Scrutatio

Sabato, 20 aprile 2024 - Beata Chiara Bosatta ( Letture di oggi)

Abitudine


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I. Il termine. A. è una parola derivata dal greco exis e dal latino habitus.

1 Indica un'inclinazione costante a fare o ad operare in un modo determinato. Aristotele ( 322 a.C.) la intende come « disposizione », « tendenza », « inclinazione » o « atteggiamento ». In forma più precisa, indica un « processo costante nello stesso agire, un'organizzazione di comportamento » (G.G. Pesenti). Di conseguenza, un'azione « abituale » richiede minore attenzione e volontà di altre serie di azioni; comporta maggiore sicurezza e prontezza nell'esecuzione dell'azione.
Gli scolastici intendevano la nozione di a. come qualità. Tommaso d'Aquino, il primo teologo che rifletté su di essa, la definì « una qualità, per se stessa stabile e difficile da rimuovere, che ha il fine di assistere l'operazione di una facoltà e facilitare tale operazione ». 2 La scolastica distingue tra « abiti naturali » - acquisiti dalla persona e frutto della libertà - e « abiti soprannaturali » o infusi provenienti della grazia divina, veri e stabili. I secondi non annullano i primi, ma si completano a vicenda. A loro volta, gli abiti naturali possono essere « intellettuali », se facilitano allo spirito le operazioni concettuali essenziali, o « morali », se sostengono i principi fondamentali del comportamento.
Così, dunque, l'origine di abito trova il suo fondamento nel desiderio di raggiungere un fine che soddisfa, nell'interesse della persona, ciascuna delle sue dimensioni. Un comportamento « abituale » può vedersi motivato da un'esigenza, una tendenza, un proposito, un piacere, un'esperienza, un sentimento..., che viene riconosciuto dalla persona come un valore di interesse duraturo e di possibile acquisizione; richiede uno sforzo per cominciare, continuare e raggiungere ciò che si desidera, insomma coscienza e maturità. I segni che indicano la presenza dell'a. sono: la facilità nella realizzazione dell'atto, la periodicità costante dell'atto, il piacere che deriva dall'azione realizzata, la resistenza a stimoli contrari ed il rifiuto di quelle attività che non sono implicite nell'a.

II. Nell'educazione degli individui, l'a. assume, pertanto, una grande importanza. Si tratta di un'inclinazione che coinvolge più la persona che i suoi costumi, anche quando le due azioni richiedono ripetizione e libertà. Si può parlare di « abitudini » positive e di « abitudini » negative; attraverso l'a. positiva si possono dominare le tendenze e le passioni, annullare le spinte negative, sviluppare positivamente le immense risorse della psiche umana, per un tempo e una forma duratura; al contrario, l'a. può peggiorare i difetti congeniti in forme quasi incorregibili. In ambedue le alternative, la persona impegnata nell'acquisire un'a. è chiamata a collaborare per fissare i valori e a superare le mete raggiunte.
Parimenti, si può parlare di a. e « disposizioni » allo stesso tempo. La prima dura più della seconda. L'a. è un possesso permanente, mentre la disposizione è transitoria. Si può parlare di a. come automatismo nella condotta? Gli studiosi del comportamento umano dicono di no. Il motivo che adducono è il seguente: l'« automatismo » si differenzia dall'a. perché nell'ultimo è presente la coscienza individuale, nel primo no. Per questo motivo, la responsabilità dell'a. è proporzionale alla maggiore o minore coscienza avuta durante la propria formazione nella scoperta della sua presenza e finalità etica nonché nelle implicanze che comporta nella vita.

III. Quando si parla della finalità dell'a., se ne può scoprire la presenza anche nella spiritualità cristiana. La si può considerare una « legge di grazia ». L'a. infusa, in quanto esperienza di Dio che si trasforma in struttura solida per la crescita e lo sviluppo della vita cristiana, garantendo la maturazione nell'itinerario della fede, è un mezzo per superare la « mediocrità », intesa come l'atteggiamento vitale di chi ha rinunciato a vivere fino in fondo e lo fa instintivamente. Il mediocre rinuncia all'esigenza del più, senza assumere rischi compromettenti. Sul piano spirituale, la mediocrità si esprime come « tiepidezza », « insensibilità », « routine », « superficialità » (I. Garrido). L'a., orientando alla crescita spirituale, annulla tutte queste forme di mediocrità.

Il cristiano deve prendere sul serio il suo essere e il suo vivere in Cristo perché la fede lo spinge ad inserirsi in un processo complesso che dev'essere preso in considerazione. La vita spirituale richiede dinamismo e impegno personale per superare l'automatismo e l'inerzia che « arrestano » la crescita della fede. Questo processo dev'essere vissuto in modo tale che l'esperienza della identità cristiana giunga ad essere l'esperienza religiosa fondante della persona e della vita del credente. È fondante perché in quest'esperienza trovano il loro fondamento la nuova visione di sé, il nuovo senso della vita, i nuovi valori e il nuovo comportamento (S. Gamarra). Dice lo stesso autore: « Nel momento in cui il vivere l'identità cristiana giunge ad essere esperienza religiosa fondante si scoprono alcune funzioni concrete. Oltre alla funzione dinamizzante e stimolante - per la capacità che apporta di superamento davanti alle difficoltà e di non retrocessione dinanzi al nuovo - le si riconosce una funzione che integra e struttura la persona. Questa vita dell'essere cristiano, con i nuovi valori che comporta e con la nuova situazione dell'affettività e della libertà che implica l'essere totalizzante, va strutturando il processo della vita, della persona ».3 Questa raggiunge la maturità spirituale quando consegue la pienezza di vita nel Cristo e quando questi diventa il centro aggregante della sua personalità, dando unità ai suoi pensieri, affetti, desideri ed azioni.

Questo processo di grazia, che implica un'esperienza pasquale e profondamente contemplativa, è segnata da « incontri » con Dio che ravvivano l'esperienza prima e continuano ad essere momenti forti nel corso di tutta la vita, perché sempre implicano una sorprendente novità. È su questo punto che possiamo segnalare la presenza di certi « abiti », in positivo, che possono dinamizzare lo sviluppo della vita spirituale mantenendo, asceticamente, lo sforzo e la costanza necessaria. Di qui la relazione tra un'azione abituale e l'ascesi (come si manifesta nel NT: cf Rm 6,13; 13,12; Ef 6,11?12; 1 Ts 5,8 e nella storia della spiritualità) manifestata nella rottura che suppone l'opzione per Gesú, nell'accettazione della kenosis, nel cambiamento radicale del senso della vita secondo i valori del Vangelo, nella continua fedeltà a Cristo nella Chiesa e ai fratelli nel mondo, in un ambiente estraneo e contrario ad essi. « L'uomo non nasce compiuto. Sta anche a lui il farsi. E questo suppone dirigere il potenziale vitale che possiede verso un obiettivo o mete concrete. Perciò, sono necessarie decisioni ferme, non ambigue, che includono il «sì» e il «no» nella vita e in forma permanente » (S. Gamarra). L'ascesi è un mezzo utile in quanto aiuta a conseguire l'obiettivo desiderato, facilitando lo stabilizzarsi dell'« a. ». Non è un fine in se stesso. Nel rinnovamento dell'uomo spirituale influisce lo sforzo personale, ma come frutto dell'azione dello Spirito e dell'efficacia della grazia. Senza dimenticare che « ogni crescita della grazia e delle virtù è opera diretta ed esclusiva di Dio », occorre segnalare che « nel piano di disposizione, merito e collaborazione, la libertà umana ha campo aperto verso la generosità e il rischio (...). Il battesimo realizza la trasformazione, ma esige anche tutta un'esistenza dedita a verificare questa vita nuova infusa come dono gratuito (...). Lo sforzo significa collaborazione e pone in evidenza la forza della grazia divina, capace di suscitare vita e movimento nell'uomo peccatore (...). È il momento di ricuperare l'equilibrio dell'esperienza cristiana: chiamata libera di Dio e sequela personale ordinata » (F. Ruiz).

Note: 1 Cf per uno studio etimologico più completo la voce Habitude et habitus in DSAM VII, 2?11; 2 STh. I?II, q. 49 a. 2, ad 3; S. Gamarra, Teología espiritual, Madrid 1994, 257.

Bibl. N. Abbagnano, s.v., in Dizionario di filosofia, Torino 1960; J. Ferrater Mora, Diccionario di filosofia, t. II, Madrid 1981; S. Gamarra, Teología espiritual, Madrid 1994; J. Garrido, Adulto y cristiano, Santander 1989; P. Guillaume, La formazione delle abitudini, Roma 1970; V. Marcozzi, Ascesi e psiche, Brescia 1963; S. Pinckaers, s.v., in DSAM VII, 2?11; G.G. Pesenti, s.v., in DES I, 7?10; F. Ruiz, Caminos del Espíritu, Madrid 1988; A. Vergote, Psicologia religiosa, Roma 1967.

Autore: F. Daza Valverde
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)