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Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

Bambino


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Come tutti i popoli sani, Israele vede nella fecondità un segno della benedizione divina: i bambini sono «la corona degli anziani» (Prov 17, 6), i figli sono «rampolli di olivi attorno alla mensa» (Sol 128, 3). Tuttavia, a differenza di taluni moderni, gli autori biblici non dimenticano che il bambíno è un essere incompiuto e sottolineano l‘importanza di una ferma educazione: la stoltezza (cfr. follia) è stretta al suo cuore (Prov 22, 15), il capriccio è la sua legge (cfr. Mi 11,16-19), e per non lasciarlo in balia di tutti i venti (Ef 4, 14) bisogna tenerlo sotto tutela (Gal 4, 1 ss). Di fronte a queste constatazioni sono tanto più notevoli le affermazioni bibliche sulla dignità religiosa del bambino.

I. DIO ED I BAMBINI

Già nel VT il bambino, a motivo stesso della sua debolezza e della sua imperfezione native, appare come un privilegiato di Dio. Il Signore stesso è il protettore dell‘orfano ed il vindice dei suoi diritti (Es 22, 21 ss; Sal 68, 6); egli ha manifestato la sua tenerezza paterna e la sua preoccupazione pedagogica nei confronti di Israele «quando era bambino», al tempo dell‘uscíta dall‘Egitto e del soggiorno nel deserto (Os 11, 14). I bambini non sono esclusi dal culto di Jahve, partecipano anche alle suppliche penitenziali (Gioe 2, 16; Giudit 4, 10 s), e Dio si prepara una lode dalla bocca dei bambini e dei piccolissimi (Sol 8, 2 s = Mi 21, 16). Lo stesso avverrà nella Gerusalemme celeste, dove gli eletti faranno l‘esperienza dell‘amore «materno» di Dio (Is 66, 10-13). Già un salmista, per esprimere il suo abbandono fiducioso nel Signore, non aveva trovato di meglio che l‘immagine del piccino che si addormenta sul seno della madre (Sol 131, 2). Più ancora, Dio non esita a scegliere taluni bambini come primi beneficiari e messaggeri della sua rivelazione e della sua salvezza: il piccolo Samuele accoglie la parola di Jahve e la trasmette fedelmente (1 Sam 1 -3); David è scelto a preferenza dei suoi fratelli maggiori (1 Sam 16, 1-13); il giovane Daniele si dimostra più sapiente degli anziani di Israele salvando Susanna (Don 13,44-50). Infine, un vertice della profezia messianica è la nascita di Emmanuel, segno di liberazione (Is 7, 14 ss); ed Isaia saluta il bambino regale che, assieme al regno di David, ristabilirà il diritto e la giustizia (9, 1-6).

II. GESÙ ED I BAMBINI

Non era perciò conveniente che, per inaugurare la nuova alleanza, il Figlio di Dio si facesse bambino? Luca ha notato con cura le tappe dell‘infanzia così percorse: neonato del presepio (Lc 2,12), piccino presentato al tempio (2, 27), bambino sottomesso ai genitori, e tuttavia misteriosamente indipendente da essi nella sua dipendenza dal Padre suo (2,43-51). Fatto adulto, Gesù nei confronti dei bambini adotta lo stesso comportamento di Dio. Come aveva dichiarato beati i poveri, così benedice i bambini (Mc 10, 16), rivelando in tal modo che essi sono, gli uni e gli altri, atti ad entrare nel regno; i bambini simboleggiano i discepoli autentici, «il regno dei cieli appartiene a quelli che sono come loro» (Mi 19, 14 par.). Di fatto si tratta di «accogliere il regno come bambini» (Mc 10, 15), di riceverlo con tutta semplicità come un dono del Padre, invece di esigerlo come qualcosa di dovuto; bisogna «diventare come bambini» (Mi 18, 3) ed acconsentire a «rinascere» (Gv 3, 5) per accedere a questo regno. Il segreto della vera grandezza è «di farsi piccoli» come i bambini (Mt 18, 4): questa è la vera umiltà, senza la quale non si può diventare figli del Padre celeste. I veri discepoli sono precisamente i «piccolissimi», a cui il Padre ha voluto rivelare, come un tempo a Daniele, i suoi segreti nascosti ai sapienti (MI 11, 25 s). D‘altronde, nel linguaggio del vangelo, «piccolo» e «discepolo» sembrano talvolta termini equivalenti (cfr. Mt 10, 42 e Mc 9, 41). Beati coloro che accolgono uno di questi piccoli (Mi 18, 5; cfr. 25, 40), ma guai a chi li scandalizza o li disprezza (18, 6. 10).

III. LA TRADIZIONE APOSTOLICA

Paolo è soprattutto sensibile allo stato di imperfezione rappresentato dall‘infanzia (1 Cor 13, 11; Gal 4, 1; Ef 4, 14). Invita i cristiani a proseguire la propria crescita per pervenire insieme alla «pienezza di Cristo» (Ef 4, 12-16). Rimprovera ai Corinti il loro atteggiamento puerile (1 Cor 3, 1 ss) e li mette in guardia contro una falsa concezione dell‘infanzia spirituale, reagendo, a quanto pare, contro un‘abusiva interpretazione delle parole di Gesù (1 Cor 14,20; cfr. MT 18, 3 s). Paolo tuttavia non misco-mosce il privilegio dei piccoli: «Ciò che vi è di debole nel mondo è quanto Dio ha scelto» (1 Cor 1, 27 s). Nella sua carità apostolica, si comporta lui stesso spontaneamente nei confronti dei neofiti, i suoi «piccoli», con la tenerezza di una madre (1 Tess 2, 7 s; Gal 4, 19 s; cfr. 1 Cor 4, 15). Ebr 5, 11-14 presenta un insegnamento analogo a proposito della legge della crescita inerente alla vita cristiana: non si tratta di fermarsi allo stadio di bambino che si nutre solo di latte; e se 1 Piet 2, 2 esorta i nuovi battezzati a desiderare, come dei neonati, il latte della Parola di Dio, è al fine di crescere per la salvezza. Quanto a Giovanni, egli non parla tanto dell‘infanzia spirituale, quanto della nuova nascita dei figli adottivi di Dio (1 Gv 3, 1); ma al pari di Paolo, quando si rivolge ai suoi «piccoli» (1 Gv 2, 1. 18; Gv 13, 33) ha accenti paterni.

Autore: L. Roy
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica