Scrutatio

Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Capitolo LVIII: Non dobbiamo cercar di conoscere le superiori cose del cielo e gli occulti giudizi di Dio

Tommaso da Kempis

Capitolo LVIII: Non dobbiamo cercar di conoscere le superiori cose del cielo e gli occulti giudizi di Dio
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1. O figlio, guardati dal voler disputare delle cose del cielo e degli occulti giudizi di Dio: perché quello è così derelitto e quell'altro è portato a un così grande stato di grazia; ancora, perché quello viene tanto colpito e quell'altro viene tanto innalzato. Tutto ciò va al di là di ogni umana capacità; non v'è alcun ragionamento, non v'è alcuna disquisizione che valga a comprendere il giudizio di Dio. Quando, dunque, una spiegazione ti viene suggerita dal nemico, oppure certuni indiscreti la vanno cercando, rispondi con quel detto del profeta: "tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio" (Sal 118,137); o con quest'altro: "veri sono i giudizi di Dio, santi in se stessi" (Sal 18,10). Tu devi venerare i miei giudizi, non discuterli, perché essi sono incomprensibili per l'intelletto umano. Neppure devi indagare e discutere dei meriti dei beati: chi sia più santo o chi sia più grande nel regno dei cieli. Sono cose che danno luogo spesso a dispute e a contese inutili e fomentano la superbia e la vanagloria; onde nascono invidie e divisioni, giacché uno si sforza, presuntuosamente, di portare innanzi un santo, un altro, un altro santo. Ma sono cose che, a volerle conoscere ed indagare, non portano alcun frutto; cose che, invece sono sgradite ai beati, poiché "io non sono un Dio di discordia ma di pace" (1Cor 14,33). Una pace che consiste nella vera umiltà, più che nella esaltazione di sé.  

2. Ci sono alcuni che, quasi per un geloso affetto, sono tratti verso questi o questi altri santi, con maggior sentimento: sentimento umano, però, piuttosto che divino. Sono io che ho fatto i santi tutti; sono io che ho elargito la grazia; sono io che ho accordato la gloria; sono io che, conoscendo i meriti di ciascuno, sono andato loro incontro benedicendoli nella mia bontà (Sal 20,4): io che li sapevo eletti, prima di tutti i secoli. "Sono stato io a sceglierli dal mondo, non loro a scegliere me" (Gv 15,16.19); sono stato io a chiamarli con la mia grazia, ad attirarli con la mia misericordia; sono stato io a condurli attraverso varie tentazioni, e ad infondere loro stupende consolazioni; sono stato io a dar loro la perseveranza e a premiare le loro sofferenze. Io conosco chi è primo tra di essi, e chi è ultimo; ma tutti li abbraccio in un amore che non ha misura. In tutti i miei santi, a me va data la lode; sopra ogni cosa, a me va data la benedizione; a me va dato l'onore per ciascuno di quelli che io ho fatto grandi, con tanta gloria, ed ho predestinati, senza che ne avessero dapprima alcun merito. Per questo chi disprezza il più piccolo dei miei santi, non onora neppure quello che sia grande, perché "fui io a fare e il piccolo e il grande" (Sap 6,8). E chi diminuisce uno qualunque dei santi, diminuisce anche me e tutti gli altri che sono nel regno dei cieli. Una cosa sola costituiscono tutti i beati, a causa del vincolo dell'amore; uno è il loro sentimento, uno il loro volere, e tutti unitamente si amano. Di più - cosa molto più eccelsa - amano me più che se stessi e più che i propri meriti. Giacché, innalzati sopra di sé e strappati dall'amore di sé, essi, nell'amore, si volgono totalmente verso di me; di me godono, in me trovano pace. Non c'è nulla che li possa distogliere o tirare al basso: colmi dell'eterna verità, ardono del fuoco di un inestinguibile amore. Smettano, dunque, gli uomini carnali e materiali, essi che sanno apprezzare soltanto il proprio personale piacere, di disquisire della condizione dei santi. Essi tolgono e accrescono secondo il loro capriccio, non secondo quanto è disposto dall'eterna verità. Molti non capiscono; soprattutto quelli che, per scarso lume interiore, a stento sanno amare qualcuno di perfetto amore spirituale. Molti, per naturale affetto e per umano sentimento , sono attratti verso questi o quei santi, e concepiscono il loro atteggiamento verso i santi del cielo come quello verso gli uomini di quaggiù; mentre c'è un divario incolmabile tra il modo di pensare della gente lontana dalla perfezione e le intuizioni raggiunte, per superiore rivelazione, da coloro che sono particolarmente illuminati.

3. Guardati dunque, o figlio, dall'occuparti avidamente di queste cose, che vanno al di là della possibile tua conoscenza; preoccupati e sforzati piuttosto di poterti trovare tu nel regno dei cieli, magari anche ultimo. Ché, pure se uno sapesse chi sia più santo di un altro o sia considerato più grande nel regno dei cieli, a che cosa ciò gli gioverebbe, se non ne traesse motivo di abbassarsi dinanzi a me, levandosi poi a lodare ancor più il mio nome? Compie cosa molto più gradita a Dio colui che pensa alla enormità dei suoi peccati, alla pochezza delle sue virtù e a quanto egli sia lontano dalla perfezione dei santi; molto più gradita di quella che fa colui che disputa intorno alla maggiore o minore grandezza dei santi. E' cosa migliore implorare i santi, con devote preghiere e supplicarli umilmente affinché, dalla loro gloria, ci diano aiuto; migliore che andare indagando, con inutile ricerca, il segreto della loro condizione. Essi sono paghi, e pienamente. Magari gli uomini riuscissero a limitarsi, frenando i loro vaniloqui. I santi non si vantano dei loro meriti; non ascrivono a sé nulla di ciò che è buono, tutto attribuendo a me; poiché sono stato io, nel mio amore infinito a donare ad essi ogni cosa. Di un così grande amore di Dio e di una gioia così strabocchevole i santi sono ricolmi; ché ad essi nulla manca di gloria, nulla può mancare di felicità. I santi, quanto più sono posti in alto nella gloria, tanto più sono umili in se stessi, e a me più cari. Per questo trovi scritto che "deponevano le loro corone dinanzi a Dio, cadendo faccia a terra dinanzi all'Agnello e adorando il Vivente nei secoli dei secoli" (Ap 4,10; 5,14).

4. Molti cercano di sapere chi sia il maggiore nel regno di Dio, e non sanno neppure se saranno degni di essere colà annoverati tra i più piccoli. Ed è gran cosa essere pure il più piccolo, in cielo, dove tutti sono grandi, perché "saranno detti - e lo saranno - figli di Dio" (Mt 5,9); "il più piccolo diventerà come mille" (Is 60,22); "il più misero morirà di cento anni" (Is 65,20). Quando infatti i discepoli andavano chiedendo chi sarebbe stato il maggiore nel regno dei cieli, si sentirono rispondere così: "se non vi sarete convertiti e non vi sarete fatti come fanciulli non entrerete nel regno dei cieli; chi dunque si sarà fatto piccolo come questo fanciullo, questi è il più grande nel regno dei cieli" (Mt 18,3s). Guai a coloro che non vogliono accettare di buon grado di farsi piccoli come fanciulli: la piccola porta del regno dei cieli non permetterà loro di entrare. Guai anche ai ricchi, che hanno quaggiù le loro consolazioni; mentre i poveri entreranno nel regno di Dio, essi resteranno fuori, in lamenti. Godete, voi piccoli; esultate, voi "poveri, perché il regno di Dio è vostro" (Lc 6,20); a condizione però che voi camminiate nella verità.