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Venerdi, 26 aprile 2024 - San Marcellino ( Letture di oggi)

Cielo


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Se il cielo può designare ad un tempo il regno degli astronomi e degli astronauti e la dimora dove Dio raduna i suoi eletti, ciò non è dovuto ad una confusione grossolana di cui sarebbe responsabile il linguaggio infantile della Bibbia, ma è il riflesso d‘una esperienza umana universale e necessaria: Dio si rivela all‘uomo attraverso tutta la sua creazione, ivi comprese le sue strutture visibili. La Bibbia presenta questa rivelazione sotto una forma talvolta complessa, ma immune da molte confusioni. Distingue perfettamente il cielo fisico, avente la stessa natura della tetra, «il cielo e la terra», - e il cielo di Dio, «il cielo che non è la terra». Ma è sempre il primo che permette all‘uomo di pensare al secondo.

I. IL CIELO E LA TERRA

Per gli Ebrei, come per noi, il cielo è una parte dell‘uníverso, diversa dalla terra, ma in contatto con essa, una semisfera che l‘avvolge e costituisce con essa l‘universo; questo, in mancanza di un tèrmine atto a designarlo, è chiamato sempre «il cielo e la terra» (Gen 1, 1; Mt 24, 35). Se è sensibile allo splendore di questo cielo ed avido della sua luce, se sa ammirare la sua trasparenza (Es 24, 10), l‘israelita è soprattutto impressionato dalla incrollabile solidità del firmamento (Gen 1, 18). Il cielo è per lui una costruzione tanto solidamente edificata ed organizzata quanto la terra, sostenuta da colonne (Giob 26,11) e da fondamenta (2 Sam 22, 8), provvista di serbatoi per la pioggia, per la neve, per la grandine, per il vento (Giob 38, 22 ss; 37, 9 ss; Sal 33, 7), munita di «finestre» e di «chiuse», di dove, al momento buono, escono gli elementi così immagazzinati (Gen 7, 11; 2 Re 7, 2; Mal 3,10). Gli astri fissati a questo firmamento, l‘esercito innumerevole delle stelle (Gen 15, 5), con la magnifica regolarità del suo ordine, testimoniano la potenza di questa architettura (cfr. ls 40, 26; Giob 38, 31 s).

II. IL CIELO CHE NON È LA TERRA

Tale quale si offre allo sguardo, con la sua ampiezza, la sua luce, la sua armonia meravigliosa ed inesplicabile, il cielo impone all‘uomo, in modo visibile e permanente, il sentimento immediato di tutto ciò che l‘universo implica di mistero impenetrabile. Senza dubbio le profondità della terra e dell‘abisso sono anch‘esse inaccessibili all‘uomo (Giob 38, 4 ss. 16 ss), ma l‘inaccessibilità del cielo è esposta in permanenza e come visibilmente rivelata; l‘uomo appartiene alla terra ed il cielo gli sfugge: «Nessuno è salito al cielo» (Gv 3, 13; cfr. Prov 30, 4; Rom 10, 6). Occorre la follia del re di Babele per sognare di salire al cielo (cfr. Gen 11, 4): e cioè farsi uguale all‘Altissimo (Is 14,13 s). Si stabilisce così, con tutta naturalezza, una relazione tra il cielo e Dio: Dio ha la sua dimora in cielo: «I cieli sono i cieli di Jahve, ma egli ha dato la terra ai figli di Adamo» (Sal 115,16). Questa impressione religiosa, evocata spontaneamente dal cielo, spiega l‘uso frequente nei Settanta del plurale «cieli»; il giudaismo ed il NT hanno accentuato il valore religioso di questo plurale, a tal punto che regno dei cieli diviene identico a regno di Dio. Tuttavia né nei Settanta, né nel NT si può porre come regola che il cielo designi il cielo fisico, ed i cieli la dimora di Dio. E se avviene che questo plurale possa esprimere la concezione diffusa in Oriente di più cieli sovrapposti (cfr. 2 Cor 12, 2; Ef 4, 10), sovente non è che una espressione dell‘entusiasmo lirico e poetico (cfr. Deut 10, 14; 1 Re 8,27). La Bibbia non conosce due tipi di cieli, uno dei quali sarebbe materiale e l‘altro spirituale, ma nel cielo visibile scopre il mistero di Dio e della sua opera.

III. IL CIELO, DIMORA DI Dio

Il cielo è la dimora (cfr. rimanere) di Dio; dopo averlo disteso come una tenda, al di sopra delle sue acque egli ha edificato le stanze del suo palazzo (Sal 104, 2 s); di là si slancia per cavalcare le nubi (Sal 68, 5. 34; Deut 33, 26) e far risuonare la sua voce al di sopra delle grandi acque, nello strepito dell‘uragano (Sal 29,3). Egli vi ha il suo trono e vi convoca la sua corte, «l‘esercito dei cieli», che sbriga e compie i suoi ordini fino alle estremità del mondo (1 Re 22, 19; cfr. Is 6, 1 s. 8; Giob 1, 6-12). Egli è in verità il Dio del cielo (Neem 1, 4; Dan 2,37). Queste formule non sono immagini infantili o iperboli poetiche; sono visioni, indubbiamente poetiche, ma profonde e vere, della realtà del nostro mondo, di un universo che è tutto soggetto alla sovranità dì Dio e penetrato dal suo sguardo. Se il Signore «siede in trono nei cieli», si è perché se ne ride dei re della terra e dei loro complotti (Sal 2, 2 ss; cfr. Gen 11, 7), si è perché «le sue palpebre scrutano i figli di Adamo» (Sal 11, 4) e perché gli occorre questa altezza suprema per rendere giustizia a tutti, «una gloria al di sopra dei cieli», per «rialzare il povero dalla polvere» (Sal 113, 4 ss), perché gli giunga «la supplica di ogni uomo e di tutto il suo popolo Israele» (1 Re 8, 30 ...); si è perché, pur essendo un Dio vicino, non è di meno Dio lontano (Ger 23,23 s), non soltanto perché «la sua gloria riempie tutta la terra» (Is 6, 3), ma anche perché nulla al mondo, neppure «i cieli ed i cieli dei cieli», è capace di contenerlo (1 Re 8, 27). La dimora celeste di Dio certamente evoca in primo luogo la sua trascendenza invulnerabile, ma, come l‘onnipresenza del cielo attorno all‘uomo, significa pure la sua presenza vicinissima. Più di un testo associa in modo esplicito questa infinita distanza e questa prossimità, dalla scala che Giacobbe vide a Bethel, «che poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo» (Gen 28, 12), agli oracoli profetici: «Il cielo è il mio trono... quale casa protreste costruirmi?... Colui sul quale io volgo lo sguardo è il povero e il cuore contrito» (Is 66,1 s; cfr. 57,15).

IV. CIELI, SPARGETE LA VOSTRA RUGIADA

Poiché il Dio di Israele è un Dio salvatore ed ha la sua dimora in cielo, vi è dunque con la sua verità (Sal 119, 89 s), con la sua grazia e fedeltà (Sal 89, 3), vi è per effondere la salvezza sulla terra. Simbolo della presenza sovrana ed avvolgente di Dio, il cielo è pure il simbolo della salvezza preparata alla terra. Dal cielo d‘altronde discendono in benedizione la pioggia che rende fertile e la rugiada, espressioni della generosità divina e della sua gratuità. Simboli naturali e ricordi storici convergono per fare della speranza di Israele l‘attesa di un evento venuto dal cielo: «Ah! Se tu squarciassi i cieli e discendessi!» (la 63, 19; cfr. 45, 8). Già il rapimento di Enoch (Gen 5,24) e quello di Elia (2 Re 2, 11) invitavano a cercare in questa direzione la comunione senza fine con Dio, alla quale erano stati ammessi. A loro volta i veggenti delle apocalissi, Ezechiele, Zaccaria e soprattutto Daniele, ricevono dal Dio che è in cielo la rivelazione dei misteri concernenti il destino dei popoli (Dan 2,28); la salvezza di Israele si trova quindi scritta in cielo e ne discenderà. Dal cielo Gabriele cala su Daniele (9,21) per promettergli la fine della desolazione (9,25); sulle nubi del cielo deve apparire il figlio dell‘uomo, perché il regno sia dato ai santi (7,13.27). Dal cielo infine, dove «sta dinanzi a Dio» (Lc 1, 19), Gabriele è mandato a Zaccaria ed a Maria, ed al cielo ritornano gli angeli venuti a celebrare «la gloria di Dio nel più alto dei cieli e la pace sulla terra» (2,11-15). La presenza dei suoi angeli in mezzo a noi è il segno che Dio ha veramente lacerato i cieli e che egli è Emmanuel, Dio con noi.

V. IN GESÙ CRISTO IL CIELO É PRESENTE SULLA TERRA

1. Gesù parla del cielo. - Il cielo è una parola frequente nel linguaggio di Gesù, ma non designa mai una realtà esistente per se stessa, indipendentemente da Dio. Gesù parla del regno dei cieli, della ricompensa riservata nei cieli (Mi 5, 12), del tesoro che si deve costituire nei cieli (6,20; 19,21), ma lo fa perché pensa sempre al Padre che è nei cieli (5, 16. 45; 6, 1. 9), che sa, che «è presente, nel segreto, e che vede» (6,6. 18). Il cielo è questa presenza paterna, invisibile ed attenta, che avvolge il mondo, gli uccelli del cielo (6, 26), i giusti e gli ingiusti (5, 45), con la sua inesauribile bontà (7,11). Ma, allo stato normale, gli uomini sono ciechi a questa presenza; affinché essa diventi una realtà viva e trionfante, affinché venga il regno dei cieli, Gesù è venuto a parlare di ciò che sa, ad attestare ciò che ha visto (Gv 3, 11).

2. Gesù viene dal cielo. - Di fatto Gesù, quando parla del cielo, non ne parla come di una realtà meravigliosa e lontana, ma come del mondo che è suo e che è per lui una realtà più profonda e più seria che per noi il nostro mondo. Del regno dei cieli egli possiede i segreti (Mt 13, 11); il Padre che abbiamo nei cieli, egli lo conosce come suo proprio Padre (12, 50; 16, 17; 18,19). Per parlare in tal modo del cielo, bisogna venirne, perché «nessuno è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il figlio dell‘uomo che è in cielo» (Gv 3, 13). Poiché egli è il figlio dell‘uomo, un uomo il cui destino appartiene al cielo, un uomo venuto dal cielo per ritornarvi (Gv 6,62), le sue opere sono dal cielo, e la sua opera essenziale, il sacrificio che egli fa della sua carne e del suo sangue, è il pane che Dio ci dona, il pane «venuto dal cielo» (Gv 6, 33- 58) e che dà la vita eterna, la vita del Padre, la vita del cielo.

3. In terra come in cielo. - Se Gesù viene dal cielo e vi ritorna, se inoltre è vero dire che i cristiani sono già in cielo con lui e il Padre li ha «risuscitati e fatti sedere nei cieli» (Ef 2, 6; cfr. Col 2,12; 3,1-4), l‘opera di Gesù nondimeno prosegue; essa consiste nell‘unire indissolubilmente la terra al cielo, nel fare in modo che «venga il regno» dei cieli, che la volontà di Dio si faccia «in terra come in cielo» (MI 6,10), «che tutti gli esseri siano riconciliati per mezzo suo sia in terra che nei cieli» (Col 1,20). Avendo ricevuto alla risurrezione «ogni potere in cielo ed in terra» (Mt 28, 18), essendo penetrato, mediante il sangue del suo sacrificio, nel santuario di Dio, il cielo (Ebr 4,14; 9,24); essendo esaltato «più alto dei cieli» (7, 26) ed assiso alla destra di Dio, egli ha suggellato tra la terra e il cielo la nuova alleanza (9,25), ed affida alla sua Chiesa il suo potere, ratificando in cielo gli atti che essa compie sulla terra (Mt 16, 19; 18, 19). 183

4. I cieli aperti. - Di questa riconciliazione compiuta da Gesù ci sono dati dei segni. Su di lui si sono aperti i cieli (Mt 3, 16), è disceso lo Spirito di Dio (Gv 1, 32); a loro volta i suoi hanno conosciuto questa esperienza: in un gran rumore (Atti 2, 2), in una luce (Atti 9, 3), in una visione (10, 11), il cielo si è aperto su di essi ed è disceso lo Spirito. Cristo ha mantenuto la sua promessa: «Vedrete il cielo aperto... sul figlio dell‘uomo» (Gv 1, 51).

VI. LA SPERANZA DEL CIELO

«La nostra patria è nei cieli, donde aspettiamo ardentemente, come salvatore, il Signore Gesù Cristo, che trasfigurerà il nostro corpo di miseria per conformarlo al suo corpo di gloria, con quella forza con cui può anche sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3, 20 s). Tutti gli elementi del cielo che è oggetto della speranza cristiana sono qui raccolti. È una città, una comunità fatta per noi, una nuova Gerusalemme (Apoc 3,12; 21, 3. 10 ss); è fin d‘ora la nostra città, in cui si costruisce la dimora (cfr. rimanere) alla quale aspiriamo (2 Cor 5, 1). E ? un nuovo universo (Apoc 21, 5), composto, come il nostro, di «nuovi cieli e nuova terra» (2 Piet 3, 13; Apoc 21, 1), ma di dove saranno spariti «morte, lutto, grido, dolore» (Apoc 21, 4), «impurità» (21, 27) e «notte» (22, 5). Quando esso apparirà, l‘antico universo, «il primo cielo e la prima terra» saranno spariti (21, 1) nella fuga (20, 11), come un libro che si ravvolge (6,14). Sarà non di meno il nostro universo, perché il nostro universo è per sempre quello del Verbo fatto carne e del suo corpo; ed il cielo non sarebbe nulla per noi, se non fosse la comunione con il Signore (1 Tess 4,17; 2 Cor 5, 8; Fil 1, 23) che sottomette a sé tutte le cose per rimetterle tutte a Dio Padre (1 Cor 15,24-28).

Autore: M. Fenasse e J. Guillet
Fonte: Dizionario teologico biblico