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Venerdi, 19 aprile 2024 - San Leone IX Papa ( Letture di oggi)

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Fecondo scrittore, giudeo di Alessandria (ca. 30 a. C.-59 d. C.), di distinta famiglia, ebbe con la severa educazione ebraica, quella greca, comune ai cittadini del suo rango. Per qualche tempo, nella solitudine si diede alla contemplazione (L. A., 2, 21). Partecipò, nel 40 d. C., alla missione che la comunità giudaica di Alessandria mandò a Caligola, per la persecuzione che allora subiva (Caium, inizio). I suoi scritti vengono così raggruppati: 1. Esposizione catechetica: Quaestiones et solutiones in Genesim, I-IV (Q. G.); In Exodum I-II (Q. Ex.). 2. Commento allegorico sulla Genesi: Legum alleg. I-III (L. A.); De Cherubim (Cher.); De sacrificiis Abelis et C. (Sacr.) ecc. 3. Esposizione della legislazione mosaica: De mundi opificio (Op.); De Abrahamo (Abr.); De Iosepho (Ios.); De Decalogo (Decal.); De specialibus legibus, I-IV (Spec.) ecc. Suo intento fu di conciliare la Rivelazione ebraica con la cultura greca, mettendo questa al servizio dell'altra; è pertanto il primo teologo. Egli considera la filosofia come "il più perfetto dei beni che sian mai venuti alla umanità" (Op., 54); i semi di verità che essa contiene, servono per comprendere e gustare la verità rivelata in tutta la sua interezza. Tra questa e la filosofia non c'è opposizione, ché la verità è unica e deriva da Dio; essa si trova tutta nei Libri Sacri, particolarmente nella Legge; i grandi filosofi, Platone, Eraclito, gli Stoici, sono dei semplici imitatori di Mosè, per la verità e la morale. In tal modo, mentre dei Giudei pervertiti dalla sofistica greca, apostatavano disprezzando Dio e la sua Legge (De posteritate Caini, 3,3-38); mentre altri, considerandole pure allegorie, più non praticavano le prescrizioni mosaiche (De Migr. Abrahami, 89); o, ritenendo l'esegesi letterale, trovavano nei Libri Sacri leggende analoghe ai miti greci (De confusione linguarum, 2-3), F. conserva intatta la verità rivelata, illustrandola con l'umanesimo greco. Non opposizione, ma coordinamento e sintesi. La filosofia ellenica ad Alessandria era rappresentata nelle sue più varie correnti, e non più distintamente, ma già avviate a quella mistione che sarà la caratteristica dell'ermetismo. F. prende da essa indistintamente quanto è utile al suo scopo. Dalla critica degli Scettici alla limitatezza ed insufficienza della ragione quale arbitra della vita, F. trae argomento per dimostrare la superiorità e la necessità della Rivelazione; dal disprezzo dei Cinici per il piacere, per raccomandare la sapienza e la virtù; usa di Aristotile, per l'analisi profonda delle virtù e dei vizi; ma, principalmente, si serve degli Stoici, che preferisce per l'elevatezza dei loro sentimenti; e di Platone per il suo netto dualismo, in opposizione al panteismo stoico, per le elevate concezioni sulla divinità, sull'anima (Lagrange, p. 543 s.). F. non fonde, né cerca di coordinare questi vari elementi eterogenei; opinioni proprie a questo o a quel sistema, nel quale han la loro ragione di essere, spesso in contrasto fra loro, in F. coesistono, le une accanto alle altre (cf. Decal., 134), senza sostanza e senza vita; sono prese infatti (quasi semplice terminologia) per esprimere idee comuni, per illustrare un testo biblico o uno sviluppo oratorio; spesso sono semplici immagini o metafore. È pertanto invano tentare di ricostruire con esse un sistema filosofico. F. non ha un sistema; A. Stein e J. Festugière lo avvicinano a Cicerone. Due punti essenziali interessano l'esegesi: l’interpretazione allegorica e la concezione del logos. Per accostare la Bibbia alla cultura greca, nel suo sforzo di razionalizzare la Rivelazione, F. adottò il metodo allegorico, in uso tra gli Stoici per salvare dal ridicolo la mitologia classica e togliere dal politeismo il suo carattere banale. Nettuno, Apollo, e le diverse divinità erano soltanto le potenze della natura, personalità indecise, più vicine alla semplice astrazione. Tale metodo era già penetrato tra i Giudei di Alessandria; F. lo applicò in tutti i suoi numerosi scritti; venivano così eliminati antropomorfismi e ogni difficoltà letterale era superata con l'allegoria. F. crede più degno di Dio che il senso spirituale, espresso dai fatti, dalle persone, dagli stessi termini e financo nei numeri, sia dappertutto e quasi abituale (Ios. 28); e si sforza di scoprirlo scrutando le etimologie, calcolando i numeri, per i neo-pitagorici simbolo delle idee. Egli però difende il senso letterale, perché non si rinunzia al corpo quando si studia l'anima (Migr. 89; H. A. Wolfson, I, pp. 55 s. 115-64). Nella creazione di Eva (Gen. 2), secondo F., se dovessimo fermarci alla lettera avremmo un mito; ed egli ironizza sulla scelta della costola ecc.; bisogna ricorrere al senso allegorico: Adamo che è l'intelligenza emette la sensazione che è una delle sue energie: fianco infatti è una metafora per esprimere la forza. Ma con tal metodo egli sostituisce al senso storico e biblico un trattato etico - religioso, che avrà il suo interesse, ma che non ha più nulla a che vedere con la Bibbia (M. J. Lagrange, pp. 546-54). Il sistema allegorico ebbe nella Chiesa, per tutto il periodo patristico, una vera prevalenza; e principalmente in Origene si risente l'influsso determinante di F. La giusta osservazione del Lagrange avrebbe dovuto far riflettere i fautori moderni di un ritorno all'esegesi spirituale origeniana; indirizzo chiaramente ripudiato dall'Enciclica Humani Generis (12 ago 1950).

Frutto del metodo di applicare a Dio, in sé e nei suoi rapporti col mondo, la terminologia stoico-platonica, è la concezione filoniana del logos. «L'idea di Dio positiva e personale in F. è quella della Bibbia (Op. 21.23; ecc.). È il Dio del mondo, però, e non solo dei Giudei. F. lo dice *** (L. A., I, 50.53) - termine stoico - cioè senza determinazione specifica e individuale; l'anima, l'intelletto dell'universo, ma nega reciso ogni immanenza e segue Platone» (J. Festugière, pp. 535·40).

Da Dio derivano per creazione: il mondo sensibile e il mondo spirituale; gli angeli; il logos e le potenze della filosofia alessandrina. Gli angeli vengono detti potenze (De Somniis I, 127.141 s. ecc.); ma oltre l'ufficio di intermediari tra Dio e il mondo, non hanno nulla di comune con esse. Gli angeli sono persone, le potenze sono idee (Platone) e forze (Stoici); cause esemplari (Platone) ed efficienti (Stoici; Spec. I, 46-48.66.329; Op. 17 ss. ecc.); semplici astrazioni in rapporto a Dio. Gli angeli vengono detti anche servitori delle potenze (Spec. I, 66). Queste rendono possibili le relazioni di conoscenza e di religione tra Dio e l'uomo, per sé incapace di arrivare a Dio (Q. Ex. II, 68 ecc.). Il primo di questi intermediari è il logos. F. crede di trovarlo in ogni pagina della Bibbia: l'angelo di Iahweh, nelle varie teofanie (De Somniis I, 177.226 ecc.); ne è simbolo il sommo sacerdote, qual mediatore (De fuga, 108-19; ecc.).

F. intende del logos le locuzioni: il Nome, la Gloria ecc. e le speculazioni rabbiniche sulla parola di Dio (Decal. 32·36); lo dice (cf. Sap. 7, 8; Prov 8, 26) strumento di Dio nella creazione (Cher. 125-127); immagine di Dio, suo figlio primogenito (De fuga, 101.109 ecc.).
In realtà si tratta di semplici evocazioni occasionate dal testo sacro; F. adopera nella sua esegesi la terminologia alessandrina. Il logos è un ideale proiettato tra cielo e, terra, esemplare del mondo (Op., 2.4-25), rivelatore li Dio; è principio cosmico di separazione e di diversità (***), come la ragione umana è il principio logico di discriminazione (Heres, 130-40; H. A. Wolfson, I, p. 335 ss.).
A questi elementi platonici fa riscontro l'influsso stoico preponderante. Come in Crisippo, il logos è forza che sostiene il mondo, principio di determinazione, logos seminai e (Iac. cit., p. 118 s.), che tutto feconda, e agisce nel mondo come l'anima in noi (loc. cit., pp. 230·33; Fug., 110); da lui dipendono le umane sorti (Deus, 176); legge dell'universo (Op. 143), legge morale.
L'idea direttrice di così diverse immagini è la trascendenza di Dio e la necessità di un intermediario tra Dio e il mondo. Il logos, pertanto, non è Dio; ché tutto il sistema crollerebbe. Il nome di Dio datogli (Somn., I, 228-30; L. A., 11, 207 s.; Q. G., 11, 62) è solo un'esigenza esegetica; ed è attenuato a termine improprio (***). Non è una persona, ma una personalità indecisa, più vicina alla semplice astrazione O. Lebreton, pp. 209-51) (Enc. Catt. It.).
F. rimase ignorato dal Giudaismo; e nessun rapporto c'è tra i libri sacri del Nuovo Testamento e gli scritti di F., se si eccettua la dipendenza letteraria della lettera agli Ebrei (C. Spicq, in RE, 56 [1949] 542.72).
Mentre il Cristianesimo irrompeva nel mondo ellenico, alcuni tra i Padri dettero credito agli scritti di F., per la teologia sul Verbo; vi ricorsero particolarmente gli eretici.
[F. S.]

BIBL. - F. SPADAFORA, in Enc. Catt. It . V, coll. 1345-48, con ricca bibliografia; J. LEBRETON, Histoire du Dogme de la Trinité, I, 9a ed., Parigi 1927, pp. 178-251; M. J. LAGRANGE, Le Judaisme avant Jésus Christ, 2a ed., ivi 1931, pp. 542-86; H. A. WOLFSON, Philo, I-II, Cambridge 1947; A . J. FESTUGIÈRE, La révélation d'Hermès Trisméqiste, II, Le Dieu cosmique. Parigi 1949, pp. 519-85.

Autore: Mons. Francesco Spadafora
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora