Scrutatio

Giovedi, 25 aprile 2024 - San Marco ( Letture di oggi)

Croce


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Gesù è morto crocifisso. La croce, che fu lo strumento della redenzione, è divenuta, assieme alla morte, alla sofferenza, al sangue, uno dei termini essenziali che permettono di evocare la nostra salvezza. Essa non è più una ignominia, ma un‘esigenza e un titolo di gloria, in primo luogo per Cristo, poi per i cristiani.

1. Lo scandalo della croce. - «Noi predichiamo un Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e follia per i pagani» (1 Cor 1, 23). Con queste parole Paolo esprime la reazione spontanea di ogni uomo posto alla presenza della croce redentrice. La salvezza verrebbe al mondo grecoromano per mezzo della crocifissione, supplizio riservato agli schiavi (cfr. Fil 2, 8), che non era soltanto una morte crudele, ma una ignominia (cfr. Ebr 12, 2; 13, 13)? La redenzione sarebbe procurata ai Giudei da un cadavere, una impurità di cui bisognava sbarazzarsi al più presto (Gios 10, 26 s; 2 Sam 21, 9 sa; Gv 19, 31), da un condannato appeso al patibolo, che portava su di sé il segno della maledizione divina (Deut 21, 22 s; Gal 3, 13)? Sul Calvario, per gli spettatori era facile beffarsi di lui, invitandolo a discendere dalla croce (Mt 27, 3944 par.). Quanto ai discepoli, si può prevedere la loro reazione atterrita. Pietro, che tuttavia aveva riconosciuto in Gesù il Messia, non poteva tollerare l‘annuncio della sua sofferenza e della sua morte (Mt 16,21 ss par.; 17,22 s par.): come avrebbe ammesso la sua crocifissione? Perciò, alla vigilia della passione, Gesù annunzia che tutti si sarebbero scandalizzati al suo riguardo (Mi 26, 31 par.).

2. Il mistero della croce. - Se Gesù, e dopo di lui i discepoli, non hanno attenuato lo scandalo della croce, si è perché un mistero nascosto gli conferiva un senso. Prima di Pasqua, Gesù era solo ad affermarne la necessità, per obbedire alla volontà del Padre (Mt 16,21 par.). Dopo la Pentecoste, illuminati dalla gloria del risorto, i suoi discepoli proclamano a loro volta questa necessità, collocando lo scandalo della croce al suo vero posto nel disegno di Dio. Se il Messia è stato crocifisso (Atti 2, 23; 4, 10), «appeso al legno» (5, 30; 10, 39) in modo scandaloso (cfr. Deut 21, 23), fu senza dubbio a motivo dell‘odio dei suoi fratelli. Ma questo fatto, una volta illuminato dalla profezia, acquista una nuova dimensione: compie «ciò che era stato scritto del Cristo» (Atti 13, 29)- Perciò i racconti evangelici della morte di Gesù contengono tante allusioni ai Salmi (Mt 27, 33-60 par.; Gv 19, 24. 28. 36 s): «bisognava che il Messia soffrisse», conformemente alle Scritture, come il risorto spiegherà ai pellegrini di Emmaus (Lc 24, 25 s).

3. La teologia della croce. - Paolo sapeva dalla tradizione primitiva che «Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture» (1 Cor 15, 3). Questo dato tradizionale fornisce un punto di partenza alla sua riflessione teologica: riconoscendo nella eroce la vera sapienza, egli non vuole conoscere che Gesù crocifisso (2, 2). Con ciò, infatti, risplende la sapienza del disegno di Dio, già annunziata nel VT (1,19 s); attraverso la debolezza dell‘uomo si manifesta la forza di Dio (1,25). Sviluppando questa intuizione fondamentale, Paolo scopre un senso alle modalità stesse della crocifissione. Gesù fu «appeso all‘albero» come un maledetto, per riscattarci dalla maledizione della legge (Gal 3,13). Il suo cadavere esposto sulla croce, «carne simile a quella del peccato», ha permesso a Dio di «condannare il peccato nella carne» (Rom 8, 3); la sentenza della legge è stata eseguita, ma nello stesso tempo Dio «l‘ha soppressa inchiodandola alla croce, ed ha spogliato le potestà» (Col 2, 14 s). Così, «mediante il sangue della sua croce», Dio ha riconciliato con sé tutti gli esseri (1, 20); sopprimendo le antiche divisioni causate dal peccato, ha ristabilito la pace e l‘unità tra Giudei e pagani, affinché non formino più che un solo corpo (Ef 2,14-18). La croce s ?innalza quindi alla frontiera tra le due economie del VT e del NT.

4. La croce, elevazione verso la gloria. - Nel pensiero di Giovanni la croce non è più semplicemente una sofferenza, una umiliazione, che trova non di meno un senso mediante il disegno di Dio e i suoi effetti salutari; è già la gloria di Dio anticipata. Del resto la tradizione anteriore non la menzionava mai senza evocare poi la glorificazione di Gesù. Ma per Giovanni, Gesù trionfa già in essa. Riprendendo, per designarla, il termine che fino allora indicava la esaltazione di Gesù al cielo (Atti 2, 33; 5,31), egli vi mostra il momento in cui il figlio dell‘uomo è «innalzato» (Gv 8, 28; 12, 32 s), come un nuovo serpente di bronzo, segno di salvezza (3, 14; cfr. Num 21, 4-9). Nel suo racconto della passione si direbbe che Gesù muove verso di essa con maestà. Vi sale trionfalmente, perché in essa egli fonda la sua Chiesa «donando lo Spirito» (19, 30) e lasciando fluire dal suo costato il sangue e l‘acqua (19, 34). Ormai bisogna «guardare verso colui che è stato trafitto» (19, 37), perché la fede è rivolta al crocifisso, la cui croce è il segno vivente della salvezza. Nello stesso spirito sembra che l‘Apocalisse abbia visto, attraverso questo «legno» salvatore, il «legno della vita», attraverso «l‘albero della croce», «l‘albero di vita» (Apoc 22, 2. 14. 19).

II. LA CROCE, SEGNO DEL CRISTIANO

1. La croce di Cristo. - Rivelando che i due testimoni erano stati martirizzati «là dove Cristo fu crocifisso» (Apoc 11, 8), l‘Apocalisse identifica la sorte dei discepoli e quella del maestro. Lo esigeva già Gesù: «Chi vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mi 16,24 par.). Il discepolo non deve soltanto morire a se stesso: la croce che porta è il segno che egli muore al mondo, che ha spezzato tutti i suoi legami naturali (Mt 10, 33-39 par.), che accetta la condizione di perseguitato, a cui forse si toglierà la vita (Mt 23, 34). Ma nello stesso tempo essa è pure il segno della sua gloria anticipata (cfr. Gv 12,26).

2. La vita crocifissa. - La croce di Cristo, che, secondo Paolo, separava le due economie della legge e della fede, diventa nel cuore del cristiano la frontiera tra i due mondi della carne e dello spirito. Essa è la sua sola giustificazione e la sua sola sapienza. Se si è convertito, è stato perché ai suoi occhi furono dipinti i tratti di Gesù in croce (Gal 3, 1). Se è giustificato, non è per le opere della legge, ma per la sua fede nel crocifisso; infatti egli stesso è stato crocifisso con Cristo nel battesimo, cosicché è morto alla legge per vivere a Dio (Gal 2,19) e non ha più nulla a che vedere con il mondo (6,14). Egli pone quindi la sua fiducia nella sola forza di Cristo, altrimenti si mostrerebbe «nemico della croce» (Fil 3, 18).

3. La croce, titolo di gloria del cristiano. - Nella vita quotidiana del cristiano, «l‘uomo vecchio è crocifisso» (Rom 6, 6), cosicché è pienamente liberato dal peccato. Il suo giudizio è trasformato dalla sapienza della croce (1 Cor 2). Mediante questa sapienza egli, sull‘ esempio di Gesù, diventerà umile ed «obbediente fino alla morte, ed alla morte di croce» (Fil 2, I-8). Più generalmente, egli deve contemplare il «modello» del Cristo, che «sul legno ha portato le nostre colpe- nel suo corpo, affinché, morti alle nostre colpe, viviamo per la giustizia» (I Piet 2, 21-24). Infine, se è vero che deve sempre temere l‘apostasia, che lo porterebbe a «crocifiggere nuovamente per proprio conto il Figlio di Dio» (Ebr 6, 6), egli può tuttavia esclamare fieramente con Paolo: «Per me, non sia mai ch‘io mi glori d‘altro all‘infuori della croce del nostro Signore Gesù Cristo, grazie al quale il mondo è per me crocifisso, ed io lo sono per il mondo» (Gal 6, 14).

Autore: J. Audusseau e X. Leon Dufour
Fonte: Dizionario di Teologia Biblica