Scrutatio

Martedi, 16 aprile 2024 - Santa Bernadette Soubirous ( Letture di oggi)

Adorazione


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I. Il termine a. esprime rispetto, riconoscenza, sudditanza, venerazione, timore riverenziale verso una personauna realtà considerata superiore alla persona adorante. Molto spesso, ma non unicamente, il termine si usa per designare l'atteggiamento fondamentale di una creatura verso il suo Creatore, quindi, spontaneamente è riservato ai rapporti dell'uomo con Dio. Come di solito, anche in questo caso, la parola etimologicamente deriva da un gesto concreto, estrinsecato, che dimostra il rapporto: ad os dei romani si riferiva al gesto secolare di portare le dita alle labbra e poi mandare con le stesse dita un saluto o un bacio alla persona venerata. Gesti di a. sono molto diversificati nelle varie culture. Il gesto esterno di a. può essere l'inginocchiarsi, il prostrarsi, il chinare il capo, il baciare il suolo, o anche fare danze rituali, sacrifici propiziatori.
La parte esteriore, però, era sempre in funzione di un'altra più importante, quella interiore. Fondamentalmente, l'a. è l'atto per il quale la persona tutta intera, corpo ed anima, riconosce la sua dipendenza totale da Dio. Davanti all'immensità, alla grandezza, alla santità incomparabile di Dio, la creatura umana non può che manifestare la propria pochezza e la riconoscenza per tutti i benefici ricevuti dal suo Creatore. Dalle radici dell'essere umano sorge il bisogno di riconoscere, apprezzare, usare bene tutti i doni ricevuti, offrendoli in modo integrale a Dio dimostrandogli la propria riverenza e il proprio amore.
L'a. allora viene inclusa nella categoria di culto denominato latria, quel culto cioè che spetta a Dio solo e a nessun altro, come viene ribadito nel primo comandamento del Decalogo. Tale culto è specificamente diverso dalla venerazione mostrata ad altri come, ad esempio, ai santi; la venerazione per questi comunemente si denomina dulia. La venerazione particolare per la Vergine Maria si chiama iperdulia. L'Eucaristia è un atto di culto divino che perpetua il sacrificio perenne di Cristo Gesù al Padre in favore degli uomini. Quando l'Eucaristia si celebra in onore di qualche santo, è sempre il Padre colui al quale tutta la gloria e tutto l'amore sono offerti, per mezzo di Cristo Gesù, il quale, anche nelle sue membra, ha fatto dono perenne di sé a Dio e continua a farlo nella liturgia celeste.
L'a., dunque, è riservata a Dio e, per i seguaci di Cristo, alle tre Persone della SS.ma Trinità. Detta a. si estende alla persona di Gesù Cristo e anche alla sua natura umana. Perennemente la Chiesa ha rivendicato questa verità: poiché la natura umana di Gesù esiste semplicemente per sussistenza eterna del Verbo, la seconda Persona della SS.ma Trinità, in quella mirabile unione che si chiama ipostatica, per la sua stessa natura richiede che la identica a. si offra alla natura divina e a quella umana del Cristo. Questo è uno degli argomenti più validi della Chiesa per ribadire la immutata divinità della persona del Verbo incarnato: se l'umanità di Gesù non fosse ipostaticamente unita al Verbo, allora saremmo idolatri quando adoriamo il Bambino Gesù nel presepio, o Gesù crocifisso. Invece, la Chiesa ha sempre insistito sul fatto che l'a. latreutica fosse estesa a tutti gli stati della vita umana di Gesù, alla sua reale presenza sotto le specie eucaristiche, e persino alla croce di Gesù.

II. Nella liturgia. L'a. è una parte essenziale della liturgia. L'assemblea dei fedeli non si raduna solo per ricevere l'abbondanza dei benefici divini (movimento discendente), ma anche per offrire a Dio il culto e l'amore a lui dovuti (movimento ascendente). In nessun momento, i fedeli radunati intorno alla mensa del Signore possono dare testimonianza più evidente della loro appartenenza a Cristo: per Cristo, con Cristo, in Cristo, nell'unità dello Spirito Santo offrono l'unico sacrificio della nuova alleanza nel quale sono contenuti tutto l'onore e tutta la gloria dovuti a Dio. Sono aiutati ad entrare in questo spirito con preghiere, canti, gesti, funzioni che sottolineano l'offerta di ogni singolo e di tutta l'assemblea, fatta con cuore contrito, umile, confessando la propria piccolezza, ma con lo stesso cuore esultante di gioia, riverenza, devozione, gratitudine, dono di sé davanti all'inestimabile dono che Dio concede nel suo Figlio e in lui di tutte le altre cose.
Poiché i salmi testimoniano questa realtà, spesso vengono usati nella liturgia. Nel Gloria l'assemblea esulta pur nella sua indegnità; in Cristo e per lui rende grazie a Dio per la sua immensa gloria. Per incarnare l'atteggiamento di a. la Chiesa, saggiamente, raccomanda, se si canta durante la celebrazione eucaristica, di non tralasciare il « Santo » a conclusione del Prefazio nel quale sono indicate le ragioni particolari della lode e dell'a. Il canto del « Santo » intende unificare tutta l'assemblea in un atto di riconoscenza a Dio. La dossologia maggiore, che conclude la preghiera eucaristica, intende appunto riconoscere la gloriosa opera della redenzione e santificazione, che si può apprezzare soltanto se si è presi d'ammirazione e da umile riconoscenza e da un'a. mistica. I diversi spazi di silenzio previsti dalla liturgia completano l'intensa a. dovuta a Dio per se stesso e per i benefici abbondantemente elargiti.
La Liturgia delle Ore è particolarmente ricca di elementi che conducono all'a. o suscitano nei partecipanti i sentimenti che sono alla base di essa. Il salmo invitatorio, che cerca di dare il tono di tutta l'ufficiatura, è esplicito nell'appello all'a. S. Maria Maddalena de' Pazzi cadeva in a. profonda ogni volta che si cantava il Gloria Patri alla fine di ogni salmo. S. Teresa Margherita Redi era rapita durante la proclamazione liturgica: « Dio è amore ». Oggi, la Liturgia delle Ore ha come scopo principale l'estendere ai momenti della nostra giornata l'inno di benedizione, di lode, di a. a Dio che riempie tutta la nostra vita.

