Scrutatio

Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

Broeckoven Egide Van


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I. Vita e opere. Gesuita olandese, nasce il 22 dicembre 1933 ad Anversa e muore per incidente sul lavoro in un'officina metallurgica di Anderlecht (Bruxelles) il 28 dicembre 1967. Di questo prete operaio avremmo ormai dimenticato tutto se non ci avesse lasciato un Diario, cominciato nell'aprile 1958 e portato avanti fino alla vigilia della tragica morte. Infatti, nel periodo dello studentato, come nei pochi anni di sacerdozio, esteriormente in B. nulla appare straordinario. Tranne forse al direttore spirituale e al superiore religioso, con i quali B. mantiene sempre un regolare discernimento nello Spirito, a nessun confratello sono note le meraviglie che Dio va operando in lui, pur colpendo il fatto ch'egli legga, fin dal noviziato, non solo i consueti autori spirituali, ma anche Giovanni della Croce, i mistici fiamminghi Hadewych e Ruusbroec, nonché Teilhard de Chardin. Il Diario consta di ventisei quaderni su cui, dopo la morte, ha posto le mani il padre G. Neefs, direttore spirituale e confidente di B. nel periodo in cui questi matura la scelta apostolica come prete operaio. Leggendo quelle pagine, il Neefs scopre un prezioso tesoro spirituale, che va salvato dall'oblio. Nell'impossibilità di pubblicarlo tutto - per le buone ragioni addotte nella Prefazione, - egli cura una selezione dei tratti più illuminanti e di questa sintesi, in tempi record, appaiono le edizioni fiamminga, francese, tedesca, italiana, spagnola, portoghese, inglese: la maggior parte col titolo Diario dell'amicizia.

II. Esperienza mistica. Così l'oscuro prete operaio gesuita diviene il « caso B. », subito analizzato tanto dai pastoralisti, alle prese con la nuova evangelizzazione del mondo scristianizzato, quanto dagli esperti in teologia spirituale, risultando chiaro a tutti l'importanza del suo messaggio, riconducibile a questi due fuochi dell'ellisse: la mistica dell'amore e quella del servizio. Ossia: l'amore trinitario come fondamento dell'amicizia umana non vana - che, reciprocamente, ne diventa la visibilità o trasparenza - e, da questa reciprocità lo sgorgare dell'unica via efficace per la testimonianza e l'annuncio di Cristo nel mondo postcristiano: il servizio. Vediamo brevemente questi due aspetti, cominciando dalla reciprocità tra mistica e amicizia. « La mia spiritualità può essere definita in questi termini », scrive B. il 29 gennaio 1966: « Vivere Dio nel momento presente, eternamente nuovo, in cui il Padre rivolge la sua Parola a me, al mondo attuale, qui, ora, in questa situazione esistenziale concreta. Lasciare che la vita divina fluisca attraverso me verso gli altri e attraverso gli altri verso di me. Diventare io stesso messaggio d'amore di Dio: inserirmi nella storia della sua salvezza ora, in questo mondo, e con la forza dello Spirito ». Né meraviglia che il buon Dio, cui B. aderisce tanto generosamente, sia ancor più generoso con lui, anche partecipandogli esperienze squisitamente ignaziane: « Grande consolazione nel celebrare la Messa: attirato nell'intimità del Signore in maniera semplice e vera. Dopo la consacrazione: lacrime ». E prosegue registrando altre due forti esperienze del Signore, nello spazio di cinque giorni. La prima, mentre va « verso X, per risolvere ogni cosa nella carità », ecco venirgli incontro Cristo stesso, « in maniera invadente e tuttavia semplice », che gli parla e lo accompagna per tutto il cammino. L'altra, mentre va all'ospedale, per farsi medicare un pollice schiacciato in fabbrica, avverte « grande consolazione: esperienza mistica completa ». L'esperienza non solo del come, « dall'Oceano di Dio, dalla sua infinita potenza, il Figlio è venuto a me; come in un incontro personale sono stato posto in questo mondo nel Figlio, dal Figlio (...) e come vado verso il mondo per andare al Padre col mondo nel Figlio », ma anche del come « la sofferenza che passa attraverso me è redentrice. Ho sentito la Pienezza della vita fluire in me, perciò una grande forza vivere in me, in una grande pace, sapendo di trovarmi là dove mi vuole l'Amore » (Diario, p. 101).

Quando poi questa esperienza dell'Amore divino investe e transustanzia l'amicizia umana, allora - con impeto quasi lirico, non raro presso i mistici -, B. così si esprime: « L'amicizia viva e vera è una ricerca dell'amico fino alla ricerca di quella terra inesplorata che è Dio in lui, e che giunge quindi alla scoperta di Dio come terra inesplorata dell'altro. E questo l'unico mezzo per conservare costantemente all'amicizia il suo fascino ». E, dopo aver parlato del Volto che trapela in ogni volto e dell'amore totalmente altro che sostanzia ogni amore non vano, B. tratta della caratteristica principale dell'amicizia, che pure in humanis è la trasparenza divina, quale si manifesta nella reciprocità interpersonale trinitaria: « La fonte della trasparenza dell'amicizia sta nella Trinità. Mi sono rallegrato per la trasparenza delle tre Persone divine, per la reciproca loro intimità. E questa trasparenza che più d'ogni altra cosa è fonte di gioia: essa è la presenza dell'Amato in tutta l'intensità della sua irradiazione ». E dopo aver notato che « occorre un'amicizia molto profonda per gioire della trasparenza agli altri del proprio amico », ritiene d'essere chiamato a « insegnare agli uomini le profondità mistiche dell'amicizia », benché conosca la tensione del « già e non ancora »: ossia, « l'amore cristiano qui sulla terra è l'amore trinitario... benché in maniera ancora velata » (Diario, pp. 21 34).

E tuttavia, come nei veri mistici, anche in B. le esperienze luminose si frammischiano a tenebre e passaggi oscuri, come quando scrive (un po' enigmaticamente): « Avevo una perla preziosa e Dio mi disse: Gettala nell'abisso del mio cuore. Io lo feci e mi sentii un miserabile, perché non conoscevo la profondità dell'abisso di quel cuore. Questa esperienza e il mio incontro con Nostro Signore devono ispirare tutto il mio apostolato con quanti hanno perduto ogni traccia di Dio ». Ma, nonostante le prove tipiche di chi ha vissuto in quegli « ambienti dannati » - come i padri Godin e Daniel, che avevano presentato al card. Suhard il manoscritto France terre de mission (da cui nacque, a Lisieux, il seminario della Mission de France) o S. Weil, la più citata nel Diario - B. confessa: « Riposo nel bel mezzo della tempesta, su una ricaduta nel furore divino [è la traduzione di termini propri ai mistici fiamminghi]. E in questo ambiente scristianizzato e duro fino a rendervi inebetiti, che io trovo il mio clima di vita contemplativa. L'immersione in questo ambiente è per me l'immersione nella vita della Certosa e della Trappa: abbandonare tutto, rischiare tutto, vendere ogni cosa per Dio » (Diario, p. 117). E veniamo così al secondo fuoco dell'ellisse, la mistica del servizio: e non solo lavorando per gli ultimi o con i poveri, ma facendosi egli stesso uno di loro, come il Signore Gesù « che, da ricco che era... » (2 Cor 8,9).

Ma anzitutto dobbiamo chiederci perché questo gesuita, fra i tanti ministeri possibili che gli si aprivano davanti, abbia scelto di fare il prete operaio. Ecco cosa ne dice lui stesso: « Quando cerco di ricordare come mi è venuta l'idea di andare a lavorare in fabbrica, devo confessare che ciò che mi ha attirato, in un primo tempo, è stata la realtà degli scristianizzati nelle grandi città. Solamente dopo ho scoperto, tramite il padre Bellens e l'apostolato di quartiere, l'attrattiva dei poveri, della gente umile, come una preferenza squisitamente evangelica ». E la via kenotica dell'amore cristico, perché solo l'immersione divina nelle umane tenebre può salvarle dalla vanificazione. Perciò, domandandosi ulteriormente « cosa andiamo a fare laggiù », B. risponde: « Costruire il regno di Dio, portare la Buona Novella », ma non tanto col « proclamare la storia della salvezza inviata da Dio, ma essere prima di tutto noi stessi un brano di quella storia. La Chiesa deve diventare in noi realtà tangibile dell'Amore di Dio per il mondo d'oggi ». Sennonché l'unica maniera di raggiungere veramente « questa massa di povera gente, diventata estranea alla Chiesa, e la sola maniera di amarla, è diventare come uno di loro: come ha fatto Cristo che ha voluto diventare l'ultimo di tutti; altrimenti i piccoli non sarebbero mai pervenuti ad amarlo veramente. Colui che si eleva al di sopra degli altri non può essere amato veramente » (Diario, p. 123). Solo in quest'ottica possiamo non fraintendere quanto B. scrive il 6 gennaio 1960, mentre discerne tra le forme di apostolato che gli vengono proposte: « Pecca contro l'amore colui che ritiene che l'apostolato intellettuale sia l'apostolato specifico della Compagnia di Gesù. Infatti, anche un operaio (...) può benissimo esercitare l'apostolato della Compagnia » se ne ha colto la dimensione mistica profonda. Infatti, « ciò che esso ha di specifico è di essere mistico: portare Cristo agli uomini cercando, a partire dall'intimità della nostra persona, l'intimità profonda degli altri, e farlo in maniera attiva (cioè in una maniera che non sia puramente contemplativa) » (Diario, p. 24). Quindi, « mistica del servizio » tipicamente ignaziana e possibile a quanti - vivendo generosamente l'accennata tensione ellittica - diventano contemplativi nell'azione: non come lacerante attrazione verso poli opposti (immanenza trascendenza, umano divino, incarnazione escatologia), bensì come forte integrazione dell'umano nel divino e viceversa, in una reciprocità dinamica tra l'attrattiva celeste del regno e la spinta incarnazionista a realizzarne fin d'ora la prefigurazione in terra. Messo di fronte alla scelta impropriamente dilemmatica tra la Certosa o le vie del mondo, l'apostolato intellettuale o la scelta degli ultimi, B. ha trovato la pace - e la grazia a caro prezzo - scegliendo la clausura nel mondo e realizzando la più intima unione con la vita trinitaria nella più amorevole e dolorosa unione col prossimo meno amabile.

Bibl. Opere: E. van Broeckoven, Diario dell'amicizia, a cura di G. Neefs, Milano 1973. Studi: Ch. Meroz, La vie des amants de Dieu. Un témoin de notre temps, in Vie consacrée, 54 (1982), 43 49; D. Mondrone, « E. van Broeckoven. Lungo il diario di un gesuita operaio », in Id., I santi ci sono ancora, IV, Roma 1979, 237 256; G. Neefs, Portrait d'un contemplatif dans l'action: E. van Broeckoven, in Vie consacrée, 45 (1973), 193 221; Id., E. van Broeckoven: l'unification de la prière et de l'apostolat, Roma 1977, quaderni CIS, n. 25, 99 112.

Autore: P. Vanzan
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)