Scrutatio

Martedi, 23 aprile 2024 - San Giorgio ( Letture di oggi)

CXLIX - De la providenzia che Dio usa verso de’ poveri servi suoi, sovenendoli ne le cose temporali.

Santa Caterina da Siena

CXLIX - De la providenzia che Dio usa verso de’ poveri servi suoi, sovenendoli ne le cose temporali.
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— Ora ti voglio dire una picciola particella de’ modi ch’ Io tengo a sovenire i servi miei, che sperano in me, nella necessità corporale. E tanto la ricevono perfectamente e inperfectamente, quanto essi sonno perfecti e inperfecti, spogliati di loro e del mondo: ma ogniuno proveggo. Unde i povaregli miei, povari per spirito e di volontà, cioè per spirituale intenzione, non semplicemente dico povari, però che molti sonno povari e non vorrebbero essere: questi sonno ricchi quanto alla volontà e sonno mendichi, perché non sperano in me né portano volontariamente la povertà che Io l’ho data per medicina de l’anima loro, perché la ricchezza farebbe facto male e sarebbe stata loro dannazione; ma e’ servi miei sonno poveri e non mendichi. El mendico spesse volte non ha quello che gli bisogna e pate grande necessità; ma el povaro non abonda, ma ha apieno la sua necessità. Io non gli manco mai mentre ch’egli spera in me: conducoli bene alcuna volta in su la extremità, perché meglio cognoscano e veggano che lo gli posso e voglio provedere, inamorinsi della providenzia mia e abbraccino la sposa della vera povertà. Unde il servo loro dello Spirito sancto, clemenzia mia, vedendo che non abbino quello che lo’ bisogna alla necessità del corpo, accenderà uno desiderio con uno stimolo nel cuore di coloro che possono sovenire, che essi andaranno e soverrannoli de’ loro bisogni. Tucta la vita de’ dolci miei povaregli si governa per questo modo: con sollicitudine che lo do di loro a’ servi del mondo. È vero che, per provarli in pazienzia, in fede e perseveranzia, Io sosterrò che lo’ sia decto rimproverio ingiuria e villania; e nondimeno quel medesimo che lo’ dice e fa ingiuria è costretto dalla mia clemenzia di dar lo’ Pelimosina e sovenire ne’ loro bisogni.

Questa è providenzia generale data a’ miei povarelli. Ma alcuna volta I’usarò ne’ grandi servi miei senza il mezzo della creatura, solo per me medesimo, si come tu sai d’avere provato. E hai udito del glorioso padre tuo Domenico che, nel principio dell’ordine, essendo e’ frati in necessità, intantoché essendo venuta l’ora del mangiare e non avendo che, il dilecto mio servo Domenico, col lume della fede sperando che Io provedesse, dixe: — Figliuoli, ponetevi a mensa. — Obbediendolo e’ frati, alla parola sua si posero a mensa. Allora Io, che proveggo chi spera in me, mandai due angeli con pane bianchissimo, intantoché n’ebbero in grandissima abondanzia per piú volte. Questa fu providenzia non con mezzo d’uomini, ma £acta dalla clemenzia mia dello Spirito sancto.

Alcuna volta proveggo multiplicando una piccola quantità, la quale non era bastevole a loro, si come tu sai di quella dolce vergine sancta Agnesa. La quale, dalla sua puerizia infino a l’ultimo, servi a me con vera umilità, con esperanza ferma, intantoché non pensava di sé né della sua famiglia con dubbitazione. Unde ella con viva fede, per comandamento di Maria, si mosse, poverella e senza alcuna substanzia temporale, a fare il mònasterio. Sai che era luogo di peccatrici. Ella non pensò: — Come potrò io farequesto? — Ma sollicitamente, con la mia providenzia, ne fece luogo sancto, monasterio ordinato a religiose. Ine congregò nel principio circa diciotto fanciulle vergini senza avere cavelle, se non come Io la provedevo: tra l’altre volte, avendo Io sostenuto che tre di erano state senza pane, solo con l’erba. E se tu mi dimandassi : — Perché le tenesti a quel modo, conciosiacosaché di sopra mi dicesti che tu non manchi mai a’ servi tuoi che sperano in te, e che essi hanno la loro necessità? In questo mi pare che lo’ mancasse il loro bisogno, perché pure de l’erba non vive il corpo della creatura, parlando comunemente e in generale di chi non è perfecto: ché, se Agnesa era perfecta ella, non erano l’altre in quella perfeczione; — Io ti risponderei ch’ Io el feci e permissi per farla inebriare della providenzia mia; e quelle, che anco erano inperfecte, per lo miracolo che poi seguitò, avessero materia di fare il principio e fondamento loro nel lume della sanctissima fede. In quella erba o in altro a cui divenisse simile caso, o per verun altro modo, davo e do una disposizione a quel corpo umano, intantoché meglio starà con quella poca dell’erba, o alcuna volta senza cibo, che inanzi non faceva col pane e con l’altre cose che si dànno e sonno ordinate per la vita de l’uomo. E tu sai che egli è cosí, che l’hai provato in te medesima.

Dico che Io proveggo col moltiplicare. Ché, essendo ella stata in questo spazio del tempo, che Io t’ho decto, senza pane, vollendo ella l’occhio della mente sua col lume della fede a me, disse: — Padre e Signore mio, sposo etterno, ed ha’ mi tu facte trare queste figliuole delle case de’ padri loro perché elle periscano di fame? Provede, Signore, alla loro necessità. — Io ero Colui che la facevo adimandare: piacevami di provare la fede sua, e l’umile sua orazione era a me piacevole. Distesi la mia providenzia in quello che con la mente sua stava dinanzi a me, e costrinsi per spirazione una creatura, nella sua mente, che le portasse cinque panuccioli. E, manifestandolo a lei nella sua mente, dixe, vollendosi a le suore: — Andate, figliuole mie, rispondete alla ruota, e tollete quel pane. — Arrecandolo elle, si posero a mensa. Io le diei tanta virtú, nello spezzare el pane che ella fece, che tucte se ne saziarono apieno, e tanto ne levarono di su la mensa, che pienamente un’altra volta n’ebbero abondantemente alla necessità del corpo loro.

Queste sonno delle providenzie che Io uso co’ servi miei a quelli che son povari volontariamente; e non pure volontariamente, ma per spirito. Però che senza spirituale intenzione nulla lo’ varrebbe. Si come divenne a’ filosofi, che, per amore che avevano alla scienzia e volontà d’impararla, spregiavano le ricchezze e facevansi povari volontariamente; cognoscendo, di cognoscimento naturale, che la sollicitudine delle mondane ricchezze gli aveva ad inpedire di non lassarli giognere al termine loro della scienzia, el quale ponevano, per uno loro fine, dinanzi all’occhio de l’intelletto loro. Ma, perché questa volontà de la povertà non era spirituale, fatta per gloria e loda del nome mio, però non avevano vita di grazia né perfeczione, ma morte etternale.