Scrutatio

Martedi, 23 aprile 2024 - San Giorgio ( Letture di oggi)

Testi biblici (Codici e manoscritti)


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Dato il carattere eccezionale dei libri sacri, costituisce un assillo continuo il desiderio di poter sceverare l'autentica parola di Dio da possibili infiltrazioni di termini o concetti umani. Per questo ha una grande importanza quella parte dell'introduzione biblica, che studia le condizioni ed il valore critico dei singoli testi. Per ottenere un giudizio completo è necessario non solo indagare su la fedeltà e bontà dei numerosissimi manoscritti, ma anche esaminare diligentemente le antiche versioni e qualsiasi testimonianza estrinseca.
Il Vecchio Testamento si presenta in tre lingue. La parte maggiore è in ebraico; una piccola parte è in aramaico: Gen. 31, 47 (due parole); Ier. 10, 11; Dan. 2, 4-7, 28; Esd. 4, 8-6, 18; 7, 12-26; in greco i due libri composti originariamente in tale lingua (2Mach. e Sap.) e tutti gli altri testi deuterocanonici, se si eccettui l'Eccli. il cui originale ebraico è stato per quattro quinti ricuperato.
Nello studio del testo ebraico si sogliono distinguere quattro periodi. Il primo va dalla composizione dei singoli libri al I sec. d. C. Per varie cause, fra cui lo stato ancora fluido di opere, su le quali forse lo stesso autore ritornò più volte (cf. Ier. 36, 2-4.32), la mancanza di norme precise per ricopiarle in codici completi, le vicende storiche spesso angosciose, ad es. l'esilio e la persecuzione di Antioco IV ecc., causarono una notevole varietà nella trasmissione di libri antichissimi. Si è in grado di constatare tale fenomeno, confrontando i non pochi doppioni inseriti in libri diversi (Ps. 14 e Ps. 53; Ps. 18 e 2Sam 22; Is. 36-39 e 2Reg. 18, 13-20, 19; Ier. 52 e 2Reg. 24, 18-25, 30; Sam.-Reg. con I-II Par.), il Pentateuco Samaritano, la versione dei Settanta ed alcuni manoscritti ebraici, quali il papiro di Nash ed i testi scoperti nel 1947 nella caverna di 'Ain Fesha (Isaia; Rab. 1-2; brani del Levitico e di altri libri).
Le differenze maggiori sono costituite da trasposizioni, da brevi omissioni o aggiunte, da sostituzioni di termini particolari, ecc.
Nel secondo periodo (I-VI sec. d. C.) il testo risulta già ben determinato ed uniforme nei vari manoscritti, come appare dal confronto con le versioni eseguite in tali secoli, con scritti talmudici e con citazioni patristiche. Intorno al testo sacro lavorano numerosi scribi, che ne fissano con precisione le minime particolarità, dando origine alla massòra. Ne risulta un testo consonantico uniforme.
Nel terzo periodo (VI-X sec.) con l'introduzione di segni vocalici e con l'intensificarsi dell'attività dei Masoreti (da massorah = tradizione) si ottiene un testo non solo uniforme, ma circondato da tante precauzioni da renderlo praticamente immutabile, grazie alla siepe costituita dalle note masoretiche, che si usavano scrivere nei margini in fondo ai singoli libri.
Tale fatto è ampiamente documentato dai numerosi manoscritti ebraici sorti nel quarto periodo (sec. X in poi) e dalle edizioni stampa. Le differenze sono minime, senza alterare il senso. Perciò tutti i critici moderni riconoscono grande autorità al testo ebraico, pur ammettendo che talvolta presenta lezioni incomprensibili o inferiori per bontà a quelle desumibili da antiche versioni, fra le quali ha un posto particolare quella greca dei Settanta. Rispetto ai singoli libri appaiono ben conservati i cinque del Pentateuco, mentre gli altri offrono difficoltà qua e là; le divergenze più gravi si notano in Sam., Ez., Ier., Prov. e in qualche profeta minore.
I numerosi manoscritti ebraici, già studiati da Kennicott e da Gian Bernardo De Rossi, presentano un'antichità molto relativa. Se si eccettuano il papiro di Nash (I sec. d. C.) ed i manoscritti del Mar Morto (II-I sec. a. C.), i codici di qualche importanza non risalgono oltre il X sec. d. C. Ora si ricercano con diligenza frammenti più antichi (Kahle) e si tenta di distribuire i vari documenti, in genere uniformi e concordi, in diverse famiglie. Per il Nuovo Testamento (tutto in greco) si hanno invece testi risalenti perfino al II sec., ossia ad appena alcuni decenni dalla stesura dell'originale: fatto che non si ripete per nessuno scritto classico o religioso antico. D'altra parte, fra codici, lezionari, papiri si raggiunge l'impressionante cifra di oltre 4.000 manoscritti. A ciò si aggiungano le citazioni degli scrittori ecclesiastici greci e le numerose traduzioni.
La flessione stessa della lingua greca nella fonetica ("'iotacismo"), una minore attenzione - rispetto a quella dei Masoreti nella trascrizione del testo ecc. causarono che in un numero di copie così grande si notasse anche un'ingente abbondanza di varianti. Molte però riguardano la maniera di scrivere un medesimo vocabolo o elementi trascurabili, come l'inversione di due parole, l'aggiunta o meno di una congiunzione ecc. È stato calcolato che i sette ottavi del testo sono assicurati anche nei particolari, data la difficoltà di cernita fra le molteplici varianti. Possono sussistere dubbi su circa 200 casi che influiscono anche sul senso, sebbene in maniera leggera; e solo su una quindicina per testi di importanza dommatica o storica (Mc. l, l; Lc. 22, 19 s.; Io. 5, 3 s.; Rom. 5, 14; 1Cor 15, 51; 1Tim. 3, 16 ecc.). Comunque, in essi non si ha nessuna verità dommatica o teologica che manchi in altri testi perspicui.
Lo studio e la catalogazione di tanti manoscritti richiede un lavoro paziente. Per individuare i singoli manoscritti di solito si usa il sistema inaugurato da Wettestein, per cui i codici maiuscoli sono indicati con una lettera dell'alfabeto maiuscolo (latino o greco) ed i minuscoli con i numeri progressivi arabici. Data l'esiguità delle lettere dei due alfabeti, per gli altri maiuscoli si adoperano i numeri preceduti da uno zero. Per i papiri si usa un P col numero progressivo come esponente. Von Soden presentò un suo sistema, per porre subito sott'occhio il contenuto e l'epoca approssimativa dei vari manoscritti; ma ebbe scarso successo per la sua complessità. Alcuni codici hanno un loro nome proprio in riferimento alla località in cui furono scoperti dal primo proprietario. Fra questi notissimi sono il Vaticano (B) forse del IV sec. di origine egiziana e conservato nella Biblioteca Vaticana, il Sinaitico (S; ora in massima parte nel British Museum di Londra), scoperto nel 1344 dal Tischendorf sul Sinai nel Monastero di s. Caterina, parimenti del IV-V sec., l'Alessandrino, ora a Londra, del sec. V, il Cantabrigense o di Beza (D) del sec. VI, bilingue (greco-latino), che contiene il famoso testo "occidentale" degli Atti degli Apostoli ecc.
Von Soden raggruppò i manoscritti più immuni da tendenze armonistiche e da interpolazioni nella famiglia il (= Hesychius, vescovo egiziano del III sec.), nella famiglia I (= Ierusalcm) quelli contrassegnati da parafrasi, amplificazioni, omissioni, quali appaiono nel cosiddetto testo occidentale. Nella terza famiglia, indicata con la sigla K (= Koiné, comune) si raggruppano i manoscritti che riproducono la recensione di Luciano o il testo della chiesa antiochena, contraddistinto da una maggiore castigatezza linguistica e dalla tendenza all'amplificazione, il cui migliore rappresentante è considerato il codice Alessandrino (A).
Altri autori amano parlare della famiglia del codice B Vaticano, considerata la più pura, di rappresentanti del Testo occidentale, del gruppo cesareense con in testa il codice di Koridethi e dei dipendenti dal codice Alessandrino. Ciò per i Vangeli. Negli altri libri non compare la famiglia cesareense e si notano lievi spostamenti nel raggruppamento dei singoli codici.

[A. P.]
BIBL. - M.-J. LAGRANGE, Introduction à l'étude du N. T., II: Critique textuelle, Parigi 1935; S. M. ZARB. Il testo biblico, Roma 1939; J. COPPENS, La critique du texte hébreu de l’Ancien Testament, 2a ed. Lovanio 1950; A. VACCARI, De textu, in Institutiones biblicae. vol. I, 6a ed., Roma 1951, pp. 233-362.

Autore: Sac. Angelo Penna
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora