Decima
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Porzione del prodotto (decima parte) che ogni israelita doveva versare al santuario di Gerusalemme per il sostenimento dei leviti, i quali, alla loro volta, dovevano prelevare la decima delle decime e versarla al sommo sacerdote a beneficio degli altri sacerdoti (Lev. 27, 30. 33; Num. 18, 20·32).
Soggetti della d. erano il grano, il mosto, l'olio, i frutti degli alberi, nonché i nati degli animali come buoi, capre, pecore (Lev. 27, 32). Al tempo di Gesù, l'insegnamento farisaico estese l'obbligo della d. anche agli ortaggi e alle erbe del giardino (Mt. 23, 3; Lc. 11, 42; 18, 12), e la Misnah (Ma'a'ser 1, 1) a tutto ciò che si mangia e viene dalla terra. La d., praticata nel popolo di Dio fin dall'epoca patriarcale (Abramo già offre la d. a Melchisedec [Gen 14, 20; Hebr. 7, 4]) e in uso anche presso molti popoli antichi, cf. Erodoto, Diodoro di Sicilia, Plutarco, Cicerone, ha come presupposto che Dio è il padrone della terra e dei suoi prodotti, e che Israele non era che l'usufruttuario (Lev. 25, 23; Deut. 26, l ss.); la base religiosa nella d., è presente anche presso i Greci e i Romani. Della complessa legislazione mosaica sulla d., ecco alcuni punti fondamentali: a) la d. dev'essere consegnata con lealtà, e chi avesse sostituito con altro deteriore, l'animale su cui era caduta la scelta, era tenuto a dare al Signore tanto il primo quanto il secondo (Lev. 2,7, 32 s.). In Eccli. 35, n ss. si fa espressa raccomandazione di pagare la d. al Signore con animo ilare, perché Egli saprà ricompensare sette volte tanto; b) la d. anziché in natura, poteva esser pagata anche in denaro, ma in tal caso bisognava aggiungere un quinto del suo valore (Lev. 27, 31); c) la d. non veniva pagata durante l'anno sabatico e giubilare dal momento che il raccolto non apparteneva al proprietario della terra (Ex. 23, 10-11; Lev. 25, 1·7); v. Giubileo.
L'istituto della d. sopravvisse alla catastrofe nazionale ebraica del 587 a. C. (distruzione di Gerus. ed esilio babilonico). I reduci dall'esilio, infatti, promettono di pagare regolarmente la d. (Neh. 10, 38 ss. [37 ss.]; 13, 5.12); tale uso è supposto anche nel Nuovo Testamento (Mt. 23, 3; Lc. 18, 12).
Con la d., non vanno confuse le primizie (v.), ossia i primi frutti da qualunque parte provenissero (Ex. 23, 19; 34, 26).
[B. P.]
BIBL. - E. KARL, Archeol.. Biblica, trad. ital., Torino 1942, 155 s.; G. PRIERO, Tobia, Torino-Roma 1953, pp. 44-47.
Autore: Mons. Bruno Pelaia
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora
Soggetti della d. erano il grano, il mosto, l'olio, i frutti degli alberi, nonché i nati degli animali come buoi, capre, pecore (Lev. 27, 32). Al tempo di Gesù, l'insegnamento farisaico estese l'obbligo della d. anche agli ortaggi e alle erbe del giardino (Mt. 23, 3; Lc. 11, 42; 18, 12), e la Misnah (Ma'a'ser 1, 1) a tutto ciò che si mangia e viene dalla terra. La d., praticata nel popolo di Dio fin dall'epoca patriarcale (Abramo già offre la d. a Melchisedec [Gen 14, 20; Hebr. 7, 4]) e in uso anche presso molti popoli antichi, cf. Erodoto, Diodoro di Sicilia, Plutarco, Cicerone, ha come presupposto che Dio è il padrone della terra e dei suoi prodotti, e che Israele non era che l'usufruttuario (Lev. 25, 23; Deut. 26, l ss.); la base religiosa nella d., è presente anche presso i Greci e i Romani. Della complessa legislazione mosaica sulla d., ecco alcuni punti fondamentali: a) la d. dev'essere consegnata con lealtà, e chi avesse sostituito con altro deteriore, l'animale su cui era caduta la scelta, era tenuto a dare al Signore tanto il primo quanto il secondo (Lev. 2,7, 32 s.). In Eccli. 35, n ss. si fa espressa raccomandazione di pagare la d. al Signore con animo ilare, perché Egli saprà ricompensare sette volte tanto; b) la d. anziché in natura, poteva esser pagata anche in denaro, ma in tal caso bisognava aggiungere un quinto del suo valore (Lev. 27, 31); c) la d. non veniva pagata durante l'anno sabatico e giubilare dal momento che il raccolto non apparteneva al proprietario della terra (Ex. 23, 10-11; Lev. 25, 1·7); v. Giubileo.
L'istituto della d. sopravvisse alla catastrofe nazionale ebraica del 587 a. C. (distruzione di Gerus. ed esilio babilonico). I reduci dall'esilio, infatti, promettono di pagare regolarmente la d. (Neh. 10, 38 ss. [37 ss.]; 13, 5.12); tale uso è supposto anche nel Nuovo Testamento (Mt. 23, 3; Lc. 18, 12).
Con la d., non vanno confuse le primizie (v.), ossia i primi frutti da qualunque parte provenissero (Ex. 23, 19; 34, 26).
[B. P.]
BIBL. - E. KARL, Archeol.. Biblica, trad. ital., Torino 1942, 155 s.; G. PRIERO, Tobia, Torino-Roma 1953, pp. 44-47.
Autore: Mons. Bruno Pelaia
Fonte: Dizionario Biblico diretto da Francesco Spadafora