Scrutatio

Venerdi, 19 aprile 2024 - San Leone IX Papa ( Letture di oggi)

Sacrificio


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Come qualsiasi religione, anche l'ebraica aveva i suoi sacrifici, ossia offerte fatte a Dio, che includevano o no il concetto di immolazione. L'uso di offrire sacrifici alla divinità come il segno più perfetto dell'adorazione compare già alle origini dell'ebraismo. I concetti fondamentali, che accompagnano l'offerta, sembrano essere l'adorazione di Dio, la comunione con Dio e l'espiazione di colpe. Non rare volte nella Bibbia (Gen. 8. 21; Lev. 3, 11.16; 21, 8.17.21 ss.; 22, 25 ecc.) si parla del S. come di un cibo di Dio. Si tratta di un antropomorfismo: esprime la compiacenza di Dio, il quale accetta l'offerta del fedele, che si priva in suo onore di una cosa di sua proprietà.

Il s. è essenzialmente un "dono" (ebr. minhah) od una "offerta" (ebr. qorbàn) dei propri beni a Dio in segno di riconoscenza e di ringraziamento. I vari sacrifici cruenti con l'uccisione di animali si dividevano in tre specie: olocausti, sacrifici pacifici ed espiatori. L'olocausto (greco: *** oppure *** Volg. holocaustum, holocautoma; ebr. 'olah), come indica il suo nome in greco, era costituito dall'intera distruzione dell'animale in onore di Dio; è l'offerta integrale (ebr. kàlil), con cui l'uomo intendeva mostrare la sua completa dedizione a Dio (Lev. 1, 3). Eccettuata la pelle, tutta la carne veniva bruciata, mentre il sangue era spruzzato attorno all'altare. Tale s. era offerto da privati e dalla collettività. Ogni mattina ed ogni sera veniva sacrificato un agnello in olocausto per tutto il popolo (Ex. 29, 38-42). Il rito, in cui aveva una parte notevolissima lo spargimento o spruzzamento del sangue (Lev. 1, 11; cf. Lev. 17, 14; Deut. 12, 23), è descritto minutamente in Lev. 1, 1-17; 6; 8·13; Num. 15, 3-9.

Il s. pacifico o salutare (ebr. zebhah selamim o solo selamim) è quello che si offriva da persone già riconciliate con Dio a ringraziamento o ad impetrazione di qualche grazia. È messa in risalto la comunione e l'amicizia fra Dio e l'offerente, che consumava in un banchetto familiare una parte della vittima. Il grasso veniva bruciato in onore di Dio; del rimanente una parte (il petto e la coscia) spettava di diritto al sacerdote, mentre gli offerenti - purché in stato di purità legale (Lev. 7, 19 ss.) - consumavano nel santuario l'altra carne ormai sacra. Al banchetto potevano essere invitati i parenti ed anche altre persone, particolarmente i poveri (Deut. 12, 12.18; 16, 11 ss.).

Al s. di espiazione (ebr. kippùr) era connessa in modo speciale l'idea di una riconciliazione fra Dio ed il peccatore (Lev. 4, 20; 5, 13; 9, 7). La Bibbia distingue s. per il peccato (ebr. bata'ah), indetto per quei peccati di commissione che non ledevano i diritti altrui; e s. per il delitto (ehr. 'asam), ad espiare i danni cagionati ad altri con omissioni o commissioni ingiuste (s. di ammenda). In essi parte della vittima si bruciava sull'altare, parte andava al sacerdote, il resto doveva bruciarsi fuori dell'abitato. Il rito comprendeva la "confessione" del peccato e supponeva il risarcimento del danno. L'offerta cancellava l'impurità levitica (Lev. 12, 6; 15, 14-20) e le varie trasgressioni morali dovute a debolezza od errore (Num. 15, 27 ss.), non quelle che includevano una malizia deliberata. L'offerente imponeva le mani su la testa dell'animale per simboleggiare il trasferimento della colpa, quindi si compiva il rito regolato da norme più categoriche del solito e diverse secondo la qualità dell'offerente (Lev. 4, 1-6, 7; 7, 1-10; Num. 15, 22 ss.). Solenni sacrifici espiatori per tutta la collettività erano prescritti nel giorno del kippur o espiazione (v.) ed inoltre si immolava un capro in tutti i noviluni, a Pasqua, a Pentecoste e durante la festa delle Capanne. In 2Mach. 12, 43 si ricorda anche un s. espiatorio per i morti.

