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Venerdi, 29 marzo 2024 - Santi Simplicio e Costantino ( Letture di oggi)

Culto


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In tutte le religioni il culto stabilisce relazioni tra l‘uomo e Dio. Secondo la Bibbia l‘iniziativa di queste relazioni parte dal Dio vivente che si rivela; in risposta, l‘uomo adora Dio con un culto che assume una forma comunitaria. Questo culto non esprime soltanto il bisogno che l‘uomo ha del creatore, dal quale dipende totalmente, ma soddisfa pure ad un dovere: di fatto Dio ha scelto un popolo che lo deve «servire», e con ciò diventare suo testimone; il popolo eletto deve quindi assolvere la sua missione rendendo un culto a Dio. (In ebraico la parola culto deriva dalla radice‘abad che significa «servire»).

VT

I. IL CULTO DEL VERO DIO NELLA STORIA

Il culto biblico si evolve, e nel corso della sua storia si vedono apparire gli elementi comuni a tutti i culti: luoghi, oggetti e persone sacri (santuari, arca, altari, sacerdoti), tempi sacri (feste, sabato), atti cultuali (purificazioni, consacrazioni, circoncisione, sacrifici, offerta di profumi, preghiera in tutte le sue forme), prescrizioni cultuali (digiuno, interdetti...). Prima del peccato le relazioni dell‘uomo con Dio sono semplici; a condizione di non trasgredire la proibizione concernente I ?albero della scienza del bene e del male, e di dimostrare così la propria dipendenza, l‘uomo può mangiare dell‘albero della vita (Gen 2,9; 3, 22); potrebbe così, con un atto di tipo cultuale, comunicare con Dio. Lo stesso albero della vita si ritrova nella Gerusalemme celeste, dove il culto non comporta più una pedagogia permanente, che dà alla vita religiosa di Israele le sue tre dimensioni storiche ed il suo movimento. Il culto ricorda anzitutto i fatti del passato, di cui rinnova la celebrazione; nello stesso tempo li attualizza e ravviva così la fede del popolo in un Dio che è presente e potente come per il passato (Sal 81; 106; discorsi di Deut 1- 11; rinnovazione dell‘alleanza: Gios 24); infine stimola la speranza del popolo e la sua attesa del giorno in cui Dio inaugurerà il suo regno e le nazioni saranno unite ad Israele liberato, nel culto del vero Dio. Questa prospettiva del futuro acquista tutta la sua ampiezza soltanto a poco a poco, grazie ai profeti che annunciano la nuova alleanza (Ger 31,31 ss). Il Dio unico rivela il suo disegno soprattutto nel ,libro della consolazione (Is 45) e nelle profezie postesiliche (Is 66,18-23; Zac 14,16-21): egli vuole manifestarsi a tutti i popoli per ottenerne il culto che gli è dovuto come creatore e salvatore universale. I profeti, testimoni di questo disegno, proclamano nello stesso tempo le esigenze del. Dio dell‘alleanza, che non gradisce un culto senz ?anima. Così essi combattono ad un tempo il particolarismo nazionale ed il formalismo rituale che minacciano di impedire al culto di Israele di essere la testimonianza efficace che Dio attende dal suo popolo.

II. L’ANIMA DEL VERO CULTO. LA FEDELTA ALL’ALLEANZA

Il culto di Israele diverrà spirituale a mano a mano che esso diventerà cosciente, grazie ai profeti, del carattere interiore delle esigenze dell‘alleanza. Questa fedeltà del cuore è appunto la condizione di un culto autentico e la prova che Israele non ha altro Dio che Jahve (Es 20, 2 s par.). II Dio salvatore dell‘esodo e del decalogo è santo ed esige che il popolo, di cui vuole fare un popolo sacerdotale, sia santo (Lev 19, 2). Ricordandolo, i profeti non rigettano i riti, esigono che sia loro dato il vero senso. I doni dei nostri sacrifici devono esprimere il nostro ringraziamento a Dio, fonte di ogni dono (Sal 50). Già Samuele affermava che Dio rigetta il culto di coloro che disobbediscono (l Sam 15,22). Amos ed Isaia lo ripetono con forza (Am 5, 21-26; Is I, 11-20; 29, 13), e Geremia in pieno tempio proclama la vanità del culto che vi si celebra, denunciando la corruzione dei cuori (Ger 7, 4- 15. 21 ss). Ezechiele, il profeta-sacerdote, pur annunziando la rovina intermediari tra Dio ed i suoi servi (Apoc 22,2s). Dopo il peccato il sacrificio compare nel culto; i patriarchi invocano Jahve e gli erigono altari (Gen 4,26; 8,20; 12,8). Ma Dio non gradisce un culto qualsiasi; non soltanto considera le disposizioni interne di colui che offre (Gen 4, 3 ss), ma esclude talune forme esteriori come i sacrifici umani (Gen 22; 2 Re 16, 3; Lev 20, 2 s) o la prostituzione sacra (1 Re 22, 47; Deut 23, 18), nonché la fabbricazione di immagini simboleggianti il Dio invisibile (Deut 4, 15-18; cfr. Es 32, 4 s). Dopo che l‘alleanza ha fatto di Israele il popolo di Dio, il suo culto è sottoposto ad una legislazione sempre più precisa ed esigente. Il centro di questo culto è l‘arca, simbolo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo; da prima mobile, l‘arca si fissa poi in diversi santuari (ad es. Silo: Gios 18, 1); infine David la stabilisce a Gerusalemme (2 Sam 6) dove Salomone costruisce il tempio (1 Re 6); al tempo della riforma deuteronomica esso diventerà il luogo unico del culto sacrificale. Dopo l‘esilio il culto del secondo tempio è regolato da prescrizioni rituali che si fanno risalire a Mosè, come si fa risalire ad Aronne la genealogia dei sacerdoti, per indicare il legame del culto con l‘alleanza che ne costituisce il fondamento. Questo legame sarà sottolineato dal sapiente Ben Sira poco prima della lotta condotta dai Maccabei, affinché il popolo possa rimanere fedele alla legge e al culto del solo vero Dio (1 Mac 1, 41-64). La liturgia sinagogale, fatta di canti e di preghiere, e destinata a nutrire dopo l‘esilio la vita di preghiera comunitaria nei Giudei della dispersione, completa la liturgia del tempio. Non toglie tuttavia al tempio unico il suo privilegio; e se una setta, come quella di Qumran, si separa dal sacerdozio di Gerusalemme, lo fa perché aspira ad un culto purificato in un tempio rinnovato.

II. I RITI CULTUALI E L’EDUCAZIONE DEL POPOLO DI DIO

Il popolo di Dio ha attinto a rituali vicini che riflettono la vita di pastori nomadi o di agricoltori sedentari; ma ai riti che adotta conferisce un senso nuovo, collegandoli all‘atto dell‘alleanza (ad es. Deut 16, l-8 per la Pasqua; Lev 23,43 per i Tabernacoli) ed al sacrificio che l‘ha suggellata (Es 5, 1 ss; 24, 8; Sal 50, 5)- Il culto diventa in tal modo del tempio contaminato dalla idolatria, descrive il nuovo tempio della nuova alleanza (Ez 37, 26 ss), che sarà il centro culturale del popolo fedele (Ez 40-48). Il profeta del ritorno indica a quale condizione Dio gradirà il culto del suo popolo: dev ?essere una comunità veramente fraterna (Is 58, 6 s. 9 s. 13; 66,1 s). Questa comunità si apre ai pagani che temono Dio e ne osservano la legge (Is 56, 1-8). Più ancora, il culto universale dovrà essere decentralizzato (Mal 1, 11). Ben Sira, pur essendo superato da queste prospettive, si rivela non di meno come l‘erede della tradizione profetica, unendo intimamente la fedeltà alla legge ed il culto rituale (Eccli 34, 18 ss; 35, 1-16). Ed in un Israele particola. rista e formalista, che si chiuderà al suo messaggio, Cristo troverà dei cuori poveri, in cui i salmi avranno nutrito sia il senso della vera giustizia, condizione del vero culto (Lc 1, 74 s), sia l‘attesa del Messia che inaugurerà questo culto perfetto (Mal 3, 1-4).

NT

1. Gesù pone termine al culto antico portandolo a compimento. Anzitutto egli lo rinnova, conformandosi ai suoi riti e permeandoli del suo spirito di preghiera filiale. Presentato al tempio alla nascita (Lc 2, 22 ss), vi sale per le feste durante tutta la sua vita (Lc 2, 41; Gv 2, 13; 10, 22); predica sovente nei luoghi di riunione cultuale (Mc 14, 49; Gv 18,20). Come i profeti, esige che si sia fedeli allo spirito del culto (MI 23, 16-23): senza la purezza del cuore le purificazioni rituali sono vane (Mt 23, 25 s; 5, 8. 23 s). Ma egli va oltre il culto antico mediante il suo sacrificio. E se attesta il suo rispetto del tempio antico purificandolo (Gv 2, 14 ss), annunzia nello stesso tempo che a questo, rovinato per colpa dei Giudei, succederà un nuovo tempio, il suo corpo risorto (2, 19 ss). Allora avrà fine il culto di Gerusalemme (Gv 4,21). 2. La Chiesa nascente non la rompe con il culto figurativo del tempio se non superandolo. Al pari di Gesù, anche gli apostoli pregano nel tempio e vi insegnano (Atti 2,46; 5, 21). Ma, come proclama Stefano, il vero tempio è quello in cui abita Dio ed in cui regna Gesù (Atti 6, 13 s; 7,48 ss. 55 s). Anche Paolo che, per riguardo ai Giudei convertiti, accetta di partecipare a pratiche cul. tuali cui quelli sono fedeli (Atti 21, 24. 26; cfr. 1 Cor 10, 32 s), predica senza posa che la circoncisione è priva di valore e che il cristiano non è più soggetto alle osservanze antiche. Il culto cristiano è nuovo (Gal 5, 1. 6). II. LE ORIGINI DEL NUOVO CULTO 1. Gesù definisce il nuovo culto che annuncia; il vero culto è spirituale: non necessariamente senza riti, ma impossibile senza lo Spirito Santo, che ne rende capaci coloro che sono rinati per mezzo suo (Gv 4, 23 s; cfr. 7, 37 ss; 4, 10. 14). Il sacrificio di Gesù che suggella la nuova alleanza (Mc 10, 45; 14, 22 ss) dà il loro pieno senso alle formule del culto antico ormai superato (Ebr 10, 1-18; cfr. Sal 40, 7 ss); crea pure il nuovo culto, perché ha espiato veramente i peccati del mondo e comunica la vita eterna a coloro che comunicano con la carne e il sangue di Cristo (Gv 1, 29; 6, 51), il quale, alla cena, ha inaugurato egli stesso questo banchetto sacrificale ed ha comandato di rinnovarlo (Lc 22, 19 s). 2. La Chiesa ha obbedito. Nelle loro riunioni cultuali i primi discepoli coronano le loro preghiere ed il loro pasto con la «frazione del pane» (Atti 2, 42; 20, 7. 11), rito eucaristico il cui senso tradizionale e le cui esigenze sono ricordate da Paolo a coloro che le dimenticano (1 Cor 10, 16; 11, 24). Per partecipare all‘eucaristia bisogna essere stati aggregati alla Chiesa mediante il rito battesimale, prescritto da Gesù (Mt 28, 19) come condizione della nuova vita (Mc 16,16; Gv 3, 5), e compiuto dagli apostoli a partire dal giorno della Pentecoste (Atti 2, 38-41). Infine, mediante l‘atto della imposizione delle mani, gli apostoli danno lo Spirito ai battezzati (Atti 8, 15 ss). A questi tre riti fondamentali del culto cristiano si aggiungono usanze tradizionali d‘importanza diversa: celebrazione della domenica, «primo giorno della settimana» (Atti 20, 7; 1 Cor 16, 2), «giorno del Signore» (Apoc 1, 10); regole di disciplina, come per le donne portare il velo od il tacere nelle assemblee cultuali, regole istituite in vista del buon ordine e della pace (1 Cor 11, 5-16; 14, 34. 40).

III. STRUTTURA E TRIPLICE ASPETTO DEL CULTO CRISTIANO

Il culto della Chiesa, come quello di Israele, ha un triplice aspetto; commemora un‘opera divina del passato; l‘attualizza; permette così al cristiano di vivere nella speranza del giorno in cui, in Cristo, sarà manifestata pienamente la gloria di Dio. Ma, nonostante che taluni riti siano desunti dal culto antico, il culto cristiano non è una semplice figura del culto futuro, ne è l‘immagine; la novità del culto cristiano deriva dal suo fondamento che è il sacrificio perfetto e definitivo di Cristo, Figlio di Dio (Ebr 1, 2. s). Per mezzo suo il Padre è perfettamente glorificato; per mezzo suo tutti gli uomini che sperano in lui sono purificati dai loro peccati, e possono unirsi al culto filiale che Cristo rende al Padre in cielo e la cui realtà è la vita eterna (Ebr 7, 26; 8, 1 s; 9, 14. 26).

1. L’azione passata, che il culto cristiano commemora, è l‘offerta di Cristo per la nostra salvezza, offerta i cui frutti sono la risurrezione e il dono dello Spirito. Questa azione pone termine al culto antico destinato ad esprimere ed a nutrire l‘attesa umile e fiduciosa della salvezza, che è ormai consumata (Ebr 7, 18-28)- Cristo ci dà il mezzo di ricevere il frutto del sacrificio che ha offerto sull‘altare della croce, partecipando all‘eucaristia (Ebr. 13, 10).

2. Di fatto, presentemente, si realizza una comunione che ci prepara alla comunione eterna del cielo; il rito eucaristico, centro del nuovo culto e canale della nuova vita, ne è il segno ed il mezzo. Mediante questo rito Cristo glorioso si rende misteriosamente presente, affinché ci uniamo al corpo ed al sangue ch‘egli ha offerto e siamo così tutti un solo corpo, glorificando il Padre per mezzo di Cristo e con Cristo, sotto la mozione dello Spirito Santo (1 Cor 10,16s; 11, 24 ss; Fil 3, 3)- In tal modo abbiamo accesso al santuario celeste (Ebr 10, 19 ss) dove dimora Cristo, sacerdote eterno (Ebr 7, 24 s; 9, 11 s. 24); qui è celebrata l‘adorazione del Padre in spirito e verità, solo culto degno del Dio vivente (Gv 4,23s; Ebr 9,14). Essa è celebrata dall‘agnello immolato, dinanzi al trono di Dio, nel cielo, vero tempio di Dio, dov ?è la vera arca dell‘alleanza (Apoc 5, 6; 11, 19). Gli eletti che glorificano Dio con il Sanctus, di cui Isaia intese l‘eco (Apoc 4, 2-11; Is 6, 1 ss), glorificano pure l‘agnello che è il Figlio suo (Apoc 14, 1) e che ha fatto di essi un regno di sacerdoti per unirli al suo culto perfetto (Apoc 5, 9-13). Ora i riti che ci uniscono a Cristo ed al suo culto celeste implicano esigenze morali- Per mezzo del battesimo noi siamo morti al peccato per vivere della vita santa di Cristo risorto (Rom 6, 1-11; Col 3, 1-10; 1 Piet 1, 14 s). Peccare significa quindi rendersi indegni di comunicare col corpo e col sangue del Signore; se lo si fa, significa condannarsi (1 Cor 11, 27 ss). Invece, seguire Cristo, unirsi con una fedeltà costante all‘amore che ha ispirato il suo sacrificio, significa essere una vittima vivente che Dio gradisce (Ef 5, 1 s; Rom 12,1 s; 1 Piet 2, 5; Ebr 12, 28); allora il nostro culto liturgico, con i suoi canti di lode, esprime il culto spirituale del nostro ringraziamento permanente al Padre per mezzo del suo Figlio, il Signore Gesù (Col 3, 12-17).

3. Nell’ultimo giorno avranno fine i riti che lo annunziano e che noi celebriamo «fino a che venga» l‘agnello, rispondendo all‘appello della sua sposa (Marana tha = Vieni, o Signore!) per consumare le sue nozze con essa (1 Cor 11,26; 16,22; Apoc 19,7; 22,17). Allora non ci sarà più tempio per simboleggiare la presenza di Dio; nella Gerusalemme celeste la gloria del Signore non si manifesterà più mediante segni (Apoc 21, 22). Infatti nella città santa dell‘eternità i servi di Dio che gli renderanno un culto non saranno più dei peccatori, ma dei figli, che, nell‘universo rinnovato ed illuminato dalla gloria di Dio e dell‘agnello, vedranno il Padre loro faccia a faccia e berranno alla sua fonte l‘acqua viva dello Spirito (Apoc 21, 1-7. 23; 22, 1-5).

Autore: M.F. Lacan
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica