Scrutatio

Giovedi, 18 aprile 2024 - San Galdino ( Letture di oggi)

CXLIV - De la providenzia che Dio usa verso di coloro che sono ancora nell’amore inperfecto.

Santa Caterina da Siena

CXLIV - De la providenzia che Dio usa verso di coloro che sono ancora nell’amore inperfecto.
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— Sai tu, carissima figliuola, che modo lo tengo per levare l’anima inperfecta dalla sua inperfeczione? Che alcuna volta Io la proveggo con molestie di molte e diverse cogitazioni, e con la mente sterile. Parrà che sia tutto abandonata da me, senza veruno sentimento: né nel mondo gli pare essere, ché non v’è; né in me gli pare essere, ché non ha sentimento veruno, fuore che sente che la volontà sua non vuole offendere.

Questa porta della volontà, che è libera, non do Io licenzia a’ nemici che l’aprano. Ma do bene licenzia alle dimonia e agli altri nemici de l’uomo che percuotano l’altre porte; ma questa, che è la principale, no, ché conserva la città de l’anima. È vero che ha la guardia del libero arbitrio, che sta a questa porta: hogliele dato libero, che dica si e no, secondo che gli piace. Molte sonno le porte che ha questa città. Le principali sonno tre (ché l’una è quella che sempre si tiene, se ella vuole, ed è guardia de l’altre): ciò sonno la memoria, lo ‘ntellecto e la volontà. Unde, se la volontà consente, v’entra il nemico de l’amore proprio e tutti gli altri nemici che seguitano doppo lui. Subbito lo ‘ntellecto riceve la tenebre, che è nemica della luce; e la memoria riceve el odio per ricordamento della ingiuria (ci quale odio è nemico della dileczione della caritá del proximo suo); ritiene e’ diletti e piaceri del mondo in diversi modi, come sonno diversi e’ peccati e’ quali sonno contrari alle virtú.

Subito che sonno aperte le porte, s’aprono li sportegli de’ sentimenti del corpo, e’ quali sonno tutti strumenti che rispondono a l’anima. Unde tu vedi che l’affetto disordenato de l’uomo, che ha uperte le porte sue, risponde con questi organi; unde tutti e’ suoni sonno guasti e contaminati, cioè le sue operazioni. L’occhio non porge altro che morte, perché è posto a vedere cosa morta con disordenato guardare colà dove non debba; con vanità di cuore, con leggerezza, con modi e guardature disoneste è cagione di dare morte a sé e ad altrui. Oh misero te! quel ch’ Io t’ho dato perché tu raguardi ci cielo e tutte l’altre cose e la bellezza della creatura per me e perché tu raguardi e’ misteri miei; e tu raguardi in loto e in miseria, e cosa n’acquisti la morte.

Cosí l’orecchia si diletta in cose disoneste, o in udire e’ fatti del proximo suo per giudicio; dove lo gli li dici perché udisse la parola mia e la necessità del proximo suo. La lingua ho data perché annunzi la parola mia e confessi e’ difetti suoi, e perché l’aduopari in salute de l’anime; ed egli l’aduopera in bastemmiare me, che so’ suo Creatore, e in ruina del proximo, nutricandosi delle carni sue, mormorando e giudicando l’operazioni buone in male e le gattive in bene; bastemiando, dando falsa testimonanza; con parole lascive pericola sé e altrui; gitta parole d’ingiuria, che trapassano ne’ cuori de’ proximi come coltella, le quali parole li provocano ad ira. Oh, quanti sonno e’ mali e omicidii, quanta disonestà, quanta ira, odio e perdimento di tempo che escono per questo menbro !

Se egli è l’odorato, né piú né meno offende ne l’essere suo con disordenato piacere nel suo odorare. E, se egli è il gusto, con golosità insaziabile, con disordenato appetito volendo le molte e varie vivande, non mira se non d’empire il ventre suo, non raguardando la misera anima, che aperse la porta, che per lo disordenato prendere de’ cibi viene a riscaldamento la fragile carne sua, con disordenato desiderio di corrómpare se medesimo. Le mani, in tòllere le cose del proximo suo, e con laidi e miserabili toccamenti, le quali sonno fatte per servire il proximo quando il vede nella infermità, sovenendo con la elemosina nella necessità sua. E’ piei, gli sono dati perché servino e portino il corpo in luogo sancto e utile a sé e al proximo suo per gloria e loda del nome mio; ed egli spende e porta el corpo in luoghi vitoperosi in molti e diversi modi, novellando e spiacevoleggiando, corrompendo con le loro miserie l’altre creature in molti modi, secondo che piace alla disordenata volontà.

Tutto questo t’ho detto, carissima figliuola, per darti materia di pianto di vedere gionta a tanta miseria la nobile città de l’anima, e perché tu vegga quanto male esce della principale porta della volontà. Alla quale Io non do licenzia che i nimici de l’anima entrino, come detto è; ma, come lo ti dicevo, do bene licenzia ne l’altre che i nimici le percuotano. Unde lo ‘ntellecto sostengo che sia percosso da una tenebre di mente; e la memoria pare molte volte che sia privata del riscadamento di me. E alcuna volta tutti gli altri sentimenti del corpo parrà che siano in diverse bactaglie. Nel guardare, le cose sancte e toccandole e udendole e odorandole e andandovi, ogni cosa parrà che gli dia mutazione, disonestà e corrompimento. Ma tutto questo non è a morte, però che Io non voglio la morte sua (guarda che egli non fusse si stolto che egli aprisse la porta della volontà): Io permetto che eglino stiano di fuore, ma non che entrino dentro. Dentro non possono intrare se non quando la propria volontà vuole.

E perché tengo Io in tanta pena e affîiczione questa anima atorniata da tanti nemici? Non perché ella sia presa e perda la ricchezza della grazia; ma follo per mostrarle la mia providenzia, acciò che ella si fidi di me e non in sé, levisi dalla negligenzia e con sollicitudine rifugga a me, che so’ suo difenditore, so’ Padre benigno, che procuro la salute sua; acciò che ella stia umile e vegga sé non essere, ma l’essere e ogni grazia che è posta sopra l’essere ricognosca da me, che so’ sua vita. Come ella cognosce questa vita e providenzie mie in queste bactaglie? Ricevendo la grande liberazione, ché non la lasso perInanere continuamente in questo tempo; ma vanno e vengono, secondo ch’ Io veggo che le bisognino. Talora gli parrà essere ne lo ‘nferno, che, senza veruno suo exercizio che allora faccia, ne sarà privata e gustarà vita etterna. L’anima rimane serena: ciò che vede le pare che gridi Dio, tutta infiammata d’amoroso fuoco per la considerazione che fa allora l’anima nella mia providenzia, perché si vede essere uscita di si grande pelago non con suo exercizio, ché il lume venne inproviso, non exercitandosi, ma solo per la mia inextimabile carità, che volsi provedere alla sua necessità nel tempo del bisogno, che quasi non poteva più.

Perché ne l’exercizio, quando s’exercitava a l’orazione e a l’altre cose che bisognano, non le risposi col lume, tollendole la tenebre? Perché, essendo ancora inperfecta, non reputasse in suo exercizio quello che non era suo. Si che vedi che lo inperfecto nelle bactaglie, exercitandosi, viene a perfeczione, perché in esse bactaglie pruova la divina mia providenzia, unde egli s’è levato da l’amore inperfecto.

Anco uso uno sancto inganno, solo per levarli dalla inperfeczione: ch’ Io lo’ farò concipere amore ad alcuna creatura spiritualmente e in particulare, oltre a l’amore generale. Unde con questo mezzo s’exercita alla virtù, leva la sua inperfeczione, fallo spogliare il cuore d’ogni altra creatura che egli amasse sensualmente, di padre, madre, suoro, frategli : ne trae ogni propria passione, e amali per me, Dio. E, con questo amore ordinato del mezzo ch’Io gli ho posto, caccia il disordinato, col quale in prima amava le creature. Adunque vedi che tolle questa inperfeczione. Ma attende che un’altra cosa fa questo amore di questo mezzo: che egli fa provare se perfettamente egli ama me e il mezzo che lo gli ho dato, o no. E però gli li diei Io, perché egli el provasse, acciò che avesse materia di cognoscerlo; ché, non cognoscendolo, né a se medesimo dispiacerebbe, né piacerebbe quello che avesse in sé che fusse mio. Per questo modo el cognosce: e giá t’ho detto che ella è ancora inper. fetta. E non è dubbio che, essendo inperfecto l’amore che ha a me, è inperfecto quello che ha alla creatura che ha in sé ragione, però che la caritá perfetta del proximo dipende dalla perfetta caritá mia. Si che con quella misura perfetta e inperfecta che ama me, con quella ama la creatura. Come el cognosce per questo mezzo? In molte cose. Anco, quasi, se voi aprite l’occhio de l’ intelletto, non passarà tempo che egli nol vegga e pruovi. Ma, perché in un altro luogo Io tel manifestai, poco te ne narrarò.

Quando della creatura cui egli ama di singulare amore, come detto è, egli si vede diminuire il diletto, la consolazione o conversazioni usate, dove trovava grandissima consolazione, o di molte altre cose, o che vedesse che ella avesse piú conversazioni con altrui che con lui, sente pena; la quale pena el fa intrare a cognoscimento di sé. Se vuole andare con lume e con prudenzia, come debba, con piú perfetto amore amerà quel mezzo, perché, col cognoscimento di se medesimo e odio che amerà conceputo al proprio sentimento, si tolle la inperfeczione e viene ad perfeczione. Essendo poi perfetto, séguita piú perfetto e maggiore amore nella creatura generale, e nel particulare mezzo posto dalla mia bontá, che ho proveduto a farla spronare con odio di sé e amore delle virtú in questa vita della perregrinazione, pure che ella non sia ignorante a recarsi, nel tempo delle pene, a confusione e tedio di mente, a tristizia di cuore e senza exercizio. Questa sarebbe cosa pericolosa: verrebbeli a ruina e a morte quello che Io gli ho dato per vita. Non die fare cosí; ma con buona sollicitudine e con umilità reputandosi indegno di quel che desidera (cioè non avendo la consolazione la quale egli voleva), e con lume vegga che la virtú, per la quale principalmente la debba amare, non è diminuita in lui con fame e desiderio di volere portare ogni pena, da qualunque lato ella venga, per gloria e loda del nome mio. Per questo modo adempirà la volontà mia in sé, ricevendo il frutto della perfeczione, per la quale Io ho permesso le battaglie, el mezzo e ogni altra cosa perché ella venga a lume di perfeczione.

In questo modo negl’imperfetti uso la providenzia mia, e in tanti altri modi che lingua non sarebbe sufficiente a narrarli.