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Martedi, 16 aprile 2024 - Santa Bernadette Soubirous ( Letture di oggi)

Dio


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1. Esistenza .- Nel Vecchio Testamento s'ignorano gli atei teorici: Dio è una realtà che s'impone. Esistono soltanto gli atei pratici (Ps. 14 [13], l; 53 [52], 2): uomini che, pur riconoscendo Dio, agiscono nel completo disprezzo della divina legge (Ps. 10, 4; Sap. 2, 1-23). Sono perciò degli stolti cioè dei degenerati nella mente e nei costumi (Iob. 2, 10; Ps. 10, 4·11; 73 [72], 6-9; 94 [93] 3-7).
Non viene dimostrata l'esistenza di Dio, bensì, per necessità polemica, la superiorità del Dio degli Ebrei nei confronti delle divinità straniere: a tale scopo s'insiste sulla bontà, sapienza e potenza di Dio rivelantisi nelle descrizioni cosmiche (Iob. 38-41; Ier. 10, 11-15; 14, 22), nella storia del popolo eletto (esodo dall'Egitto: Ex. 12, 12; Deut. 4, 35-39; ritorno da Babilonia: Is. 42, 13·16; 46, 1), nelle predizioni di eventi futuri (Is. 41, 21-29; 44, 7; 45, 21) e viene focalizzata l'impotenza degli idoli (Hab. 2, 18 s.; Ier. 10, 3 ss. 9; 14, 22; Is. 40, 18-20; Sap. 13-15).
Il problema dell'esistenza di Dio viene proposto soltanto dalla Sapienza (13, 1-15) e risolto col principio di causalità. L'uomo, dal creato, può con le sue facoltà naturali avere una conoscenza chiara e necessitante al culto (ed è colpevole, se la trascura) di un Dio personale. Lo stesso insegna s. Paolo (Rom. l, 18 ss.).

2. Natura. Dio è per l'uomo assolutamente incomprensibile (Is. 40, 28; Ps. 145 [144], 3; soprattutto Iob 37, 123; 11, 7-9); anche a Mosè, il più grande dei profeti del V. T., cui Dio parlò "faccia a faccia", come persona ad amico (Ex. 33, 11; cf. Num. 12, 7.8; Deut. 34, 10) fu rifiutata la contemplazione della gloria divina, vivamente bramata (Ex. 33, 18-23; 34, 5- 10).

3. Nomi divini. - Nella mentalità dei semiti il nome non è un semplice appellativo, ma l'elemento più tipico e inconfondibile della personalità. Ogni essere esiste positivamente ed è autonomo in quanto ha un nome. Dal nome dato a Dio ben si argomenta l'idea che si aveva di Lui.

'El. Nome primitivo, comune della divinità (= numen presso i latini) o personale e proprio dell'Essere supremo, presso tutti gli antichi Semiti : ebraico e aramaico 'El, arabo- preislamico 'Il, accadico 'IIu, arabo-islamico Ilah con l'articolo 'Allah (= Iddio), ugaritico 'El. Nel Vecchio Testamento è l'appellativo più antico dell'unico Dio e si trova solo e senza articolo nel linguaggio poetico (75 volte nei Salmi; 53 volte in Giobbe); comunemente invece è accompagnato da una specificazione, un attributo (Dio che mi vede, Dio del padre tuo, di Bethel, ecc.) o da un altro nome divino ('E .- Shaddai, 'E.-'Elion). In senso improprio è riferito anche a divinità straniere (Deut. 32, 12; Ps. 81 [80], 10), allo stesso modo che il plurale 'elim (Ex. 15, 11; Dan. 11, 36). L'etimologia è ipotetica: "il potente" da 'ul, o 'il "fu potente", o da 'alah "fu forte" (cf. Gen 31, 29; Prov 3, 2:; Deut; 28, 32; Aquila: *** Settanta: ***; oppure ***). È certa comunque, nella concezione ebraica in particolare, l'associazione del concetto di forza con quello di Dio (Gen. 13, 18; 14, 3; 18, 1; Deut. 11, 30; Iudc. 11, 19... ).

'Elion. Nome comune al Dio degli Israeliti e al Baal fenicio (Filone di Biblos: Eus., Prepar. Evang. 1, 10; Pritchard, Ancient Near Eastern Textes... Princeton 1950, p. 134, lin. 121; Alijan Baal). Col significato "che sta al di sopra" in opposizione a tahton "che sta al di sotto", "supremo" (LXX: ***) è usato da solo, come nome proprio (Num. 24, 16; Deut. 32, 8), o comparato con altro nome divino ('El: Gen. 14, 18-20; Iawheh: Ps. 47, 3, ecc.). È il Dio di Melchisedec (Gen. 14, 18) identificato col vero Dio di Abramo (Gen. 14, 22); e il dio del veggente Balaam (Num. 24, 16).

'El Shaddai. Nome di Iahweh nella storia dei Patriarchi ebraici (Gen. 17, l; 28, 3; 35, 11; 43, 14; 48, 3) e in Giobbe. Plurale enfatico di sad (potente) derivato da sadad "agire con forza", "devastatore" (cf. Is. 13, 6; Ioel 1, 15), il nome, da solo (Gen. 49, 25) e parallelo a 'abhir "il forte", oppure preceduto da 'El (Gen. 17, 1; 28, 3; 35, 11), significherebbe "onnipotente" (cf. LXX: ***).

Elohim. È nome ebraico sinonimo e forma plurale di 'El, più frequente nella Bibbia (2570 volte) e indica le molteplici divinità delle genti (Ex. 18, 11; Deut. 10, 17); enti creati più in contatto con Dio (Ex. 21, 6; Ps. 82 [81], 1.6: giudici o angeli; spirito dei morti; I Sam. 28, 13); "divinità" (Deut. 32, 29; Ps. 95 [94], 3); un dio falso (Iudc. 11, 24; 2Reg. l, 2). È soprattutto il nome comune dell'unico vero Dio: allora spesso è preceduto dall'articolo ed esprime in genere il rapporto di Dio col mondo (creatore) o con le genti (signore universale) mentre Iahweh esprime quello con Israele. La sua forma plurale riferita al Dio degli Ebrei è il plurale intensivo di "forza", "potenza" (cumulus potentiarum: W. Cesenis-E. Kautzsch, & 124 g) o plurale d'astrazione (divinità: P. Joiion, & 126 b). Spesso è costruito con predicato verbale (Gen. 50, l; Ex. 2, 24) o nominale (2Reg. 19, 4) al singolare: come il plurale accadico ilanu delle lettere di el-' Amarnah (86, 45 g; 97, 3; 235, 2, 267, 10; 281, 2) o dei testi di Boghazkoy (1, 5) riferiti al solo faraone o al re d'Assiria (2Par. 35, 21 s.) o a un solo dio; e come il plurale , elhm di Ras Shamra sinonimo di 'El, indicante l'Essere supremo. Talvolta è costruito col plurale (predicato verbale: Gen. 20, 13; 35, 7...; pred. nom.: Deut. 5, 23; I Sam 17, 26) pur essendo riferito a un Dio unico. Derivazione tardiva di 'E. è il singolare 'Eloah, usato solo in poesia (34 volte in Giobbe su 57).

Iahweh. Il nome proprio divino più usato nella Bibbia (ca. 6823 volte), detto "tetragramma", perché di 4 lettere. La forma piena Iahweh è l'originaria perché si legge nell'unico documento antico che faccia menzione di Iahweh (Stele di Mesa, lin. 18); da essa derivano le brevi: Iahu nei papiri di Elefantina e nei nomi teofori assieme a Iah, Iò. Le vocali originarie sono quelle di Iahweh: attestate dai Padri greci (Clemente Alessandrino, PG. 9, 960: ***; Epifanio, PG. 41, 685: *** o ***) , dalle trascrizioni cuneiformi (Ia-u ‘ha-zi: Ioachaz; Ha-za-qi.(i)-a-u: Ezechia). Soltanto dopo l'esilio, i Giudei preferirono per riverenza non pronunziare il nome sacro per eccellenza, lo sostituirono col generico 'adhonai ("Signor mio") e vocalizzarono il tetragramma come 'adhonai: cosicché risultò la lettura errata Iehowah, attestata in R. Martini (Pugio fidei del 1270), ma forse già in papiri magici del sec. III e IV d. C. Preceduto da adhonai Iahweh veniva vocalizzato come il nome 'elohim e si leggeva 'adhonai 'elohim.

Iahweh è il solo nome divino, tra tutti i nomi semitici di divinità, a formazione verbale preformativa (A. Vaccari, op. cit.); secondo i più è la terza persona dell'imperfetto qal del verbo arcaico haiah corrispondente a haiah "essere" e significa "egli è" (cf. gr. ***: colui che è); e secondo la spiegazione di Dio stesso «Io sono colui che sono»: Ex. 3, 14), designa l'Essere per antonomasia e implica l'aseità eterna, la necessità intrinseca, l'unità e semplicità assoluta, la pienezza infinita della natura divina; è 1'eternamente presente non staticamente ma dinamicamente concepito in rapporto con la nazione ebraica costantemente protetta secondo le promesse infallibili (Ex. 3, 12; 6, 7; 7, 5. 17; Ier. 24, 7). Secondo altri è un imperfetto causativo dello stesso verbo hawah, hawiah, col significato «colui che fa esistere quello che esiste» (W. F. Albright, art. cit). o un participio causativo (J. Oberman, art. cit.).

Questo nome è stato rivelato da Dio stesso a Mosè, nel sancire il suo patto del Sinai (Ex. 3, 13-17; 6, 3-8; Os 12, 10; 13, 4), sebbene un'altra tradizione lo supponga conosciuto già dai Patriarchi (Gen. 12, 7; 3, 4.18) e nell'età prediluviana (Gen. 4, 26) per una prolessi o anticipazione oppure di conoscenza imperfetta. Finora è apparso arbitrario e vano ogni tentativo di far derivare Iahweh dall'ambiente egiziano (D. Volter; W. M. Muller; J. Lieblein) o babilonese (F. Delitzsch; A. Lods: Iawiilum del sec. XIII a. C.) o ugaritico (R. Dussaud: Iw, ipoteticamente identificabile con Iahweh senza però poter spiegare il passaggio da Iw a Ihwh) oppure qemtlco (K. Budde; H. Gressmann; E. Sellin; C. Toussaint). La stessa forma caratteristica (verbale) del nome Iahweh ne fa un nome non creato dagli uomini ma rivelato da Iahweh stesso (A. Vaccari, art. cit.). Iahweh Seba'ot .- Poche volte nei libri storici, a cominciare da Samuele, più frequentemente nei profeti, Iahweh ha l'appellativo di Seba'ot. I LXX tradussero bene: *** è piuttosto aggiunta derivante dalle traduzioni dell'Esaple). Nei primi tempi Iahweh era il Dio degli eserciti d'Israele, appellativo da far risalire all'arca dell'alleanza e ai profeti, in quanto offriva ad essi la sua efficace assistenza nelle guerre; ma, al decader della potenza militare di Israele, col termine «eserciti» bisogna intendere «tutte le creature» soggette al dominio di Iahweh e perciò testimoni della sua onnipotenza (cf. particolarmente: Am. 4, 13; 5, 8 s. 9, 5 s.; Is. 51, 15; 54, 15; Ier. 10, 12-16; 31, 35; Ps. 89 [88], 9-15).

Ba'al. Nome comune «Signore»; fu applicato anche al vero Dio d'Israele. Dal momento in cui i Cananei cominciarono ad adorare Ba'al come dio supremo (cf. I Reg. 18, 21), gli Israeliti lo eliminarono un po' alla volta; Ba'al divenne sinonimo di falsa divinità (cf. Os 2, 18; Volg. 16); e i nomi teofori composti con ba'al furono mutati con boset = ignominia (cf. I Par. 8, 33: Isba'al; 2Sam 2, 8: Isboset). ‘Adon. Altro nome comune che significa «Signore»; fu attributo del Dio d'Israele (Ps. 114, 7; Mal. 3, 1) specialmente sotto la forma 'Adonai (= Signor mio). Melek. Sinonimo di Iahweh (cf. Num. 23, 21; Deut. 33', 5; Is. 6, 5); comune anche agli dei orientali (cf. Melkart; Milkom; Kemosmelek), ma specifico per Israele in quanto nazione teocratica, il cui re non è altro che il vicario di Iahweh (cf. I Sam 8, 7; Iudc. 8, 22 s.). Iahweh poi nella sua qualità di re impera non soltanto su Israele ma su tutto il mondo (Ier. 10, 7.10; Zach. 14, 9.16; Ps. 22 [21], 29; 47 [46], 3.8 s. 9). Qedos Israel o semplicemente qadosh = «Santo d'Israele», in Isaia. Esprime la infinita santità di Dio; «venerando». Egli giudica e disperde i peccatori (Is. 1, 4; 5, 19.24; 10, 17); ma lascia dei superstiti che purifica e santifica; pertanto il santo d'Israele è «creatore» (Is. 41, 20; 45, 11) e «redentore» d'Israele (Is. 41, 14; 43, 3.14; 47, 4). 'Elohé hassamaim. Rimonta ai tempi dei Persiani ed ha il valore di «Dio del cielo» (I Par. 36, 23; Esd. l, 2; aramaico: 'elah Shemajja'). Si noti che già precedentemente troviamo le seguenti espressioni: «Iahweh Dio del cielo e della terra» (Gen. 24, 3) e «Iahweh creatore (qoneh) del cielo e della terra».

4. Attributi divini. - Unità di Dio. Il monoteismo, fede e culto esclusivo verso l'unico Dio, è la caratteristica della religione rivelata, che al Sinai sancisce la costituzione della nazione israelitica (Ex. 19-20). La Bibbia insegna il monoteismo dagli inizi del genere umano: un solo Dio che crea, caccia i pro genitori dal Paradiso, ecc. appare ai Patriarchi e stringe alleanza con loro... Specialmente, nell'Alleanza (v.) del Sinai. I diversi nomi sotto cui si palesa Dio indicano sempre il medesimo Dio: Iahweh (Gen. 2) = 'Elohim; El Shaddai (Ex. 6, 2.3) E1 'Elion (Gen. 14, 22). L'unità di Dio è apertamente dichiarata in Deut. 6, 4: «Ascolta Israele, Iahweh, Dio nostro, Iahweh (è) l'unico Dio». Questa è una vera professione di fede che gl'Israeliti dovevano recitare giornalmente nello Shema' (Mc. 12, 29). Iahweh è uno e solo (cf. Gen. 1, 9; 2, 24; 11, 1; Ez. 37, 22); egli è Dio e non vi è altro Dio fuor che lui (Deut. 4, 35.39; 32, 39; Is. 44, 6-8; 45, 5, 18, 22; 46, 9; 49, 6; Ps. 86 [85], 10); è Dio vivo e capace di apportare aiuto in opposizione agli «altri» dèi senza vita e impotenti (Deut. 4, 28; 32, 17.21.37.38; Is. 37, 19; Hab. 2, 18; Ps. 115 [114], 3.7; 114 [113], 11-15). Questi vengono detti 'elilim: «vani, inutili, nulla» (Lev. 19, 4; 26, l; Is. 2, 8.18.20; Ez. 30, 13; Hab. 2, 18; Ps. 96 [95], 6; 97 [96], 7); hebel, cioè, «vento» (Deut. 32, 21; I Reg. 16, 13.26; II Reg. 17, 15; Ier. 2, 5; Ion. 2, 9; Ps. 31 [30], 6; lo' 'eloah, lo' 'el: non-dio (Deut. 32, 17.21). Altrove (Is. 2, 8.21; 37, 19; Ier. 2, 27; 3, 9; 10, 3... ) le divinità pagane vengono identificate con le loro stesse statue «legno, pietra, metallo» e biasimate di inganni e stoltezza (Is. 40, 18-26; 41, 7; 44, 6-20; Ier. 2, 26-28; Epist. Ier. [Bar. 6]).

Accanto al Dio d'Israele non c'è alcuna dea. Chi lo venera è convinto che può stringere relazioni con lui e fissare anche dei patti; ma è invisibile all'occhio umano e irrappresentabile antropomorficamente; il suo impero non è circoscritto in parti determinate dell'universo (gli Egiziani e i Babilonesi, per es., distinguevano gli dèi celesti, terrestri, infernali, ecc.), né in limitate porzioni della terra (monti, valli, fiumi: cf. I Reg. 20, 23; 25.28) e neppure in alcune forze della natura (vento, pioggia, folgore, tuono): è questa una dottrina apertamente dichiarata sin dal primo profeta scrittore (Am. 1-2). Molti critici riconoscono il puro monoteismo del Iahwismo mosaico e patriarcale (cf. W. F. Albright, From Stone Age to Christianity, 1940, pagine 196-207). Dalle defezioni del popolo d'Israele (v. Religione popolare) all'alleanza del Sinai, la cui essenza è il primo precetto del più puro monoteismo, nulla può trarsi contro la dottrina suddetta; come dall'inosservanza dei precetti evangelici in una comunità cristiana, nulla si può dedurre contro la dottrina di Gesù e la costituzione della sua Chiesa. Dio creatore. È verità affermata fin dalla prima pagina della Sacra Scrittura (Gen. l) e ripetuta in seguito varie volte (Ex. 31, 17; 2Reg. 10, 15; Neh. 9, 7; Iob. 38; Ps. 104 [103]). (V. Creazione). A quest’ argomento si rifanno gli autori sacri per dimostrare la verità, l'unità e la superiorità di Iahweh in rapporto agli altri dèi (Is. 40, 12-22; 42, 5; Ier. 10. 11- 16).

Se Iahweh è creatore è anche onnipotente: vuole e crea (Gen. 1; cf. Iob. 42,2). Ecco perché i LXX tradussero Iahweh Seba'ot con ***. L'idea di questa onnipotenza è confermata dal fatto che Iahweh domina in Egitto (Gen. 12, 10-20,; Ex. 7, 14; 12, 36; Is. 19, 1) e nel deserto (Ex. 17, 8-16); suscita la potenza di Ciro (Is. 45, 1) e libera il popolo eletto dalla cattività babilonese (Is. 45, 9.13) (cf. gli oracoli dei profeti contro le genti Is. 13-28; Ier. 46-51).

Spiritualità di Dio. Il Vecchio Testamento manca di un termine proprio per indicare la sostanza spirituale. La spiritualità di Iahweh non è esplicitamente enunciata; è piuttosto verità implicita. Infatti a questo tendono le proibizioni di rappresentare la divinità con immagini (Ex. 20, 4.5; Lev. 26, l; Deut. 5, 8; 27, 5); le teofanie, manifestanti esternamente solo la efficacia della divina potenza, restando invisibile la sua essenza (Ex. 19, 16-20; Iob. 38, 1); l'apparizione dell'«Angelo del Signore» invece di Dio (v. Angeli), le visioni rare e privilegiate di alcuni lineamenti esterni di Dio (Ex. 24, 10; 33, 20-23; 1Reg. 19, 11-12; Is. 6, 1-4; Ez. 1, 4-28). Si deduce quindi che Dio è invisibile (Ex. 33, 23; Iob 28, 8-9), privo di forma esteriore, immateriale e non composto di parti. L'elemento antropomorfico che pur si riscontra nella Bibbia (occhi, mani, braccia, voce di Dio) non è negativo per la dottrina della spiritualità di Dio, perché anche noi moderni, senza negarla, ci serviamo di locuzioni analoghe a quelle che usarono i profeti riguardo a Dio (Is. 5, 25; 9, 11.16...). Santità. Santo (opposto ad hol: Lev. 10, 10; Ez. 22, 26; 44, 23) è ciò che è sottratto all'uso comune. La santità fondamentale in Dio sta a indicare la sua eminente natura, la sua trascendenza per cui, elevato su tutti, resta inaccessibile (Ex. 15, 11). La santità morale invece consiste nell'integrità e nella perfezione propria nel suo genere e immune da ogni difetto. Egli è perciò in opposizione totale ad ogni specie di male (Deut. 32, 4; Iob 34, 10; Is.1, 16.18; Prov 6, 16-19...); è impeccabile e in possesso della più alta perfezione morale (Hab. l, 13; Ps. 5, 5); impone agli uomini l'osservanza di una legge morale (cf.: il decalogo: Ex. 20, 2-17; Deut. 5, 6-21) definita superiore al culto e ai sacrifici (I Sam 15, 22.23; Am. 5, 21-24; Os 6, 4,9; Is. 1, 10-17...); non è soggetto alla seduzione dei doni, né fa particolarismi (Deut. 10, 17; 2Par. 19, 7; 10b 34, 19). Questa santità morale è presente già nella Genesi: ai progenitori è imposto un precetto la cui trasgressione è accompagnata dal male fisico (Gen. 2-3). L'ammonimento divino a Caino (4, 5 ss.), nella traduzione più probabile (cf. A. Vaccari), afferma che bisogna vincere le inclinazioni al male. Dio vendica l'uccisione di Abele (Gen. 4, 10); manda il diluvio per punire la cattiveria umana (Gen. 6, 5.12), il fuoco su Sodoma e Gomorra (Gen. 18, 20-32); ma salva Noè perché giusto (Gen. 7, l).

Immutabilità ed eternità. Si parla di immutabilità esplicitamente in Ps. 102 [101], 28. L'eternità ne è seguente. Se non si può provare dal termine 'olam, il quale qualche volta può avere un significato anche più largo, certo si deduce dal fatto che Dio, essendo già prima della creazione, non può avere inizio (Gen. 1, 1; Iob 38, 4; cf. Ps. 93 [92], 2; Ps. 102 [101] 26); i suoi anni non hanno termine (Ps. 102, [101], 28). Se Dio può sempre aiutare il popolo è perché il suo essere (esistenza) non ha né inizio né fine, non è circoscritto dal tempo (Ps. 90 [89], 1-4), è il primo e l'ultimo degli esseri (Is. 41, 4; 44, 6; 48, 12; cf. Ap. 1, 8; Eccli. 42, 21).

L'onnipresenza. Nessuno può sfuggire alla sua presenza (Am. 9, 2-4; Ps. 139 [138], 9- 12; ecc.); nulla gli è nascosto (Prov. 15, 3; Sap. 1, 7); il cielo e i cieli non possono comprenderlo (I Reg. 8, 27) perché prima che l'universo esistesse egli è (Gen. 1, 1); è presente in qualsiasi luogo si trovino i suoi adoratori (Is. 43, 2-6). Il dire che egli è in cielo (Ps. n, 16; 113, 21) è solo un modo conveniente per esprimere la sua eccellente natura; la sua divinità non è ristretta dai limiti di un luogo; se è venerato in modo particolare in determinati luoghi è perché ivi specialmente s'è svelata la sua potenza. Onniscienza. Dio conosce i segreti dei cuori (Ps. 11 [10], 4.5; 33 [32], 13 ss.; 1er. 11, 20), le cose passate, presenti e future tanto dei singoli uomini (Ps. 139 [138], 13-16) quanto dei popoli, dei quali predice pure i destini (Ier. 46.51; Is. 41, 22 s.); tutto gli è presente (Iob. 28, 24) persino lo se'ol (Iob 26, 6).

