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Giovedi, 18 aprile 2024 - San Galdino ( Letture di oggi)

Devozione


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I. Il termine d. denota una realtà che, percorrendo la storia umana, oscilla tra un'azione concreta, esterna e un senso morale, interiore. Nel latino classico indica l'atto con cui una persona o una cosa si consegnano a déi maligni per placarli e sovente per ottenerne un favore; si usa anche come una maledizione. Più tardi, viene usato per designare la consacrazione di un suddito al servizio del capoimperatore. In questo contesto assume un significato morale, denotando le disposizioni di una persona devota, cioè il rispetto, l'ossequio, l'attaccamento, la dedizione, la fedeltà.
Nel cristianesimo, d. designa prima di tutto gli atti rituali, liturgici secondo i quali si offre un culto a Dio, come segno del servizio dovuto al Signore. La salmodia ed il sacrificio eucaristico diventano devozioni. Ma allo stesso tempo, e non sempre in modo da poter fare una netta distinzione, d. si usa per indicare le disposizioni interiori, necessarie per poter celebrare degnamente la liturgia: l'ossequio, la fede, l'impegno, il fervore.
Contemporaneamente i cristiani, utilizzando il significato di ossequio e fedeltà offerta al re, usano il termine d. per indicare l'ossequio e l'impegno dovuto in primo luogo a Dio. Questo senso oltrepassa l'uso liturgico, inteso come atteggiamento abitualepermanente in una persona che, con fervore, prontezza e costanza, offre a Dio il suo servizio espresso in varie forme. La d., in questo senso più ampio, indica la profondità della fede, la certezza della speranza e l'ardore della carità. A volte, viene praticamente identificata con la caritàamore. In alcuni casi, la d. può richiedere il sacrificio della propria vita e nello stesso tempo può sostenere il cristiano chiamato al sacrificio. La d., infatti, unisce a Dio e alla sua volontà distaccando dagli ostacoli alla vita di fede.

II. Nel corso della storia. Nel Medioevo la preghiera personale viene considerata prolungamento della preghiera liturgica, pertanto le vengono attribuiti gli stessi atteggiamenti. Con il tempo, però, negli ambienti monastici d. indica anche il fervore dell' anima, infiammata dall'amore di Dio. Così s. Bernardo pone la d. nella linea dell'affettività. Non sorprende, quindi, che gli autori di questa scuola considerino la d. un mezzo efficacissimo per raggiungere la contemplazione.
Nella scuola francescana la d. è centrata sulla persona concreta di Gesù (s. Bonaventura). Insistendo sull'affettività, i francescani identificano la d. con gli effetti di una preghiera profonda, permeata dall'amore di Dio: il giubilo, l'eccesso di gioia, l'intensità dell'affetto, il trasporto spirituale. S. Tommaso d'Aquino, fedele ai principi della sua teologia e spiritualità, vede la d. non come un atteggiamento abituale basato sull'affettività, ma piuttosto come uno degli undici atti interiori della virtù della religione.1 Per mezzo di quest'ultima si offre a Dio ciò che gli è dovuto come Creatore. Più specificamente, il Dottore Angelico definisce la d. l'offerta pronta della volontà a Dio. Come l' adorazione offre il corpo a Dio, così la d. è il primo atto della religione e racchiude tutti gli altri, essendo la volontà la facoltà più importante da sottomettere al Signore. Tutto il resto - l'orazione, il sacrificio, - dev'essere sostenuto da questa d., che è radicalmente l'amore di Dio. Nel suo senso fondamentale, allora, la d. non denota sentimento, atti emotivi, anche se spesso è accompagnata da sentimenti di compiacenza, d'affetto, di gioia. Resta, comunque, per sua natura un atto della volontà e non può essere misurata dai sentimenti suscitati.
Poiché l'Aquinate vede la d. come la prima espressione della virtù di religione, virtù infusa da Dio, essa ha origine in Dio che la concede alla persona umana. Quest'ultima l'alimenta con la meditazione sul riconoscimento della propria miseria e della sovrabbondante misericordia e bontà di Dio. Ciò attua il distacco da ciò che impedisce l' unione con Dio, e fissa la volontà in lui. Tutte le altre virtù morali, come la giustizia, la temperanza diventano atti di culto divino.

III. Nel contesto storico spirituale la d. esprime innanzitutto l'attenzione interiore e il fervore con i quali si compiono gli atti religiosi sia pubblico liturgici, sia individuali. Denota un certo gusto, alacrità e compiacenza nei rapporti con Dio. « Fare una cosa con d. » vuol indicare un'osmosi tra l'atto esterno e le disposizioni positive, interne. In questo senso denota un culto autentico. Nella vita spirituale, la d. designa uno stato, spesso agli inizi del cammino verso la perfezione, nel quale il Signore colma la persona devota delle sue consolazioni anche sensibili, per radicarla in lui. Ma spesso tale d. sensibile, che permea tutta la persona, diminuisce man mano che si avanza nella vita interiore.
S. Giovanni della Croce sottolinea che la d. è fondamentalmente una realtà, che scaturisce dalla volontà e non dai sensi. Perciò, nel cammino verso la patria celeste, spesso le purificazioni, sia sensibili sia spirituali, comportano la scomparsa della d. sensibile. Ciò significa che lo Spirito del Signore sta purificando l'anima da un atteggiamento troppo individualista e centrato su di sé per proiettarla in lui. Allora la d. diventa amore agapico che non cerca un tornaconto personale, ma piuttosto la dedizioneimpegno nel servizio di Dio.
V. D. e devozioni. Queste ultime sono gli atti di pietà verso Dio, Gesù, la Madonna, i santi, i vari titoli che denotano un aspetto del mistero di queste realtà, o anche una situazione sacra. Esse, in genere, sono liberamente scelte e rispondono al bisogno connaturale di concretizzare l'atteggiamento interiore della d. Seguendo l'indole della persona e dei gruppi religiosi, comportano atti, compiuti con slancio e affetto, rispondenti alle diverse dimensioni dei misteri della religione cristiana. Così si hanno devozioni per la sacra umanità di Gesù Cristo, per Maria, per i santi, per il rosario e lo scapolare. Di per sé le devozioni devono rispecchiare le varie dimensioni del cultoservizio dovuto all'unico Dio. Esse corrispondono ai valori che permeano tutta la persona; sono parziali, ma in quanto collaudate dalla Chiesa, possono aiutare anche potentemente ad avviare la persona umana al servizio dell'unico Dio. In questo senso, le devozioni specifiche, specialmente quelle che raggiungono proporzioni universali, mettono in risalto le realtà fondamentali della fede e i bisogni psicologici dell'individuo e del gruppo.
La Chiesa costantemente ammonisce i fedeli contro un superficiale, quasi superstizioso moltiplicarsi delle devozioni nella vita spirituale e ne indica le caratteristiche dell'autenticità: interiorità, costanza, distacco in favore della volontà di Dio, pratica della purezza di cuore, fiducia e tenerezza. Inglobando tali atteggiamenti, le devozioni accrescono la d. e si rivelano un mezzo sicuro per giungere all' unione più profonda con Dio.

Note: 1 STh II II, q. 82.

Bibl. Aa.Vv., La religiosità popolare, valore spirituale permanente, Roma 1978, 255; E. Ancilli, Devozioni, in DES I, 741 743; E. Bertaud - A. Rayez, Dévotions, in DSAM III, 747 778; J. Châtillon, s.v., in DSAM III, 702 716; J.W. Curran. Dévotion (fondement théologique), in DSAM III, 716 727; R. Moretti, Religione e devozione, in RivVitSp 9 (1955), 151 173; Id., La devozione sensibile, in Ibid. 13 (1959), 42 62; Id., s.v., in DES I, 736 741.

Autore: R.M. Valabek
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)