Scrutatio

Mercoledi, 29 maggio 2024 - Sant'Alessandro ( Letture di oggi)

Ecclesiastes 2


font
VULGATABIBBIA VOLGARE
1 Dixi ego in corde meo : Vadam,
et affluam deliciis, et fruar bonis ;
et vidi quod hoc quoque esset vanitas.
1 Io dissi nell' animo mio: anderoe, e abonderoe di diletti, e darommi morbidezze. E poi m'avvidi che ciò era vanitade.
2 Risum reputavi errorem,
et gaudio dixi : Quid frustra deciperis ?
2 Lo ridere reputai pazzia, e dissi: allegrezza, o per che ti lasci ingannare indarno (sanza frutto)?
3 Cogitavi in corde meo abstrahere a vino carnem meam,
ut animam meam transferrem ad sapientiam,
devitaremque stultitiam,
donec viderem quid esset utile filiis hominum,
quo facto opus est sub sole numero dierum vitæ suæ.
3 Pensai nel mio cuore guardarmi dal vino per la bocca mia, acciò che io potessi recare l'animo mio alla sapienza, e fuggire la pazzia, infino a tanto che io m'avvedessi quello che fusse utile agli uomini, e che fusse mestiere sotto il sole allo numero de' giorni della vita sua.
4 Magnificavi opera mea,
ædificavi mihi domos,
et plantavi vineas ;
4 Io hoe aggrandito tutti li fatti miei; e feci murare palagi (e case assai), e piantai vigne.
5 feci hortos et pomaria,
et consevi ea cuncti generis arboribus ;
5 E feci orti e giardini, e circundaili di tutta la generazione degli arbori.
6 et exstruxi mihi piscinas aquarum,
ut irrigarem silvam lignorum germinantium.
6 E fecivi assai radunamenti d' acque, per adacquare (al tempo del bisogno) quelle selve degli arbori.
7 Possedi servos et ancillas,
multamque familiam habui :
armenta quoque, et magnos ovium greges,
ultra omnes qui fuerunt ante me in Jerusalem ;
7 Ed ebbi sotto me (fedeli) servi e ancille, e di molta famiglia, e greggi e mandre di pecore, più che nessuno che passasse dinanzi da me in Ierusalem.
8 coacervavi mihi argentum et aurum,
et substantias regum ac provinciarum ;
feci mihi cantores et cantatrices,
et delicias filiorum hominum,
scyphos, et urceos in ministerio ad vina fundenda ;
8 E composi oro e argento, e tutte cose di re e di provincie; fei radunare cantatori e cantatrici, ed ebbi ogni diletto e morbidezze delli uomini, e feci vaselli assai per dare bere.
9 et supergressus sum opibus
omnes qui ante me fuerunt in Jerusalem :
sapientia quoque perseveravit mecum.
9 Avanzai di ricchezze tutti quelli furo dinanzi da me in Ierusalem; la sapienza non si separò da me.
10 Et omnia quæ desideraverunt oculi mei
non negavi eis,
nec prohibui cor meum quin omni voluptate frueretur,
et oblectaret se in his quæ præparaveram ;
et hanc ratus sum partem meam si uterer labore meo.
10 E ciò che gli occhi miei volsono vedere, non gli negai; e non ritenni il mio cuore, e lascia?lo sanza freno usare ogni diletto, acciò che godesse le cose che gli erano apparecchiate; e questo pensai che dovesse essere la mia parte, d' usare la mia fatica.
11 Cumque me convertissem ad universa opera quæ fecerant manus meæ,
et ad labores in quibus frustra sudaveram,
vidi in omnibus vanitatem et afflictionem animi,
et nihil permanere sub sole.
11 Ma quando mi ripensai e' fatti miei, e le fatiche ove io sudai sanza frutto, avvidimi che tutte queste cose erano vanitadi', e angoscia d'animo, niuna cosa esser stabile sotto il sole.
12 Transivi ad contemplandam sapientiam,
erroresque, et stultitiam.
(Quid est, inquam, homo,
ut sequi possit regem, factorem suum ?)
12 E ancora io mi ritornai alla sapienza, per conoscere lo errore e la stoltizia: Ora di': che è l' uomo, ch' elli possa seguire Iddio, suo fattore e creatore?
13 Et vidi quod tantum præcederet sapientia stultitiam,
quantum differt lux a tenebris.
13 E sentiva che cotale differenza è tra la sapienza e la stoltizia, quale è tra la luce e le tenebre.
