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Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

Seconda lettera ai Corinzi 12


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Racconta le visioni divine avute quattordici anni prima. Dello stimolo della carne. Si duole, che lo abbiano costretto a lodarsi, mentre da essi piuttosto doveva esser egli lodato pel bene, che aveva lor fatto, essendo ancor pronto ad immolarsi per loro. Teme, che andando da essi non abbia a trovarvi qualcheduno involto in discordie, e in altri vizi.

1Se fa d'uopo gloriarsi (veramente ciò non è utile) verrò pure alle visioni, e rivelazioni del Signore.2Conosco un uomo in Cristo, il quale quattordici anni fa (non so, se col corpo, non so, se fuori del corpo, Dio lo sa) fu rapito quest'uomo fino al terzo cielo.3E so, che quest' uomo (se nel corpo, o fuori del corpo, io nol so, sullo Dio)4Fu rapito in Paradiso: ed udì arcane parole, che non è lecito ad uomo di proferire.5Riguardo a quell'uomo potrei io gloriarmi: ma riguardo a me di nulla mi glorierò, se non delle mie infermità.6Imperocché se vorrò gloriarmi, non sarò mentecatto: atteso che dirò la verità: ma mi ritengo, affinchè nissuno faccia concetto di me di là da quello, che in me vede, o di là da quello, che ode da me.7E affinché la grandezza delle rivelazioni non mi levi in altura, mi è stato dato lo stimolo della mia carne, un angelo di satana, che mi schiaffeggi.8Sopra di che tre volte pregai il Signore, che da me fosse tolto:9E dissemi: basta a te la mia grazia: imperocché la potenza mia arriva al suo fine per mezzo della debolezza. Volentieri adunque mi glorierò nelle mie infermità, affinchè abiti in me la potenza di Cristo.10Per questo mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angustie per Cristo: imperocché quando sono debole, allora sono potente.11Son diventato stolto, voi mi avete sforzato. Imperocché da voi doveva io essere commendato: dappoiché in nissuna cosa sono stato inferiore a quegli, che sono più eminentemente Apostoli: quantunque io non son nulla:12Ma i segni del mio apostolato sono stati compiuti tra di voi in ogni pazienza, ne' miracoli, e prodigj, e virtudi.13Imperocché che avete avuto voi di meno delle altre Chiese, eccetto che io non vi sono stato d'aggravio? Perdonatemi quest' ingiuria.14Ecco, che questa terza volta sono disposto a venir da voi: e non vi sarò di aggravio. Imperocché non cerco le cose vostre, ma voi. Attesoché non debbono i figliuoli far roba pe' genitori, ma i genitori pe' figliuoli.15Io però volentierissimo spenderò il mio, e spenderò di più me stesso per le anime vostre: quantunque amandovi più io sia amato di meno.16Ma sia così: io non vi ho dato in comodo: ma da furbo, qual sono, vi ho presi con inganno.17Forse per mezzo di alcun di quegli, che mandai da voi, vi ho gabbati?18Pregai Tito, e mandai con lui un fratello. Vi ha forse gabbati Tito? Non abbiam noi camminato collo stesso spirito? Non sulle stesse pedate?19Credete voi già, che facciamo le nostre difese presso di voi? Dinanzi a Dio, in Cristo parliamo: e tutto, o carissimi, per vostra edificazione.20Conciossiachè temo, quando sarò venuto, di trovarvi non quali io vorrei; e che voi troviate me quale non mi volete: che per disgrazia non siano tra voi dispute, invidie, contrasti, dissensioni, detrazioni, susurri, superbie, sedizioni:21Onde venuto di nuovo che io sia, mi umilj il mio Dio dinanzi a voi, ed io abbia da piangere molti di que', che già hanno peccato, e non hanno fatta penitenza della impurità, e fornicazione, e impudicizia, che hanno commesso.

Note:

12,1:Se fa d'uopo gloriarsi (veramente ciò non è utile) verrò ec. Si osservi, quante volte, e in quante maniere l'Apostolo dimostri la ripugnanza somma, con la quale si induce a raccontare una parte delle cose, con le quali aveva Dio confermato il suo ministero.

