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Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

Parabola


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Già nella Chiesa primitiva si chiama parabola una storia raccontata da Gesù per illustrare il suo insegnamento. Alla base del termine greco parabolè C’è l‘idea di paragone. Certo, il genio orientale predilige il discorso e l‘insegnamento sotto forma di paragone; apprezza anche l‘enigma che solletica la curiosità, che incita alla ricerca; di questi gusti, ci portano l‘eco i libri biblici, in particolare le sentenze sapienziali (Prov 10,26; 12, 4; Giud 14, 14). Tuttavia non è questo l‘essenziale, se si vuole spiegare il genere parabolico: bisogna interpretare la parola come la messa in scena di simboli, Cioè di immagini tratte da realtà terrene allo scopo di esprimere (cfr *segno) le realtà rivelate da Dio (la storia sacra, il regno...), Che il più delle volte richiedono una spiegazione in profondità.

I. SIMBOLI NELLA STORIA SACRA

1. Estensione del procedimento. - Fin dall‘inizio della sua storia, Israele si trovava dinanzi al problema di parlare, con una mentalità molto concreta, del Dio trascendente Che non ammetteva nessuna rappresentazione sensibile (Es 20, 4). Bisogna quindi evocare continuamente la vita divina partendo dalle realtà terrene Che avrebbero assunto valore di *segni. Gli antropomorfismi, così numerosi nei testi antichi, sono paragoni impliciti che Contengono in germe vere parabole (Gen 2, 7 s. 19. 21 ...). Essi saranno più rari in seguito, ma la preoccupazione di evocare sarà tanto più forte (Ez 1, 26 ss). La vita stessa dell‘uomo, nel suo aspetto morale e religioso, aveva bisogno di questi accostamenti. I profeti ne fanno uso abbondante sia nelle loro invettive (Am 4, 1; Os 4, 16; Is 5, 18 ...), sia per enunciare le promesse divine (Os 2, 20 s; Is 11, 6-9); Ger 31, 21...); nello stesso tempo amano le azioni simboliche, cioè le predicazioni mimate (Is 20, 2; Ger 19, 10; Ez 4 - 5). Vere parabole s ?incontrano anche nei libri storici per illustrare quel certo evento importante della storia sacra (Giud 9, 8-15; 2 Sam 12,14; 14, 5 ss). Il procedimento si amplifica nel tardo giudaismo sino a diventare, nei rabbini, un vero metodo pedagogico. Fatto inventato o storia del passato vengono ad appoggiare un qualsiasi insegnamento, introdotti con la formula: «A che cosa questo è simile?». Gesù si inserisce in questo movimento, avendo cura di esprimere frequentemente in forma di paragone gli elementi della sua dottrina: «A Che cosa paragonerò?» (MC 4, 30; Le 13, 18), «Il regno dei cieli è simile...» (MI 13, 24. 31). 2. Portata religiosa delle parabole. - Illustrando con le realtà concrete della vita quotidiana il loro insegnamento sul senso della storia sacra, i profeti ne fanno dei veri temi: il *pastore, il matrimonio, la *vigna, che si ritrovano nelle parabole evangeliche. L‘amore gratuito e benevolo di Dio, le reticenze del popolo nella sua risposta costituiscono la trama di questi sviluppi mediante immagini (ad es. Is 5, 1-7; Os 2; Ez 16); quantunque vi si possano pure trovare allusioni più precise ad un determinato atteggiamento di vita morale (Prov 4, 18 s; 6, 6-11; 15, 4), od anche ad una determinata situazione sociale (Giud 9,8-15). Nel vangelo la prospettiva è accentrata sulla realizzazione definitiva del regno di Dio nella persona di Gesù. Di qui il gruppo importante delle parabole del regno (soprattutto Mt 13, 1-50 par.; 20, 1-16; 21, 33 - 22, 14 par.; 24, 45 - 25, 30). 3. Parabola ed allegoria. - Capita che la storia simbolica non offra soltanto una lezione globale, ma tutti i particolari hanno un significato proprio, e richiedono un‘interpretazione speciale. La parabola diventa allora allegoria. Ciò avviene già in taluni testi del VT (ad es. Ez 17), e questo procedimento si ritrova nelle paremie del quarto vangelo (Gv 10, 1-16; 15, 1-6). Di fatto spesso le parabole presentano almeno alcuni tratti allegorici; ad esempio Gesù che parla di Dio e di Israele sotto i tratti del padrone della vigna (MI 21,33 par.). Gli evangelisti accentuano questo sarattere suggerendo già un‘interpretazione. Così Matteo allegorizza in «vostro Signore» il «Signore della Casa» di Cui parla Gesù (Mt 24,42; MC 13,35), e Luca riferisce la parabola del buon Samaritano in termini Che fanno pensare a Cristo (Le 10, 33. 35).

II. LA PRESENTAZIONE APOCALITTICA

1. Nella profezia del VT. - Per spiegare il carattere enigmatico di talune parabole evangeliche, più che agli enigmi dei sapienti (1 Re 10, 1-3; Eccli 39, 3), bisogna ricorrere alla presentazione volutamente misteriosa di scritti tardivi. A partire da Ezechiele, l‘annuncio profetico del futuro si trasforma a poco a poco in apocalisse, avvolge cioè deliberatamente il contenuto della *rivelazione in una serie di immagini che hanno bisogno di spiegazione per essere Comprese. La presenza di un «angelo-interprete» fa generalmente spiccare la profondità del messaggio e la sua difficoltà. Così l‘allegoria dell‘aquila in Ez 17, 3-10, chiamata «enigma» e «parabola» (masal), è poi spiegata dal profeta (17, 12-21). Le visioni di Zaccaria comportano un angelo-interprete (Zac 1, 9 ss; 4, 5 s...) e soprattutto le grandi visioni apocalittiche di Daniele, nelle quali si suppone sempre Che il veggente non comprenda (Dan 7, 15 s; 8, 15 s; 9; 22). Si giunge Così a uno schema tripartito: simbolo - richiesta di spiegazione - applicazione del simbolo alla realtà. 2. Nel vangelo. - Il mistero del regno e della persona di Gesù è talmente nuovo Che anch‘esso non può manifestarsi se non gradualmente, e secondo la ricettività diversa degli uditori. Perciò Gesù, nella prima parte della sua vita pubblica, raccomanda a suo riguardo il «segreto messianico», posto in Così forte rilievo da Marco (1, 34. 44; 3, 12; 5, 43 ...). Perciò pure egli ama parlare in parabole che, pur dando una prima idea della sua dottrina, obbligano a riflettere ed hanno bisogno di una spiegazione per essere perfettamente Comprese. Si perviene così a un insegnamento a due livelli, ben sottolineato da MC 4, 33-34: il ricorso a temi classici (il re, il banchetto, la vite, il pastore, le semine...) mette sulla buona strada l‘insieme degli ascoltatori; ma i discepoli hanno diritto a un approfondimento della dottrina, impartito da Gesù stesso. I loro quesiti ricordano allora gli interventi dei veggenti nelle apocalissi (MI 13, 10-13. 34 s- 36. 51; 15, 15; cfr. Dan 2, 18 ss; 7, 16). Le parabole appaiono così una specie di mediazione necessaria affinché la ragione si apra alla fede: più il Credente penetra nel *mistero rivelato, più approfondisce la comprensione delle parabole; viceversa, più l‘uomo rifiuta il messaggio di Gesù, più gli resta interdetto l‘accesso alle parabole del regno. Gli evangelisti sottolineano appunto questo fatto quando, Colpiti dalla ostinazione (*indurimento) di molti Giudei di fronte al vangelo, rappresentano Gesù Che risponde ai discepoli con una citazione di Isaia: le parabole mettono in evidenza l‘accecamento di coloro che rifiutano deliberatamente di aprirsi al messaggio di Cristo (Mt 13, 10- 15 par.). Tuttavia, accanto a queste parabole affini alle apocalissi, ce ne sono di più chiare che hanno di mira insegnamenti morali accessibili a tutti (così Le 8, 16 ss; 10, 30-37; 11, 5-8).

III. L‘INTERPRETAZIONE DELLE PARABOLE

Se ci si pone in questo contesto biblico ed orientale in cui Gesù parlava, e si tiene conto della sua volontà di insegnamento progressivo, diventa più facile interpretare le parabole. La loro materia sono i fatti umili della vita quotidiana, ma anche, e forse soprattutto, i grandi avvenimenti della storia sacra. I loro temi classici, facilmente reperibili, sono già pregni di significato per il loro sfondo di VT, al momento in cui Gesù se ne serve. Nessuna inverosimiglianza deve stupire nei racconti Composti Con libertà ed interamente ordinati all‘insegnamento; il lettore non dev ?essere urtato dall‘atteggiamento di taluni personaggi presentati per evocare un ragionamento a fortiori od a contrario (ad es. LC 6, 1-8; 18, 1-5). Ad ogni modo bisogna anzitutto mettere in luce l‘aspetto teocentrico, e più precisamente cristocentrico, della maggior parte delle parabole. Qualunque sia la misura esatta dell‘allegoria, in definitiva il personaggio centrale deve per lo più evocare il Padre Celeste (Mt 21, 28; Le 15, 11), o Cristo stesso - sia nella sua missione storica (il «seminatore» di Mt 13, 3.24.31 par.), sia nella sua gloria futura (il «ladro» di Mt 24, 43; il «padrone» di Mt 25, 14; lo «sposo» di MI 25, 1); e quando ve ne sono due, sono il Padre ed il Figlio (Mt 20, 1-16; 21, 33. 37; 22, 2). Infatti l‘amore del Padre testimoniato agli uomini con l‘invio del suo Figlio è la grande rivelazione portata da Gesù. A questo servono le parabole che mostrano il compimento perfetto che il nuovo *regno dà al disegno di Dio sul mondo.

Autore: D. Sesbouè
Fonte: Dizionario teologico biblico