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Venerdi, 19 aprile 2024 - San Leone IX Papa ( Letture di oggi)

Anatema


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La radice semitica da cui proviene Herem, anatema, significa «mettere a parte», «interdire all‘uso profano». Le sue applicazioni bibliche designano essenzialmente una consacrazione a Dio.

VT

Nei testi più antichi, l‘usanza dell‘anatema, che Israele condivide con i suoi vicini, come Moab, non è il semplice massacro del nemico vinto, ma una delle regole religiose della *guerra *santa. Al fine di ottenere la vittoria, Israele, che conduce le guerre di Jahve, vota il bottino all‘anatema, cioè rinuncia ad appropriarsene i profitti e si impegna per voto a consacrarlo a Jahve (Num 21,2 s; Gios 6). Questa consacrazione implica la totale distruzione del bottino, esseri viventi e oggetti materiali; la sua mancata esecuzione viene castigata (1 Sam 15), così come la sua sacrilega violazione, che provoca la sconfitta (Gios 7).
Nella realtà, la sua applicazione sembra essere stata pruttosto rara; la maggior parte delle città cananee sono state occupate da Israele (Gios 24, 13; Giud 1, 27-35), come Gezer (Gios 16, 10; 1 Re 9, 16) o Gerusalemme (Giud 1, 21; 2 Sam 5, 6 s). Alcune hanno persino concluso delle alleanze, come Gabaon (Gios 9) e Sichem (Gen 34).
Gli storici deuteronomici sapevano che al momento della conquista l‘anatema non era stato applicato (Giud 3, 1-6; 1 Re 9, 21). Ne hanno tuttavia formulato la legge generale per reagire contro la seduzione esercitata dalla religione cananea su Israele e per riaffermare la santità del popolo eletto (Deut 7,1-6). Di qui tuia presentazione rigidamente sistematica della storia della conquista: si è trasferita nel passato una reazione religiosa la cui posta in gioco era la sovranità esclusiva di Jahve sulla *terra santa e i suoi abitanti.
L‘evoluzione del termine herem sembra aver comportato la dissociazione dei suoi due elementi: da una parte la distruzione e il castigo che colpiscono soprattutto l‘infedeltà verso Jahve (Deut 13,13-18; Ger 25,9); dall‘altra, nella letteratura sacerdotale, la consacrazione a Dio di un essere umano o di un oggetto, senza possibilità di riscatto (Lev 27,28s; Num 18,14).

NT

Nel NT non si tratta più di intraprendere una guerra santa, né di votare dei *nemici all‘anatema. Ma la parola sussiste per significare la *maledizione (e, in Lc 21, 5, per le offerte votive nel tempio di Gerusalemme).
In bocca ai Giudei, nelle formule di *giuramento (Mc 14, 71 par.; Atti 23, 12) designa la maledizione che si rivolge a se stessi nel caso si fosse spergiuri.
In Paolo, è una formula di maledizione che esprime il giudizio di Dio sugli infedeli (Gal 1, 8 s; 1 Cor 16, 22). È impossibile che un cristiano la pronunci contro Gesù (1 Cor 12,3). Quando l‘apostolo afferma che desidererebbe ricadesse su di lui l‘anatema se, con questo mezzo, i suoi fratelli secondo la carne potessero ottenere la salvezza, precisa che per lui questo significherebbe essere separato da Cristo (Rom 9,3). Questa formula paradossale definisce così la maledizione per eccellenza.

Autore: P. Sandevoir
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica