Scrutatio

Mercoledi, 24 aprile 2024 - San Fedele da Sigmaringen ( Letture di oggi)

Accidia


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I. Nozione. Comunemente considerata uno dei sette peccati capitali,1 l'a. è vista dagli autori spirituali come una noia e uno scoraggiamento che abbraccia l'anima rendendola incapace di compiere i doveri per i quali invece dovrebbe essere libera.2 Si tratta di una specie di disgusto per lo spirituale a causa degli sforzi fisici richiesti per svolgere con gioia i doveri della vita cristiana.3 E l'indolenza per le cose dello spirito, l'inerzia nell'opporsi al grave peso delle cose terrene e nell'elevarsi al divino.4 Già nella letteratura pagana l'a. ha una lunga storia. Etimologicamente non deriva dal latino acidus, ma piuttosto dal greco a?kedos, o anche acudia, comunque, con il significato di non cura, negligenza, indolenza. E negli autori pagani (come Cicerone 5 ad esempio) può significare anche tristezza e noia.6

II. Nella tradizione ecclesiale. Nei LXX appare diverse volte con il senso generale di trascuratezza e indifferenza (cf Sal 118,28; Sir 29,5; Is 61,3) 7. Ma è anche usata per significare una certa indolenza dell'uomo nei rapporti con Dio (Sir 2,12).8 Il Pastore di Erma l'applica nel senso di noncuranza a fare il bene e a praticare la religione.9 Nonostante le sue possibili origini stoiche,10 la psicologia della tentazione ha ricevuto ampia attenzione dai Padri del deserto del sec. IV i quali l'hanno discussa nel contesto di altri pensieri cattivi come il daemon meridianus (cf Sal 90,6).11

Sembra che fosse Evagrio Pontico il primo ad aver descritto l'a. nel 383,12 basandosi piuttosto sull'esperienza. La solitudine dell'eremitaggio nel deserto, un corpo straziato dal digiuno e una mente affaticata da lunghe preghiere erano considerati i fattori che avrebbero potuto causare la noia o la febbrile attività esteriore che si chiamava a. Nell'elenco delle otto tentazioni principali dei monaci, l'a. occupa il posto tra tristezza e vanagloria. E stato Giovanni Cassiano a descrivere le caratteristiche dell'a. all'Occidente definendola un' ansia oppure un tedio del cuore13 che fa l'uomo sedentario ed inabile a qualsiasi opera entro i muri del monastero, lo rende ozioso e vacuo per ogni esercizio spirituale, cosicché il monaco accidioso non è mai soddisfatto né delle sue occupazioni, né del suo monastero; i suoi doveri inoltre lo stancano, i suoi lavori lo annoiano per cui egli vorrebbe cambiare posto e impiego.14 Antiochio di San Saba (inizio VII sec.), alla descrizione di Cassiano, aggiunge che l'a. rende il monaco incapace di interessarsi a qualsiasi cosa eccetto ai pasti che attende con grande impazienza, sprecando il suo tempo in inutili chiacchiere, sfogliando il libro che dovrebbe invece studiare, e senza far attenzione ai saggi consigli che lo stesso libro contiene.15

Secondo la spiritualità orientale, perciò, l'a. è l'eterna compagna del monaco solitario e non lo lascerà prima della morte e tutti i giorni il monaco dovrebbe combatterla.16

Ma anche nella spiritualità occidentale esiste una letteratura grazie a Gregorio Magno che ne parla prima come di una tentazione, poi come di un vizio e, infine, come di un vizio tentatore. Questo in quanto il cuore, perduto il bene della gioia interiore, va in cerca delle consolazioni esterne.17 Per questa mancanza della gioia interna sembra che s. Gregorio identifichi l'a. con la tristezza.18 Comunque, è grazie alla tradizione pastorale gregoriana che l'a. è stata tolta dal suo contesto tradizionale, come un vizio riservato ai monaci, vedendola invece come un malessere interiore (possibile in tutti) che si esprime come indolenza a svolgere i propri doveri religiosi.19 Tommaso d'Aquino, infine, conosce la tradizione sia di Cassiano sia di Gregorio e preferisce l'identificazione di a. con tristezza. Infatti, la definisce come « il tedio di operare bene e la tristezza prodotta dalle cose spirituali ».20 Praticamente, l'uomo accidioso invece di trovare gioia nelle cose spirituali, incontra tristezza e disgusto, che appesantiscono l'anima e rendono la vita spirituale depressa e indolente. Per Tommaso, l'a. si oppone alla gioia della carità e della bontà e questo può renderla materia di peccato grave.21 L'a. è chiamata peccato capitale in quanto genera altri peccati: malizia, rancore, pusillanimità, disperazione, torpore per i precetti, distrazioni cattive.22 III. A. e vita spirituale. La maggioranza dei commentatori è rimasta fedele alla sintesi tomistica, però c'è stata nella letteratura una tendenza a confondere l'a. con uno dei suoi effetti esterni, cioè la pigrizia. Alcuni, rifacendosi a s. Giovanni della Croce,23 hanno tentato di « battezzare » l'a. rendendola una specie di peccato riservato ad un'élite spirituale, mentre si tratta di una difficoltà spirituale abbastanza comune,24 che trova diverse forme di espressione.

La pratica della vita spirituale è già abbastanza difficile. Se allo stress della vita cristiana si aggiungono le tantissime forme di evasione che il mondo offre cercando di riempire il « mercato » del tempo libero, con il mondo informatico, televisivo, ecc., magari si potrebbe rivedere tutto questo discorso in una chiave totalmente nuova ma sempre con le stesse caratteristiche offerte dalla storia.

Note: 1 Prescindiamo qui dalla discussione sui peccati capitali, ritenuti sette in Occidente ma otto in Oriente, cf S. Nilo, De octo vitiis: PG 79, 1145; 2 Cf C. Bardy, s.v., in DSAM I, 166?169; 3 U. Voll, s.v., in New Catholic Encyclopedia I, Washington 1967, 83ss.; 4 B. Häring, La Legge di Cristo I, Brescia 1957, 386; 5 Cicerone, Ad Atticum, 12, 45, 1; 6 B. Honings, s.v., in DES I, Roma 1975, 14; 7 G. Bardy, a.c., 166; 8 B. Honings, a.c., 15; 9 Pastore di Erma, In Visione, III, 11, 3; 10 U. Voll, a.c., 83; 11 Ibid.; 12 Evagrio Pontico, De octo vitiosis cogitationibus: PG 40, 1274; 13 S. Giovanni Cassiano, De spiritu acediae, Conferenze, 10, in Id., De coenoborium institutionibus: PL, 49, 359?369 e 203, 611; 14 Ibid., 365?367; cf B. Honings, a.c., 15 e G. Bardy, a.c., 167; 15 Antiochio di San Saba, Homilia 26: PG 89, 1513?1516; 16 S. Giovanni Climaco, Scala del paradiso, Gradino XIII: PG 88, 860; 17 S. Gregorio Magno, Commentario su Giobbe, in Moralia 31.45: PL 76; 18 B. Honings, a.c., 15. Alcuni pensano anche che s. Gregorio abbia omesso totalmente l'a. dal suo elenco di peccati principali, inserendovi invece la tristezza, cf U. Voll, a.c., 83. Comunque diversi successori di s. Gregorio preferiscono parlare di a., per esempio: Ugo di San Vittore, De sacramentis, 11, 13,1: PL 176,525; 19 Cf, per esempio: Rabano Mauro, De ecclesiastica disciplina: PL 112, 1251?1253; Jonas Di Orleans, De institutione laicali: PL, 102, 245?246; Alcuino, Liber de virtutibus, c. 32: PL, 101, 635; S. Antonino, Summa theologiae moralis, 2: PL 10, 933?938; 20 S. Tommaso d'Aquino, STh I, 63, 2 ad 2; 21 Ibid. II?II, 35, 3, 2; ecc.; 22 Ibid. II?II, 35, 4, 2, 3. Vedi anche S. Gregorio Magno, Moralia, 31, 87: PL 76, 621. Cassiano poi enumerava: pigrizia, sonnolenza, molestia, inquietudine, distrazione mentale, instabilità della mente e del corpo, loquacità, curiosità: Collationes, 5, 16: PL, 49, 634. Vedi anche l'esposizione di S. Isidoro, In Deuteronomio: PL 83, 366; 23 S. Giovanni della Croce, La notte oscura I, 7; 24 U. Voll, a.c., 84.

Bibl. G. Bardy, s.v., in DSAM I, 166?169; M. Cano, Victory over Self, in Cross and Crown, 8 (1956), 149?153; I. Colosio, Come nasce l'accidia, in RAM 2 (1958), 266?287; Id., I sofismi dell'accidia, in Ibid., 495?511; F. Cunningham, The Christian Life, Dubuque 1959, 242., 185; A. Lipari, s.v., in DES I, 15?17; J. Mac Avoy, Endurcissement, in DSAM IV1, 642?652; H. Martin, Dégoût spirituel, in DSAM III, 99?104; T. Spidlík, La spiritualità dell'Oriente cristiano, Cinisello Balsamo (MI) 1995, 238?239.

Autore: M. Attard
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)