Col s. propriamente detto si univa l'offerta di alimenti e di bevande (ebr. minhah e nesek) e di incenso od altre sostanze aromatiche. Nel fumo, che si innalzava dall'altare dell'incenso, si amava scorgere il simbolo della preghiera, che ascende verso Dio (cf. Ps. 141, 2; Lc. 1, 10), mentre le offerte di commestibili, ben determinati dalla Legge (Num. 5, 15; Lev. 2, 1 ss.), e delle bevande erano adattissime per esprimere il ringraziamento per il pane quotidiano e la comunione con la divinità. In alcuni casi specifici queste offerte costituivano un s. in cruento a sé. I sacrifici incruenti appaiono non meno antichi di quelli cruenti (cf. Gen. 4, 3; 14, 18).

In modo particolare nel Levitico si leggono norme molto minute circa i vari atti o cerimonie, che accompagnavano il rito, e circa le qualità delle vittime prescritte per le singole occasioni. È difficile precisare l'evolversi di simili cerimoniali.

La religione legittima in Israele condanna qualsiasi s. umano (Lev. 18,21; 20, 2-5; Dem. 12, 31; 18, 9 ss.; e spesso nei profeti); sono un'empietà dei Cananei e sono proibiti con severità. Essi furono praticati (cf. 1Reg. 16, 34; 2Reg. 16, 3; 21, 6) nella religione popolare (v.), contaminazione appunto per influsso cananaico. Il s. della figlia di Iefte (v.) è effetto di un voto inconsulto, opera di un rude guerriero (Iudc. 11, 30 ss.). Severe sono le condanne, ripetute frequentemente dai profeti (Mi. 6, 7; Ier. 7, 31; 19, 5; 32; 35; Ez. 16, 20 ss.). Queste documentano l'infiltrarsi di tali riti abominevoli fra gli adoratori di Iahweh, e quanto essi fossero estranei al vero spirito della religione ebraica.

Le espressioni profetiche (Is. 1, 11-15; Ier. 7, 21-23;. Os 6, 6; Am. 4, 4 ss.; 5, 21-25; Mi. 6, 6-8 ecc.) che sembrano condannare ogni forma di culto esterno e quindi i sacrifici, sono dirette contro la mentalità errata che riduceva tutta la religione al semplice culto esterno, anche contro le pessime disposizioni interiori (v. Religione popolare). Era un richiamo necessario all'essenza della religione, ossia ad una vera santità morale contro possibili degenerazioni superstiziose. Proprio in libri profetici, che più inveiscono contro una fiducia illimitata nel rito esterno, troviamo affermata la legittimità dei sacrifici (Ier. 17, 26; 31, 14; 33, 11-18; Mal. 1, 8-14).

Nel Nuovo Testamento, Gesù Cristo, al pari dei profeti, lamentò la falsificazione del concetto di s. (Mt. 9, 13; 12, 7). Anche egli si sottomise alla legislazione mosaica (Lc. 2, 22 ss.; 22, 8 ss.) e perfino Paolo, il grande Apostolo della libertà evangelica, accettò di partecipare ai sacrifici prescritti per quanti avevano emesso il voto del nazireato (At. 21, 23-26). Egli sviluppa più di ogni altro la teologia del s. espiatorio unico del Cristo sul Calvario (Rom. 3, 25; 5, 6 ss.; Gal. 3, 13; 4, 4 ecc.). È il concetto di vittima e di sacerdote applicato al Cristo in modo speciale nella lettera agli Ebrei (9, 23-10, 18), ove si insiste su l'efficacia unica e definitiva del s. della croce, ponendolo precisamente in relazione con le caratteristiche dei sacrifici dell'antica Legge. Il rito eucaristico non è altro che una ripetizione mistica, incruenta di questo unico s. (v. Eucaristia). Tutti i sacrifici dell'antica legge erano tipo, figura e preparazione di quest'unico s.
[A. P.]

BIBL. - M. J. LAGRANGE, Études Bur les religions sémitiques, 2a ed., Parigi 1905, pp. 247-74; G. B. GRAY, Sacrifice in the Old Testament. Oxford 1925; A. MÉDEBIELLE, L'expiation dans l'A. et le N. T., Roma 1932, ID., Expiation, in DBs, III, coll. 1-262; P. HEINISCH, Teologia del Vecchio Testamento. Torino 1950, pp. 241-51.

Autore: Sac. Angelo Penna
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora