Scrutatio

Sabato, 27 aprile 2024 - Santa Zita ( Letture di oggi)

Giobbe 30


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Giobbe deplora la passata felicità cangiata, permettendolo Dio, in somma calamità.

1Ma adesso mi scherniscono i più giovani di me, ai padri de' quali non mi sarei degnato di dar la cura de' cani della mia greggia:2De' quali io nulla stimava la forza delle braccia, ed egli eran creduti indegni anche di vivere.3Secchi per la povertà, e per la fame, che cercavan da rodere pel deserto, squalidi nella calamità, e miseria.4E l'erba mangiavano, e la corteccia degli alberi, e loro cibo era la radice del ginepro.5E di simili cose andavano in cerca per le valli, e trovate che ne avessero correvano a prenderle con grande schiamazzo.6Abitavano nelle buche dei torrenti, e nelle caverne della terra, o sopra de' massi.7E in tale stato erano allegri, e per delizia contavano lo star sotto i pruni.8Figliuoli di gente stolta, e ignobile, i quali nemmen compariscono sopra la terra.9Or io sua divenuto argomento delle loro canzoni, e oggetto de' loro schemi.10Mi hanno in abominazione, e fnggon lungi da me, e non han ribrezzo di sputarmi in faccia.11Perocché egli apri il suo turcasso, e mi trafisse, e il morso pose alla mia bocea.12Nel mio fiorire spuntarono subitamente accanto a me le mie sciagure, mi hanno roversciato per terra, e venendomi sopra come una piena mi hanno oppresso.13Mi hanno rotte le strade; coloro mi teser de' lacci, e la vinsero, perché non v'ebbe chi m'aiutasse.14Quasi rotto il muro, e sforzata la porta si scagliaron sopra di me, e incrudelirono sopra la mia miseria.15Fui ridotto nel nulla; tu mi rapisti qual vento, i miei desiderj, ed ogni mio bene se n'andò come nebbia.16Ed ora dentro di me si strugge l'anima mia, e i giorni di afflizione si sono impossessati di me.17La notte i dolori fiedono le mie ossa, e non assomma quelli che mi divorano.18Il grande lor numero consuma il mio vestimento, ed ei mi cingono come tonaca, che serra il collo.19Sono considerato come fango, e son fatto simile alla polvere, ed alla cenere.20Alzo a te le mie grida, e tu non mi ascolti, e non volgi a me uno sguardo.21Ti se' cambiato in crudele per me, e colla dura tua mano mi tratti come nemico.22Mi innalzasti, e quasi ponendo mi sopra del vento mi desti orribil tracollo.23Io so, che in balìa di morte tu mi darai là dove è assegnata abitazione ad ogni vivente.24Tu però la tua man non adopri a consumarli del tutto, e quando saranno abbattuti, tu li salverai.25Io piangeva una volta le altrui afflizioni, ed era pietosa col povero l'anima mia.26Mi aspettai felicità, e mi venner sciagure, sperai luce, e sopraggiunser le tenebre:27Sono infuocate le mie viscere, e non mi dan posa: mi han sorpreso i giorni di afflizione.28Io me ne vo malinconico, ma senza trasporti d'ira; mi alzo, e grido in mezzo alla gente.29Divenni fratello dei dragoni, e compagno degli struzzoli.30Mi si è annerita addosso la pelle, le mie ossa sono inaridite pel grande ardore.31Rivolta in pianto è la mia cetra, e in voce di dolor la mia lira.

Note:

30,1:A' padri de' quali non mi sarei degnato ec. Vale a dire: mi deridono de' giovanastri figliuoli di uomini cattivi vilissimi, i quali io non avrei sofferto di tenere in mia casa, e nemmen di mettergli al governo de' cani, che custodivano i miei greggi. Così il Grisostomo.

30,2:De' quali io nulla stimava la forza delle braccia. La forza delle braccia ell'è la facoltà di agire, di operare. Vuol adunque dire, ch'e' non eran buoni a far nulla di bene, ond'eran riputati come indegni di vivere: imperocchè la loro maniera di vita era non solo barbara, ma ferina, come apparisce da quello che segue.

30,4:La radice del ginepro. Non troviamo scritto da verun autore antico, o moderno, che le radiche del ginepro sien buone a mangiare: forse erano buone o almeno non cattive ad esser cibo de' miserabili nell'Idumea: ma non potrebb'ella essere piuttosto una maniera di proverbio il dire, che un uomo vive delle cortecce degli alberi, o delle radiche del ginepro, per dinotare un' estrema fame e miseria? Certamente fa d'uopo riconoscer qui una esagerazione, e amplificazione poetica.

30,5:Con grande schiamazzo. Facendo gran festa per aver trovato di che sfamarsi.

30,7:Per delizia contavano lo star sotto i pruni. Abitatione degna di uomini fieri e salvatichi.

30,11:Perocchè egli apri il suo lurcasso ec. Tali cose sono fatte contro di me, perché Dio mi ha posto qual segno alle sue saette.
E il morso posto alla mia bocca. Mi ha trattato qual giumento, mi ha messo il morso alla bocca, e mi conduce per quella strada, che a lui piace fino a soffrire le cose più dure e aspre, e ripuguanti alla natura. Vedi Ps. XXXI. 9.

30,12:Nel mio fiorire ec. Nel tempo della mia maggior felicità.

30,13:Mi hanno rotto le strade. Mi hanno renduto impraticabili tutte le vie, per le quali potessi cercar salute: non ho dove fuggire, né dove voltarmi.

30,15:I miei desideri. Tutto quello che io bramavo più ardentemente. I LXX lessero le mie speranze.

30,17-18:E non assonnan quelli ec. Tutti gl'interpreti Latini intendono questa parole de' vermi, che rodevano le membra di Giobbe, e anche la stessa veste.

30,22:Ponendomi sopra del vento. Ponendomi in luogo altissimo, in altissimo stato e felice.

30,24:Tu però la tua man non adopri ec. Io so, anzi lo vedo, che le mie miserie mi conducono a morte, ma io non perderò la speranza nella tua misericordia; perocchè nell'affliggere l'uomo, tuo disegno non è di sterminarlo e di perderlo, ma di salvarlo.

30,25:Io piangeva una volta le altrui afflizioni. Per qual motivo adunque non trovo io adesso tra gli uomini, e tragli amici stessi chi abbia di me pietà?

30,28:Io me ne vo malinconico, ma senza trasporti d'ira; mi alzo, e grida ec. Oppresso da infiniti mali pur frenai sempre gl'impeti del dolore e della impazienza, benché la violenza de' mali, ch'io soffro sia tale, che mi costringe talora ad alzar le strida davanti alla gente.

30,29:Divenni fratello dei dragoni, e compagno ec. Imito il lugubre urlare de' dragoni e degli struzzoli. La stessa similitudine si trova, Mich. I. 31.

30,31:Rivolta in pianta è la mia cetra. La mia cetra, sulla quale una volta io cantava a Dio canzoni di laude, cantici di letizia, non da adesso altro suono, che di tristezza e di lutto.
La mia lira. Non abbiamo tradotto organo affinchè, nissuno credesse, che si parli qui d'istrumento simile a quello, a cui diamo tal nome. Lo strumento, che è qui nominato, e affatto ignoto.