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Sabato, 27 aprile 2024 - Santa Zita ( Letture di oggi)

Lettera agli Ebrei 3


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Cristo, come quegli, che e figliuolo, è di lunga mano superiore a Mosè, il quale era servo fedele nella casa di Dio. A lui adunque proccurar dobbiamo di ubbidire in tutte le cose, affinchè dalla requie di lui rigettati non siamo, come gl'increduli Ebrei.

1Voi adunque fratelli santi, partecipi della vocazione celeste, considerate l'Apostolo, e il Pontefice della nostra confessione, Gesù:2Il quale è fedele a lui, che (tale) lo fece, come già Mosé in tutta la casa di lui.3Conciossiachè di maggior gloria è stato questi riputato degno sopra Mosè, come più grande, che quel della casa, è l'onore, di colui, che fabbricolla.4Imperocché ogni casa da qualcheduno è fabbricata: or quei, che creò tutte le cose, egli è Iddio.5E Mosè veramente era fedele in tutta la casa di lui come servitore, per essere testimone di quelle cose, che dovevan dirsi:6Ma Cristo come figliuolo sopra la propria casa: la qual casa siam noi, se ferma ritenghiamo sino alla fine la fiducia, e la gloria della speranza.7Per la qual cosa, (conforme dice lo Spirito santo): oggi se udirete la voce di lui,8Non vogliate indurare i vostri cuori, come (nel luogo) della alterazione al dì della tentazione nel deserto,9Dove i padri vostri tentaron me, fecer prova di me, e videro le opere mie10Per quaranta anni: perciò fui disgustato altamente con questa nazione, e dissi: costoro vanno sempre errando col cuore. Ed eglino non han conosciute le mie vie,11A' quali giurai sdegnato: non entreranno nella mia requie.12Badate, fratelli, che mai non sia in alcuno di voi un cuor cattivo per la miscredenza, onde vi allontaniate da Dio vivo:13Ma esortatevi gli uni gli altri ogni giorno, sino a tanto che giorno d'oggi si noma, affinchè alcuno di voi non rimanga indurato per la seduzione della colpa.14Imperocché siam divenuti consorti di Cristo: purché fermo ritenghiamo sino alla fine il fondamento, per cui siamo in lui sostenuti,15Mentre dicesi: oggi se udirete la voce di lui, non vogliate indurare i vostri cuori, come in quella altercazione.16Imperocché alcuni, che avevano udito, altercarono, non però tutti quelli, che per mezzo di Mosè uscirono dall'Egitto.17E con quali uomini fu egli disgustato per quaranta anni, se non con que', che peccarono, de' quali furono stesi al suolo i cadaveri nel deserto?18Ed a quali uomini giurò egli, che non entrerebbono nella sua requie, si' non a quelli, che furono miscredenti?19E noi veggiamo, come a motivo della miscredenza non poterono entrarvi.

Note:

3,1:Fratelli santi, partecipi della vocazione celeste. Dalle cose dette nel capo precedente, cioè a dire, che Gesù è nostro pontefice, ed è della stessa nostra natura, ed è pieno di compassione per noi, conclude l'Apostolo, che adunque gli Ebrei (i quali chiama suoi fratelli non tanto per la comune origine da Abramo, quanto per la nuova fratellanza in Cristo, e santi per la santificazion ricevuta nel battesimo ) essendo gia entrati a parte della celeste vocazione alla fede, con tutta attenzione, e diligenza considerino, quale, e quanto grande sia quell'Apostolo, e quel sommo sacerdote della religione da noi professata.
Chiama celeste la vocazione alla fede o per ragione del suo principio, che è Dio Padre, Gal. V.8., o per ragione del mezzo, per cui siam chiamati, che è la parola celeste, e lo Spirito santo, o finalmente per ragione del fine della stessa vocazione, che è la gloria del cielo.
Dà a Gesù il titolo di Apostolo, il qual titolo esprime quello, che tante volte di sè dice Cristo nel Vangelo, di essere mandato dal Padre. Mosè fu propriamente Apostolo, o nunzio, ed ambasciadore di Dio, al popolo Ebreo; Aronne sommo sacerdote: ma gli uffici dell'uno e dell'altro riunì in sè Gesù Cristo, e con infinito vantaggio ne adempì tutte le parti a favore del suo nuovo popolo. Con gran ragione perciò dice Paolo, che lasciando da parte e Mosè, ed Aronne, i quali non altro erano se non figure di questo divino nostro Apostolo, e pontefice, a lui rivolgano gli occhi del cuore, e lui considerino, e i suoi misteri, e le sue grandezze, per accendersi ogni di più di riconoscenza, e d'amore verso di lui, e confermarsi nella fede, ch'egli ci ha insegnata.

3,2:Fedele a lui, che (tale) lo fece, come ec. Comincia qui una comparazione di Cristo con Mosè; parlerà poi anche di Aronne. Mostra in primo luogo la somiglianza tra l'uno e l'altro, quindi la superiorità infinita di Cristo sopra Mosè. Il primo elogio di Mosè consiste nell'essere egli stato un Apostolo, ed un ministro fedele nella casa del Signore (Vedi Num. XII. 7.). Gesù è anch'egli fedele a colui, che lo ha fatto nostro Apostolo, e nostro pontefice; fedele, perchè in tutto il suo ministero non cercò la propria sua gloria, ma la gloria del Padre, Jo. VIII; fedele, perchè fece in tutto la volontà del Padre, e l'opera ingiuntagli condusse a fine, senza risparmiare per questo la propria vita. La comparazione è adunque piuttosto di similitudine, che di uguaglianza; imperocchè ognun ve de, in quanti modi la fedeltà di Cristo sorpassa quella di Mosè; Paolo nondimeno, perchè alcuno nol creda men favorevole a questo grand'uomo, riverito e onorato sì altamente dagli Ebrei, si contenta di dire, che Cristo fu fedele, come Mosè.

3,3-4:Conciossiache di maggior gloria è stato questi ec. Il principio di questo versetto lega col verbo considerate del verso primo. Considerate, e diligentemente esaminate le qualità, e le grandezze di questo nuovo Apostolo: elle meritano certamente tutte le vostre attenzioni. Mosè Apostolo dell'antica alleanza è un ministro fedele, egli è una pietra primaria della casa d'Israele; ma non è nè tutta la casa, nè l'architetto di questa casa, la quale (dapoi chè ogni fabbrica ha bisogno d'un architetto) per suo architetto ebbe Dio creatore di tutte le cose, e dello stesso Mosè. Or la gloria e di Mosè, e di quella casa, in cui Mosè fu ministro, è infinitamente minore, che quella dell'artefice divino, da cui ella fu fabbricata. Questo artefice è il Verbo di Dio, per cui il Padre fece anche i secoli, cap. I. 3. e da lui riconosce il suo essere e la Chiesa giudaica, e la Chiesa cristiana. Se Mosè lavorò, egli nol fe ce (nè potea farlo in altro modo) se non come esecutore degli ordini, e del disegno del sovrano architetto, e con i mezzi, che da questo furono a lui somministrati.

3,5-6:E Mosè veramente era fedele ... come servidore, per essere testimone ec. Mosè era servidore, e ministro fedele nella casa, e nella famiglia di Dio. Come servidore e ministro parlava, esponendo gli ordini del padrone, ed eseguendo puntualmente in ogni cosa la di lui volontà; e la fedeltà di questo ministro principalmente in questo apparisce e risplende, che in tutto quello, ch'ei disse o fece, non perdè di vista giammai l'obbietto grande, e primario del suo ministero, cioè il Cristo, il qual Cristo adombrò egli in ogni apice della legge, in tutti i sagrifizi carnali, in tutte le legali osservanze, rendendo in tal guisa una anticipata efficacissima testimonianza al Vangelo, che doveva un dì predicarsi. Mosè adunque era in primo luogo servidore del padre di famiglia, e del padron della casa; e qui per onore dello stesso Mosè nel testo originale usa una voce significante il servo libero, che volontariamente si pone al servigio altrui, non per condizione di stato serve, come gli schiavi; in secondo luogo, serviva nella casa non sua, ma del padrone; in terzo luogo, comandava, e disponeva non a suo piacimento, ma secondo la legge postagli nelle mani dal padrone suo, e della casa. Cristo è non nella casa, ma sopra la casa (così ha il testo originale) cone figliuolo, ed erede, e padrone di essa, perchè egli è, che l'ha fatta, e in questa casa tutto governa, e dispone a sua volontà.
La qual casa siam noi, se ferma ec. Questa casa, questa famiglia la compongono tutti coloro, che in Cristo credono, purchè fermamente perseverino sino al fine nella fiducia (o sia in quella fidanza per cui coraggiosamente si tende al ben, che si spera) e nella espettazione di esso bene, nella quale espettazione la loro gloria consiste, perchè da questa la forza traggono per disprezzare tutte le cose della vita presente, per gloriarsi nella sola speranza della gloria de' figliuoli di Dio, Rom. v. 2.

3,7-8:Per la qual cosa (conforme dice lo Spirito santo: oggi ec. Continua l'esortazione cominciata nel versetto precedente, e a questa esortazione dà peso ed efficacia con le parole dello Spirito Santo nel salmo XCV., e col l'esempio di quegli Ebrei, i quali liberati dall'Egitto si ribellarono contro Dio. Or siccome tutto quel che avveniva a quel popolo era una figura, ed una istruzione pel popolo cristiano, e siccome lo stesso salmo, in cui la disubbidienza, e il gastigo de' medesimi Ebrei si descrive, di Cristo ragiona, ed a Cristo appartiene, come dal salmo stesso apparisce, e dalla tradizione de' medesimi Ebrei; quindi a gran ragione dello stesso salmo si serve per esortare gli Ebrei convertiti a Cristo, e liberati da una peggiore schiavitù, e adottati nella famiglia di Dio, e di Cristo, a conservare constantemente lo spirito della stessa adozione.
Tutto quello che segue dalle parole, conforme dice ec. sino alla fine del Vers. I., si può chiudere in parentesi.
Oggi se udirete la voce di lui, non vogliate ec. Osservano alcuni Interpreti, che questo salmo era composto per la festa de' tabernacoli (la qual festa, come si è detto altrove, significava la presenza di Dio tra gli uomini), e che in tal festa soleva leggersi al popolo l'istoria, alla quale in questo luogo si allude. Quest'oggi adunque significa il tempo di grazia, il tempo susseguente alla venuta del liberatore d'Israelle, il tempo accettevole, il giorno della salute. In questo tempo, in cui la voce di Dio, e del suo Cristo risuona per ogni parte nelle orec chiedi tutti gli uomini, e gli invita a penitenza, e a salute, la parola di Dio si ascolti con cuor docile ed ubbidiente, e non duro, e protervo.
Come (nel luogo) della altercazione al di della tentazione nel deserto. A Raphidim (come leggesi Exod. XVII. 7.) il popolo, che penuriava d'acqua, si mosse a tumulto, e mormorò contro Dio, e contro Mosè; e perciò si legge nell'Ebreo, che Mosè chiamò quel luogo tentazione, e altercazione; tentazione, perchè il popolo dubitò del potere divino: altercazione, perchè lo stesso popolo gridò e litigò con Mosè, e sparlò della sua condotta.

3,9:Tentaron me, fecer prova di me, e videro ec. Dubitarono, se io fossi abbastanza potente per soccorrerli; vollero far prova di mia potenza e bontà, e videro coi propri occhi le mirabili opere della mia mano, dalle quali riconoscere dovevano e il poter mio, e la verità delle mie promesse.

3,10:Per quaranta anni: perciò fui disgustato ec. Sopportai a gran fatica questo popolo perquaranta anni continui nel deserto, e dissi: costoro hanno sempre un cuore instabile ed infedele, e per la loro cecita non hanno in tesi i miei consigli, e non hanno fatto conto de' miei precetti.

3,11:Non entreranno nella mia requie. Nel senso lette rale il giuramento di Dio s'intende della terra di promissione chiamata requie di Dio, perchè promessa da Dio al popolo come luogo di riposo dopo il lungo loro pellegrinaggio, nella qual terra non entrarono coloro per la loro infedeltà. Nel senso spirituale avuto in mira dall'Apostolo s'intende la terra dei vivi, la beatitudine eterna, di cui era figura la terra di promissione.

3,12:Onde vi allontaniate da Dio vivo. Guardatevi dal cuore incredulo, perchè siccome per la fede l'uomo si accosta a Dio, così da lui si allontana per la incredulità; si allontana, dissi, da Dio vivo, vale a dire, da Dio, che è vita in sè stesso, ed è la vita di ogni anima: in lui era la vita, Joan. I. Imperocchè di Cristo vogliono intendersi queste parole Dio vivo, di cui dice (v. 14.), che sono divenuti consorti; e da questo luogo evidentemente risulta che invano gli Ebrei, rigettato Cristo, del culto si vantano del vero Dio; dapoichè, come sta scritto, I. Joan. ii. 33., chi nega il Figliuolo, non ha nemmeno il Padre.

3,13:Sino a tanto che giorno d'oggi si noma. Fintanto chè dura il tempo di grazia, e di penitenza che a ciascheduno è concesso.
Non rimanga indurato per la seduzione della colpa. Affinchè le lusinghe del peccato non producano l'ostina zione nel male, per la quale il cuore s'indura.

3,14:Siam divenuti consorti di Cristo. Siamo partecipi dello Spirito, e della grazia di Cristo, primo, mediante la fede, per cui abita Cristo ne' nostri cuori, Ephes. III.; secondo, per mezzo del battesimo, per cui di Cristo ci ri vestiamo. Gal. III.; terzo, per la comunione del corpo, e del sangue di Cristo, 2. Cor. X.

3,15:Mentre dicesi: oggi se udirete ec. Tuttora dicesi anche a noi quello che fu detto agli Ebrei: oggi se udirete ec.

3,16:Non però tutti quelli, che per mezzo di Mosè uscirono dall'Egitto. Giosuè, e Caleb, e i Leviti non solo non ebber parte nella ribellione di coloro, che erano usciti dall'Egitto, ma si opposero con tutte le loro forze al furore de' miscredenti, i quali quantunque uditi avessero i comandamenti divini, e il decalogo promulgato con tanta solennità, non lasciarono di opporsi a Mosè, e a Dio. Da questo terribile esempio lascia l'Apostolo, che s'inferisca, non essere da meravigliarsi, se pochi siano gli Ebrei, che abbracciano la fede di Cristo, in comparazione del gran numero di coloro, che nell'incredulità si rimangono; imperocchè il simile avvenne sotto Mosè: onde tocchi agli Ebrei stessi di vedere, se o dei molti che perirono, o de' pochi che entrarono nella terra promessa, sia da seguitarsi l'esempio.

3,17-19:E con quali uomini fu egli disgustato ..... se non con que' che peccarono, ec. Se Dio si chiamò offeso degli Israeliti, e giurò, che non sarebbero entrati nella sua requie, non si accese lo sdegno di lui se non contro di uomini perversi, i quali dopo gli infiniti prodigi operati a loro vantaggio lo irritarono in mille guise co' loro peccati e non vollero prestar fede alle sue promesse. Questi o in uno od in altro modo restarono tutti vittime dell'ira divina, e informi cadaveri nel deserto; e noi dall'istoria veggiamo, come il giuramento di Dio fu adempiuto, e non entrarono per la loro miscredenza nella terra promessa. Simil sarebbe la mostra sorte, quando alle voci di Dio fossimo disubbidienti, e abbandonassimo la fede.