Scrutatio

Giovedi, 28 marzo 2024 - San Castore di Tarso ( Letture di oggi)

Insegnare


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Nei due testamenti la fede è fondata su una rivelazione divina, di cui i profeti (nel senso generale della parola) sono i latori. Ma questa rivelazione deve giungere alla conoscenza degli uomini fin nei suoi particolari e nelle sue conseguenze pratiche. Di qui nel popolo di Dio l‘importanza della funzione di insegnamento, che, sotto forma di istruzione, trasmette la scienza delle cose divine. Questo insegnamento è innanzitutto una predicazione che proclama la salvezza di Dio come avviene nella storia (è il kèrygma); quindi ne favorisce una comprensione più approfondita e dimostra Come la situazione di alleanza creata da Dio si applichi concretamente nelle condizioni di vita del suo popolo.

VT

Nel VT questa funzione si Compie in modi diversi, secondo la qualità di coloro che la svolgono. Ma attraverso tutti è sempre Dio Che istruisce il suo popolo.

I. FORME DIVERSE DELL‘INSEGNAMENTO

1. Il padre di famiglia, responsabile della educazione dei suoi figli, deve trasmettere loro a questo titolo il legato religioso del passato nazíonale. Non si tratta di un insegnamento profondo, ma di una catechesi elementare Che racchiude gli elementi essenziali della fede. Catechesi morale, Che ha rapporto con i comandamenti della legge divina: «Questi comandamenti Che io ti do, li ripeterai ai tuoi figli...» (Deut 6,7; 11, 19). Catechesi liturgica e storica, che prende occasione dalle solennità di Israele per spiegarne il senso e richiamare i grandi ricordi Che esse commemorano: sacrificio della Pasqua (Es 12, 26) e rito degli azzimi (Es 13, 8), ecc. Le domande poste dai figli a proposito delle usanze e dei riti portano naturalmente il padre ad insegnare loro il Credo israelitico (Deut 6, 20-25). E ancora lui Che insegna loro gli antichi poemi che fanno parte della tradizione (Deut 31, 19. 22; 2 Sam 1, 18 s). Così l‘insegnamento religioso incomincia nella cornice familiare. 2. I sacerdoti hanno in questo campo una responsabilità più ampia. Incaricati, per do. vere professionale, del culto e della legge, svolgono per ciò stesso una funzione dottorale. Sul Sinai Mosè aveva ricevuto la legge Con la missione di farla conoscere al popolo; era divenuto così il primo maestro in Israele (Es 24, 3. 12). Questa legge i leviti la devono ora insegnare ed interpretare affinché possa passare nella vita (Deut 17, 10 s; 33, 10; cfr. 2 Cron 15, 3). Un uomo come Samuele ha Compiuto con coscienza questo dovere (1 Sam 12, 23). Altri sacerdoti lo trascurano, e per questo motivo si attirano i rimproveri dei profeti (Os 4, 6; 5, 1; Ger 5, 31; Mal 2, 7). Non è difficile immaginare la cornice Concreta di questo insegnamento. Sono le feste che si celebrano nei santuari, come quel rinnovamento dell‘alleanza a Sichem (Deut 27, 9 s; Gios 24, 1-24), di Cui la promulgazione della legge ad opera di Esdra non sarà che una variante (Neem 8). L‘insegnamento Che viene dato verte sulla legge, che dev ?essere riletta e spiegata (Deut 31, 9- 13), e sulla storia del disegno di Dio (cfr. Gios 24). All‘istruzione si mescola naturalmente l‘esortazione, per portare il popolo a vivere nella fede ed a mettere in pratica la legge. Si trova un‘eco di questa predicazione sacerdotale nei c. 4 - 11 del Deuteronomio, dove si nota tutto un vocabolario dell‘insegnamento: «Ascolta, Israele...» (Deut 4, 1; 5, 1); «Sappi Che...» (4, 39); «Interroga...» (4, 32); «Guardati dal dimenticare...» (4, 9; 8, 11 s). Di fatto è importante far conoscere la parola di Dio affinché Israele l‘abbia costantemente in mente (Deut 11, 18-21). Lo stesso insegnamento profetico assume quindi una forma tradízionale. Da un profeta all‘altro, vi è continuità, che Geremia di proposito sottolinea (Ger 28, 8). Se ne ha la prova tangibile quando un profeta, per esprimere il proprio messaggio, riprende delle espressioni desunte dai suoi predecessori (come fa Ezechiele per il libro di Geremia), o quando gli scribi deuteronomici assorbono nella propria teologia l‘interpretazione profetica della storia. 3. 1 profeti hanno una missione diversa. La parola di Dio che essi trasmettono non è attinta alla tradizione, ma la ricevono direttamente da Dio; proclamandola essi minacciano, esortano, promettono, consolano... Tutto ciò non deriva direttamente dall‘insegnamento. Tuttavia si appoggiano costantemente su una catechesi che suppongono conosciuta (cfr. Os 4, 1 s, ed il decalogo) e di cui riprendono i temi essenziali. Anch‘essi hanno discepoli (Is 8, 16; Ger 36, 4) che divulgano i loro oracoli, ed il loro messaggio viene ad aggiungersi all‘insegnamento tradizionale per arricchirne i dati. 4. 1 sapienti sono essenzialmente degli insegnanti (Eccle 12, 9). Nei Confronti dei loro discepoli essi svolgono la stessa funzione educatrice di qualsiasi padre nei Confronti dei propri figli (Eccli 30, 3; cfr. Prov 3, 21; 4,147.20 ...); guai ai discepoli Che non li avranno ascoltati (Prov 5, 12 s)! Se, fino all‘esilio, la dottrina sapienziale sembra fondata sull‘esperienza delle generazioni più Che sulla parola divina, in seguito assimila progressivamente il Contenuto della legge e dei libri profetici e lo sminuzza ad uso di tutti. Così nutrito dell‘insegnamento tradizionale, il maestro vuole trasmettere ai suoi «figli» la vera sapienza (Giob 33, 33), la conoscenza ed il timore di Jahve (Prov 2,5; Sal 34,12), in breve il sapere religioso Che è la Condizione della vita felice. Non è forse insegnando agli empi le vie di Dio Che li indurrà a convertirsi (Sol 51, 15)? Lo sforzo didattico intrapreso negli ambienti degli scribi sostituisce quindi nello stesso tempo quello dei sacerdoti e quello dei profeti. Nella «casa della scuola» (Eccli 51, 23) i dottori danno a tutti una solida istruzione (Eccli 51, 25 s) che permette loro di trovare Dio.

II. JAHVE, MAESTRO SOVRANO

1. D‘altronde, dietro tutti questi maestri umani, è importante saper scoprire il solo vero maestro da cui quelli hanno tutta la loro autorità: Jahve. Ispiratore di Mosè e dei profeti, la sua parola è alla fonte della tradizione trasmessa sia dai genitori che dai sacerdoti e dai sapienti. Egli stesso quindi, attraverso a questi, insegna agli uomini il sapere e la sapienza, facendo loro conoscere le sue vie e la sua legge (Sol 25, 9; 94, 10 ss). La sua sapienza personificata si rivolge ad essi per istruirli (Prov 8, 1-11. 32- 36), come farebbe un profeta o un dottore; per mezzo di essa viene loro ogni bene (Sap 7, 11 ss). Quindi ogni Giudeo pio ha Coscienza d‘essere stato istruito da Dio fin dalla giovinezza (Sol 71, 17); in cambio lo prega incessantemente di insegnargli le sue vie, i suoi comandamenti, le sue volontà (Sol 25, 4; 143, 10; 119, 7. 12 e passim). Questa apertura del cuore all‘insegnamento divino va molto oltre la conoscenza teorica della legge e delle Scritture; suppone un‘adesione intima Che permette di comprendere in profondità il messaggio di Dio e di farlo passare nella vita. 2. Si sa tuttavia che l‘atteggiamento di Israele nei confronti di Dio non è sempre stato improntato a questa docilità di cuore- I membri del popolo di Dio gli hanno voltato sovente le spalle, non accogliendo le sue lezioni quando egli li istruiva Con costanza (Ger 32, 33). Di qui i castighi esemplari inflitti da Dio ai suoi discepoli infedeli. Per ovviare a questa durezza di cuore Dio, per mezzo dei profeti, promette che negli ultimi tempi si rivelerà agli uomini Come il dottore per eccellenza (Is 30, 20 s); agirà nel più intimo del loro essere, per modo Che essi conosceranno la sua legge senza aver bisogno di insegnarsela. reciprocamente (Ger 31, 33 s). Istruiti direttamente da lui, essi troveranno Così la felicità (Is 54, 13). Grazia suprema, Che renderà efficace tutto lo sforzo di istruzione Compiuto dagli inviati divini. La preghiera dei salmisti sarà Così esaudita.

NT

Cristo è il dottore per eccellenza. Ma, affidando la sua parola agli apostoli, dà loro una missione di insegnamento che prolunga la sua.

I. CRISTO DOTTORE

1. Durante la vita pubblica di Gesù, l‘insegnamento costituisce un aspetto essenziale della sua attività: egli insegna nelle sinagoghe (Mt 4, 23 par.; Gv 6, 59), nel tempio (Mt 21, 23 par.; Gv 7,14), in occasione delle feste (Gv 8,20) ed anche quotidianamente (Mt 26,55). Le forme del suo insegnamento non differiscono da quelle usate dai dottori di Israele, ai quali si è mescolato nella sua giovinezza (LC 2,46), che all‘occasione riceve (Gv 3, 1 s. 10) e Che più di una volta lo interrogano (Mt 22, 16 s. 36 par.). Quindi a lui, Come ad essi, viene dato il titolo di rabbi, cioè maestro, ed egli l‘accetta (Gv 13, 13), pur rimproverando agli scribi del suo tempo di ricercarlo, come se non ci fosse per gli uomini un solo maestro, che è Dio (Mt 23,7 s). 2. Tuttavia, se appare alle folle come un dottore tra gli altri, se ne distingue in diversi modi. Talvolta parla ed agisce come profeta. O ancora, si presenta come l‘interprete autorizzato della legge, che porta alla perfezione (Mt 5, 17). A tale riguardo egli insegna Con un‘autorità singolare (Mt 13, 54 par.), a differenza degli scribi, Così pronti a nascondersi dietro l‘autorità degli antichi (Mt 7, 29 par.). Inoltre la sua dottrina presenta un carattere di novità che colpisce gli uditori (Mc 1, 27; 11, 18), sia che si tratti del suo annuncio del regno, oppure delle regole di vita che egli dà: trascurando le questioni di scuola, oggetto di una tradizione che rigetta (cfr. Mt 15, 1-9 par.), egli vuol far conoscere il messaggio autentico di Dio e portare gli uomini ad accoglierlo. 3. Il segreto di questo atteggiamento così nuovo sta nel fatto che, a differenza dei dottori umani, la sua dottrina non è sua, ma di colui che l‘ha mandato (Gv 7, 16 s); egli dice soltanto Ciò che il Padre gli insegna (Gv 8,28). Accogliere il suo insegnamento significa quindi essere docili a Dio stesso. Ma per giungere a tanto occorre una certa disposizione del cuore che inclina a compiere la volontà divina (Gv 7, 17). Più profondamente ancora, bisogna aver ricevuto quella grazia interiore che, secondo la promessa dei profeti, rende l‘uomo docile all‘insegnamento di Dio (Gv 6, 44 s). Si tocca qui il mistero della libertà umana alle prese con la grazia: la parola di Cristo-dottore urta contro l‘accecamento volontario di coloro che pretendono di veder Chiaro (cfr. Gv 9, 39 ss).

II. L’INSEGNAMENTO APOSTOLICA

1. Durante la vita pubblica Gesù affida ai suoi discepoli delle missioni transitorie, che non concernono tanto l‘insegnamento sotto le sue forme particolareggiate, quanto la proclamazione del vangelo (Mt 10, 7 par.). Soltanto dopo la sua risurrezione essi ricevono da lui un ordine preciso che li istituisce nello stesso tempo «predicatori, apostoli e dottori» (cfr. 2 Tim 1, 11): «Andate, istruite tutte le genti.... insegnando loro ad osservare tutto ciò che io vi ho Comandato» (Mi 28, 19 s). Per assolvere questo compito dalle prospettive immense, egli frattanto ha promesso loro l‘invio dello Spirito Santo Che avrebbe insegnato loro ogni Cosa (Gv 14, 26). Discepoli dello Spirito per diventare perfetti discepoli di Cristo, essi trasmetteranno quindi agli uomini un insegnamento Che non verrà da essi, ma da Dio. Per questo potranno parlare con autorità: il Signore stesso sarà con essi sino alla fine dei secoli (Mt 28, 20; Gv 14, 18 s). 2. Dopo la Pentecoste, gli apostoli svolgono questa missione di insegnamento non in nome proprio, ma «in nome di Gesù» (Atti 4, 18; 5, 28), di Cui riferiscono gli atti e le parole, appellandosi sempre alla sua autorità. Come Gesù, insegnano nel tempio (Atti 5, 12), nella sinagoga (Atti 13, 14 ...), nelle Case private (Atti 5, 42). Oggetto di questo insegnamento è innanzitutto la proclamazione del messaggio della salvezza. Gesù, Messia e Figlio di Dio, pone termine all‘attesa di Israele; la sua morte e la sua risurrezione compiono le Scritture; bisogna Convertirsi e credere in lui per ricevere lo Spirito promesso e sfuggire al giudizio (cfr. i discorsi degli Atti). Catechesi elementare, Che vuole portare gli uomini alla fede (cfr. Atti 2, 22-40); dopo il battesimo viene completata con un insegnamento più profondo, al quale i primi Cristiani si mostrano assidui (Atti 2, 42). Tra gli uditori non cristiani alcuni si stupiscono della sua novità (cfr. Atti 17, 19 s); le autorità giudaiche si turbano soprattutto del suo successo, e tentano di proibirlo a persone che non hanno ricevuto una formazione normale di scribi (Atti 4, 13; cfr. 5, 28). Fatica vana: dopo essersi diffuso in Giudea, l‘insegnamento è portato a folle considerevoli in tutto il mondo greco. Esso si identifica con la parola (Atti 18, 11), con la testimonianza, con il vangelo. Trova la via dei cuori perché lo accompagna la forza dello Spirito (cfr. Atti 2, 17 ss), quello Spirito la Cui unzione rimane nei cristiani e li istruisce in tutto (1 Gv 2, 27). 3. Lo stesso Spirito, d‘altronde, con i suoi carismi (cfr. 1 Cor 12, 8. 29) fa sorgere nella Chiesa, a fianco degli apostoli, altri insegnanti che li aiutano nel loro ministero di evangelizzazione: i didàskaloi, catechisti incaricati di fissare e di sviluppare per le giovani Comunità il contenuto del vangelo (Atti 13, 1; Ef 4, 11). Nello stesso tempo si costituisce un corpo di dottrina Che è la regola della fede (cfr. Rom 6, 17). All‘epoca delle lettere pastorali esso ha già assunto una forma tradizionale (1 Tim 4, 13. 16; 5, 17; 6, 1 ss). Mentre la fede si vede minacciata da insegnamenti errati o futili (Rom 16, 17; Ef 4, 14; 1 Tim 1, 3; 6, 3; Apoc 2, 14 s. 24), divulgati da falsi dottori (2 Tím 4, 3; 2 Piet 2, 1) e fonti di eresie, la conservazione e la trasmissione di questo deposito autentico è una delle cure essenziali dei pastori.

Autore: A. Barucq e P. Grelot
Fonte: Dizionario teologico biblico