Lettera di Giacomo 1
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Dimostra l'utilità delle tentazioni, e come dee domandarsi con fiducia da Dio la sapienza: Dio non è tentatore, o autore del peccato, ma da lui procedono i buoni doni; gli esorta ad essere pronti ad ascoltare, tardi al parlare, e all'ira: non basta l'udire la verità, se colle opere non si adempie: aggiugne, quale sia la vera, e immacolata religione.
1Giacomo servo di Dio, e del Signor nostro Gesù Cristo, alle dodici tribù disperse, salute.2Abbiate, fratelli miei come argomento di vero gaudio le varie tentazioni, nelle quali urterete:3Sapendo, come Io sperimento della vostra fede produce la pazienza.4La pazienza poi fa opera perfetta: onde voi siate perfetti, e intieri, e in nulla cosa manchevoli.5Che se alcuno di voi è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che da a tutti abbondantemente, e noi rimprovera: esaragli conceduta.6Ma chieda con fede senza niente esitare: imperocché chi esita, egli è simile al flutto del mare mosso, e agitato dal vento:7Non si pensi adunque un tal uomo di ottener cosa alcuna dal Signore.8L'uomo di animo doppio egli è incostante in tutti i suoi andamenti.9Or il fratello, che è in basso stato, faccia gloria del suo innalzamento:10Il ricco poi della sua umiliazione, perché come fior d'erba ci passerà:11Imperocché si levò il sole cocente, e l'erba si seccò, e il fior ne cadde, e la venustà dell'aspetto di lui perì: cosi anche il ricco ne' suoi avanzamenti appassirà.12Beato l'uomo, che tollera tentazione: perché quando sarà stato provato, riceverà la corona di vita promessa da Dio a quegli, che lo amano.13Nissuno quand'è tentato, dica, che è tentato da Dio: imperocché Dio non è tentatore di cose male: ed ei non tenta nissuno.14Ma ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza, che lo tragge, e lo alletta.15Indi la concupiscenza quando ha conceputo, partorisce il peccato: il peccato poi consumato che sia, genera la morte.16Non vogliate adunque ingannarvi, fratelli miei dilettissimi.17Ogni buon dato, e ogni perfetto dono viene di sopra, scendendo da quel Padre de' lumi, in cui non è mutamento, né alternativa di adombramento.18Imperocché egli per sua volontà ci generò per la partita di verità: affinchè noi siamo quali primizie delle sue creature.19Voi lo sapete, fratelli miei dilettissimi. Or sia ogni uomo pronto ad ascoltare; lento a parlare, e lento all'ira:20Imperocché l'ira dell'uomo non adempie la giustizia di Dio.21Per la qual cosa rigettando ogni immondezza, e la ridondante malizia, con mansueto animo abbracciate la parola (in voi) innestata, la quale può salvare le anime vostre.22Siate perciò facitori della parola, e non uditori solamente, ingannando voi stessi.23Imperocché se uno è uditore, e non facitore della parola, ei si rassomiglierà a un uomo, che considera il nativo suo volto ad uno specchio:24Il quale considerato che si è, se ne va, e si scorda subita, qual ei si fosse.25Ma chi mirerà addentro nella perfetta legge della libertà, e in essa persevererà, non essendo uditore smemorato, ma facitore di opere: questi nel suo fare sarà beato.26Che se uno si crede di essere religioso, senza raffrenare la propria lingua, anzi seducendo il proprio cuore, la religione di costui è vana.27Religione para, e immacolata nel cospetto di Dio, e del Padre, è questa: di visitare i pupilli, e le vedove nella loro tribolazione, e di conservarsi puro da questo secolo.Note:
1,1:Giacomo servo di Dio, e del Signor nostro Gesù Cristo, alle dodici tribù ec. Non è da sospettare, che l'autore di questa lettera non sia Apostolo, perchè Apostolo non si nomina nel principio di essa, ma servo di Gesù Cristo; imperocchè, e di questo stesso titolo in vece di quello di Apostolo si valse talora s. Paolo, e non ebbe s. Giacomo le stesse ragioni, che ebbero Pietro, e Paolo di porre avanti alle loro lettere il cognome di Apostoli. Questa lettera è indirizzata da lui agli Ebrei convertiti di tutte le dodici tribù, i quali dopo la cattività dell'Assiria, e di Babilonia si erano sparsi per tutte le parti dell'Oriente, e dell'Occidente. Dopo la Pentecoste e gli Apostoli, e i Primi discepoli di Gesù Cristo andarono per ogni dove portando la luce dell'Evangelio, e cominciando sempre dal predicarlo agli Ebrei, come abbiam veduto negli Atti. A questi Giudei divenuti Cristiani, e fedeli, ed i quali erano stati le pietre fondamentali di molte Chiese in tutto l'Oriente fuori della Giudea, a questi, dico, scrive s. Giacomo, e a questi con saluto non cortigianesco, o di pura parola (come dice il Grisostomo ) ma efficace, e reale, e apostolico, prega da Dio la salute e dell'anima, e del corpo. Vedi Atti XV. 23., 2. Jo. II.
1,2: Abbiate, fratelli miei, come ec. Gli Ebrei ed erano generalmente mal viati da Gentili, ed avendo a questa qualità aggiunta quella di Cristiani, erano perciò esposti all'odio, ed alla persecuzione e degli idolatri, e degli stessi increduli loro fratelli. Quindi è, che s. Giacomo molto teneramente gli esorta non solo a non perdersi d'animo nelle avversità, e ne' travagli, ma a considerar questi travagli come fondamento di grande allegrezza. Vedi gli Atti V. 41., Heb. X.34. Gli chiama suoi fratelli non solo per la comune origine da Abramo, ma ancora, e molto per la nuova fratellanza contratta in virtù della comune fede, e della comune adozione.
1,3: Sapendo, come lo sperimento della vostra fede ec. Dimostra, che i travagli di questa vita sono a gran ragione tenuti dall'anima fedele per argomento non di tristezza, ma di gaudio perfetto. Questi travagli, co' quali Dio prova la fede de' suoi, esercitano, o perfezionano la pazienza, la quale è necessaria per conseguire l'effetto delle divine promesse.
1,4:La pazienza poi fa opera perfetta: ec. La pazienza è guida alla perfezione, perchè colla croce Dio purga, e purifica, ad abbellisoe le anime, affinchè perfette divengano per ogni parte, e intere e senza macchia, e senza che alcun fregio di virtù loro manchi.
1,5:Se alcuno di voi è bisognoso di sapienza, ec. Questa sapienza, non è quella de' filosofi, nè quella de' politici, nè finalmente una sapienza mondana, ma ella è la scienza delle cose divine, dei misteri della fede, e della salute; ella è quella scienza tutta celeste, della quale il compendio e Gesù Cristo crocifisso; ella è, che o' insegna principalmente a patir volentieri con Cristo per regnare oon Cristo. Questa scienza è un dono di Dio, e dono grande, ed a lui dee domandarla chiunque in essa si trovi ancora poco avanzato; egli è tanto buono (dice s. Girolamo) che de' suoi beni a tutti fa parte, nè per le frequenti riohieste si annoia, ne importune sono a lui le nostre preghiere, nè rinfaccia quello, che ha già dato, per esentarsi dal dare quello, che gli in appresso. Egli è la sorgente di tutti i beni, e ad una facoltà infinita di farci del bene unisce una liberalissima volontà, anzi un desiderio grandissimo di renderci veramente felici.
1,6-7:Chieda con fede senza niente esitare: ec. S. Agostino serm. 5, de V. D., se manca la fede, l'orazione perisce... la fede è il fonte della orazione. Parla s. Giacono della fede viva, e costante, per la qual fede l'uomo fermamente erede, e confida nella infinita bontà, e misericordia di Dio, da cui solo spetta ogni bene, perchè egli stesso ci ha detto: chiedete, e orterrete, cercate, e troverete, picchiate, e saravvi aperto, Luc. XI. 10. 11. L'anima, che è debole, e vacillante nella fede, ella è un mare agitato di continuo da dubbi, da diffidenze, da timori; ella si volge or in questa, or in quella parte; talora rimira Dio, e si fa cuore; talora rimira se stesso, e di vien pusillanime; ella non ha tanta forza per credere fermamente alla carità, che Dio ha per lei. Un tale stato è molto contrario all'orazione, e un uomo, che è in tale stato, non ha motivo a lusingarsi di ottenere l'effetto di sue preghiere. L'umiltà, che è, come dice s. Bernardo, una delle ali dell'orazione, c'insegna a diffidar di noi stessi, ma non a diffidare di Dio, anzi perchè meglio ci fidiamo di lui, ci è insegnato a diffidare di noi medesimi.
1,8:L'uomo di animo doppio egli è incostante ec. L'uomo, che ha in certa guisa due spiriti diversi, perchè un poco vive secondo Dio, un poco secondo la passione, e non è nè freddo affatto, nè affatto caldo, come dicesi Apocal. III.15., quest'uomo non ha fermezza alcuna nelle cose sue; e come potrebb'egli impetrar quel, che chiede a Dio nell'orazione, mentre non sa egli stesso che si voglia, perchè non ha il cuore fisso, e stabile in Dio, ma è aggirato di continuo, e tra portato fuori di strada dalle sue passioni?
1,9:Or il fratello, che è in basso stato, faccia gloria ec. Il Cristiano, che per amore di Cristo è ridotto a uno stato umile, ed abbietto secondo il mondo, ha motivo di far sua gloria della sublime spirituale grandezza, a cui per la volontaria sua umiliazione egli è innalzato dinanzi a Dio. Ai Cristiani umiliati afflitti, perseguitati per la fede, propone la considerazione del gran bene, a cui per tali mezzi sono per arrivare, le ricompenso eterne, la dignità di eredi di Dio; e lo stesso onore di patire per Cristo, e di essere compagno a lui nella croce ha certamente forza grandissima a sollevare, e dilatare il cuore di un vero fedele. Questa gloria appartiene anche in oggi a tutti coloro, i quali per principio di tutto abbandonano per religione seguir Cristo in uno stato di povertà, e di penitenza.
1,10:Il ricco poi della sua umiliazione, perchè ec. Il ricco poi per lo oontrario dee trovar sua gloria nell'abbassarsi, e umiliarsi sinoeramente dinanzi a Dio per ragioni del suo stato, considerando, e avendo sempre dinanzi agli occhi, quanto instabili, e oaduchi siano que' beni, pe' quali dagli stolti amatori del secolo egli è creduto felice.
S. Tommaso spiega in una maniera un po' differente queste parole: il ricco si glori, se vuole, nelle sue ricchezze, e nelle umilia grandezze terrene, le quali sono in effetto argomento di umiliazione per lui, perchè nulla hanno di fermo, e di stabile, e presto passano, ed egli con esse. Quindi ne viene, che tali beni non sono effettivamente buoni se non a lasoiare, e a privarsene, versandoli in seno a' poveri, e comprando con essi la loro amicizia, affinchè essi colle loro preghiere impetrino al ricco miserioordioso l'ingresso de' tabernacoli eterni.
1,11:Si levò il sole cocente, ec. E' una viva, e forte pittura della sorte di un ricco, il quale nel tenmpo stesso, che nelle sue ricchezze affidato della apparente sua felicità si pasce, e si pavoneggia, cammnina senza saperlo a gran passi ad un ne disgraziato, e infelice. Il fiore ha vita, e vaghezza per un giorno; la superbia, il fasto dei ricchi durerà, quanto un fiore; imperocchè meno che un giorno è la vita presente, paragonata all'eterna.
1,12:Beato l'uomo, che tollera tentazione: ec. Non a dunque il ricco è beato, quantunque tutto va dagli a seconda de' suoi desiderj, ma beato è colui, il quale con rassegnazione riceve dalla mano del Signore le afflizioni, colle quali vuol Dio provarlo; imperooohè provato ch'ei sia, riceverà una corona non di poca durata, e che presto appassisca, e si secchi, come quelle di lauro, o di ellera, che davansi a' vincitori ne' giuochi olimpici; ma una corona sempre verde, immarcescibile, ed eterna; corona di vita, perchè segno, e figura di una vita, che non ha fine. Vedi Apocal. II.10., 2. Tim.II.9. Questa corona, dice s. Giacomo, che è promessa all'amore. Ella è certamente promessa nelle scritture anche alla pazienza; ma ha voluto quì il nostro Apostolo accennar la radice di tutte le buone opere, e della stessa pazienza, l'amore di Dio. Questo amore, dice, s. tutte Agostino, se non fosse nell'uomo, indarno averebbe egli le altre cose; laddove tutte le altre cose egli ha, come si conviene, quand'egli ha questo, Tract. IX. in Jo. VIII. Imperocchè sta scritto, che tutte le cose al bene cooperano di chi ama, Rom. VIII. Vedi anche 1. Cor. XIII.
1,13:Nissuno quand'è tentato, dica, che è tentato da Dio. Nissuno, quando o pel terrore de' unali presenti, o coll'attrattive de' beni del secolo inoitato sentesi all'impazienza, alla diffidenza, a rinunziare alla fede, o in qualunque modo a peccare, ardisca di dire, che Dio è quegli, che in tal guisa lo tenta. Imperocchè può ben Dio tentare per far prova dell'uomo, ma non mai per sedurlo, dice s. Agostino de consensu lib. II. cap. XXX. Può essere, che il nostro Apostolo prenda di mira quelli antichi eretici, come i Simoniani, Valentiniani, Manichei, i quali ponevano due principj, uno buono, cattivo l'altro, il primo, che ci porta al bene, il secondo, che porta al male. Ma un solo Dio, un solo principio di tutte le cose riconosce la fede Cristiana; e questo Dio non può essere autore del male, nè tentare al male; perchè ciò ripugna alla infinita sua santità, e all'amore, ch'ei porta alle sue creature.
1,14:Ma ciascuno è tentato ec. L'origine delle tentazioni dell'uomo è nell'uomo, il quale viziato nella sua natura pel peccato di Adamo porta in se il funesto prinoipio de' suoi traviamenti, la ooncupiscenza, la quale al male, e al peccato lo porta. Ella è quel terribile violento nemico dell'uomo, la di cui malignità è sì vivamente dipinta da Paolo nella sua gran lettera a' Romani. Senza di questa poco potrebbero contro l'uomo o le insidie del diavolo, o la forza degli oggetti esteriori.
1,15:La concupiscenza quando ha conceputo, ec. Rappresenta adesso, per quali gradi l'uomo cade nel peccato, e nella morte. La concupiscenza stimola al male, proponendo l'oggetto delle sue brame; se tu a alcun poco ti fermi nella dilettazione del male, se non resisti alla concupiscenza, e non la respingi, ella ha già ricevuto la semenza del peccato, il quale peccato ella dipoi partorisce mediante il pieno, e perfetto con senso, che tu le presti; il peccato poi compiuto che è col con senso, genera la morte temporale, ed eterna, perchè l'una, e l'altra morte è stipendio del peccato, Rom. VI. 23. I movimenti della concupiscenza, benchè siano effetto del peccato, non sono peocato, se ad essi l'uomo non acconsente, come da questo stesso luogo apparisoe, mentre non per le sole suggestioni della concupisoenza, ma pel peccato compiuto, l'uomo si tira addosso la morte, come dice s Giacomo; or col consentire, coll'abbracciare il male posto innanzi dalla conoupiscenza si compie il peccato. La connupiscenza adunque secondo la dottrina della cattolica Chiesa rimane nei battezzati; ma essendo loro lasciata per occasion di combattere, può bensì nuocere a quei, che non le resistono, ma non a coloro, i quali mediante la grazia di Cristo virilmente ad essa ripugnano; anzi chi combatterà secondo le leggi, averà la corona. Conc. Trid. sess. v.
1,16:Non vogliate... ingannarvi, ec. Viene a dire: avete veduto, che non è Dio l'autore del male, e del peccato; guardatevi adunque dall'errore de' Simoniani, e degli altri empi uomini, i quali in Dio voglion rifondere la cagione della loro malizia.
1,17:Ogni buon dato, e ogni perfetto dono ec. Questo versetto può unirsi col precedente ragionamento in questa guisa. Ben lungi, che Dio sia l'autore del male morale, cioè della colpa, da lui solo anzi vengono all'uomo tutte le grazie, e tutti i doni celesti, pe' quali l'uomo divien capace di fare il bene. Così continuerebbe il nostro Apostolo a discorrere contro de' Simoniani. Ma più probabile sembra l'opinione di altri Interpreti, oredono, che sia qui confutato l'errore assai comune libero arbitrio, trai Giudei, i quali magnificando le forze del libero arbitrio tenevano, che l'uomo potesse e resistere alla concupiscenza, e adempier la legge senza aver bisogno de' superiori aiuti di Dio; contro di costoro adunque si dice, che tutto il bene dell'uomo viene adirittura da Dio. Colla parola dato può signficarsi tutto quello, che ha l'uomo nell'ordine natura; colla parola dato può significarsi tutto quello, che ha nell'ordine della grazia, la qual grazia è il dono per eccellenza, e dono perfetto, perchè noi rende giusti, e perfetti. E' adunque Dio l'autore di ogni nostro bene tanto naturale, quanto soprannaturale. Tutto ci viene di sopra, cioè dal cielo, e da lui Padre, principio, fonte di ogni luce e corporale, e spirituale. Egli è, che illumina ogni uomo vegnente in questo mondo, ed è in modo particolare luce delle anime le quali tralle tenebre del secolo, e del peccato rischiara, e guida nella via delle bnone opere, e della salute, nella quale un solo passo non possan dare senza di lui. Egli essendo lume essenziale, in primo luogo non è soggetto a cangiamento di sorta, non può mai essere se non luce; non può adunque esser autore se non del bene; non mai sarà autore del male significato nelle tenebre, come il bene è significato nella luce; in secondo luogo per nissuna cosa sarà impedito l'effetto, e l'influsso di questa luce, la quale non patisce eclisse giammai. Ella per tutto penetra, per tutto è presente, a tutti si comunica, eccettuati que' soli, che gli occhi chiudono volontariamente per non vederla.
1,18:Per sua volontà ci generò, ec. Tutto viene da Dio; ma qual'è la misura de doni di Dio sopra di noi? Questi doni non hanno misura. Lo dimostra il nostro Apostolo con rammentare a' fedeli la grazia immensa della loro spirituale rigenerazione. Degl'Israeliti fu scritto, che Dio gli avea generati, perchè liberati dall'Egitto, Deuter. XXXII.18. Con quanto miglior ragione si dice, che Dio ha generati a Cristiani, i quali non solo ha tratti da una peggior servitù, ma gli ha ancora adottati in Cristo, e da to loro potestà di divenire suoi figli? Jo. 1. 23. Egli ci ha adunque generati per mezzo della parola di verità a noi predicata è abbracciata da noi colla fede; la qual fede non meno che la parola di verità è suo dono. E ci ha generati, perchè fossimo come le primizie del genere umano segregate, ed offerte ad onore, e gloria di lui come le primizie de' frutti della terra, e i primogeniti degli nomini e primi parti degl'animali nell'antica legge quali ricchezze di misericordia, e di predilezione verso di noi ci presenta questo solo benefizio di Dio? Ma a tutto questo s'arroge, che di questa grazia siamo noi interamente debitori ella sola buona, e benigna volontà del medesimo Dio, perchè nissun merito fu in noi per renderci degni di tanto favore, snzi molti furono i demeriti nostri, pe' quali ne eravamo indegnissimi. Ma Dio volle, che dove abbondò il peccato, soprabbondasse la grazia. Vedi Ephes. 1. 5.
1,19-20:Voi lo sapete ... . Or sia ogni uomo pronto ad ascoltare. Passa ad un'altra istruzione. Ognuno sia sempio disposto ad udire la parola di verità; ma non sia così facile a parlare delle cose divine; in pari prima d'insegnare. I discepoli di Pitagora osservavano cinque anni di silenzio per apprendere a parlare utilmente. Per questo osservano i filosofi, averci la natura dato due orecchie, e una sola lingua, e le orecchie sempre aperte, la lingua cinta dal chiuso dei denti, e delle labbra. Vedi Prov. X. 19., XIII. 5., XVII. 18.
E lento all'ira: Imperocchè l'ira dell'uomo ec. L'ira è sovente un effetto del molto, e incautamente discorrere. Or questa impetuosa passione, benchè sovente si copra col manto dello zelo, e dell'amore della verità, e della giustizia, non è infatti buona giammai a far l'uomo giusto, ma anzi lo precipita in molti mali. Vedi Prov. XXVII.5.
1,21:Rigettando ogni immondezza... abbracciate ec. Insegna con quali disposizioni ricever si debba la parola di verità, affinchè fruttifichi in noi per l'eterna salute. Si purghi l'animo da tutto quello, che l'oscura, e l'imbratta, si rigettin le impure passioni, e la malvagità dell'uomo vecchio, la quale sì facilmente nelle nostre azioni si sparge, e le infetta; si soggetti con sincera docilità lo spirito a Dio. Così abbraccerete la parola di salute innestata per grazia, e favore di Dio ne' vostri cuori dai ministri evangelici, e questa parola sarà alle anime vostre principio di ogni bene.
1,22:Siate perciò facitori della parola, ec. Vedi Rom. II. 13, Gal. V. 6, Matt. VII. 21. 24. 26. Credere, e ubbidire al Vangelo sono i due poli, su' quali s'aggira tutta la dottrina Cristiana. S. Giacomo dice, che il voler separare queste due cose, e il credere, che l'una basti senza dell'altra, è un voler ingannare se stesso. E questo appunto è quello, che hanno fatto gli eretici degli ultimi tempi, i quali a imitazione de' sofisti sono andati cercando nella scrittura delle apparenti ragioni per escludere la necessità delle opere, contraddicendo empiemente e a s. Giacomo, ed a tutta la scrittura, e allo stesso Paolo, la dottrina di cui si danno ad intendere di seguitare.
1,23-24:Se uno è uditore, e non facitore della parola, ei si rassomiglierà ec. Colui, che si lusinga di fare abbastanza coll'udire la parola di verità, è appunto come un uomo, il quale va a mirarsi in uno specchio, e gittatovi lo sguardo, sen va altrove, nè vi pensa più, nè più si dà alcuna pena per ammendare i difetti, e le difformità, le quali per mezzo dello specchio ha potuto ravvisar nel suo volto. La legge di Dio (dice s. Agostino) come purissimo, e semplicissimo specchio ti rappresenta a te stesso, quale tu sei. Che ti gioverà l'esserti veduto di passaggio in questo specchio, ed avere per conseguenza ancor tuo malgrado conosciute le tue imperfezioni, e quanto tu sei lontano dalla perfezione, e santità della legge divina, se non poni la mano all'opera, e non ti correggi, anzi ti dimentichi di quel, che sei, e del bisogno, che hai di riformar la tua vita?
1,25:Ma chi mirerà addentro ec. All'ozioso contemplator della legge contrappone colui, il quale suo primario studio fa l'osservanza, e la pratica della medesima legge; medita la legge non per saperla solamente, o per insegnarla altrui, ma per applicarla a se stesso, ed averla costantemente dinanzi agli occhi cone regola in mutabile de' propri costumi. La legge evangelica è quì chiamata, primo, legge perfetta in comparazione alla legge di Mosè, la quale nulla condusse alla perfezione: laddove la legge, di Cristo porta seco una migliore speranza, per cui a Dio ci avviciniamo, Hebr. VII.19, secondo, è chiamata legge di libertà, perohè è legge di amore; onde uomini liberi genera, e figliuoli, e non servi. Vedi Gal IV. 29.24. ec.
1,26-27:Se uno si crede di essere religioso, senza raffrenare la propria lingua, ec. Posto che non basta l'udir la legge, ma convien praticarla, ne deduce due conseguenze opportune al bisogno di coloro, a' quali scriveva, e sono in primo luogo, che seduce il proprio cuore, e inganna se stesso colui, che tenendosi per uomo zelante dell'onore della religione, lascia nel tempo stesso senza freno la propria lingua; onde sotto ombra di zelo si fa lecite le maldicenze, le detrazioni, le ostinate contese, la in portuna loquacità, il disprezzo de' prossimi. Di costoro dice, che è vana la religione, inutile il culto, che si pensan di rendere a Dio cui offendono malamente con la sfrenata licenza della lor lingua. Che questo disordine avesse luogo tra gli Ebrei, si conosce dal vedere, come s. Giacomo ritorna in altri luoghi di questa lettera a toccar questo tasto. E Dio volesse, che in esso non incappassero ogni di molti, i quali nel biasimare, e mordere, e condannare altrui fanno consistere lo zelo,e l'amor della religione. In secondo luogo dimostra, per quali opere si manifesti la sincera religione, quella, che da un cuore puro, ed immacolato prooede, ed è tale negli oochi di Dio Padre nostro; ella si manifesta primo pelle opere di carità, delle quali porta per esempio l'assistenza prestata ai pupilli, ed alle vedove nelle loro angustie, e tribolezioni, e sotto quest'esempio tutte le altre opere di misericordia o spirituale, o corporale s'intendono comprese; in secondo luogo questa religione si manifesta nella sollecita cura, con la quale l'uomo religioso si guarda da' mali esempi, e dalle cupidità, e dalla contagione del secolo. Tutta la religione, tutto il culto di Dio consiste nell'amo re di Dio; e questo amore di Dio per nissun altro indizio può meglio conoscersi, se sia in noi, che per l'amore verso de' prossimi, e per l'avversione dalle massime, e dalla corruzione del secolo. Vedi 2. Pet. 1. 4. 11. 20., e s. Agostino tract. 40. in Joan.