Scrutatio

Venerdi, 19 aprile 2024 - San Leone IX Papa ( Letture di oggi)

Figura


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II greco typos ed il latino figura sono usati dai teologi per designare i simbolismi più originali Che si incontrino nel linguaggio della Bibbia: le prefigurazioni. I libri sacri usano allo stesso scopo parecchi altri termini esprimenti idee connesse: antìtypos (replica del typos), bypòdeigma (esempio, donde im. magine annunciatrice, riproduzione anticipata), paràdeigma (esempio), parabolè (simbolo), skià (ombra), mìmema (imitazione). Per il senso generale tutti questi termini si ricollegano ad immagine (eikòn), modello (typos: 1 Tess 1, 7); ma per lo più implicano una sfumatura particolare che li avvicina a tipo/figura.

VT

Il linguaggio del VT, Come ogni linguaggio religioso, ricorre frequentemente al simbolismo senza soffermarsi a definírne la natura e le fonti. Ma è facile identificare le concezioni fondamentali da cui deriva il suo uso dei simboli; ed è quanto qui importa.

I. SIMBOLISMO ESEMPLARISTA: IL MODELLO CELESTE E LE SUE IMITAZIONI TERRENE

Come tutte le religioni antiche, il VT si raffigura il mondo divino, il mondo celeste, come il prototipo sacro, ad immagine del quale è organizzato il mondo di quaggiù. Come un re, Dio risiede in un palazzo celeste (Mi 1, 3); è circondato da una Corte di servi (Is 6, 1 ss), ecc. E poiché lo scopo del culto è di mettere l‘uomo in rapporto con Dio, ci si sforza di riprodurre in esso quel modello ideale, Cosicché il mondo celeste sia in qualche modo messo alla portata dell‘uomo. Così Gerusalemme ed il suo tempio sono l‘imitazione del palazzo divino, con il quale in certo modo si identificano (cfr. Sal 48, l-4). Perciò il codice sacerdotale mostra Dio che sul Sinai Comunica a Mosè un modello al quale egli dovrà conformare il tabernacolo (ebr. tabnit; gr. typos, Es 25, 40, o paràdeigma, Es 25,9); questo modello è una specie di disegno di architetto (cfr. 1 Cron 28, 11: tabnit, paràdeigma) stabilito da Dio in base alla sua propria dimora. Così pure, secondo Sap 9, 8, il tempio costruito da Salomone è «l‘imitazione (mìmema) della tenda sacra che Dio si è preparata fin dall‘origine». Questo simbolismo esemplarista non è molto lontano dalla teoria platonica delle «Idee». Platone quindi, su questo punto, non fa che elaborare filosoficamente un dato Corrente nelle tradizioni religiose dell‘Oriente antico.

SIMBOLISMO ESCATOLOGICO: LA STORIA DELLA SALVEZZA E LA SUA CONSUMAZIONE FINALE

1. La concezione biblica della storia sacra. - Le mitologie antiche applicavano lo stesso principio esemplarista ai cicli cosmici (ritorno dei giorni, delle stagioni, ecc.) ed alle esperienze fondamentali della storia umana (avvento del re, guerra, ecc.). Nell‘un caso e nell‘altro. esse vedevano i riflessi terreni di una storia divina verificatasi prima di tutti i tempi, archetipo primordiale di ogni divenire cosmico e di ogni agire umano. Questo archetipo, imitato indefinitamente nel tempo, conferiva alle cose di quaggiù il loro significato sacro. Perciò il mito era attualizzato nel culto mediante un dramma rituale, al fine di mettere gli uomini in rapporto con l‘azione degli dèi. Ora la rivelazione biblica, eliminando il politeismo, svuota del suo contenuto la sola storia sacra che i paganesimi vicini conoscono: per essa Dio non ha più attività se non nei confronti della sua creazione. Ma in questa nuova prospettiva essa scopre un‘altra specie di storia sacra, che i paganesimi ignoravano totalmente: la storia del disegno di Dio, che dall‘origine si svolge nel tempo in modo lineare e non ciclico, fino alla sua realizzazione completa che avverrà al termine del tempo, nella escatologia.

2. Il senso degli avvenimenti della storia sacra. - Il termine del disegno di Dio non sarà rivelato Chiaramente se non quando prenderà Corpo nell‘avvenimento escatologico. Tuttavia Dio ha già incominciato a darne un‘oscura conoscenza al suo popolo a partire dagli avvenimenti della sua storia. Esperienze come l‘esodo, l‘alleanza sinaitica, l‘ingresso nella terra promessa ecc., non erano accidenti privi di senso. Atti di Dio nel tempo umano, essi portavano in se stessi il segno del fine che Dio persegue dirigendo il corso della storia, ne abbozzavano progressivamente i tratti. Perciò possono già nutrire la fede del popolo di Dio. Perciò anche i profeti, evocando nei loro oracoli escatologici il termine del disegno di Dio, vi mostrano la ripresa più perfetta delle esperienze passate: nuovo esodo (Is 43, 16-21), nuova alleanza (Ger 31, 31-34), nuovo ingresso nella terra promessa verso una nuova Gerusalemme (Is 49, 9-23), ecc. Così quindi la storia sacra, con tutti gli elementi che la compongono (avvenimenti, personaggi, istituzioni), possiede quel che si può chiamare un simbolismo escatologico: manifestazione parziale dei disegni di Dio ad un livello ancora imperfetto, essa mostra in modo velato il termine verso il quale questo disegno Cammina.

3. L’escatologia e le origini. - Lo stesso principio si applica eminentemente al punto di partenza della storia sacra, la creazione. Infatti, se nella rivelazione biblica non c‘è più una storia divina primordiale, sussiste questo atto primordiale mediante il quale Dio ha inaugurato il suo disegno, svelando fin dall‘inizio gli scopi Che intendeva perseguire quaggiù. L‘escatologia, atto finale di Dio, ne deve ritrovare i tratti. Secondo gli oracoli profetici essa non sarà soltanto un nuovo esodo, ecc.; sarà una nuova Creazione (Is 65, 17), analoga alla prima perché riprenderà lo stesso disegno, più perfetta perché scarterà gli ostacoli che in un primo tempo fecero fallire i disegni di Dio: il peccato e la morte. Le stesse immagini quindi di perfezione e di felicità servono ad evocare, ai due Capi del tempo, il paradiso primitivo ed il paradiso ritrovato (ad es.: Os 2,20- 24; Is 11,5-9; 51, 3; 65, 19-25; Ez 36, 35). Tra i due si svolge la storia sacra, coscientemente vissuta dal popolo dell‘antica alleanza Che ne aspetta la consumazione nella nuova alleanza. 4. Il culto e la storia sacra. - Il culto del VT non deve più attualizzare una storia mitica degli dèi in un dramma rituale per farvi partecipare gli uomini. Ma, poiché la storia sacra rimane un atto divino compiuto nel tempo umano, le feste liturgiche acquistano a poco a poco la funzione di Commemorare (ed in questo senso di attualizzare per la fede di Israele) i grandi fatti Che la compongono. Il sabato diventa un memoriale della creazione (Gen 2, 2 s; Es 31, 12 ss); la Pasqua un memoriale dell‘esodo (Es 12, 26 s); la Pentecoste un memoriale dell‘alleanza sul Sinai (nel giudaismo post- biblico); i tabernacoli un memoriale del soggiorno nel deserto (Lev 23, 42 S). E poiché, d‘altra parte, questi avvenimenti passati erano presagi della salvezza finale, la loro Commemorazione cultuale è portatrice di speranza: Israele non ricorda i benefici storici di Dio se non per attendere con maggior fede il beneficio escatologico, di cui essi sono gli annunzi velati, inscritti nella trama della storia- Infine il VT conosce un esemplarismo morale, in cui gli uomini-tipi del passato sono modelli disposti da Dio in vista della istruzione del suo popolo. Così Enoch fu un esempio (bypòdeigma) in vista della penitenza (Eccli 44,16). Un esemplarismo di questo genere è sfruttato frequentemente nei libri sapienziali. Assume una forza particolare quando si fonda sul simbolismo escatologico della storia sacra, quale l‘abbiamo definito (cfr. Sap 10-19). Si vede che la dottrina delle prefigurazioni è già ben viva nel VT. Derivando da una concezione della storia sacra Che appartiene in proprio alla rivelazione biblica, essa differisce profondamente dal semplice simbolismo esemplarista, che non di meno il VT conosce ed all‘occasione sfrutta. Essa fornisce agli oracoli profetici il linguaggio, grazie al quale possono evocare in anticipo il mistero della salvezza. È in tal modo legata alla dialettica stessa della rivelazione. Il NT lo mostrerà pienamente. NT Gesù ha coscienza di portare a termine i tempi preparatori (MC 1, 15) e di inaugurare quaggiù lo stato di cose annunciato dagli oracoli profetici (cfr. Mi 11, 4 ss; Lc 4, 17 ss). Tutta la storia sacra svoltasi sotto il regime della prima alleanza acquista quindi il suo significato definitivo negli atti Che egli compie, nelle istituzioni che crea, nel dramma che vive. Perciò, per definire la sua opera e renderla intelligibile, egli l‘accosta intenzionalmente agli elementi figurativi contenuti in questa storia. La comunità che egli crea si chiamerà Chiesa (MI 16,18), cioè un‘assemblea Cultuale analoga a quella di Israele nel deserto (cfr. Atti 7, 38); essa poggerà sui dodici apostoli, il cui numero ricorda quello delle tribù, struttura fondamentale del popolo di Israele (cfr. Mt 19, 28). Così pure la Cena, Che spiega il senso della sua Croce e ne rende presente la realtà sotto segni sacramentali, si comprende in funzione della Pasqua (Lc 22, 16 par.) e dell‘alleanza sinaitica (Lc 22, 20); il pane di vita promesso, che è il suo corpo, supera per i suoi effetti la manna Che ne era l‘immagine imperfetta (Gv 6, 58). Questi esempi mostrano Come Gesù, raccogliendo i simbolismi escatologici

III. ESEMPLARISMO MORALE

I. GLI ATTEGGIAMENTI DI GESù della storia sacra, li sfrutta per evocare concretamente il mistero della salvezza giunto alla fine dei tempi, inaugurato nella sua persona e nella sua vita, chiamato ad attualizzarsi nella storia della sua Chiesa ed a conzumarsi nell‘eternità quando il tempo umano avrà avuto fine. Con ciò egli fa Comprendere come in lui gli avvenimenti e le istituzioni del VT acquistano il loro pieno senso, fino allora parzialmente velato, ma ora pienamente rivelato dall‘avvenimento al quale tendevano.

II. LO SFRUTTAMENTO DELLE FIGURE BIBLICHE Sull‘esempio di Gesù, l‘insieme degli autori sacri del NT fa appello incessante al principio figurativo, ora per mostrare che il mistero della salvezza si svolge «conformemente alle Scritture», ora per definirlo con un linguaggio onusto di portata religiosa. Così Matteo riferisce a Gesù ciò che Osea diceva di Israele, «figlio di Dio» (Mi 2, 15; cfr. Os 11, 1), mentre Giovanni applica a Cristo in croce la descrizione dell‘agnello pasquale (Gv 19, 36). In entrambi i Casi il compimento delle Scritture ha per fondamento il compimento delle prefigurazioni bibliche. In numerosi passi il linguaggio dottrinale del NT prende Così lo spunto dalla esperienza storica del popolo di Israele, sia che gli oracoli profetici ne abbiano già trasferito ed applicato i dati all‘escatologia (Cos? Apoc 21 che riprende Is 62), sia che questo trasferimento dei testi appartenga in proprio agli autori del NT (così 1 Piet 2, 9 Che riprende Es 19, 5 s). Tuttavia bisogna giungere a S. Paolo ed alla lettera agli Ebrei per veder definire nettamente il principio teologico delle prefigurazioni.

III. S. PAOLO Per Paolo i personaggi ed i fatti della storia sacra racchiudono le figure annunciatrici (è questo il senso Che egli dà alla parola typos) del mistero di Cristo e delle realtà cristiane. Già alle origini, Adamo era una figura dell‘Adamo futuro (Rom 5,14). Più tardi, gli avvenimenti dell‘esodo sono accaduti in figura (1 Cor 10, 11); sono «figure Che riguardano noi, Che siamo giunti alla fine dei tempi» (1 Cor 10, 6); la realtà prefigurata da questi tipi è la nostra partecipazione effettiva al mistero di Cristo, assicurata dai sacramenti cristiani. Così in 1 Piet 3, 21 il battesimo è chiamato un «antitipo» del diluvio. L‘esemplarismo morale procede facilmente da questa interpretazione figurativa della storia sacra: i castighi dei nostri padri nel deserto sono una lezione per noi (cfr. 1 Cor 10, 7 ss) ed annunziano la condanna definitiva dei cristiani infedeli; la distruzione di Sodoma e la preservazione di Lot sono un esempio (bypòdeigma) per gli empi futuri (2 Piet 2, 6); viceversa, la fede di Abramo «aveva parimenti di mira noi» (Rom 4, 23), per modo che «coloro Che si appellano alla fede sono i figli di Abramo» (Gal 3, 7). Prolungando le linee di questa tipologia, Paolo si permette di interpretare allegoricamente talune pagine della Scrittura, dove trova i simboli delle realtà Cristiane. Lo dice esplicitamente in Gal 4, 24, quando applica ai cristiani ciò che la Genesi diceva di Isacco, figlio della promessa. Questa allegorizzazione non si Confonde puramente e semplicemente con la tipologia che le sta alla base; resta un metodo pratico, sfruttato per adattare i testi biblici ad un oggetto diverso da quello che essi intendevano primitivamente, salvo poi a sovrapporre un significato secondario a tutti i particolari che essi contengono. Del resto Paolo ha coscienza che le figure bibliche non erano Che immagini imperfette in rapporto alle realtà ora svelate. Così il culto giudaico non conteneva Che «l‘ombra delle cose future» (skià), mentre la realtà (sòma) è il Corpo di Cristo (Col 2, 17).

IV. LA LETTERA AGLI EBREI

In S. Paolo il simbolismo escatologico, già sfruttato dagli oracoli profetici, trovava espressione nei binomi typos/antìtypos e skià/sòma. Nella lettera agli Ebrei questo simbolismo escatologico si intreccia con un simbolismo esemplarista comune alle religioni orientali, al platonismo ed allo stesso VT. E questo perché il mistero di Cristo, il sacrificio Che egli Compie, la salvezza che apporta, sono ad un tempo le Cose celesti (Ebr 8, 5; 9, 23; 12, 22), eterne per natura (5, 9; 9, 12; 13, 20), e le «cose future» (6, 5; 10, 1), avvenute alla fine dei secoli (9, 26). Tali sono le vere realtà (8, 2; 9, 24), alle quali i nostri padri nella fede, gli uomini del VT, potevano soltanto aspirare (11, 16.20), mentre noi Cristiani le abbiamo già gustate Con l‘iniziazione battesimale (6, 4)- Di fatto la prima alleanza ne conteneva soltanto riproduzioni anticipate (bypòdeigma, 8, 5; 9, 23), ombre (skià, 8, 5), repliche (antìtypos, 9, 24) di un modello Che esisteva fin d‘allora in cielo, -pur non dovendo essere rivelato quaggiù Che per mezzo di Cristo. Questo modello (typos), che fu mostrato a Mosè sulla montagna quando costruiva il tabernacolo (8,5 = Es 25, 40; cfr. Atti 7, 44), è il sacrificio di Cristo, il quale è entrato nel santuario celeste come sommo sacerdote dei beni futuri, per realizzare la nuova alleanza (9, 11 s). Ora le realtà ecclesiali non racchiudono più soltanto un‘ombra (skià) dei beni futuri, ma un‘immagine (eikòn) che ne contiene tutta la sostanza e permette di parteciparvi misteriosamente. Così viene ad essere definita l‘economia sacramentale della nuova alleanza, in opposizione all‘economia antica ed al suo Culto figurativo. In questo linguaggio tecnico la parola typos riveste un senso inverso a quello che aveva in S. Paolo, perché non designa più le prefigurazioni del NT nel VT, ma l‘atto di Cristo Che, al termine dei tempi, realizza il fatto della salvezza. C‘è qui una netta traccia di simbolismo esemplarista, perché il rapporto del VT al mistero di Cristo è lo stesso Che quello delle Cose cultuali della terra al loro archetipo celeste. Tuttavia, poiché questo archetipo è nello stesso tempo il termine della storia sacra, proprio in virtù di un simbolismo escatologico le cose del VT ne sono le repliche (antìtypos); in Cristo, Che appartiene contemporaneamente al tempo ed all‘eternità, il rapporto della terra con il Cielo ed il rapporto della storia figurativa con il suo termine si intersecano, o meglio si identificano. Di fatto si constata in altri passi Che l‘autore della lettera, al pari di Paolo, è attento alla dimensione orizzontale della tipologia, anche se il suo linguaggio ne suggerisce soprattutto la dimensione verticale. In effetti egli scopre negli avvenimenti del VT le prefigurazioni dell‘avvenimento della salvezza: Isacco sulla catasta è un simbolo (parabolè) di Cristo morto e risorto (11, 19); il riposo della terra promessa in cui entrarono i nostri padri simboleggia il riposo divino in Cui l‘economia Cristiana Ci introduce (4, 9 s; cfr. 12, 23). Da questo simbolismo escatologico deriva naturalmente un esemplarismo morale: gli Ebrei nel deserto sono per noi un esempio (hypòdeigma, 4, 11) di disobbedienza, ed il loro Castigo presagisce quello Che attende noi se, sul loro esempio, siamo infedeli; al Contrario, i santi del VT sono per noi un esempio di fede (11). Il principio delle prefigurazioni, abbozzato già nel VT, sfruttato costantemente nel NT, definito esplicitamente (Con notevoli sfumature) da San Paolo e dalla lettera agli Ebrei, è quindi essenziale alla rivelazione biblica, di cui permette di Comprendere lo sviluppo. Dall‘uno all‘altro testamento esso mette in luce la continuità di una vita di fede condotta dal popolo di Dio a livelli diversi, il primo dei quali annunziava quello che doveva seguirlo «a modo di figure».

Autore: P. Grelot
Fonte: Dizionario teologico biblico