Sapienza. La sua somma sapienza (Is. 28, 29; 40, 13 s.; Iob 9, 4) si manifesta particolarmente nella creazione e nella conservazione del mondo (Iob 38, 41; Prov 8, 22- 31); nel poter confondere i disegni degli uomini (Is. 19, 11-15; 29, 14...); pel fatto che non l'ha ricevuta da nessuno (Is. 40, 13 s.) e non può essere scrutata (Is. 40, 28; 55, 8.9). Misericordia. Dio manifesta la sua misericordiosa benevolenza innanzi tutto nello scegliere come suo popolo Israele e sancire un patto con questo (Deut. 7, 7 s.) prescindendo dai meriti; nell'osservare la alleanza e perdonarne le omissioni (Ex. 34, 6.7; Num. 14, 19; Ier. 3, 12 s.). Castiga il popolo (Os. l, 6), ma gli si riconcilia ad espiazione compiuta (Os. 2, 25); anzi non lo può dimenticare (Is. 49, 14 s.) e il popolo a sua volta può sempre sperare sull'aiuto divino (Is. 64, 8.10; 55, 3; 63, 7; Ier. 31, 3; Ps. 89 [88]; Mi. 7, 20) perché Dio mantiene le promesse. La misericordia divina si estende anche agli individui (Ps. 5, 8; 36 [35], 6-11) e ai peccatori (Ps. 32 [31], 5; 51 [50]). È tanto benevolo che non respinge l'ossequio degli altri popoli (Ion. 4, 11) e considera ogni cosa come opera sua (Ps. 145 [144], 9.16; 36 [35], 6-10; Sap. 11, 24; 11, 1.13; Eccli. 18, 13). Giustizia. È quell'atto per cui Dio difende il suo popolo (Iudc. 5, 11; I Sam 12, 6.7; Mi. 6, 5; Is. 41, 10; ecc.) e lo protegge (I Reg. 8, 32; Ier. 11, 20; cf. Ex. 23, 7), non solo cioè nell'allontanare il male, ma anche nel conferire il bene (Deut. 10, 18; Os 2, 21; Is. 33, 5) e nel punire giustamente i malvagi (Ex. 9, 27; Lam. l, 18; Neh. 9, 32 ecc.). Perfezione di Dio. È sommamente perfetto perché non gli manca nulla di ciò che la sua natura o il suo fine possa esigere. La sua grandezza (Ps. 145 [144], 6) e la sua intelligenza (Ps. 92 [91], 6; 147 [146], 5) trascendono ogni cosa; pur attribuendogli il massimo della potenza non giungeremo mai ad esaurire i limiti della sua gloria (Eccli. 43, 32; cf. 43, 29-36; Ps. 139 [138], 17 s.); la sua perfezione è confermata dalla teofania descritta in Giobbe (38-42). Dio non ha bisogno di nulla (2Mach. 14, 35), neppure dei sacrifici (Ps. 50 [49] 9.13; Is. 40, 16); non trae profitto dalle buone azioni degli uomini (Iob 22, 3; 35, 7), né gli si nuoce con le cattive opere (Iob 35, 6). [B. N. W.] 5. Nel Nuovo Testamento. Paolo, dopo l'adesione alla fede di Cristo, ripete alcune categorie antiche di Dio: è unico (Gal. 3, 20; Rom. 3, 30; I Tim. 2, 5); eterno (Rom. 1, 20); il Padre della gloria (Eph. l, 17); l'invisibile (Col. l, 15; Rom. l, 20), il Re dei secoli, solo Dio incorruttibile, invisibile (I Tim. l, 17); «il beato ed unico sovrano, il re dei regnanti e Signore dei Signori, il solo che abbia l'immortalità, che abiti una luce inaccessibile» (l Tim. 6, 16; l, 11); «il Dio vivo e vero» (1Ts. l, 9; I Tim. 4, 10); «il Dio della pace» (2Cor. 13, 11; Rom. 15, 33; 1Ts. 5, 23); «solo saggio» (Rom. 16, 27); «Dio della speranza» (Rom. 15, 13); «Colui che opera tutte le cose secondo il disegno della sua volontà» (Eph. l, 11); «che può fare il bene al di là di ciò che noi domandiamo o conosciamo» (Eph. 3, 20); «il Signore di tutto» (Rom. 10, 12), «Colui che ha creato tutte le cose » (2Cor 9, 10; Rom. l, 2; 9, 20; Col. 3,10; Eph. 3, 9; I Tim. 6, 13.17); «Colui che vivifica» (2Cor 1, 3; Rom. 4, 17); «il nostro Salvatore» (I Tim. l, l; 2, 3; 4, 10 ecc.); «il giudice che prova i nostri cuori» (1Ts. 2, 4).

Le stesse antiche categorie ritornano negli altri scritti neotestamentari: il Dio unico (Iac. 2, 19); Creatore (2Pt. 3, 5; Hebr. l, 2.10-12; Ap. 10, 6; 4, 11; 14, 7); principio e fine di tutto (Hebr. 2, 10; Ap. 21, 6; 22, 13); Colui che è stato, che è e che viene, alfa ed omega (Ap. 4, 8; l, 4.8; 21, 6); la maestà che risiede nelle altezze su di un trono di gloria (Hebr. l, 3; 8, 1; Ap. 1, 4; 4, 2 ecc.); il Dio onnipotente (Ap. l, 8; 4, 8; I Io. 4, 4 ecc.); il Dio forte (Ap. 18, 8); il Re (Ap. 15, 3); il padrone (Ap. 6, 10) che si deve temere ed adorare (Ap. 14, 7; 15, 4); la Maestà formidabile ed invisibile (Ap. 4, 2.11; I Io. 4, 11.20; 3, 20); «il Dio vivente» (I Pt. l, 23; Hebr. 3, 12; 9, 14; Ap. 4, 9.10), il giudice (Iac. 5, 9; I Pt. 1, 17; ecc.) che promette ricompense (Iac. 1, 12) ma è anche un giustiziere inflessibile (2Pt. 2, 4-9; Iud. 5, 7; Hebr. 2, 2; 3, 15-18 ecc.), «Misericordioso» (I Pt. 5, 10; 3, 2), «Santo» (l Pt. l, 15; Ap. 4. 8; 6. 10; 15, 4; 16, 5).

La Rivelazione portata da Cristo segna però un completamento della teologia ebraica. Il nuovo mistero trinitario (v. Trinità) salva il monoteismo, fondamentale per lo ebraismo, ma determina lo spostamento di determinate attribuzioni; ad es. la potestà giudiziale trasferita da Dio al Cristo (Mt. 7, 21 ss.; 13, 391.41.49; 24, 44; Io. 5, 22 . 23.27; 1Ts. 3, 13; 2Ts. l, 7 ecc.); il titolo di « Salvatore» riferito a Dio (Lc. l, 47; I Tim. l, l; 2, 3; 4, 4 ecc.) e a Cristo (Lc. 2, 11; Io. 4, 42; Eph. 5, 23; 2Pt. l, 1.11; 2, 20 ecc.); quello di «Signore» riferito a Dio ('adonai = Kurios nei LXX; Mt. 1, 20; At. 2, 20.21 ecc.) ma prevalentemente a Cristo (At. 10, 36; 4, 29; 7, 56.60 ecc.).

La Paternità divina, già affermata dall'ebraismo, appare trionfalmente nella Rivelazione cristiana di cui costituisce una idea centrale, non più come un rapporto in prevalenza collettivo e giuridico ma come un rapporto ontologico (v. Adozione) che si fonda sulla consustanzialità del Padre e del Figlio e su quella naturale e soprannaturale che unisce i cristiani al loro fratello maggiore «Padre»: 111 volte in Io., 44 in Mt., 17 in Lc., 5 in Mc.; «Dio nostro Padre»: 1Ts. l, 3·; 3, 11.13; 2Ts. 1, 1; 2, 15; I Cor l, 3; ecc.; «Dio e Padre»: 2Ts. l, 2; I Cor 8, 6; 15, 24; «Padre»: Col. 1, 12; Eph. l, 17 ecc.). La Paternità divina s'illumina alla definizione giovannea, assolutamente nuova, della Divinità: Dio- Amore (I Io. 4, 8.16) che ci comunica il suo amore nel Figlio I Io. 4, 9; cf. Rom. 5, 6-11; 8, 31 ss.) e ci fa suoi figli prediletti in Lui (I Io. 3, 1.2; cf. Col. 3, 12; Rom. 1, 7; 11, 28; Eph. 1, 6 ecc.): sublime eco delle parole di Cristo che parla dell'amore del Padre verso il Figlio naturale (Io. 17, 26) e verso i figli adottivi (Io. 17, 23: v. Redenzione).
[A. R.]

BIBL. - QUELL-STAUFFER-KUHN, s.v., in ThWNT, III, pp. 79-120; F. CEUPPENS, Theolologia biblica, De Deo uno, 2a ed., Roma 1948; p. HEINISCH, Teologia del Vecchio Testamento, ed. ital., Torino 1950, pp. 31-109; A. ROMEO, Dio nella Bibbia. in Dio nella ricerca Umana, Roma 1950, pp. 257-415; J. BONSIRVEN, Teologia del Nuovo Testamento, trad. ital., Torino 1951; M. SMITH, The common Theology of the ancient Near East, in JbL, 71 (1952) 135-47; J. B. PRITCHARD, Ancient Near Eustern Texts relating to the Old Testament, Princeton 1950; P. VAN IMSCHOOT, Théologie de l'Ancien Testament, I, Dieu (Bibliothèque de Théologie, série III, vol. 2), Tournai 1954; II, L'Homme, ivi 1956; ED. JACOB, Théologie de l'Ancien Testament, Neuchatel-Parigi, 1955.

Autore: Sac. Armando Rolla
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora