli altri, e particolarmente i perfetti per gl'imperfetti si adoperino, affinchè nissun manchi alla grazia, perda per propria colpa la grazia della fede, e in conseguenza i beni futuri. Così il Grisostomo.
Che nissuna amara radice spuntando ec. Gli Ebrei qualunque veleno intendono col nome di fiele, e qualunque cosa cattiva la chiamano amara. Significa adunque, che debbono attentamente osservare, che qualche velenosa radice di pravi dommi non prenda piede tra loro, la quale impedisca alla buona semenza il fruttare, e infetti col suo veleno; imperocchè un poco di lievito corrompe tutta la massa, I. Cor. V.

12,16:Che non (siavi) alcuno fornicatore. Gli Ebrei, come si è detto altrove, non avevano sufficiente idea della gravezza di questo peccato, quando si trattava di donne non Ebree, ma Gentili. Per questo l'Apostolo parla nominatamente di questo vizio, come di frutto di quell'amara radice rammentata di sopra.
O profano, come Esaù, ec. Profano è chiamato Esaùu, perchè posponendo al proprio ventre la primogenitura, per amor di questo ripudiò con essa la benedizione paterna.

12,17:Fu rigettato; conciossiachè non trovò luogo a penitenza, ec. Ebbe ripulsa dal Padre, il quale benchè accor tosi del suo errore non si penti, ma confermò la benedizione data a Giacobbe, come quegli, che per illustrazione divina conobbe, che tale era il volere di Dio: io lo ho benedetto, e benedetto sarà, Gen. XXVII. Imperocchè queste parole, fu riprovato, non s'intendono della riprovazione eterna, come osserva s. Agostino lib. XVI. de civit. cap. XXVII. Ei non potè impetrare, che il padre si pentisse, e ritrattasse la sentenza, benchè con lagrime ne lo pregasse. Il Grisostomo, ed altri la parola penitenza riferiscono non ad Isacco, ma ad Esaù; non giovogli la sua penitenza ad ottenere il perdono del suo peccato da Dio, e dal padre, e non giovogli, perchè non si pentì in quel modo, che conveniva, dice lo stesso Grisostomo; le sue lagrime, e il suo dolore furon effetto di disperazione, di invidia, e d'ira contro il fratello; si pentì, dice s. Tommaso, non per aver venduta la primogenitura, ma per averla perduta; si pentì non del suo peccato, ma del suo danno. Così si pentono nell'inferno i dannati.

12,18-19:Non vi siete appressati ec. Per dar maggior forza all'esortazione precedente, nella quale ha cercato di animare gli Ebrei a perseverare costantemente nella dottrina, e nella pratica del Vangelo, viene adesso a proporre una bellissima comparazione trallo stesso Vangelo, e la legge, tral vecchio, e 'l nuovo testamento. Or la brevissima, e manifestissima differenza, che v'ha trai due testamenti, si è, che il carattere del primo è il timore, il carattere del secondo è l'amore. Descrive adunque primieramente l'Apostolo, con quale apparato di terrori fu data l'antica legge. Voi (dice agli Ebrei credenti in Gesù Cristo) non vi siete adesso appressati, come gia l'antico Israele, a un monte terreno, e palpabile, qual era il Sina, su di cui fu data la legge, e dove il Signore comparve in mezzo al fuoco ardente con tutto l'accompagnamento spaventevole di turbine, di caligine, di bufera. Il suono della tromba, il tuono delle parole, colle quali furono intimati i divini comandamenti, cagionò sbigottimento tale in que', che l'udirono, che supplicarono, che Dio non dicesse più loro una parola, ma che ad essi parlasse Mosè.

12,20-21:Non reggevano a quella intimazione: se anche una bestia ec. Si sbigottivano a quella intimazione fatta, e pubblicata, che se anche un animale irragionevole a vesse solamente toccato il monte fosse lapidato: e dicevano dentro di se: se tanto rigore si usa contro una bestia, che sarà di noi, a' quali è data la legge, se mai verremo a violarla? Insomma tutto quello, che compariva, non dava argomento se non di terrore, e spavento, talmente che lo stesso legislatore, lo stesso Mosè, fu ripieno di timore e tremore.