12,2:Conosco un uomo in Cristo, il quale quattordici anni fa ec. Qui ancora dà una riprova della sua umiltà, mentre non si nomina, ma parla in terza persona: io conosco un uomo, che è in Cristo, vale a dire innestato a Cristo mediante la fede. Quattordici anni fa: L'Apostolo, che per tanti anni avea tenuto nascosto questo insigne favore fattogli da Dio, non senza gravissima causa viene ora a manifestarlo. Secondo il computo di alcuni sarà ciò avvenuto l'anno ottavo dopo la conversione di Paolo. Non so, secol corpo, non so, se fuori del corpo, Dio lo sa: Dio solo sa, se allora l'anima di quest'uomo fu realmente separata dal corpo, o se fu solamente alienata da' sensi, e sollevata sopra tutto il sensibile, ovvero se in corpo, e in anima fu rapito. Al terzo cielo: s. Agostino, s. Tommaso, e molti altri credono il terzo cielo essere quello stesso, che nel Vers. 4. l'Apostolo dinomina paradiso, e che con ambedue questi nomi intenda egli la stessa cosa, vale a dire la magione de' beati. Gli Ebrei (secondo l'osservazione del Grozio) distinguono tre cieli; primo il cielo aereo, dove si forman le nuvole, detto perciò da loro cielo nubifero; secondo, il cielo, dove sono le stelle, che chiamano astrifero; terzo finalmente il cielo degli angeli, dove Dio stesso ha sua abitazione; secondo questa distinzione il primo chiamasi cielo semplicemente; il secondo firmamento; il terzo cielo de' cieli. Colassù adunque fu portato l'Apostolo, in qualunque modo ciò avvenisse.

12,4:E udì arcane parole, che non è lecito ad uomo di proferire. La maggior parte dei Padri sono di sentimento, che effettivamente le cose rivelate all'Apostolo fossero ineffabili, e delle quali non è possibile, che un uomo ne dia ad un altro l'idea. E s. Agostino crede, che fosse di svelata a Paolo l'essenza di Dio, onde di lui dice in psal. 134. egli, che ascoltò parole ineffabili disse quello, che poteva dirsi da un uomo, e tenne dentro di sè quello che dir non potevasi agli uomini.

12,5:Riguardo a quest' uomo potre'io gloriarmi: ma riguardo a me ec. Finge tuttora, che di altro uomo egli parli diverso da quello, di cui parla in appresso, perchè sono diverse le loro qualità. Riguardo a quest'uomo, dice egli, fatto degno di sì sublimi rivelazioni, potre'io farmi gloria; ma riguardo a me non mi vanterò se non di quello, che ho patito, delle sole mie infermità mi farò gloria; vale a dire delle afflizioni, e delle tribolazioni o interne, o esterne. Queste chiama l'Apostolo infermità, ovver debolezze, o perchè quando da queste siamo assaliti, sentiamo allora particolarmente l'infermità, e fiacchezza della nostra natura, od anche perchè in tale stato apparisce agli occhi altrui la nostra debolezza nelle nostre querele e nel contrasto della natura.

12,6:Se vorrò gloriarmi, non sarò mentecatto; ec. Se volessi farmi onore di quelle cose, le quali sono stimate gloriose dagli uomini, come le rivelazioni, i miracoli ec. non potrei essere accusato di stoltezza, o di imprudenza; imperocchè il mio racconto sarebbe appoggiato alla verità.
Ma io mi ritengo, affinchè nissuno faccia concetto di me di là da quello, ec. Ma sopra tali cose io mi taccio, perchè non voglio, che altri creda, che io mi sia qual che cosa di più di quello, che dimostrano le mie azioni. e le mie parole. Più di una volta fu creduto Paolo più che semplice uomo. Vedi Atti XIV. 12. 13. XXVIII. 6.

12,7:Mi è stato dato lo stimolo della mia carne, un angelo di satana, ec. Per reprimere i sentimenti di compiacenza, e di vanità, che potevano alzarsi nel cuore di Paolo alla considerazione de' grandi doni, e privilegi, ond'era egli stato favorito, volle Dio, che egli avesse, e provasse questo stimolo della carne, e questo angiolo di satana, che lo schiaffeggiasse, vale a dire lo trattasse con ignominia. Che voglia dire l'Apostolo per questo stimolo, e per quest'angelo, non è assolutamente certo; ma la più comune, e probabile opinione si è, che debba ciò intendersi de' movimenti della concupi scenza carnale, de' quali egli si duole più volte in altri luoghi (Vedi Rom. VII, 23.) ed i quali grandemente affliggevano, ed umiliavano un uomo vivente già interamente non secondo la legge della carne, ma secondo la legge dello spirito, onde esclamava: Infelice me, chi mi libererà da questo corpo di morte. Questo interno doloroso combattimento, da cui mediante la grazia divina usciva egli sempre vittorioso, custodiva in lui l'umiltà, e a questo fine era stato permesso da Dio al maligno spirito di assalire un tal uomo con tal sorta di tentazioni. Le anime buone trovano (come osserva s. Agostino) in questo esempio del grande Apostolo un argomento di consolazione, onde abbandonate non si credano da Dio per quello, che involontariamente sentono negli inferiori ap petiti, purchè a questi instancabilmente resistano; e sono insieme istruite a conoscere, quanto grande sia il male della superbia, la quale di si amaro, e ingrato rimedio ha bisogno.

12,8-9:Tre volte pregai il Signore, che da me fosse tolto: e dissemi, basta a te la mia grazia. Il numero finito è qui posto per il numero indefinito. Sovente la mia orazione rivolsi al Signore, perchè un sì temuto nemico allontanasse da me. Ma egli non volle farlo, e mi disse, che mi bastava la protezione della sua grazia, perchè non restassi vinto dalla concupiscenza.
Imperocchè la potenza mia arriva al suo fine per mezzo della debolezza. Dove la Volgata dice: la virtù, il greco legge: la mia potenza; ma nella Volgata la stessa voce greca si traduce ora potestà, ora virtù. Onde non v' ha qui altra differenza tra l'uno, e l'altro testo, se non che nella Volgata manca la voce mia. Il senso è adunque questo: la potenza mia, dice Dio, si manifesta più chiaramente, e al suo fine perviene ne' trava gli e nelle tentazioni, nelle quali mirabilmente trionfa l'efficacia della grazia divina, da cui son sostenuti, e confortati i giusti, i quali nelle stesse tentazioni, qual oro nel fuoco affinano, e per la pazienza arrivano al fine loro, alla corona della gloria.
Volentieri adunque mi glorierò nelle mie infermità, affinchè ec. Non solo adunque non sarò contristato per le afflizioni, e tentazioni, colle quali il Signore mi esercita, ma piuttosto me ne glorierò, affinchè ahiti in me la potenza di Cristo, quella potenza, per cui divengo potente a superare le infermità della carne, e tutte le tribolazioni della vita presente.

12,10:Per questo mi compiaccio nelle mie infermità. Al riflesso del bene grande, che in me deriva da questi, mentre per essi spicca in me la forza dell'aiuto divino, che mi conforta, a questo riflesso, dico, io mi godo nei patimenti di ogni sorte, che soffro per Cristo; dappoichè allora quando più aggravato mi trovo, e quasi abbattuto quanto alle forze della natura, allora maggiori sono in me le forze somministratemi dalla grazia, e maggiori sono gli effetti, che Dio opera pel mio ministero.

12,11:Son diventato stolto, voi mi avete sforzato. Imperocchè da voi doveva io ec. Sono stato imprudente e stolto gloriandomi, ma voi dovete compatirmi, perchè mi avete costretto a farlo con aver voi dimostrata tanta stima ai miei emoli, e con aver prestate le orecchie alle calunnie, che spargono contro di me, quando avreste dovuto voi stessi difendermi, e rendere a mio favore testimonianza voi, che sapete meglio degli altri, come in niuna cosa sono stato da meno de' primi, e maggiori Apostoli, sebbene io sono un nulla per me medesimo, e tutto quello che io sono, e tutto quello che fo, alla grazia di Dio dee riferirsi, la quale in me opera, e per me.
Dice Paolo, che egli non è inferiore (sia nella dignita dell'Apostolato, sia ne' doni spirituali, che la accompagnano) a nissuno de' primari Apostoli, come Pietro, Giacomo ec. i quali avevano veduto, e ascoltato Gesù Cristo nella sua carne, perchè i falsi dottori, che si vanta vano di aver avuto quegli Apostoli per maestri, dicevan che Paolo non era da paragonarsi con quelli.

12,12:Ma i segni del mio Apostolato sono stati compiuti tra di voi. A voi, dissi, toccava di fare le mie difese, a voi, che avete veduto i segnali in me dell'Apostolato consistenti nella singolare pazienza (con la quale ho sofferto per amor vostro le fatiche, i disastri, le ingiurie), ne' miracoli, e ne' prodigi, e in tutte le operazioni della potenza divina. Pone l'Apostolo la assoluta pazienza avanti a tutti gli altri segni dell'Apostolato, ed ella è veramente il primo carattere del vero Apostolo.