III. Nella vita cristiana. Nella vita dei santi si nota un approfondimento del senso dell'a. corrispondente alla loro ascesa spirituale. Più l'uomo si avvicina al Signore e più intenso diventa il suo rapporto, più radicale, vivo e necessario è il bisogno dell'a. Quando più si apprezzano le meraviglie del Signore, nella sua vita intratrinitaria, nella sua perfezione, nelle missioni divine in nostro favore, nel suo intervento nel creato, nella sua provvidenza, nella salvezza offertaci, più si sente il bisogno di adorare un così grande Amante e Benefattore degli uomini. Per offrire un solo esempio di una vita santa permeata da un senso di a., basti citare la beata Elisabetta della Trinità. Nella sua celebre elevazione alla Trinità, ella esprime il senso autenticamente cattolico dell'a. Già le prime parole lo ribadiscono: « Mio Dio, Trinità che adoro ». Per Elisabetta Dio Trinità non è un problema, perché le tre Persone divine sono perennemente inserite nelle vicende storiche degli uomini. Davanti ai suoi « Tre », ella nutre prima sentimenti di a., poi di riparazione e di petizione. Conoscere Dio in spirito e verità significa adorarlo, lodarlo, onorarlo per ciò che egli è in se stesso. La sua bontà si apprezza ancora di più quando si vede rispecchiata nelle creature: « L'a. mi sembra che si possa definire l'estasi dell'amore. E l'amore suscitato dalla bellezza, dalla forza, dalla grandezza immensa » di Dio.1 E Gesù che prima di tutto adora in spirito e verità; è lui che ci insegna l'autentica a. L'a. non è un atto studiato, formalistico, di fronte al mistero; piuttosto è l'atteggiamento che spontaneamente deriva dall'apprezzamento della « troppo grande » agape di Dio nei nostri riguardi. Anche nella sofferenza atroce, l'immensa agape di Dio rende l'anima ancora più convinta del bisogno dell'a. Il Regno di Dio è dentro di noi; esso è espressione del grande amore di Dio verso di noi. La vocazione cristiana consiste, pertanto, nel ringraziare, lodare, adorare un amore così gratuito e fedele.
L'a. è un valore costante nell'ascesa verso la perfezione cristiana. Sottolinea il fatto fondamentale che ogni realtà autentica è un dono gratuito dall'alto. Espressa con diverse sfumature secondo i diversi approcci alla santità, l'a. è anche una caratteristica comune che evidenzia una via autentica della sequela di Cristo. I benedettini la incarnano nella celebrazione liturgica; i francescani danno voce di a. a tutte le creature di Dio; i domenicani danno corpo all'a. sia negli uffici divini sia nell'ossequio della mente umana; i gesuiti adorano cercando di dare gloria a Dio in tutte le cose; la scuola francese adora immedesimandosi con gli stati d'animo di Gesù. Queste sfumature pongono in risalto la ricchezza dell'a. cristiana, che si realizza in una persona estasiata dall'immensa bontà e grandezza di Dio, doni che egli offre ai suoi amici con gesti di un amore troppo grande per essere apprezzato debitamente, e al quale la persona risponde con gesti e con atteggiamenti interiori di riconoscenza, di lode, di sottomissione, di amore riverenziale. In ultima analisi, la Chiesa esprime, attraverso l'a., quel recondito desiderio di intimità con il Salvatore che ne caratterizza la vita più vera.2

Note: 1 Ultimo ritiro, 8o giorno; 2 Cf Pio XII, Mediator Dei, n. 109.

Bibl. D.P. Auvray, L'adoration, Paris 1973; G. Bove, s.v., in DTE, 17?18; I. Hausherr, Adorer le Père en esprit et en verité, Paris 1967; A. Molien, s.v., in DSAM I, 210?222; R. Moretti, s.v., in DES I, 28?32; B. Neunheuser, s.v., in NCE I, 141?142.

Autore: R.M. Valabek
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)