12,22-23:Ma vi siete appressati al monte di Sion, ec. Viene all'altra parte della comparazione, nella quale dimostra il felice passaggio degli Ebrei convertiti a un altro monte, a un'altra società, ad un altro popolo, a cui sono per grande loro ventura aggregati. Vi siete appressati per mezzo della fede non al Sina, ma al monte santo di Dio, a Sionne, cioè alla Chiesa e militante, e trionfante, figurata per Sionne, che era la sede del regno di Davidde, come la Chiesa è il regno di Cristo; vi siete appressati alla città di Dio vivo, alla Gerusalemme celeste, a quella Gerusalemme, che è cotassù, la quale è già libera, Gal. IV. 26. Ella a gran ragione si chiama città di Dio vivo, perchè il fondatore di lei è Dio vivo e vero; ond' ella è eterna, come il suo medesimo fondatore. Vi siete appressati alla moltitudine infinita degli Angeli, co' quali comune avete la patria, e la felicità; vi siete accostati alla adunanza generale de' primogeniti, i nomi de' quali sono descritti non in una terrena matricola, come i primogeniti degli Israeliti (Num. III. 40.), ma sì nel cielo, Luc. X. 20. Questi primogeniti sono o i patriarchi ed i giusti, che vissero prima della legge, ed anche sotto la legge, i quali per la fede appartengono alla Chiesa di Cristo; o gli Apostoli, che furono chiamati i primi non solo ad essere cittadini di questa città celeste, ma anche a propagarla, e per essa dieder la vita; o finalmente (come spiegano i greci Interpreti) tutti gli eletti, e tutti i buoni fedeli, i quali hanno ricevuto le primizie dello Spirito, e sono stati fatti partecipi della benedizione di Cristo, e sono a grand'onor registrati nel libro della vita.
E a Dio giudice di tutti. A differenza degli Ebrei, ai quali fu proibito di accostarsi a quel monte, su cui Dio diede la legge, a Dio nedesimo vi siete voi appressati per mezzo della fede, e dell'amore, onde questo stesso Dio giudice di tutti gli uomini sia non tanto temuto da voi, quanto amato: giustificati per la fede abbiam pace con Dio pel Signor nostro Gesù Cristo, per cui abbiamo adito in virtù della fede a simil grazia, Rom. V. I. 2.
E agli spiriti de' giusti perfetti. Vi siete accostati alla società di que' giusti, i quali hanno già ricevuto la mercede della lor corsa, la eterna corona; imperocchè a questi sono uniti i Cristiani per la carità, e per la speranza, per cui, come dice altrove lo stesso Apostolo, sono concittadini de' santi della stessa famiglia di Dio, Ephes. II.

12,24:E al mediatore della nuova alleanza Gesù, ec. Vi siete appressati finalmente non a un legislatore, e mediatore, che sia un puro uomo, come Mosè, ma vi siete appressati a Gesù mediatore del nuovo testamento, che è Dio insieme e uomo; e laddove il vecchio testamento fu confermato col sangue degli animali, fu confermato il nuovo col sangue di questo agnello di Dio sparso per noi. Di questo agnello, e di questo sangue fu figura Abele, e il sangue di lui sparso dal fratricida; ma il sangue di questo gridò vendetta contro dell'empio uccisore; il sangue del nostro agnello grida perdono, misericordia, e remissione de' peccati, pe' quali fu sparso. Vedi Grisostomo, e s. Tommaso.

12,25:Badate di non rifiutare colmi, che parla, ec. Guardatevi dal disprezzare colui, il quale colla voce del suo stesso sangue vi parla, e ad amarlo, e imitarlo v'invita. Imperocchè se alla vendetta di Dio non poteron sottrarsi coloro, i quali furon disubbidienti alle ordinazioni dell'Angelo, che a nome di Dio parlò sopra la terra (vedi Atti VII. 38. ), molto meno trovar potremo noi scampo, disprezzando colui, che è a noi venuto dal cielo, e dal, cielo stesso ci parla, donde ha mandato a noi il suo Spirito ad imprimere ne' nostri cuori la nuova sua legge.

12,26:La voce del quale scosse allora la terra. La voce dello stesso Cristo in quanto Dio (la di cui persona ve niva rappresentata dall'Angelo, che parlava a Mosè), scosse, agitò, mise in gran turbamento tutta la terra. Questo sentimento è attestato nel salmo LXVI. v. 9. Signore, quando tu uscisti al cospetto del tuo popolo..... la terra fu smossa, e si stillarono i cieli dinanzi al Dio del Sinai, dinanzi al Dio d'Israelle: ed egli significava, come osserva s. Tommaso, ed altri Interpreti, la commozione dei cuori.
E adesso fa promessa, dicendo: ancora una volta; ec. Vale a dire, e nel tempo di adesso, cioè nel tempo, in cui si annunzia la nuova legge, promise Dio ec. L'Apostolo parlando agli Ebrei, i quali erano peritissimi delle Scritture, non ha accennato se non il principio di questa bellissima profezia, la quale dice così: ancora un poco, e io sommoverò il cielo, il mondo, il mare, e la terra, e porrò in moto tutte le nazioni, e verrà il desiderato da tutte le nazioni, e riempirò di gloria questa casa. Il Profeta adunque ebbe in vista il tempo della venuta del Messia, il tempo, in cui la nuova casa di Dio, fabbricata da Zorobabele dopo il ritorno di Babilonia, fu onorata, e ricolma di gloria per la presenza di Cristo. Alla venuta di lui, dice s. Girolamo, si adempirono le parole di Aggeo, perché nella passione di lui il cielo, fuggendone il sole, fu sconturbato, e furono tenebre per tutta la terra dall'ora sesta sino alla nona; la terra fu smossa, e spezzate le pietre, e aperti i sepolcri; fu smosso il mare, ucciso il dragone, che vi abitava (Apocal. XII.), fu smossa la secca, e sterile soli tudine delle genti; e in questo tremore dell'universo furono sommosse tutte le genti, perchè in tutta la terra si propagò il suono degli Apostoli.
Due cose osserveremo sopra la profezia di Aggeo; primo, che inescusabili sono gli Ebrei, che aspettano il Cristo, il quale per le parole già riferite doveva venire, mentre fosse tuttora in piedi il secondo tempio, il qual tempio doveva egli onorare di sua presenza; in secondo luogo, che il Grisostomo, ed alcuni altri la commozione descritta da Aggeo riferiscono alla seconda venuta di Cristo, nella quale e il cielo, e il mondo tutto sarà sconvolto, e rinnovato. Vedi l'Apocalisse VI. 12. 13. 14. Rom. VIII. 19, 20.

12,27:Dacchè egli dice: ancora una volta: dichiara ec. Dicendo Dio pel Profeta: ancora una volta, due cose viene ad accennare, una, che è passata, un'altra, che è futura, ed è futura in tal modo, che ella non dee più cangiarsi, nè dar luogo ad un'altra. Sommosse egli una volta il cielo, e la terra, quando agli Israeliti diede la legge; promette di far lo stesso un'altra volta alla promulgazione della nuova legge, e ciò per l'ultima volta, perchè questa legge sarà immutabile. L'antica legge era instabile, perchè fu fatta per un tempo, e fatta per preparare, e cedere il luogo ad una migliore alleanza, la quale dura, perchè immobile ed eterna.

12,28:Per la qual cosa attenendoci al regno immobile, ec. Noi dunque, che siam già entrati per mezzo della fede nel regno di Cristo, e siamo divenuti partecipi dell'eterna alleanza, abbiamo il dono della grazia come pegno della gloria futura, onde aiutati da questa grazia, a Dio si serva con religioso timore, e riverenza, grati, ed accetti a lui nella purità del cuore, e pella sincera carità.

12,29:Imperocchè il nostro Dio è un fuoco divoratore. Parole di Mosè, Deuter. IV. 24. Il nostro Dio è un Dio geloso, il quale come un fuoco ardente consumerà i suoi nemici e particolarmente i disertori della fede, e tutti que' cristiani, i quali dopo tanti benefizi, quanti ne han ricevuti per Cristo, la sua bontà ardiranno di offendere colle loro infedeltà.