Scrutatio

Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Legge ebraica


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È il complesso dei testi legislativi contenuti tutti nel Pentateuco e designati di preferenza col termine torah o Legge d'origine religiosa, anziché con altri termini d'origine giuridica (dobhar e mispàt) o morale (mizwah). Essi comprendono: 1) il Decalogo (Ex. 20, 2-17; Deut. 5, 6-21) con un fine eminentemente religioso e morale; 2) il Codice dell'Alleanza (Ex. 20, 22-23, 19) con carattere spiccatamente giuridico e determinante i rapporti sociali di una comunità a base pastorale, ancora poco organizzata ma con forti tradizioni religiose; 3) il complesso rituale (Ex. 34, 11-26) di prescrizioni relative a feste di carattere agricolo e sacrifici; 4) il Codice Deuteronomico (Deut. 12-26) che riprende leggi preesistenti con formule nuove e ne prescrive delle altre, supponendo una società centralizzata, avviata al commercio e alla sedentarizzazione; 5) la Legge di Santità (Lev. 17-25) con un accento particolarmente sacerdotale, rituale e morale e con carattere giuridico; 6) testi legislativo-storici, collegati con avvenimenti storici e puntualizzati sotto l'aspetto religioso; 7) testi legislativi minori: legge dei sacrifici (Lev. 1- 71, legge della purità (Lev. 11-16), legge sulle feste e riti sacrificali (Num. 28-29), complementi alle leggi relative al santuario (Ex. 30), fissazione di costumi religiosi (Num. 5-6; 8-10; 15; 19; 30).
Testimonianze esplicite sparse in tutta la l. e lo stesso esame dei testi obbligano a ritenere che l'insieme di dette prescrizioni sono dell'epoca mosaica; e non si ha valida ragione di negarle a Mosè, che coadiuvato dai leviti le fissò specialmente durante i 38 anni ca. passati a Cades, nel deserto, o le ha riviste (Deut.) nelle steppe di Moab, immediatamente prima dell'ingresso d'Israele nella terra di Canaan. È l'autenticità sostanziale di cui parla la Pont. Comm. Biblica. Si ammettono revisioni e aggiunte successive o adeguamenti alle mutate condizioni ambientali e sociali; tutti ispirati allo spirito del grande legislatore. (Cf. lettera al Card. Suhard della Pont. Comm. Biblica, 27 marzo 1948).
Alla redazione della l. ebraica hanno concorso svariati fattori naturali: condizioni geografiche, economiche, sociali e psicologiche. Particolare interesse presenta l'influsso delle condizioni storiche: i rapporti razziali dei Patriarchi ebraici con la civiltà sumero- accadica spiegano la concordanza generica tra la l. ebraica e la legislazione sumero- accadica (Codice di Lipit-Istar, Esnunna, Hammurapi, leggi assire e neo-babilonesi); i rapporti sociali poi di questi Patriarchi con i Hurriti nella Mesopotamia del Nord ed in Palestina illuminano le strette affinità del diritto patriarcale con la legislazione hurrita di Nuzu (R. de Vaux, in RH, 56 [1949] 17-30); altre immancabili mutuazioni si ebbero dai contatti con la civiltà egiziana e dalla funesta simbiosi con la civiltà cananea. Il fattore principale però nella promulgazione e nella redazione di queste leggi, che ne assicura l'unità letteraria, è quello religioso. La religione non interviene soltanto come garante del buon andamento della vita pubblica ma la orienta tutta: Israele appare così una teocrazia: popolo che Dio stesso dirige mentre il capo visibile della nazione è semplice rappresentante e portavoce della volontà divina espressa particolarmente nella Rivelazione. A questa situazione e concezione teologica è dovuta l'attribuzione di tutta la l. a Dio stesso, quasi sua diretta rivelazione a Mosè (cf. la formula «Iahweh disse a Mosè»: Ex. 20, 22; 21, l ecc .. ). È questo un fenomeno caratteristico degli Ebrei: le leggi assire ed hittite non sono presentate di origine divina; la legge di Hammurapi proviene dal sovrano «l. le mie parole», «le mie preziose parole»: 24, 81; 25, 12 ss.) a cui Dio ha data la giustizia, qualità morale per fare buone leggi.
La l. ebraica, mentre sotto l'aspetto tecnico-giuridico è inferiore alle collezioni orientali antiche, è ad esse superiore sotto quello etico-religioso: le sue prescrizioni religiose preservarono gl'Israeliti dal politeismo; quelle morali imposero al popolo una superiore norma morale; quelle cultuali favorirono un degno tributo di onore alla Divinità adombrando il Nuovo Patto che Dio avrebbe più tardi concluso con l'umanità; infine quelle penali confermarono negli Ebrei la coscienza del peccato e della possibilità della resipiscenza.
Nel Nuovo Testamento l. designa, oltre la legislazione mosaica ed i libri che la contengono (Lc. 24, 44), anche l'economia del V. T., basata sulla l., in opposizione a quella cristiana vitalizzata dalla fede e dalla grazia (Io. 1, 17; Rom. 6, 14 ss.). Accanto alle prescrizioni legali e cerimoniali, che il Cristianesimo progressivamente eliminerà con la penetrazione nel mondo ellenico (Io. 4, 21-24; 2, 19-21; Mc. 7 15. 21-23; At. 7, 42-53; 15, 1-31), la l. enuclea il patrimonio della vera religione, con la sua morale ed i suoi vaticini messianici che Cristo non abrogherà ma realizzerà e perfezionerà, insegnandone un'osservanza più spirituale e più perfetta (Mt. 5, 17-48).
Anche in s. Paolo la l. designa talvolta l'insieme della Rivelazione, degli oracoli di Dio (Rom. 3, 2; I Cor. 14, 21; Rom. 3, 19): allora in armonia con l'insegnamento di Cristo, egli ne afferma la continuità e la perfetta realizzazione nel Vangelo (Rom. 1, 2; 3, 21; 13, 8.10; 1Cor. 9, 8.9; Gal. 5, 14 ecc.).
Abitualmente però indica la l. ebraica coi suoi comandamenti (Eph. 2, 15 Rom. 7, 8-13) e decreti (Eph. 2, 15) nei cui riguardi i giudizi di s. Paolo sono, a primo aspetto, contraddittori O. Bonsirven [v. Bibl.], p. 144 ss).
Da una parte la 1. è presentata come donatrice di vita, santa e spirituale (Rom. 7, 10- 14); essendo stata comunicata per mezzo degli angeli e per la mediazione di Mosè (Gal. 3, 19; Hebr. 2, 2) essa costituisce il vanto precipuo d'Israele (Rom. 9, 4) che viene guidato da essa come da un pedagogo a Cristo (Gal 3, 24); osservandola si viene dichiarati giusti (Rom. 2, 13; 19, 5; Gal. 3, 12); ombra di Cristo futuro (Col. 2, 17), essa in Lui ha trovato il proprio compimento (Rom. 10, 4).
Per altra parte la l. viene accusata di non aver condotto nulla alla perfezione (Hebr. 7, 19), di provocare la collera di Dio (Rom. 4, 15), perché moltiplica le trasgressioni (Gal. 3, 19; Rom. 5, 20), risveglia la coscienza morale (Rom. 3, 20) senza dare la forza per combattere il peccato; essa è la lettera che uccide (2Cor. 3, 6), causa di morte e di condanna (2Cor 3, 7 ss.; Rom. 7, 6); chi vive sotto di essa è nella sfera della carne (Rom. 7, 5; Gal. 3, 3) ed è oggetto della maledizione divina (Gal. 3, 10). Queste antilogie sono dovute a differenti punti di vista nel considerare il mondo giudaico. Per un piccolo resto di Ebrei, guidati dalla l. abbinata alla Grazia, ottenuta mediante la fede nella promessa divina, la l. fu un mezzo di salvezza: s. Paolo, meno tre poteva testimoniare d'essere stato irreprensibile secondo la l. (Phil. 3, 6; At. 22, 3), aveva conosciuto in molti Giudei suoi contemporanei e negli eroi del Vecchio Testamento simile fedeltà (Rom. 3, 6-18; Hebr. 11). Ma per la massa degli Ebrei, a motivo di una deviazione farisaica imperante che si lusingava di poter raggiungere la giustizia senza il bisogno della Grazia, la l. era un mezzo di perdizione, un giogo insopportabile d'innumerevoli e minute prescrizioni (At. 15, 10), un continuo inciampo nella vita morale e religiosa, che doveva essere eliminato dall'economia cristiana.
Contro i Farisei convertiti (= i giudaizzanti) che pretendevano fossero battezzati i Gentili solo dopo averli obbligati alla circoncisione e all'osservanza delle altre pratiche della l. ebraica, s. Paolo sostenne energicamente l'abrogazione, la nullità ormai di tali prescrizioni e la relatività della l. mosaica, data per un dato periodo (v. Alleanza), come fine e preparazione al Cristo (Gal.; cf. Rom. 1-11); e quindi il diritto dei Gentili innestati direttamente al Cristo. Principio sancito solennemente a Gerusalemme dal principe degli Apostoli (At. 15, 1-35), che per rivelazione divina aveva già ammesso direttamente col battesimo nella Chiesa il primo Gentile, il centurione Cornelio (At. 10-11).
[A. R.]

BIBL. - A. CLAMER. La Ste Bible (ed. Pirot 2). Parigi 1940. pp. 7-16. 214-27. 485-503; J. B. PRITCHARD. Ancient Near Eastern Tests relating to the Old Testament. Princeton 1950. pp. 159-223 (leggi orientali); H. CAZELLES. Etudes sur le Code de l'Alliance, Parigi 1946; ID. in DBs, V. col. 497 ss.; G. BONSIRVEN. Il Vangelo di Paolo, trad. ital.. Roma 1951, pp. 144-52.

Autore: Sac. Armando Rolla
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora