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Sabato, 27 aprile 2024 - Santa Zita ( Letture di oggi)

Liberazione Libertà


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«Voi certo siete stati chiamati alla libertà, o fratelli» (Gal 5, 13): è questo uno degli aspetti essenziali del vangelo della salvezza; Gesù è venuto ad «annunziare ai prigionieri la liberazione, a mettere in libertà gli oppressi» (Lc 4, 18). Il suo intervento è efficace per tutti: pagani di una volta, convinti di essere governatí dal fato, e Giudei che rifiutavano di riconoscersi schiavi (Gv 8, 33), e anche uomini di oggi che confusamente aspirano ad una liberazione definitiva. Ma C‘è libertà e libertà, e la Bibbia non ne dà nessuna definizione. Nondimeno, afferma implicitamente che l‘uomo è dotato del potere di rispondere, Con una libera scelta, alle intenzioni di Dio su di lui (I); e soprattutto, traccia la via dell‘autentica libertà; Jahve, nel VT, interviene per assicurare la liberazione del suo popolo (II); nel NT, la grazia di Cristo apporta a tutti gli uomini la libertà dei figli di Dio (III).

I. LA LIBERTÀ DELL‘UOMO

Potrebbe sembrare che taluni testi biblici disconoscano nell‘uomo l‘esistenza di una reale libertà di scelta, tanto gli autori sacri insistono sulla sovranità della volontà di Dio (Is 6, 9 s; Rom 8, 28 ss; 9, 10-21; 11, 33- 36). Ma qui occorre tener conto della tendenza, propria del pensiero semitico, a considerare direttamente la causalità divina, senza menzionare le Cause seconde, Che tuttavia non sono negate (cfr. Es 4, 21; 7,13 s: l‘indurimento del faraone); conviene d‘altra parte distinguere diversi gradi e modalità nella volontà di Dio: non allo stesso modo vuole la salvezza di tutti gli uomini (1 Tim 2, 4) o la morte eterna del peccatore impenitente (cfr. Ez 18, 23). L‘affermazione paolina della «libertà dell‘elezione divina» (Rom 9, 11) e della predestinazione (8, 29 s) non autorizza a Concludere per il carattere illusorio della libertà umana. Di fatto, tutta la tradizione biblica considera l‘uomo capace di prendere delle libere decisioni: fa costantemente appello al suo potere di scelta, e nello stesso tempo sotto linea la sua responsabilità fin dal racconto del primo peccato (Gen 2 - 3; cfr. 4, 7). È in facoltà dell‘uomo scegliere tra la benedizione e la maledizione, tra la vita e la morte (cfr. Deut 11, 26 ss; 30, 15-20), convertirsi, e questo sino al termine della sua esistenza (Ez 18, 21-28; Rom 11, 22 s; 1 Cor 9, 27). Ciascuno può impegnarsi e perseverare nella via che porta alla vita (Mt 7, 13 s). Il Siracide rigetta espressamente le scuse del fatalista: «Non dire: °È il Signore Che mi fa peccare?, perché egli non fa Ciò Che ha in orrore... Se tu vuoi, osserverai i comandamenti: il restare fedele è in tuo potere» (Eccli 15, 11. 15; cfr. Giac 1, 13 ss). E Paolo protesta Con indignazione contro i propositi blasfemi del peccatore che pretende di tacciare di ingiustizia Dio Che lo condanna giustamente (Rom 3, 5-8; 9,19 s). Gli autori sacri non hanno fatto sparire l‘apparente antinomia tra la sovranità divina e la libertà umana, ma ne hanno detto abbastanza da far capire che la grazia di Dio e la libera obbedienza dell‘uomo sono entrambe necessarie per la salvezza. Paolo lo Considera vero nella sua propria vita (Atti 22, 6-10; 1 Cor 15, 10) come in quella di ogni cristiano (Fil 2, 12 s). Il mistero sussiste ai nostri occhi, ma Dio conosce il segreto di inclinare il nostro cuore senza violentarlo e di attirarci a sé senza Costringerci (cfr. Sal 119, 36; Ez 36, 26 s; Os 2, 16 s; Gv 6, 44).

II. LA LIBERAZIONE DI ISRAELE

1. L’uscita dall’Egitto. - Un avvenimento fondamentale sta alle origini del popolo eletto: la liberazione dalla schiavitù dell‘Egitto operata da Dio (Es 1- 15). Soprattutto a questo proposito il VT usa due verbi caratteristici, il primo dei quali (ga ‘al: Es 6, 6; Sal 74, 2; 77, 16) è un termine di diritto familiare, mentre il secondo (padab: Deut 7, 8; 9, 26; Sal 78, 42) appartiene originariamente al diritto commerciale («consegnare dietro Corresponsione dell‘equivalente»). Ma i due verbi sono praticamente sinonimi quando hanno Dio come soggetto, e per lo più la versione dei LXX li ha tradotti allo stesso modo (Con lytroùstbai, spesso reso in latino Con redimere). L‘etimologia del verbo greco (lytron, «riscatto») non deve ingannare circa il suo significato: il Complesso dei testi biblici indica che la prima redenzione fu una liberazione vittoriosa e Jahve non pagò alcun riscatto agli oppressori di Israele. 2. Dio, il «G6 ‘el» d’Israele. - Dopo che le infedeltà del popolo di Dio ebbero portato alla distruzione di Gerusalemme ed all‘esilio, la liberazione dei Giudei deportati a Babilonia fu una seconda redenzione, la cui buona novella costituisce il messaggio principale di Is 40 - 55. Jahve, il santo d‘Israele, è il suo «liberatore», il suo g6 ‘el (Is 43, 14; 44, 6. 24; 47, 4; cfr. Ger 50, 34). Nell‘antico diritto ebraico, il g8 ‘el è il parente prossimo a Cui incombe il dovere di difendere i suoi, sia che si tratti di mantenere il patrimonio familiare (Lev 25, 23 ss), di liberare un «fratello» Caduto in schiavitù (Lev 25, 23 ss), di proteggere una vedova (Rut 4, 5), oppure di vendicare un parente assassinato (Num 35, 19 ss). L‘uso del titolo g6 ‘el in Is 40 - 55 suggerisce la persistenza d‘un legame di parentela tra Jahve e Israele: per l‘alleanza Contratta al tempo del primo esodo (cfr. già Es 4, 22), la nazione eletta rimane, nonostante le colpe, la sposa di Jahve (Is 50, 1). Tra le due liberazioni il parallelismo è manifesto (cfr. Is 10, 25 ss; 40, 3); Come la prima, anche la seconda è gratuita (Is 45, 13; 52, 3), e la misericordia di Dio vi è ancor più manifesta, dato che l‘esilio era il castigo dei peccatori del popolo. 3. L’attesa della liberazione definitiva. - Altre prove dovevano ancora abbattersi sul popolo eletto, che nelle tribolazioni non cesserà d‘invocare il soccorso di Dio (cfr. Sal 25 21; 44, 27), e di ricordarsi della prima redenzione, pegno sicuro e figura di tutte le altre: «Non trascurare quella porzione Che ti sei liberato dalla terra d‘Egitto» (preghiera di Mardocheo in Est 4, 17 g LXX; cfr. 1 Mac 4, 8-11). Gli ultimi secoli precedenti la venuta del Messia sono contraddistinti dall‘attesa della «liberazione definitiva» (traduzione del Targum in Is 45, 17; cfr. Ebr 9,12), e le preghiere più ufficiali del giudaismo chiedono al g6 ‘el di Israele di affrettarne il giorno. Più di un Giudeo, senza dubbio, attendeva soprattutto dal Signore la liberazione dal giogo imposto dalle nazioni alla terra santa, e forse anche i pellegrini di Emmaus pensavano che questa fosse la missione di «colui che deve liberare Israele» (Le 24, 21). Ciò non toglie che l‘élite spirituale (cfr. Lc 2, 38) potesse infondere in questa speranza un contenuto religioso più autentico, quale era già espresso nella conclusione del Sal 130, 8: «Jahve redimerà Israele da tutte le sue colpe». La vera liberazione implicava infatti la purificazione del resto chiamato a partecipare alla santità del suo Dio (cfr. Is 1, 27; 44,22; 59,20). 4. Prolungamenti personali e sociali. Su di un piano personale, la liberazione operata da Dio in favore del suo popolo si prolunga e si rinnova in certo modo nella vita di ogni fedele (cfr. 2 Sam 4, 9: «Per la vita di Jahve che mi ha liberato da ogni pericolo»), ed è questo un tema frequente della pregihera dei Salmi. Talvolta il salmista si esprime in termini generici senza specificare il pericolo. Cui è od è stato esposto (Sal 19,15; 26, 11); altre volte dice di essere alle prese con avversari Che attentano alla sua vita (Sal 55, 19; 69, 19), oppure la sua preghiera è quella di un malato grave che sarebbe morto senza l‘intervento di Dio (Sal 103, 3 s). Ma già si notano i segni precursori d‘una speranza più profondamente religiosa (cfr. Sal 31, 6; 49, 16). Sul piano sociale, la legislazione biblica è anch‘essa Contrassegnata dal ricordo della prima liberazione d‘Israele, soprattutto nella corrente deuteronomista; lo schiavo ebreo doveva essere lasciato libero il settimo anno, a ricordo di quanto Jahve aveva fatto per i suoi (Deut 15, 12-15; cfr. Ger 34, 8-22). Però la legge non era sempre rispettata, ed anche dopo il ritorno dall‘esilio Neemía dovrà insorgere Contro l‘esosità di alcuni suoi compatrioti che non esitavano a ridurre in schiavitù i loro fratelli «riscattati» (Neem 5, 1-8). E tuttavia «rimandare liberi gli oppressi e rompere ogni giogo», è una delle forme del «digiuno accetto a Jahve» (Is 58, 6).

III. LA LIBERTÀ DEI FIGLI DI DIO

1. Cristo nostro liberatore. - La liberazione d‘Israele non era Che la prefigurazíone della redenzione Cristiana. Cristo, infatti, instaura il regime della perfetta e definitiva libertà per tutti Coloro che, Giudei e pagani, aderiscono a lui nella fede e nella Carità. Paolo e Giovanni sono i principali araldi della libertà Cristiana. Il primo la proclama specialmente nella lettera ai Galati: «Affinché fossimo liberi, Cristo ci ha dato la libertà... Voi certo siete stati chiamati alla libertà, o fratelli» (Gal 5, 1- 13; cfr. 4, 26. 31; 1 Cor 7, 22; 2 Cor 3, 17). Giovanni poi insiste sul principio della vera libertà, la fede che accoglie la parola di Gesù: «la verità vi farà liberi;... se, dunque, il Figlio vi farà liberi, sarete realmente liberi» (Gv 8,32.36). 2. Natura della libertà cristiana. - Pur avendo ripercussioni sul piano sociale - la lettera a Filemone ne è una splendida prova -, la libertà cristiana sta su di un piano più alto: è accessibile agli schiavi Come agli uomini liberi, senza presupporre un cambiamento di condizione (1 Cor 7,21). Tale fatto, per il mondo greco-romano dove la libertà Civile costituiva il fondamento stesso della dignità, assumeva l‘aspetto d‘un paradosso; ma in tal modo si manifestava il valore molto più radicale della liberazione offerta da Cristo. Questa non si confonde neppure Con l‘ideale dei sapienti, stoici o altri, che mediante la riflessione e lo sforzo morale cercavano di acquistare la perfetta padronanza di sé e di stabilirsi in una imperturbabile pace interiore. Lungi dall‘essere frutto di dottrine astratte e fuori del tempo, la liberazione del Cristiano deriva da un avvenimento storico, la morte vittoriosa di Gesù, e da un contatto personale, l‘adesione a Cristo nel battesimo. La sua efficacia si manifesta in un triplice campo: riguardo al peccato, alla morte, alla legge. a) Il peccalo è il vero despota, al cui giogo Gesù Cristo Ci strappa. In Rom 1- 3, Paolo descrive quanto fosse dura la tirannia universale Che il peccato esercitava sul mondo: ma lo fa per mettere in maggior risalto la sovrabbondanza della grazia (Rom 5, 15. 20; 8, 2). Associandoci al mistero della morte e della risurrezione di Cristo, il battesimo ha posto fine al nostro servaggio (Rom 6, 6). Con questa liberazione si realizza Ciò che costituiva l‘essenza dell‘attesa del VT, qual era intesa dall‘élite d‘Israele (cfr. LC 1, 68-75). Paolo, citando Is 59, 20, secondo i LXX, ne coglie bene il carattere spirituale: «Verrà da Sion il liberatore; egli rimuoverà le empietà da Giacobbe» (Rom 11, 26). Ed in un altro passo l‘apostolo rivela ai pagani il «mistero» della loro piena partecipazione ai privilegi del popolo eletto; le meraviglie della prima liberazione si sono rinnovate per tutti noi: «Dio ci ha sottratti al potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo Figlio diletto, per il quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati» (Col 1, 13 s). b) La morte. - Comparsa immancabile del peccato (Gen 2, 17; Sap 2, 23 s; Rom 5, 12), la morte è anch‘essa vinta; ha perduto il suo pungiglione (1 Cor 15, 56). I cristiani non sono più schiavi del suo timore (Ebr 2, 14 s). A questo riguardo certo, la liberazione non sarà perfetta se non con la risurrezione gloriosa (1 Cor 15, 26. 54 s), perché ci troviamo ancora «nell‘attesa della redenzione del nostro corpo» (Rom 8, 23). Ma gli ultimi tempi sono già in qualche modo inaugurati e noi «siamo passati dalla morte alla vita» (1 Gv 3, 14; Gv 5, 24) nella misura in cui viviamo nella fede e nella Carità. e) La legge. - Per ciò stesso «non siamo più sotto la legge, ma sotto la grazia» (Rom 6, 15). Per quanto sorprendente - o per quanto banale - possa apparire tale affermazione di Paolo, non bisogna minimizzarla, se non si vuole snaturare il vangelo della salvezza annunciato dall‘apostolo. Siccome siamo morti misticamente Con Cristo, siamo ormai sottratti alla legge (Rom 7, 1-6), e non potremmo cercare nell‘osservanza di una legge esterna il principio della nostra salvezza (Gal 3, 2. 13; 4, 3 ss). Siamo sotto un regime nuovo, e la docilità allo Spirito effuso nei nostri cuori costituisce ora la norma della nostra condotta (cfr. Ger 31, 33; Ez 36, 27; Rom 5, 5; 8, 9. 14; 2 Cor 3, 3. 6). È vero che Paolo parla anche di una «legge di Cristo» (Gal 6, 2; cfr. 1 Cor 9, 21), però questa legge è compendiata nell‘amore (Rom 13, 8 ss), e, sotto la mozione dello Spirito, adempiamo ad essa spontaneamente, perché «dov ?è lo Spirito del Signore, 11 è la libertà» (2 Cor 3, 17). 3. L’esercizio della libertà cristiana. a) Libero, il cristiano è pieno d‘una fiducia audace, d‘una fierezza chiamata nel NT parresìa. Tale parola tipicamente greca (letteralmente: libertà di dire tutto) designa proprio un atteggiamento caratteristico del Cristiano e più ancora dell‘apostolo: di fronte a Dio, un Comportamento di figlio (cfr. Ef 3,12; Ebr 3,6; 4,16; 1 Gv 2,28; 3,21), poiché nel battesimo si riceve tino «spirito di figlio adottivo» e non uno «spirito di schiavo» (Rom 8, 14-17) e, d‘altra parte, di fronte agli uomini, un grande ardire nell‘annunciare il messaggio (Atti 2, 29; 4, 13; ecc.). b) La libertà non è licenza o libertinaggio. - «Voi Certo siete stati chiamati alla libertà, o fratelli; soltanto non invocate la libertà quale pretesto per una condotta carnale» (Gal 5, 13). Fin dagli inizi gli apostoli do vettero denunciare alcune Contraffazioni della libertà cristiana (cfr. 1 Piet 2, 16; 2 Piet 2, 19), e sembra Che il pericolo fosse particolarmente grave nella Comunità di Corinto. Gli gnostici della città avevano forse adottato come programma una formula paolina, «tutto mi è permesso», falsandone però il senso, e Paolo fu Costretto a rettificare: il cristiano non può dimenticare di appartenere al Signore e di essere destinato alla risurrezione (1 Cor 6, 12 ss). C) Il primato della carità. - «Tutto è permesso, ma non tutto edifica», precisa ancora l‘apostolo (1 Cor 10, 23); la nostra coscienza può chiederci di rinunziare anche ad un nostro diritto, se il bene di un confratello lo richiede (1 Cor 8 - 10; Rom 14). A dir il vero, non si tratta di un limite imposto alla libertà, ma di un modo più alto di esercitarla. I cristiani, affrancati dall‘antica schiavitù e fatti servi di Dio (Rom 6), si metteranno «mediante la carità al servizio gli uni degli altri» (Gal 5, 13), come lo Spirito Santo li guida (Gal 5, 16-26). Facendosi il servo, e quasi lo schiavo dei suoi fratelli (cfr. 1 Cor 9, 19), Paolo non Cessava di essere libero, ma era imitatore di Cristo (cfr. 1 Cor 11, 1), il Figlio che si fece servo. risurrezione di Cristo, il battesimo ha posto fine al nostro servaggio (Rom 6, 6). Con questa liberazione si realizza Ciò che costituiva l‘essenza dell‘attesa del VT, qual era intesa dall‘élite

Autore: L. Roy
Fonte: Dizionario teologico biblico