12,13:Che avete avuto voi di meno delle altre Chiese, eccetto che ec. Sono forse stati minori i doni e le grazie celesti comunicate a voi pel mio ministero dei doni, e delle grazie comunicate alle Chiese fondate dagli altri Apostoli? La sola cosa, in cui siete voi stati differenziati dagli altri Cristiani, si è, che io non ho voluto esservi di aggravio, non ho voluto ricevere da voi il mio sostentamento, non ho voluto prender da voi onde esentarmi dal lavoro delle mie mani. Se in questo sono stato ingiusto verso di voi, perdonatemi. È chiaro, che l'Apostolo per una graziosa ironia pone in questione, se in rinunziando al diritto di ricevere da' Corinti il suo sostentamento abbia lor fatta un'ingiuria.

12,14:Ecco, che questa terza volta son disposto a venir da voi. Notisi, che non dice, che egli è disposto a fare il terzo viaggio, ma che per la terza volta è in pronto per fare il viaggio di Corinto. Dico ciò, perchè da questo luogo non si inferisca, che s. Paolo due volte già fosse stato a Corinto, quando da s. Luca non apparisce, che egli vi fosse andato se non una volta(Atti, XVIII. I.). Ma tre volte si dispose egli a andarvi senza venire all'effetto; la prima Atti XIX. 21, I. Cor. XVI. 5.; la seconda 2. Cor. I. 15., e la terza adesso. Alcuni però credono di trovare un secondo viaggio nella prima a' Corinti, XVI. 7.; vedi anche cap, XIII. 2.
Non debbono i figliuoli far roba pe' genitori, ec. Non cerco le vostre ricchezze, ma la vostra salute, e da vero, e buon padre imito i genitori carnali, i quali sogliono dare a' figliuoli, e non da essi ricevere. Non nega Paolo che debbano i figliuoli alimentare al bisogno i genitori, nè che debbano i fedeli dare il sostentamento a' loro pastori, ma giustifica con quella similitudine la sua condotta.

12,15:Quantunque amandovi più, io sia amato di meno. Benchè amandovi più di quel, che vi amano i vostri falsi maestri, meno voi mi rendiate di amore che a quelli.

12,16:Ma sia cosi: io non vi ho dato incomodo: ma da furbo, qual sono, ec. Ma sia vero quello, che taluni van forse dicendo: io non ho preso del vostro, ma furbesca mente mi sono servito delle mani altrui per cavare da voi con inganno quello, che da me stesso non volli prendere.

12,17:Vi ho gabbati? Vi ho messi a sacco, ho preso il vostro?

12,19:Credete voi già, che facciamo le nostre difese presso di voi? ec. Credete voi, che tutto questo noi lo diciamo per fare la nostra apologia, o il nostro elogio dinanzi a voi? Nel cospetto di Dio parliamo, secondo Cristo, che è la stessa verità, tutto e diciamo, e facciamo non per nostra gloria, o per nostra difesa; ma sì per vostra edi ficazione, in tutto miriamo non a noi medesimi, ma a voi.

12,20:Temo, quando sarò venuto, di trovarvi ec. Per questo e parlo, e scrivo, ed esorto, e riprendo, perchè non vorrei alla mia venuta trovarvi involti ne' primieri disordini, onde io sia costretto a mostrarmi rigoroso, e severo non meno contro mia voglia, che con vostro di spiacere.

12,21:Onde..... mi umilii il mio Dio dinanzi a voi, ed io abbia da piangere ec. Mi umilierebbe grandemente il mio Dio nel vostro cospetto, se io venendo, in luogo di trovarvi avanzati nella fede e nella carità, vedessi tra voi i passati disordini, e mi vedessi costretto con mio gran dolore a punire quei molti, i quali avanti la mia prima lettera hanno peccato, e non hanno fatto penitenza, nè banno data satisfazione alla Chiesa. Appartiene al carattere di vero pastore, e umiliarsi ed affliggersi per le col pe delle sue pecorelle, e il non potere senza lagrime, e senza dolore porre la mano a' gastighi, e particolarmente a separare i rei dalla comunion della Chiesa.