14 Sapientis oculi in capite ejus ;
stultus in tenebris ambulat :
et didici quod unus utriusque esset interitus.
14 Onde gli savi uomini hanno sempre gli occhi in capo (e avveggonsi d'ogni cosa); ma gli stolti sempre sono (abbagliati come folli) al buio; e apparai che così muore l'uno, come l' altro.
15 Et dixi in corde meo :
Si unus et stulti et meus occasus erit,
quid mihi prodest quod majorem sapientiæ dedi operam ?
Locutusque cum mente mea,
animadverti quod hoc quoque esset vanitas.
15 E dissi nel cuore mio: s' egli è una medesima morte la mia e quella dello stolto, o per che mi diedi angoscia d'apparare senno? E anche favellai nell' animo mio, e avvidimi che queste erano vanitadi.
16 Non enim erit memoria sapientis similiter ut stulti in perpetuum,
et futura tempora oblivione cuncta pariter operient :
moritur doctus similiter ut indoctus.
16 Non sarae ricordo del savio, secondo che non sarà dello stolto già mai; e per li tempi che verranno ogni cosa si dimenticherà; muoresi lo savio e lo sciocco.
17 Et idcirco tæduit me vitæ meæ,
videntem mala universa esse sub sole,
et cuncta vanitatem et afflictionem spiritus.
17 Imperciò m'increscè della vita mia; però ch' io veggio ogni cosa ria essere sotto il sole, e [tutto] essere vanitade e angoscia d' animo.
18 Rursus detestatus sum omnem industriam meam,
qua sub sole studiosissime laboravi,
habiturus hæredem post me,
18 Adunque spregio tutto il mio scaltrimento, e la fatica che io n' ho avuta sotto il sole per radunare; però che averò erede dopo me,
19 quem ignoro utrum sapiens an stultus futurus sit,
et dominabitur in laboribus meis,
quibus desudavi et sollicitus fui :
et est quidquam tam vanum ?
19 il quale io non so se sarà savio o matto, e signoreggerà nelle fatiche mie, nelle quali io sudai e fui sollecito. Or è niuna cosa tanto (rea o) vana?
20 Unde cessavi,
renuntiavitque cor meum ultra laborare sub sole.
20 Onde però mi cessai, e rinunziò il mio cuore di non più affatticarmi sotto il sole (nel mondo).
21 Nam cum alius laboret in sapientia,
et doctrina, et sollicitudine,
homini otioso quæsita dimittit ;
et hoc ergo vanitas et magnum malum.
21 Imperò che l' uomo s' affatica per senno e per scaltrimento, e raduna guadagni, e lasciagli a persona che se gli gode sanza fatica; e questo è follia, e grande danno.
22 Quid enim proderit homini de universo labore suo,
et afflictione spiritus,
qua sub sole cruciatus est ?
22 Ora che pro' è all' uomo di tutta la sua fatica e angoscia di spirito, della quale è trangosciato sotto il sole?
23 Cuncti dies ejus doloribus et ærumnis pleni sunt,
nec per noctem mente requiescit.
Et hoc nonne vanitas est ?
23 Tutti li dì suoi furono pieni di tribolazioni e di fatica, e anche di notte la mente non si riposò; e questa non è (tutta grande) vanitade?
24 Nonne melius est comedere et bibere,
et ostendere animæ suæ bona de laboribus suis ?
et hoc de manu Dei est.
24 Ora non è meglio e mangiare e bere, e mostrare all' anima sua riposo e consolazione delle sue fatiche? E se questo puote fare, sì è grande dono di Dio.
25 Quis ita devorabit et deliciis affluet ut ego ?
25 Or chi ebbe tante consolazioni, e abonderà di ricchezze come abondo io?
26 Homini bono in conspectu suo
dedit Deus sapientiam, et scientiam, et lætitiam ;
peccatori autem dedit afflictionem et curam superfluam,
ut addat, et congreget,
et tradat ei qui placuit Deo ;
sed et hoc vanitas est, et cassa sollicitudo mentis.
26 Il buono uomo riceve da Dio senno e scaltrimento e letizia dentro nel suo cuore; al peccatore lascia Iddio fatica superflua e le angosce in guadagnare e radunare, e poi (sì campi, e poi) rimanghi a colui a cui piacque a Dio: e ancora è questa vanitade e istruggimento d'animo (dalla parte di colui che raduna).