Scrutatio

Martedi, 16 aprile 2024 - Santa Bernadette Soubirous ( Letture di oggi)

Giuramento


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In senso stretto il g. è l'invocazione del nome divino a testimonio della verità di un'affermazione o garanzia della realizzazione di una promessa. In senso più largo g. si dice anche una affermazione particolarmente solenne di cui si voglia mettere in risalto la verità assoluta; in questo secondo senso il g. viene attribuito dalla Bibbia anche a Dio stesso (Gen. 26, 3; Ex. 6, 8; 13, 5; 33, 1; Num. 32, 11, ecc.). Anche il g. in senso stretto ricorre spesso nella Bibbia (Gen. 21, 23; 31, 53.; Gal 1, 20; Hebr. 6, 16), e sempre nella sua genuina natura di ricorso più o meno esplicito alla garanzia della divina veracità.
Il nome di 'eleh (probabilmente della stessa radice di Elohim) e Shebùah (probabilmente dalla stessa radice del numero sacro "sette"), che nel V. T. designano il g. con le circostanze che solevano accompagnarlo, quali per es. levare la mano al cielo (Gen. 14, 22; Deut. 32, 40), rivelano come il g. per gli Ebrei fosse un vero rito religioso, la cui efficacia veniva basata sulla veracità e giustizia divina. Il g. era così divenuto anche un criterio d'ortodossia: professione di fede vera giurare per il Dio dei padri (Deut. 6, 13; Is. 19, 18), atto di idolatria giurare per gli Dei stranieri (Ier. 5, 7; 12, 16; Am. 8, 4). Data la natura religiosa del g., la Legge Mosaica ne stigmatizzava severamente l'abuso (Lev. 11), 12; Num. 30, 3; Deut. 23, 21).
La speculazione rabbinica tuttavia, alterandone non poco la natura creò una serie di giuramenti adattati alle diverse circostanze della vita: di dichiarazione, di falsità, di testimonio, di deposito, ecc. Una complessa casistica che ne regolava la pratica fece sì che se ne attribuisse l'efficacia alle circostanze formali, mentre la molteplicità ne divulgò tanto l'uso da creare la convinzione popolare che solo il g. obbligasse alla verità e non il parlare comune.
Nell'ambiente spirituale caratterizzato da questa mentalità ben si comprende l'insegnamento di Gesù (Mt. 5, 33·38). Egli non condanna il g.; come erroneamente pensarono Wicleffiti, Valdesi, Anabattisti; basti considerare la stessa prassi degli Apostoli (Rom. 1, 9; 2Cor 1, 23; Gal. l, 29). In piena armonia con tutto il discorso del monte e con l'insegnamento Apostolico (Iac. 5, 12), Gesù inculca quale ideale del cristiano il culto totale della verità, culto quindi che deve rendere superfluo ogni g., la cui ragione di essere sta unicamente nella falsità e nella probabilità d'inganno. La perfezione che pone come ideale la verità importa anche il superamento del g.; si tratta di perfezione.
[G. D.]

BIBL. - J. PEDERSEN, Der Eid b. den Semiten, Strassburg 1914: J. BONSIRVEN, Le Judaisme Palestinien, II, Parigi 1935, pp. 239 s.

Autore: Padre Giacomo Danesi
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora