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CAPO XXII. CLEMENTE BRENTANO IN DÜLMEN. INFLUENZA DI ANNA CATERINA SULLA DI LUI VITA SPIRITUALE

Vita della Beata Anna Caterina Emmerick - Libro primo

CAPO XXII. CLEMENTE BRENTANO IN DÜLMEN. INFLUENZA DI ANNA CATERINA SULLA DI LUI VITA SPIRITUALE
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Il Wesener ha notato una significantissima ed importantissima conversazione avuta con Anna Caterina nel giorno 26 di settembre 1815. Siccome egli la trovò nel maggior turbamento per una lozione di acquavite fattale senza alcun riguardo o pietà dalla sorella per comando del confessore, e tentò di consolarla col farle riflettere che Iddio si serviva della sorella come strumento proprio a farle raggiungere maggior perfezione, e che perciò appunto non permetterebbe che essa a malgrado le molteplici sue mancanze andasse perduta; ciò addusse per conseguenza più lungo colloquio spirituale, durante il quale Anna Caterina emise le seguenti asserzioni:

« Ho sempre ritenuto il servigio del prossimo per virtù oltremodo aggradevole a Dio. Fino dalla mia primissima gioventù ho pregato Iddio affinchè mi volesse dare la forza necessaria a poter servire ed essere utile ai miei simili. Ora so bene che egli ha esaudita questa mia preghiera. Ho per altro da adempire anche un'altra più vasta missione prima della mia morte. Devo rivelare ancora molto prima di morire. So e sento benissimo che ho tutto ciò da fare, ma non lo posso; e ciò principalmente, perchè temo che tutto ciò che ho da dire venga ascritto a mia lode. Sento anche benissimo che cotesto timore è una mancanza; dovrei manifestare liberamente a onore di Dio e della verità tutto ciò che ho da dire; ma non sono peranco pervenuta al vero e preciso punto di farlo, e devo starmene così finchè sia pervenuta ad imparare a vincermi e sormontarmi interamente. » Il Wesener avendole risposto sopra di ciò che egli riteneva per impossibile che la unica causa dell'inconcepibile continuazione del viver suo nascesse dalla sua propria persona, cioè dall' ottenimento della propria perfezione, poichè se ciò fosse ella già sarebbe in purgatorio, rispose: « Dio volesse che fosse così! Intanto è certo che non è solo in pro mio che qui giacio e patisco.

Ella non deve pubblicare nulla intorno a me prima della mia morte. Ciò che ho, non lo ho già da me stessa e come cosa mia; sono soltanto uno strumento nelle mani del Signore. Come appunto posso a capriccio posare qua o là il mio piccolo crocifisso, così io debbo sottopormi e compiacermi in tutto ciò che Iddio vuole e fa con me, lo faccio con gioia. Effettivamente so benissimo perchè io qui giacia; ed anche nella trascorsa notte fui intorno a ciò informata. Ho sempre implorato da Dio siccome grazia speciale il poter soffrire, ed anche ove fosse possibile espiare per coloro, che per errore o debolezza trovansi su falsi sentieri. Siccome per altro questa città ed il convento che qui esisteva hanno ricevuto me, povera figlia di contadini, do pochè molti altri conventi mi avevano rigettata, così mi sono specialmente offerta in sacrifizio ed in pro di questa città. Ho ottenuta la consolazione che Iddio accogliesse la mia preghiera, ed ho già allontanato alcun male da questo luogo, e spero poter giovare anche più oltre. »

2. Trascorsero ancora tre interi anni priachè si presentasse ad Anna Caterina la possibilità di fare la partecipazione a lei comandata delle sue visioni ed intenzioni ad alcuno, che potesse impiegare tempo, ingegno e forza a riceverle. Cotesto individuo fu Clemente Brentano, che, senza poter nemmeno sospettare che già da molti anni la sua persona era a lei spiritualmente presente ed era stata oggetto delle di lei preghiere e patimenti espiatorii, per combinazione accidentale erasi indotto a venire a Dülmen. Il professor Sailer, in Landshut, col quale trovavasi in epistolare corrispondenza circa le cose dello spirito, gli aveva comunicato il suo progetto di recarsi nelle ferie autunnali dell'anno 1818 a Münster e quindi a Sondermühlen presso il conte Federigo di Stolberg, e lo aveva invitato a venir da Berlino, ove trovavasi, ad incontrarlo in Westfalia. Siccome il Sailer si fece accompagnare da Cristiano Brentano, che nell'anno precedente aveva conosciuta Anna Caterina ed aveva verso di lei destata curiosa sollecitudine anche nel fratello Clemente, così quest'ultimo pensò di non lasciar passare il suo scontro col Sailer senza profittarne per fare una corta visita in Dülmen. Niun altro disegno aveva Clemente, e verun pensiero gli passava meno per la mente nel porsi in viaggio, che quello di fare un lungo soggiorno in Dülmen, città che per lui non poteva avere la minima attrattiva. Sondermühlen era il luogo destinato allo scontro coll'amico; ma quando Clemente vi giunse, non eravi pervenuto ancora verun annunzio del Sailer circa il quando vi arriverebbe. Ciò decise il Brentano a recarsi in Münster dall'Overberg, e di là andarsene a Dülmen.

« Giovedì 24 settembre 1818 (così egli riferisce nel suo diario) arrivai alle dieci in Dülmen. Il Wesener mi annunziò alla Emmerich onde non si spaventasse troppo. Ella mi ricevette amichevolmente. Passando per una capanna ed una vecchia cantina pervenimmo alla scala a chiocciola in pietra che a lei ci condusse. Picchiammo alla porta; la sorella ci aprì, e traversando la piccola cucina penetrammo nella stanza angolare, ove ella giace. Mi salutò e disse amichevolmente: Non si può fare a meno di riconoscere che ella somiglia al fratello. ? Mi sentii commosso da intima gioia nel vedere il di lei puro e sereno aspetto e nell'udire la innocente ed allegra vivacità del di lei discorso. Non trovai in tutte le sue sembianze ed in tutto il suo contegno la benchè minima traccia di esaltazione o di eccitamento. Le di lei parole non suonano di alcuna esagerata morale, nè severa predica di mortificazione, e molto meno nauseanti smorfie di dolcezza. Quanto ella dice è breve, semplice e schietto, ma altresì profondo, pieno di carità e pieno di vita. Mi sentii subito come in famiglia; intesi ed accolsi inmediatamente ogni impressione di quanto mi circondava. »

Noi già conosciamo la cagione di quel pronto ed amichevole procedimento. Anna Caterina vedeva esser giunto alla fine lo strumento lungamente sospirato e destinato a ricevere comunicazioni a lei comandate da Dio; ma cotesto strumento era ancora altrettanto estraneo al servigio che doveva prestare, quanto in un bosco un tronco di legno è estraneo alla immagine o statua che l'abilità dell'artefice ne vuol ricavare. E con qual mezzo mai potrà ella presso di sè ritenere fortemente uno straniero vivente in un mondo affatto diverso di azioni e d'inclinazioni? Con che potrà mai occupare uno spirito irrequieto, abituato a servir soltanto la propria volontà ed i propri capricci, e che da pochi mesi dopo lunghi e pericolosi errori aveva principiato di nuovo a cercare la via della salute? Bene a ragione, dopo trascorse alcune settimane, ella potè confessare al Brentano:

« Bene spesso sono costretta a meravigliarmi con me stessa che io possa con tanta confidenza parlare con lei e parteciparle tante cose, che d'altronde non soglio manifestare ad altri. Sin dal primo momento che io l'ho veduta non è stata punto per me straniera; la conosceva prima che ella qui da me venisse. Spesso nelle visioni anteriori della mia vita mi è stato mostrato un uomo di un colore alquanto scuro in volto, che scriveva qui accanto al mio letto; di modo tale, che dal primo momento in cui ella è entrata in questa mia stanza, pensai dentro di me: Ah! egli è desso. »

Clemente per altro non aveva in tutto ciò altro pensiero fuor quello di far della di lei vita il soggetto di un racconto piuttosto poetico che storico.

« Mi darò ogni pena (così scrisse nel suo diario) di notare tutto ciò che osserverò e che saprò dall' inferma; ho speranza di divenire il suo biografo.

«Quanto poi la di lui intelligenza si sollevasse poco al di sopra di una semplice intuizione poetica, lo provano i suoi diarii e le lettere che nelle prime settimane del suo soggiorno in Dülmen diresse ad alcuni suoi amici lontani.

Essa parla (così egli loda Anna Caterina) come un fiore del campo e come un augellino del bosco, e spesso alcunchè di meravigliosamente profondo, anzi di profetico risuona nel suo canto. » Talora Anna Caterina è per lui una meravigliosa, beata, gentile, amabile, rustica, semplice, allegra, mortalmente ammalata, astinente da ogni cibo, ed in modo soprannaturale vivente amica; » talora è per lui una prudente, delicata, fresca, pudica, sperimentata, savissima e nondimeno semplice ed affatto contadinesca anima, » che in ogni minuto lo sorprende colla somiglianza nella disposizione di spirito, nelle parole e nei modi d'esprimersi, che ei crede di ritrovare in lei, con una persona a lui molto prossima; talora finalmente manifesta la speranza di potere in un momento e ad un tratto cambiare tutta la di lei esterna situazione. « Qui tutto potrebbe essere ristabilito e risanato, se una fedele, intelligente e pia creatura le ritogliesse le cure delle cose domestiche, e sedendo presso il di lei letto, posto che è il più bello del mondo per sedervi, dirigesse il di lei esiguo andamente economico e da lei allontanasse ogni disturbo. »

3. Anna Caterina sopportò non solo con infinita pazienza lo intero contegno di un uomo tanto a lei estraneo, e gli corrispose con quella irresistibile bontà che era abituata ad usare anche verso i più poveri ed i minimi che si accostavano al di lei letto; ma gli mostrò inoltre una confidenza affatto speciale ed una sincerità che profondamente commossero il suo cuore, talmentechè facilmente potè decidersi ad aspettare l'arrivo del Sailer e di suo fratello (arrivo sospirato con impazienza, ma sempre ritardato di settimana in settimana) in una città che, come Dülmen, non gli era punto simpatica. La prima impressione che cotesta cittaduzza gli produsse, egli la descrive nel suo diario in un modo bizzarro:

«Questo luogo offre molte di quelle cose che le anime semplici sogliono aspirando desiderare. È una piccola cittaduzza campestre, senza arti e senza scienze, dove mai alcunchè s'intende o si sa di veruna letteratura o di alcun poeta; dove a sera si mungon le vacche dinanzi alla maggior parte delle porte delle case. Il maggior numero porta zoccoli; anzi li porta disgraziatamente anche colui che serve le Messe. I ragazzi vengono per la strada incontro ad ogni passeggiero di qualche apparenza, e gli dirigono baciamani. Molti poveri promettono a chi dà loro elemosina, di percorrere a sera la Via Crucis coi propri figliuoli, pregando pei benefattori; ed effettivamente quand' è cessato a sera il lavoro, cotesta Via, simbolica rappresentanza di quella percorsa dal Crocifisso, non è mai vuota di famiglie intere, che orando la percorrono. I più delicati lavori femminili consistono nei lavori del campo e dell'orto, nel preparare il lino, nel romperlo, nel pettinarlo, filarlo, imbiancarlo, ecc.; ed anche le figlie di cittadini benestanti appariscono vestite come altrove vanno le serve. In tutto questo luogo non trovasi un romanzo, e con sicura induzione può dirsi che non si trova veruna moda; ognuno porta quel che ha, finchè non è lacero. Eppure di qui passa una precipua strada postale, vi ha un ufficio di posta ed un palazzo di residenza estiva del mediatizzato duca di Croy Dülmen, ove egli può albergare con un seguito di ben 30 persone. Ciò malgrado ognuno parla dell'inaudito progresso del lusso e della decadenza dei buoni costumi da dieci anni in poi. »

Ma la grande amichevolezza con cui Anna Caterina, secondo il desiderio del confessore, lo lasciava quotidiana mente venire presso il suo letto e raccontarle a lungo delle sue circostanze ed inclinazioni, lo riconciliava sempre da capo con tutte quelle privazioni che gli venivano imposte dal suo soggiorno in Dülmen. Quella parte poi che Anna Caterina prendeva all'andamento del viver suo sino a quell'epoca, egli la interpetrò come prova irrecusabile che ella fosse allora occupata soltanto di ciò che lo toccava sicuramente più da vicino e che per lui era il più importante. Cotesto uomo adunque abituato ad agire sempre secondo l'impulso delle prime involontarie impressioni, si sentì da tutto ciò sempre più potentemente attirato; pure, mentre egli credeva soltanto spiando ascoltare « il canto profetico di un augellino del bosco, Anna Caterina affaticavasi colla maggior premura a far progredire la di lui anima, e nascondeva le proprie pene e sacrifizi sotto un cumulo di dolcezza e di bontà, per non disanimare quel novizio nella vita spirituale. Tutto il di lei contegno ed anche ogni singola parola impiegata con quella meravigliosa accortezza a lei propria, avea per iscopo di addurre la di lui piena riconciliazione con Dio ed il fondamentale rinnovamento dell' animo suo per mezzo di una sincera sommissione alla Chiesa e di una vivace pratica confessione della santa Fede. Ella aspettava l'adempimento completo delle sue precedenti visioni soltanto dopo che avrebbe indotto quello straniero a piegare il suo spirito sotto il giogo della ubbidienza ai divini comandi, e progredendo nella fede, ad appropriarsi così la unica e la più alta di rezione possibile in tutte le azioni ed in tutti i pensieri. Essa sapeva benissimo dire le cose le più convenienti ed adatte nel più opportuno momento, e così le di lei parole caddero come granelli di seme nel di lui cuore, e vi germogliarono e misero radice prima che egli, così guidato, si fosse pure accorto che trattavasi di cosa infinitamente più elevata di quel che nol fosse un florilegio poetico e le attrattive di una novità affatto straordinaria pel suo spirito, per certo altamente dotato, ma sazio oltremodo di ogni artificiale godimento.

4. Cotesta direzione spirituale del Pellegrino ( 1 ) e la sua graduale preparazione alla profonda intelligenza della missione di Anna Caterina ed alla trascrizione e deposito delle di lei visioni, sono fatti talmente decisivi nella vita di questa serva di Dio, che esigono la nostra più esatta attenzione; tanto più che non è possibile pervenire ad una chiara e giusta estimazione di cotesti procedimenti soltanto dalla imperfetta corrispondenza epistolare del Pellegrino, venuta per mezzo della stampa in cognizione pubblica. Sembrava che soltanto una concatenazione di accidentali circostanze esterne lo avesse condotto in Dülmen, ma Anna Caterina riconobbe in ciò le disposizioni della divina provvidenza e dopo breve soggiorno, anche nel Pellegrino destossi il presentimento che cotesta sua involontaria prolungazione di dimora in Dülmen sarebbe per riuscire di grave importanza per tutta la sua vita. Se per altro è oltremodo difficile all'uomo il ben comprendere una vocazione a lui proveniente da Dio, ed il liberarsi da inclinazioni ed abitudini fortemente radicate, per poter seguire cotesta vocazione ed adempire i doveri da questa imposti; tanto più nello spirito sì riccamente dotato del Pellegrino, che aveva traversato le fasi di una vita tanto mutabile, accoglievasi moltissimo che, secondo il giudizio umano e malgrado le sue rare prerogative, sembrava molto meno adatto di quel che altri spiriti nol fossero all ' adempimento dei disegni di Dio. Egli aveva appunto compito il quadragesimo anno del viver suo al momento dell'arrivo in Dülmen, ed era trascorso breve tempo dacchè aveva messo in pratica la decisione presa di riconciliarsi con Dio e con la Chiesa, a cui avea vissuto affatto estraneo e che anche allora mal conosceva.

(1) Così più tardi venne chiamato Clemente Brentano da Anna Caterina, e cotesta denominazione sarà da noi quindinnanzi conservata.

« Le forme cattoliche, così non molto prima avea scritto ad un amico ( 1), mi sono divenute altrettanto incomprensibili e disaggradevoli come quelle della Sinagoga. Sento che non sono felice; ma sento pure che quando mi sforzo di procacciarmi la interna tranquillità nel grembo del cristianesimo cattolico, cado in un tale stato di tormenti e di confusione, che mi trovo peggio di prima. Vi sono mille cose che da tutti gli angoli scaturiscono e mi disturbano, allorchè mi approssimo alla Chiesa cattolica. » Per contro egli si sentiva sì possentemente attratto nel circolo protestante di un predicatore pietista in Berlino, che ne fu indotto a confessare: « La chiesa dell'egregio H... mi ha prodotto per la prima volta in vita mia la impressione di una vera riunione di fedeli. Qui non vi ha nulla che mi disturbi, anzi tutto mi attira. Nella Chiesa cattolica nulla havvi più da cui mi senta internamente legato, e nondimeno per timidezza non mi separo da lei interamente per andarmene poi presso l'H...» Cotesta timidezza, per lui medesimo inesplicabile, lo ritenne in vero dall'estremo passo apparente; ma quanto fosse divenuto largo e profondo l'abisso che internamente lo separava dalla vera Chiesa, lo aveva egli stesso indicato con queste spaventose parole: « La magica infusione dello spirito di Dio per mezzo dell'imposizione delle mani per me non ha più altro valore di quello della infusione dell' estro poetico nell' incoronazione del poeta laureato; e quale profondo abisso di separazione non havvi mai fra la cena del Signore e l'Ostia nel nostro ostensorio! » Trovandosi in simili condizioni morali, era naturalmente lo spirito del Pellegrino molto più facilmente accessibile a tutte altre voci che quelle della verità. Egli speculava a fondo negli scritti di Jacopo Böhme e di S. Martin; fantasticava con entusiasmo per la setta pseudomistica di Boose di Gossner, ritenendola per « il vero e fedele quadro dei tempi apostolici ed un formidabile spauracchio per la Sede romana; » anzi lasciavasi con tanta buona voglia menar dal pensiero per simili vie, da giungere persino ad irrompere contro la Chiesa in queste ingiuste ed amare parole: « In quali popoli è oggigiorno penetrata più a fondo la dottrina di Gesù? Forse fra i puri cristiani papisti, o fra i protestanti, o fra i riformati, o fra i greci, o fra i mennoniti, o tra i fratelli moravi, o dove? Di cotesto dove, ripeto, ognuno può giudicarne come l'intende. A chi mi dice, i cattolici possedono la verità, domando io, perchè mai dunque è stato d'uopo ritogliervi dalle mani la Bibbia perchè restiate cattolici? Il dritto vero ed unico è Gesù; egli solo è il mediatore; ma fra lui e gli uomini non havvene altro. L'unica vera conoscenza che possa aversi di lui scaturisce dalla sua dottrina e dalla natura, e dal cuore umano in relazione con loro; e ne scaturisce nel modo il più immediato. Io mi sento costretto a rigettare e ad allontanarmi da tutto ciò che, disturbandomi, da lui mi separa, mentre con poca destrezza tenta e pretende condurmi a lui. Chiunque poi con imponente voce mi grida Vien qua vien qua, questa è la retta via; tu devi fare così e così; così vuole la vera Chiesa! ebbene, costui m' imbroglia, mi distrae e mi tormenta. »

È ben vero che il Pellegrino, sospinto dalla inquietudine dell'anima sua bisognosa d'aiuto e di rimedii, erasi di bel nuovo accostato ai santi Sacramenti; ma per altro all'epoca del suo arrivo in Dülmen cotesti sobbollimenti nel suo spirito tanto ostili alla fede non erano stati peranco nè calmati nè vinti. Trovavasi in uno stato di fermentazione, dal quale egli riuscì a sollevarsi in istato di vera e perfetta conversione soltanto nella benefica prossimità di Anna Caterina.

5. Ciò nondimeno anche durante il tempo della sua più profonda discordia colla Chiesa aveva egli, mosso da involontaria aspirazione a salvarsi e ritogliersi dalla sconsolata interna desolazione del suo spirito, così esclamato: « Abbisogno di una guida superiore che a sè strettamente mi colleghi, e m' inebrii con una divina atmosfera d'innocenza e di pietà; che mi guidi siccome un cieco; giacchè non posso fidarmi di me stesso. » Ed ecco che allora in realtà ei provava la irresistibile potenza della nuova atmosfera in cui respirava. Ei vedeva la solenne e commovente austerità di una vita di patimenti in una innocente espiatrice, unita alla più umile semplicità, simile a quella di una bambina vivente in Dio, per mezzo della quale la imponente magnificenza della sua Chiesa e la potente verità della sua fede ogni giorno più chiare apparivano agli occhi suoi meravigliati. Non già le visioni, non già la partecipazione delle di lei interne intuizioni, non già le potenti attrattive del soprannaturale erano quelle che cagionavano una decisiva impressione nel Pellegrino allato di Anna Caterina, ma bensì lo cagionava la vista della di lei santità, l'osservazione costante della di lei vita, regolata così perfettamente dai principii della fede; vita che a lui appariva essere una immagine sì esatta, anzi uno specchio tanto verace della Chiesa medesima, che egli sentissi costretto per un numero infinito di volte a sfogare la sua profonda impressione con queste parole: « Ecco che qui sorge dinanzi ai miei occhi un nuovo mondo! Oh quanto maravigliosa mente è cristiana questa povera paziente! Ora soltanto ho un presentimento di quello che è la Chiesa! » e cose simili. Già nell'ottavo giorno dopo il suo arrivo era in grado di scrivere nel diario:

« Ho lasciata la casa di posta ove era disceso, ed ho preso in affitto un paio di stanzette nella medesima casa di cui ella abita la parte superiore. Qui sono situati i forni e l'osteria del fratello del confessore. Ho fatto ciò per poterla osservare più spesso; mi tratterrò qui almeno un paio di settimane.

« Ben tosto otterrò piena cognizione delle di lei circostanze esterne; trattandosi di persona sì completamente divisa dal mondo, non havvi bisogno di gran fatica per penetrare tutto ciò a fondo. Voglio successivamente trascrivere le singole impressioni in me prodotte da quanto qui mi circonda, senza seguire un ordine preciso; sinchè mi si presenti un più fermo e preciso punto di vista, dal quale tutto possa abbracciarsi e contemplarsi in un tratto.

« La povera inferma vive in gravi molestie, senza la mitigazione delle cure di persone del suo sesso. Devo riconoscer ciò ad ogni momento e con vero dolore. La di lei sorella è molto offensiva; e siccome è pure priva di ogni esperienza, così la inferma deve venirle in aiuto in ogni occorrenza domestica; ma non si lamenta mai e persiste nella più assoluta pazienza. Una volta la ho trovata talmente oppressa da sì grossa quantità di umida biancheria postale sul letto, che ella non fu in grado di muoversi, finchè cotesta biancheria non fu alquanto alleggerita e rimossa. Essa dovea colle sue mani ferite trascegliere pezzo per pezzo cotesta umida e ruvida biancheria e metterla in ordine, onde poi sottoporla al mangano, e le sue povere dita eransi irrigidite e divenute turchine pel freddo. Così ella lavora spesso per mezza giornata, e se parla nel bel mentre delle sue vivacissime intuizioni, o se in istato di estasi fa un movimento; ecco che dalla sua rozza e stupida compagna viene ammonita a star quieta e zitta, appunto come una rozza fantesca farebbe con un bambino ammalato o con un individuo immerso nel vaniloquio della febbre.

« Tutta la vita poi di cotesta commuovente creatura è un continuo martirio, cagionato da infiniti patimenti di corpo e di spirito, e viene disturbata ed interrotta senza posa da ignoranti ed insistenti visitatori. Ma ella sempre dimostrasi benevola ed amichevole, ed in ogni circostanza rende omaggio ai disegni divini, che mirano a provarla e ad umiliarla.

Ella ha gradito i miei sforzi per procurarle qualche alleviamento in una posizione sì incomoda e per tanti lati disaggradevole, con istraordinaria bontà, e me ne ha ringraziato di cuore. Molto di ciò che fanno coloro che la circondano, lo fanno soltanto per abitudine, ma con negligenza e senza attenzione e dolcezza, e quantunque animati da buona volontà, spesso lo fanno sguaiatamente. Così la parete prossima al suo letto avea una fenditura, per la quale penetrava un possente soffio d'aria, e nessuno aveva pensato al facile rimedio. Io vi attaccai sopra un pezzo di tela incerata, ed ella me ne fu al sommo riconoscente.

« La di lei posizione è oltremodo angustiosa, ma non dimeno la veggo sempre serena ed amichevole. Dal suo misero letto di dolore non può nemmeno levar lo sguardo verso la luce del cielo, o riposarlo sulle cime degli alberi del giardino, situato dinanzi alla di lei finestra, ella, che cresciuta nella campestre solitudine attorniante la capanna del padre suo, aveva sì vivace rapporto colla natura, quanto mai possa averlo alcun altro uomo vivente!

« Nel venerdì 9 ottobre vidi con timidezza e raccapriccio tutte le di lei Stimate. Il confessore aveva desiderato che io le vedessi, affinchè potessi deporne verace testimonianza. La ferita della lancia nel lato destro produce una impressione al sommo commuovente. Nella sua lunghezza di circa tre dita e mezzo, mi fece la figura di una bocca pura e tacente, con labbra appena appena aperte. Oltre la doppia croce in forma di ipsilon, che ha sullo stomaco, ha pure una croce latina larga un pollice nella prossimità dello stomaco, che non versa sangue, ma soltanto acqua. Oggi ho pur veduto sanguinare le ferite dei piedi. Le midolla e le ossa sentonsi veramente penetrate da un fremito nel vedere quel corpo misero e consunto, sì meravigliosamente suggellato da simili impronte; cotesto corpo, che solo può muovere le mani ed i piedi, ma che non può nè sorger ritto nè mantenersi seduto, ma che sopporta per altro un capo incoronato dai dolori della Corona di spine, ed un volto pieno d'amore e di benevolenza, dalle cui pure labbra scorrono tante parole di consolazione, di aiuto e di adorazione verso Dio. A canto al letto di questa santa anima, istruita non già dagli uomini, ma bensì dal Signore, dai suoi angeli e dai suoi santi sin dalla prima gioventù, io rilevo e comprendo da mille circostanze che cosa sia la Chiesa e che voglia dire l'aspirazione alla comunione dei Santi nel grembo della Chiesa medesima.

6. « Quanti mai sperimenti prodigiosi e commuoventi non ha dovuto fare il confessore sopra di lei! Il più sorprendente consiste nell'azione sopra di lei prodotta dalla unzione sacerdotale. Se eila trovasi in estasi ed egli le si accosta colle dita consacrate, tosto ella solleva il capo e segue quelle dita volgendosi; e se egli le ritira, ricade sopra sè stessa. Cotesto effetto lo produce in lei qualsiasi sacerdote. Chiunque accidentalmente ciò veda, come io lo ho veduto, dovrà sicuramente riconoscer che la sola Chiesa ha sacerdoti, e dovrà profondamente sentire che la consacrazione sacerdotale è davvero più assai che una semplice cerimonia. Una volta la intesi dire con lagrime: Le dita consacrate dal sacerdote saranno riconoscibili anche nel purgatorio, anzi anche nell'inferno ed arderanno di un fuoco distinto e particolare. Ognuno le riconoscerà e farà a quei sacerdoti rimprovero.

«Quanto mai grande e commuovente è la di lei ubbidienza al comando sacerdotale! Quando il confessore giunge nel tempo che il di lei letto deve essere rifatto dalla sorella ed esclama: Monaca Emmerich, si alzi per ubbidienza, ella si desta con un fremito istantaneo, e tenta movendosi a gran stento di rizzarsi per quanto può. Quest'oggi stesso pregai il confessore a pronunziare cotesto comando in latino e molto sommessamente; quindi egli dalla sedia, in cui sedeva assai lontano e precisamente in quel momento recitando il suo ufficio, si alzò, ed accostandosi alquanto al letto, inaudibilmente mormorò le seguenti parole: Tu debes obedire et surgere, veni! Istantaneamente ella si raccolse in sè stessa e fece un moto come se volesse balzar giù dal letto, talmentechè il confessore spaventato le dimandò: Che vuole? Al che rispose: Sono chiamata, ma al comando: Rimanga così distesa, essa si tranquillò immediatamente.

« Cotesto suo istantaneo destarsi al comando ecclesiastico mi commuove sempre moltissimo, e mi cagiona profonda compassione per cotesta povera abbandonata creatura; la quale, senza alcun riguardo alla sua vita interna, viene subitamente spaventata e richiamata dalle sue visioni e da quell'altro luminoso mondo, in cui propriamente vive, per esser gettata in questo scuro nostro mondo, sì profondamente disaggradevole. Spesso ciò mi produce il medesimo effetto che mi produrrebbe il vedere inforcare all'improvviso un bambino ammalato che scherza in mezzo ai fiori, con una forca da fieno, e gettarlo in una ghiacciaia. Ma il patire è la di lei missione; e mentre lotta ancora e si sforza di ricuperare il senso di questo mondo esterno, ringrazia, sorridendo amichevolmente, per cotesti rinnovati patimenti. Cotesta ubbidienza non esiste già in  lei senza il concorso della sua propria volontà; ma quando anche fosse irresistibile, ciò nondimeno l'anima sua ben disposta e volonterosa è sempre pronta, al pari di un fanciullo obbediente, a comparire alla chiamata. L'ho intesa nel destarsi dall'estasi dire con voce commuovente: Debbo andare! Sì, vengo! ovvero: - Non posso! ho i piedi inchiodati, liberatemi i piedi! Cotesta preghiera si riferisce alla sempre medesima posizione dei distesi suoi piedi, che involontariamente s'incrociano presso le calcagna l'uno sull'altro come in un'immagine del Crocifisso, talmentechè nel destarsi che ella fa difficilmente si sciolgono l'uno dall'altro. Allora si stropiccia alcun poco gli occhi, e spruzzata d'acqua santa si desta affatto, si fa il segno della Croce ed afferra la sua corona del Rosario, se questa a caso le sia sfuggita di mano durante l'estasi.

« Ella mi raccontò quanto mai debba straordinaria mente soffrire allorchè viene subitamente destata e ritolta da uno stato affatto diverso, per immergersi in un rozzo e romoroso presente. Spesso le sembra come se all'improvviso si trovasse in mezzo ad estranei, pei quali ella sarebbe inintelligibile e che per lei sarebbero come un enigma. Spesso si crede di giovarle e di aiutarla, e cotesto aiuto le riesce ben più doloroso di quel che non sia l'abbandono.

« Poco tempo dopo pregai il confessore a dare per iscritto il suo comando alla inferma, ed egli in mia presenza scrisse queste parole: Sia ubbidiente e si alzi! La inferma giaceva immersa in un'estasi profonda; il di lei capo era ricoperto da due cuffie ed avviluppato da un pannilino più volte ripiegato. Nel momento in cui quello scritto venne dal confessore posato sul di lei capo coperto, ella sospirò profondamente e si sollevò. Che vuole ella? domandò il confessore; ed essa rispose: Alzarmi, perchè son chiamata! Ma quand'egli soggiunse: Rimanga giacente, e ritolse via quello scritto, ella immediatamente ricadde nell'estasi e nella rigidità. Conservai quello scritto e volli vedere se nell'assenza del confessore potrei col mezzo di quella carta riuscire io stesso a destarla. » Siccome il confessore vi acconsentì, così quel comando scritto ebbe azione sopra Anna Caterina anche quando venne usato in altra occasione; ed il Pellegrino dopo alcuni giorni potè notare nel suo diario: « Mentre ella questa sera, in assenza del confessore, era estatica nè poteva venir destata da alcuno, presi il comando scritto dal confessore, ed appena glie l' ebbi deposto sul petto essa si destò nel modo abituale. »

7. Egli la vide poi praticare cotesta obbedienza non soltanto nella estasi, ma altresì nello stato desto e naturale ed anche sotto il peso delle più gravi pene. Ecco come riferisce:

«Oggi è svenuta più volte per potenti dolori, a cagione dei quali le è stato più volte amministrato del muschio. Ma siccome ha dovuto rigettarlo, così le sono state fatte sullo stomaco delle frizioni coll'oppio. Ella si è lasciata far tutto colla maggior pazienza, come una morta. Commosso dal di lei stato, io me ne stava non lungi dal suo letto ed ella mi salutò con lieve inclinazione del capo. A tutto ciò che il confessore diceva, semisvenuta rispondeva sommessamente: Sì, sì; era un' immagine oltre modo commuovente di ubbidienza e di sommissione in quel suo svenimento confinante colla morte. Nel giorno -susseguente disse: Ho dovuto soffrire molto nella notte, ma quando posso farlo in pace, il patire mi riesce dolce al sommo. È ben dolce in quello stato pensare a Dio. Un pensiero in Dio è per me molto più che il mondo intiero. Le medicine mi han fatto male. Non le posso sopportare. Talora debbo venir meno; talora tutti cotesti rimedi mi opprimono; ma anche tutto ciò deve sopportarsi. »

La profondità della di lei umiltà venne a poco a poco ad esser pienamente cognita al Pellegrino. Essa esercitava cotesta virtù in un grado che sembrava esserle divenuta una seconda natura; ed è a causa di ciò che il Pellegrino frequentemente non faceva alcuna attenzione alle più commuoventi manifestazioni di cotesta virtù; ovvero le riteneva per malintesi, sinchè un più lungo soggiorno rese più acuto il suo sguardo d'osservazione su cotesti fatti morali. Ecco come egli riferisce nel suo diario: « Le dissi che avrei desiderato intorno a lei una persona bene educata, che riunisse in sè la dignità alla semplicità, onde cotesta persona potesse convenientemente occupare il posto d'infermiera. A queste mie espressioni ella pianse come una bambina, e si accusò di non aver avuto ella medesima alcuna educazione. Le risposi non parermi che ella mi intendesse bene, perchè io non credeva già che coteste qualità le mancassero, ma che desiderava soltanto per di lei consolazione e conforto, che potesse avere a sè d'attorno una infermiera di cotesto carattere. Ella ritornò per altro ripetutamente ad applicare a sè stessa coteste mie parole e ad accusarsi della mancanza di simili qualità. Siccome alla fine m'impazientai che ella non volesse intendermi, mi disse piangendo e con voce supplichevole: Io non la voglio già offendere, non ho coteste qualità; ma Iddio ha misericordia di me. »

8. Il Pellegrino che così aveva avuta occasione di riconoscere la potenza del comando ecclesiastico sopra Anna Caterina, riconobbe anche bentosto la forza della benedizione sacerdotale sopra di lei. Egli riferisce così:

« Anna Caterina mi raccontò: - Io mitrovo bene spesso in punto di morte per causa dei patimenti corporali e spirituali, ed anche degli spaventosi quadri che mi vengono mostrati. Allora mi sento venir meno, e non ho neppure una goccia d'acqua, giacchè non mi posso muovere. A coteste parole le porsi da bere; siccome io aveva  bagnato l'orlo del bicchiere con acqua benedetta, mi disse: -Questo è vino! Vino del giardino della Chiesa! »

« Un altro giorno sedeva nella di lei camera mentre ella era immersa in visione. Siccome senza punto uscire da cotesta visione incominciò a gemere fortemente, m'accostai a lei col bicchiere che le sta presso e che sempre dovrebbe contenere acqua benedetta. Le domandai se volesse bere, ma ella pallida ed avente il più misero aspetto, crollò lievemente il capo e disse con voce languente: -Vorrei avere un poco di acqua fresca benedetta da una mano sacerdo tale. Vi son due preti che son qui vicini. Essi hanno questa forza divina, ma mi dimenticano; ed io sono costretta a languire. Iddio vuole che io viva così; ah! se almeno non mi lasciassero così languire! - Mi recai tosto nella prossima stanza dell'abate Lambert e trovai effettivamente presso di lui il confessore; il che nè da me nè da lei sapevasi, giacchè lo credevamo assente. Il confessore benedisse dell'acqua fresca e gliela portò; la bevve volentieri e disse: - Mi sento ristorata. Siccome il confessore disse allora per ischerzo: Ebbene, venga con me per ubbidienza! la povera inferma, quasi simile ad una morta, si raccolse tosto e si sollevò; ma siccome il comando non era serio, ricadde svenuta sul letto. Mi sentii oltremodo commosso da cotesta scena, e nondimeno non osai pregare il confessore a tralasciare simili prove, onde non disturbare la buona intelligenza fra noi. Ma la compassione mi fece versar lagrime quando vidi la povera inferma, tanto provata, sopportare tranquillamente e senza lamento cotesto caso.

« In altra occasione la intesi far la osservazione seguente circa la benedizione sacerdotale: - È veramente doloroso il vedere come nei giorni nostri i sacerdoti siano negligenti nel benedire. Sembra come se spesso non sappiano più che cosa sia la benedizione sacerdotale; molti vi credono appena e si vergognano di benedire, siccome di una cerimonia omai disusata e superstiziosa. Molti finalmente adoprano cotesta santa forza e grazia data loro da Gesù Cristo senza pur pensarvi e superficialmente. Se cotesta benedizione viene sopra di me trascurata, la ricevo talvolta da Dio; ma siccome il Signore ha istituito il sacerdozio e gli ha dato la possanza di benedire, così io sono costretta bene spesso quasi a venir meno per l'ardente brama di cotesta benedizione. Tutti i membri formano un corpo nella Chiesa, e per quello che l'uno rifiuta, l'altro è costretto a soffrir la fame. »

Il Pellegrino potè quasi ogni giorno convincersi della verità di coteste parole. Talmente che veramente si affliggeva ogni volta che nell'assenza del confessore l'inferma desiderava acqua benedetta e colui aveva dimenticato di prepararla. Avendola trovata una volta ardente per febbre e con la gola e le fauci affatto aride, ei prese un bicchier d'acqua fresca, e dinanzi alla porta chiusa della camera con la migliore intenzione la benedisse. Ma la languente lo ricevette sorridendo con queste parole: « Ah! perchè mai non è ella un sacerdote... » Ed accorgendosi della sua meraviglia, confessò come a traverso la porta chiusa ella lo avesse veduto benedir quell'acqua. Questa sua chiaroveggenza in cotesto caso produsse in lui un'impressione veramente speciale; ma assai più rimase egli sorpreso allorchè ad un tratto ebbe acquistata la sicurezza che Anna Caterina leggeva chiaramente nell'animo suo anche i più segreti e fuggitivi pensieri. Mentre in un colloquio con lei improvvisamente e colla rapidità del lampo nacque in lui il pensiero che ella potrebbe presto morire, e rammentò di aver letto che un Papa, dopo la morte di una serva di Dio distinta per grazie straordinarie, le aveva fatto tagliare la mano; Anna Caterina sorrise e disse interrompendo il discorso: « Voi pensate alla mia morte e volete tagliarmi la mano! » Il Pellegrino intorno a ciò nota nel suo diario:

« Davvero, ecco un caso in cui val la pena di pensare ad una cosa qualunque! È facilissimo di bene intendersi con colui, che non soltanto legge nell'anima nostra, ma piuttosto, per così dire, viene incontro al pensiero anche prima che si sia chiaramente sviluppato nell'animo. »

9. Gli avvennero inoltre altri casi, in virtù dei quali egli non soltanto pervenne ad una vera e sana conoscenza della Chiesa, ma inoltre ricevè vivacissimo impulso a profittare coscienziosamente pel progresso della sua vita spirituale del commercio da Dio concessogli con una creatura sì ricca di grazie. Ecco quanto egli riferisce: « La vidi nella orazione. Le di lei mani piegate coi diti medii sempre dolorosamente ripiegati verso la palma, posavano giunte in prossimità dello stomaco. Pareva che sorridesse, ed il di lei volto aveva un'espressione di chiaro veggenza e quasi parlante, quantunque e labbra ed occhi rimanessero affatto chiusi. Nel vederla così mi sentii profondamente commosso. La beata pace e la profonda pietà chiaroveggente, che apparivano frammiste alla innocenza infantile di quelle sembianze, eccitarono in me nel modo più vivace la conoscenza della mia indegnità e delle mie colpe. Nella tacita solennità di quel momento io stava dinanzi a lei siccome un mendico, ed internamente sospirando con supplichevole commozione e profonda tristezza diceva in cuore: Oh tu, pura e bell'anima, prega anche per me miserabile che mi sto qui sulla terra, pieno di oscurità e di peccato, senza poter aiutare me medesimo!...

« Sento d'aver trovato qui una patria, ed ho il presentimento di non più lasciare questa maravigliosa creatura prima della sua morte, e che qui devo avere conoscenza vera della missione della mia vita, e che qui dev'essere esaudita la mia preghiera, onde Iddio degni accordarmi su questa terra un impiego, che corrisponda alle mie povere forze e che sia pienamente rivolto ad onor suo! Mi voglio sforzare con ogni buona volontà e per quanto le forze lo permetteranno a raccogliere e conservare quel tesoro di grazie che ho qui sotto gli occhi. »

Cotesta grave impressione divenne sempre più profonda; talmentechè non molto dopo il Pellegrino potè riassumere la somma delle esperienze ed osservazioni fatte fino allora, nella seguente importantissima confessione:
 « I maravigliosi fatti che io veggo intorno a me, la infantile innocenza, la pace, la pazienza e la profonda sapienza in ogni cosa dello spirito di questa povera ed ignara figlia di contadini, presso la quale io veggo dinanzi agli occhi miei come sorgere un nuovo mondo, mi fanno vivamente sentire il miserabile, peccaminoso e confuso stato della mia propria vita, e la perversa condotta della maggior parte degli uomini con tanta vivacità, e mi dimostrarono con sì luminoso splendore i troppo presto perduti beni della semplicità, della fede e della innocenza, che io ne sono indotto a versare sopra cotesti perduti tesori sincere lagrime di pentimento...

Oggi essa si è confessata ed è quindi subito dopo caduta in estasi, soddisfacendo alla penitenza impostale a braccia aperte. Io contemplava con maraviglia la santa espressione del di lei volto; e debbo confessare che tutto ciò da me osservato sin qui, sia nella vita reale, sia come immagine in fatto di pietà, di pace e d'innocenza mi è sembrato povero e disanimato in confronto di ciò che in lei osservava. Continuando a prepararmi alla confessione venni a cadere in grave tristezza e pentimento; e siccome mi raccomandai alle di lei preghiere ella, consolandomi, mi diresse alla cara Madre di Dio. Ne fui profondamente commosso e continuai a prepararmi piangendo. - Ah! la cara ed amata Madre di Dio (disse ella ) conosce bene noi poveri mortali e ci guida verso il suo figlio Gesù! Oh! quanto è infinito il tesoro di grazia che chiudesi in grembo alla Chiesa! Consoliamoci! Con questo tesoro noi verremo ristorati!...  Allora io di bel nuovo sentii come per lei la Chiesa sia cosa tanto più alta, che io nella mia cecità non posso ancor raggiungere; e raccogliendomi, mi feci passar di nuovo dinanzi alla mente tutto ciò che ho qui veduto, tutto ciò che qui per la prima volta nella mia vita ho provato. Comparai con ciò il mio modo di vivere sino al dì d'oggi e la mia perversa condotta, e cotesta contemplazione destò in me un nuovo e grave desiderio di miglioramento. In cotesta disposizione di spirito le scrissi una lettera, in cui mi umiliava dinanzi a Dio, le faceva conoscere l'intimo mio turbamento sul mio stato morale, e la supplicava a proseguire le preghiere pel mio miglioramento. Ella accettò la lettera con benevolenza. Non vidi che la leggesse, ma ben sapeva quanto vi era contenuto, e forse anche più di quanto vi era contenuto...

« La bontà e la semplice famigliarità di questa distintissima creatura verso di me giovano infinitamente a confortarmi e mi riescono oltremodo benefiche; giacchè ella è sì perfettamente e sì veracemente cristiana; niuno ha mai conosciuto con sì completa pienezza e al pari di lei la povertà ed il grave debito di colpe della misera anima mia; sì! nemmen io l'ho mai sì completamente conosciuta; e ciò avviene perchè ella ha ben più di quel che io mai l'avessi acuto sguardo, precisa misura e giusto peso; ma essa mi porge consolazione ed aiuto...

« Ora conosco cosa è la Chiesa e che essa è infinitamente più d'una semplice riunione d'uomini che pensano in modo uguale. Sì, essa è il corpo di Gesù Cristo, il quale, come di lei capo, è essenzialmente collegato con lei ed ha conessa non interrotto commercio! Ora riconosco quale incommensurabile tesoro di grazie e di beni abbia la Chiesa ricevuto da Dio in pieno possesso; tesoro che soltanto in lei e da lei noi possiamo pure ricevere!...

10. Coteste ultime asserzioni si riferiscono ai molteplici e svariati colloquii, nei quali Anna Caterina aveva combattuto le idee erronee del Pellegrino, ed aveva fatto valere con forza la purità e la piena verità della Fede Cattolica. Ancora immerso affatto nelle nozioni della Chiesa piene di falsa mistica, che egli aveva ricevute ed attinte dalla comunità di tutti i figli d'Iddio senza differenza di confessione esterna, aveva provato non poca sorpresa allorchè Anna Caterina sino dai primi giorni del suo soggiorno presso di lei a tutte le sue collaudanti descrizioni dei fratelli esteriormente divisi bensì ma riuniti in ispirito, perchè tutti appartenenti alla Chiesa universale, aveva dato la seguente severa e validissima risposta:

« La Chiesa è una sola, e questa è la Cattolica romana! E quand'anche un solo ed unico cattolico vivesse ancora sulla terra, egli costituirebbe la sola universale cioè Cattolica Chiesa, la Chiesa di Gesù Cristo, contro la quale le porte dell'inferno non prevarranno. » Ed allorchè egli rispose che pure sicuramente tutti coloro che credono in Cristo sono figli di Dio, ella soggiunse: « Siccome Gesù Cristo ha detto che i figli di Dio debbono onorare ed amare Iddio come loro padre, ne consegue che essi debbano pure chiamar loro madre la cara Madre di Dio, e sentir veramente, credere e considerarla come lor madre. Chiunque ciò non considera e pensa e fa a capriccio senza istruirsi, per costui il Pater noster è una vana formola di parole, ed egli è ben lungi dall'essere un figlio di Dio. »

E quindi ritornando sul proposito della Chiesa, continuò così: La cognizione della grandezza e magnificenza di questa Chiesa, nella quale i Sacramenti inviolabilmente santi sono conservati in tutta la loro forza, è pur troppo ai nostri giorni divenuta rara anche nei sacerdoti. Ed appunto perchè tanti e tanti di cotesti sacerdoti non sanno ciò che essi sono, così anche tanti fedeli non sanno più quel che sono e che voglia dire appartenere alla Chiesa. Affinchè niuna umana prepotenza potesse distruggere la Chiesa, Iddio ha elevato l'unzione sacerdotale alla dignità di carattere incancellabile. Quand'anche un solo sacerdote legittimamente consacrato restasse sulla terra, Gesù Cristo resterebbe vivente nella sua Chiesa come Dio e come uomo nel SS. Sacramento dell'altare; e colui che, liberato dal legame dei suoi peccati per mezzo dell'assoluzione sacerdotale, riceve in sè quel Sacramento, colui soltanto è veramente riunito con Dio.

11. « È cosa veramente alta e grande, e senza vero lume, semplicità e purità impossibile di vivere secondo la credenza di questa santa Chiesa, di celebrare con lei gli uffizi divini, e quindi di ottener parte agl'infiniti tesori di grazia e di soddisfazione, che la Chiesa possiede nei meriti del suo Capo divino, ed in virtù di quelli nel sangue dei suoi innumerevoli martiri, nei patimenti ed espiazioni dei suoi santi, e nelle preghiere e buone opere di tutti i pii credenti, per inesauribilmente parteciparli a tutti coloro che a lei riuniti sono suoi veri figli.È con questi tesori che vien soddisfatta la giustizia di Dio e scontato in pro dei bisognosi e dei deboli in questa vita, e per le povere anime purganti nell'altra, tutto ciò che da loro stesse non sono in grado di soddisfare. Ogni ora ha la sua grazia; chi la respinge o la disprezza, è condannato a languire. Come l'anno naturale esiste e trascorre colle sue stagioni, come vi ha una terrestre natura con le sue creature, co' suoi frutti e i suoi doni, così esiste pure a pro della riabilita zione dell'umana stirpe caduta, un più alto ordine, ricco d'innumerevoli grazie e mezzi d'eterna salute, e collegato al corso dell'anno spirituale e de' suoi tempi. Annualmente, giornalmente, ora per ora maturano in cotest'ordine i frutti a noi offerti a vantaggio di nostra salute. I figli della Chiesa Cattolica che piamente celebrano i tempi di cotesto anno spirituale nelle sue feste e ne' suoi uffizi divini, che regolano la vita loro secondo le sue prescrizioni, che pregano e recitano le sacre ore diurne, questi soltanto rassomigliano ai fedeli coltivatori e lavoranti della vigna del Vangelo, e ricevono quindi le più abbondanti benedizioni.

È cosa veramente trista che ormai sì piccol numero di persone riconosca cotesto ordine di grazia e viva a seconda di lui; ma con terrore riconosceranno un giorno che sia cotest'anno ecclesiastico, che siano le sue feste, e i sacri tempi, ed i santi giorni, e le preghiere, e le pie pratiche della Chiesa, e le ore spirituali del giorno, e la recita del Breviario dei sacerdoti e dei religiosi! È lo stesso divin Salvatore che in cotesto sacro ordine vive con noi; ad ogni tempo, e ad ogni momento per noi si offre come vittima, a noi si dà come cibo, affinchè noi ci unifichiamo con lui. Oh! quanto misericordiosa è la sua non mai interrotta cura in nostro pro nelle tante e tante migliaia di santi sacrifizi della Messa, nei quali giornalmente vien rinnovata la di lui offerta come vittima di soddisfazione al Padre celeste, e la sua sanguinosa morte sulla croce in un modo incruento! Cotesta offerta sulla croce è un sacrifizio eterno, un sacrifizio di efficacia immancabile, sempre nuova, sempre infinita, e che è destinata a vantaggio degli uomini viventi nel tempo, il quale è finito, limitato e contato. Quindi è che per disposizione e fondazione del Figlio di Dio fatto Uomo cotesto santo sacrifizio si rinnova e si ripete giornalmente, e così sarà finchè cessi il numero dei giorni, e che il mondo temporale abbia fine; giacchè egli stesso, il Figlio di Dio, per mezzo delle mani dei sacerdoti legittimamente consacrati, quantunque possano essere indegni, sotto la forma del pane e del vino offre sè stesso al suo divin Padre, come vittima di soddisfazione e di conciliamento. »

12. Anna Caterina non suoleva mai tenere simili discorsi col Pellegrino, senza esortarlo nel medesimo tempo alla orazione ed agli esercizi di penitenza, all'amore cristiano, al vincer sè stesso ed alla abnegazione, in modo tanto semplice e naturale, che le di lei parole apparivano non già come un'esortazione, ma piuttosto come una consolazione, ovvero come la necessaria e per sè stessa comprensibile conseguenza di quanto ella aveva detto, ed egli per vero conosciuto. Quando poi non le riusciva possibile tenere lungo colloquio con lui, lo pregava di ricordarsi almeno di lei nelle sue preci, che ella implorava siccome elemosina spirituale in suo pro o in pro di altrui bisogni a lei raccomandati; e mentre indicava precisamente l'esercizio e la forma di preghiera cui l'invitava, ed esortava quasi supplicandolo il Pellegrino a piena fiducia, lo adduceva così pian piano, ma in modo ognor più profondo, a viver della vita spirituale della Chiesa. Così, per esempio, lo invitò a pregare ed a far opere di carità a sollievo delle povere anime del Purgatorio con queste parole: « Noi viviamo dei beni a noi lasciati dai nostri estinti progenitori e parenti, e troppo facilmente dimentichiamo quanto a loro siamo debitori, e quanto essi desiderino la nostra riconoscenza ed abbisognino del nostro aiuto. Essi esclamano: Sopporta, soffri, prega, digiuna, fa elemosine in pro nostro! offri anche a nostro vantaggio il santo sacrifizio della Messa! » Ed avendola egli addomandata del che potrebbe fare in pro dei suoi defunti genitori, Anna Caterina lo consigliò, oltre le preghiere e le elemosine, ad esercitarsi per un certo spazio di tempo in alcuni precisi esercizi, atti a procurargli spiritual vittoria sopra sè stesso nella mortificazione, nella pazienza e nella dolcezza.

13. Quantunque il Pellegrino non potesse invero resistere alla forza ed alla verità delle di lei parole, gli riusciva nondimeno difficile il liberarsi da un modo di pensare a lungo nutrito e diventatogli caro a causa di una certa sua inclinazione verso alcuni individui molto stimati; e cotesto modo di pensare consisteva nel credere che anche senza esterna ed apparente collegazione colla Chiesa, e senza una effettiva e piena comunione con essa, era possibile l'esistenza di una pietà vera ed aggradevole a Dio. Egli in prova di ciò suoleva citare la superiorità di molti viventi fuor del grembo della Chiesa sopra molti altri nati cattolici; e si compiaceva nel descrivere il deplorabile stato di molte parti della Chiesa Cattolica con sì eloquenti parole, che Anna Caterina sovente non osava rischiare contraddizione veruna, poichè ben conosceva di non poterlo colle sue ragioni persuadere. Un giorno per altro indusse ella medesima il discorso su questo proposito, dicendo:

« Ho ricevuto dalla mia guida celeste cotesti severi rimproveri, per aver troppo condisceso a lodare alcune pie persone, che per altro vivono fuori del grembo della vera Fede; mi è stato domandato se più non sapessi chi io mi fossi ed a chi appartenessi. Io sono una consacrata vergine della Chiesa Cattolica e legata da sacri voti. Io debbo lodar Dio nella sua Chiesa e pregare per gli erranti fuori della vera Fede con cordiale compassione. Mi fu detto che io dovrei più degli altri sapere che cosa sia la Chiesa, e che quindi devo lodare i membri di Gesù Cristo nella Chiesa, cioè nel suo corpo. Quei membri per altro che da cotesto corpo si separano e che gli hanno arrecato e gli arrecano sì orribili ferite, io li debbo compiangere e pregare per la loro conversione. Lodando i disubbidienti, si partecipa alla lor colpa. E inoltre cotesta lode non è punto carità, perchè il vero zelo per la salute delle anime ne vien piuttosto indebolito. È stata cosa giustissima che io venga così rimproverata; giacchè non va punto bene il lasciarsi andare così alla debolezza in cose sì sante. Io veggo bensì molti fra cotesti erranti ed ho gran pietà di loro; ma vedo inoltre che essi sono rivi che deviano dalla loro vera primitiva sorgente, e che straripano e fra loro stessi si separano. Anche se talvolta si fa vivo in costoro alcun impulso di pietà, proveniente soltanto dalla loro cattolica origine, cotesto impulso vien soffocato da un tetro ed inflessibile sentimento di orgoglio, di dispetto e di ripugnanza contro la loro vera madre, la Chiesa. Volentieri e di buon grado vogliono essi esser pii, purchè non siano cattolici. Quantunque dicano sempre che le cerimonie e che le forme morte non valgon nulla, e che si deve servire in ispirito al Signore, essi appunto stanno attaccati con la maggior ostinazione alla forma; ed anzi ad una forma morta, creata da loro stessi e quindi sempre variabile, che non ha nè crescenza nè vigore, chè non è già il corpo che riveste uno spirito, ma piuttosto un inviluppo morto ed insensibile come una fodera. Quindi è che essi non possono piegare il capo, e tutti soffrono di orgoglio. Ed in vero, come potrebbero essi mai giungere a possedere un cuore umile, essi che non imparano sin dalla gioventù ad umiliarsi; giacchè non confessano i loro peccati e le loro miserie, e non sono abituati, come i figli della Chiesa, ad accusarsi pentiti e con sincera vergogna di loro stessi dinanzi al rappresentante di Dio nel Sacramento della penitenza? Quindi proviene che io anche nei migliori tra loro scorgo sempre alcun che di colpevole, di ostinato, d'inflessibile, di orgoglioso. Coloro soltanto fra gli erranti nella Fede, i quali, senza aver alcuna conoscenza della sola e vera Chiesa santificante, vivono per quanto possono piamente, quelli soli non sono in cattiva strada. Ma tosto che Iddio degni dar loro il minimo cenno o nasca loro nell'animo il minimo dubbio, essi son chiamati e debbono con ogni cura cercare la verità. È ben vero che in virtù delsanto Battesimo, quando per altro l'abbiano regolarmente ricevuto, anche gli erranti nella Fede son divenuti membri della Chiesa, e null'altro hanno come spirituale nutrimento fuor quello che loro può giungere ancora dalla Chiesa medesima; ma non istanno già essi a tavola coi figli di casa; stanno fuori stizzosi, arroganti e deridenti. Quando io in visione veggo battezzati protestanti, che colla Chiesa si riconciliano e si riuniscono, mi sembra che essi escano dalle pareti dei muri della chiesa per venire innanzi all'altare ed al santissimo Sacramento; mentre al contrario i non battezzati, i giudei, i turchi ed i pagani mi vengono mostrati, allorchè si convertono, siccome entrassero in chiesa direttamente per la porta. »

Una tal volta ella espresse la sua convinzione sotto le forme della seguente allegoria:

« Vidi due città, di cui l' una stendevasi a dritta, l'altra a sinistra. Alla città situata a sinistra conduceva un bel viale, ben dritto, piantato di alberi lisci ed eleganti, pieni zeppi di fiori; ma cotesti fiori cadevano successivamente sempre e poi sempre, dimodochè non si vedeva mai alcun frutto. La mia guida celeste mi disse: Guarda, quanto mai è più povera cotesta nuova città, di quel che lo sia l'antica situata a dritta. Cotesta nuova città sembrava a prima vista ricca di vie e popolata, ma tutto vi era come morto e senz'anima. Allora la mia guida celeste mi mostrò anche l'antica città posta a dritta. Esteriormente essa appariva qua e là meno ordinata e più deserta, ma intorno a lei crescevano magnifici alberi ricchi di frutti. La mancanza e il danno ricadevano soltanto su coloro che non coglievano quei frutti, nè coltivavano quegli alberi. E cotesti alberi erano antichissimi e vegetavano possenti, alzando le cime sino al cielo; in alcuni punti erano negletti dai cattivi guardiani; molti rami ne erano infranti, ed i frutti giacevano al suolo; in altri luoghi poi gli alberi eran sani e vegeti e pieni di graziosi frutti. »

14. Ma il Pellegrino sentissi ben più intimamente colpito e penetrato, quando dovette convincersi della decisa e ferma severità, con la quale da Anna Caterina venivano giudicate le tendenze di falsa mistica e le azioni e le dottrine del Boos, del Gossner e dei loro seguaci; e quindi vide qual premura ella si desse e come si affaticasse per allontanare dal di lui animo quel mortale veleno da lui bevuto a causa della sua cieca parzialità per cotesta setta e delle sue dottrine, che sin dalla radice distruggono l'ordine prefisso alla cristiana salvezza. Al pari di alcuni altri precedenti visitatori di Anna Caterina, che l'avevano presa per una sonnambula magnetica, anche il Pellegrino sul principio non era stato alieno dall' annoverarla nella schiera dei falsi mistici; ma l'impressione che nell' animo suo produsse tutta la di lei apparenza, l'ineffabile semplicità del di lei modo di essere, la di lei illimitata riverenza per l'autorità ecclesiastica, la incrollabile fermezza e purità della di lei Fede, che non sopportava nemmeno la minima deviazione dai precetti e dalle tradizioni della Chiesa, ciò tutto lo indusse bentosto in migliore opinione. Quand'egli una volta nominò i capi di quella setta lodandoli, Anna Caterina riprese con qualche disgusto:

« Sì, il Gossner lo conosco; cotest'uomo è per me orribile, egli è altamente pericoloso. Anche il duro ed ostinato Boos mi fa paura. Sarà un gran prodigio se costoro potranno salvarsi. »

E nell'occasione di aver fatto menzione di una certa Maria di Oberdorfer, collegata alla congregazione dei falsi mistici, e a cui il Pellegrino, fondandosi sulla sentenza di un amico spirituale da lui molto stimato, volle attribuire lumi speciali; Anna Caterina che aveva ascoltato senza prender parte al discorso, sclamò subitamente: Illuminata!!! Cosa è ciò? che vuol dire? » Ed avendo il Pellegrino detto per ispiegarsi che quella donna sembra vagli possedere un'interna luce atta all'intelligenza della sacra Scrittura, ella continuò così:

« Cotesti lumi son nulla; ma grande è la grazia concessa ai veri figli della Chiesa. Questi soli in virtù della loro sincera e sommessa confessione della sola vera Fede Cattolica, in virtù della loro vivifica comunione colla Chiesa visibile, stanno veramente in relazione della Gerusalemme celeste. Coloro poi che hanno la pretesa d'elevarsi al di sopra della Chiesa e dell'autorità ecclesiastica, e pretendono di posseder soli i lumi e s'intitolano inoltre « Comunità dei Santi, » non hanno in vero lume veruno; poichè non sono nel grembo della vera Fede, ma errano piuttosto e si separano da Dio e dalla sua Chiesa. Io veggo in tutti costoro ed anche nei migliori uno spaventevole orgoglio, ma in niuno di essi scorgo umiltà, semplicità ed ubbidienza; essi vivono in una spaventevole vanità di separazione. Parlano di fede, di lumi, di vivente cristianesimo; ma disprezzano e deridono la santa Chiesa, nel grembo della quale soltanto può ottenersi e la luce e la vita. Costoro si mettono al disopra d'ogni potere e d'ogni ordine della Chiesa, e non conoscono nè sommissione nè riverenza verso l'auto rità spirituale. Pieni zeppi di tenebre, pretendono capire il tutto meglio assai di coloro, che presiedono e dirigono la Chiesa; ed anche degli stessi santi Dottori. Rigettano la dottrina delle opere buone, e ciò nondimeno pretendono possedere ogni perfezione; essi, che nei loro lumi immaginarii non ritengono per cose necessarie nè l'ubbidienza, nè la disciplina, nè la mortificazione nè la penitenza. Io li vedo sempre più separarsi dalla Chiesa, e veggo pure scaturire da loro i più grossi guai di perdizione. »

Siccome cotesta severa sentenza parve assai strana al Pellegrino, poichè troppo chiaramente contraddiceva alla buona opinione da lui già da qualche tempo nutrita di cotesti settari; Anna Caterina ritornò anche più spesso nei suoi discorsi su cotesto oggetto, ed una volta pronunziò questa severa sentenza:

« Io veggo sempre cotesti illuminati stare in un certo rapporto colla venuta dell'Anticristo; giacchè anch'essi coi loro sforzi e colle azioni contribuiscono a che il mistero d'iniquità venga a compirsi. »

Il Pellegrino non osò invero contraddire coteste parole; ma nondimeno trascorse ancora un certo spazio di tempo prima che ei pervenisse alla completa intelligenza e ad apprezzare pienamente i motivi, pei quali Anna Caterina aveva colpito di condanna e ferito nell'intimo animo suo quelle falsamente mistiche dottrine. Niuna aberrazione va accompagnata da sì distruttive conseguenze, ed è più difficile a guarirsi, di quel che nol sia quel certo orgoglio di spirito, in cui l'uomo infetto dal peccato osa temeraria mente gettarsi, senza nemmeno rivolgere uno sguardo alla penosa via dell'espiazione, senza alcuno esercizio nemmen delle prime e più necessarie delle virtù cristiane, e senza altra guida per raggiungere la più alta unione con Dio, fuor quella dell'intimo sentimento e della propria luce, da cui si pretende che debba dare all'anima la infallibile sicurezza che Cristo opera in lei. « Cristo per noi! Cristo in noi! Questa è stata la parola d'ordine dei settari, ed appellandone all'infallibilità dell'intima voce dell'anima hanno rigettato ogni sentenza dell'autorità della Chiesa, sola legittima, vale a dire sola rivestita del potere di Dio e sola chiamata a decidere sulla verità o falsità di quei lumi interni, si sono posti al disopra d'ogni ordine e d'ogni disciplina della Fede e dei divini precetti; e così hanno abbattuto e di strutto ogni argine ed ogni difesa, che avrebbe potuto salvare cotesti infelici da quei mali illimitati, che quasi seme di maledizione germogliano ovunque essi dirigono i loro passi.

È ben vero che il Pellegrino poeta non aveva ancora bevuto al loro calice di ebbrezza e di vertigine; ma la di lui antica disposizione d'animo avversa alla Chiesa lo aveva indotto tanto più facilmente a ritener per vere quelle frasi dei settari spirito, amore, luce; Iddio penetra, abita, governa e parla in noi; » tanto più, diciamo, che tutti cotesti beni gli venivano additati come da potersi raggiungere nel più facile e meno penoso dei modi. Ma in prossimità e sotto l'azione della serva di Dio tutte coteste menzognere immagini dovevano da lui siccome polvere di leguarsi; ed egli incominciò con ogni potere del suo spirito a sforzarsi di raggiungere quella purità e vivacità di Fede, che riconobbe essere la più profonda origine ed il proprio elemento, da cui Anna Caterina attingeva la ineffabile fortezza necessaria a compire la sua missione di patimenti a maggior onore di Dio e della sua Chiesa.

15. Ai 22 d'ottobre il Sailer e Cristiano Brentano erano giunti in Dülmen, ed il Pellegrino aveva pensato di riunirsi a loro nel ritorno e di fissar di nuovo il suo soggiorno in Berlino; ciò nondimeno Anna Caterina ebbe l'infinita bontà di esortarlo a più lunga dimora in Dülmen, onde aver campo di proseguire nel modo già descritto l'opera del suo spirituale rinnovamento. « Iddio mi dimostra grandemente la sua grazia (esclama egli riconoscente a questo proposito); la Emmerich ha fatto straordinarimente molto per me. Son divenuto il di lei figlio! » Egli aveva invero il più grande impegno ad esserle sommesso ed ubbidiente come un figlio, e ne avea formato il proposito il più sincero; ma con cotesto proposito non concordavano ancora le azioni. Coloro che circondavano Anna Caterina avevano dovuto a poco a poco sentire tanto più il peso e la soggezione prodotta dall'ingresso di uno spirito sì eminentemente elevato nel loro modesto circolo, quanto più nel Pellegrino chiara e luminosa rendevasi la intelligenza dell'anima e dei doni straordinarii di Anna Caterina, e quanto più senza tregua affaticavasi a ritrarre dal di lei commercio e dalle di lei rivelazioni il maggior possibile vantaggio in pro suo e degli altri. Ei riteneva per perduto ogni momento che ella non impiegasse per lui, ma che piuttosto impiegava a conforto dei poveri, degli sconsolati e dei bisognosi di soccorso; e facilmente ei si lasciava andare in balìa al malumore il più amaro, anzi al cordoglio il più cuocente, quando ella si affannava a diriger la sorella alla cura delle cose domestiche, invece d'impiegare quel tempo ad iniziarlo nei misteri delle di lei visioni. Egli avrebbe voluto che il medico non dovesse più parlarle dei suoi ammalati, nè il confessore di affari spirituali, nè l'abate Lambert delle infermità della sua vecchiezza. La sorella Geltrude avrebbe dovuto essere allontanata; le rare visite provenienti da Flamske e quelle soprattutto delle antiche consorelle di Agnetenberg avrebbero dovuto affatto cessare, affinchè le labbra di Anna Caterina non si aprissero più per altri fuorchè pel Pellegrino, tormentato dalla sete più ardente delle di lei rivelazioni, e che con tanto buon animo assicurava piangendo che vorrebbe impiegare ogni forza del suo spirito, anzi spendere la vita intera per informare il mondo delle grazie infuse da Dio in cotesto suo mirabile stromento.

Eravi uopo di tutto lo straordinario vigore di spirito di Anna Caterina per ristabilire la pace bene spesso turbata fra coloro che le stavano d'attorno, e per indurre a pazienza ed a vittoria sopra sè medesimo un uomo sì facilmente e sì profondamente irritabile; ma alla fine non le rimase più altro mezzo fuor quello di allontanarlo per un certo tempo da Dülmen. A di lei preghiera e colla assicurazione di venir di bel nuovo amichevolmente ricevuto, egli lasciò quella piccola città nel gennaio del 1819, e vi tornò soltanto nel susseguente mese di maggio; ma anche allora dovette trascorrere un certo spazio di tempo, prima che potesse pervenire a quella tranquillità e libertà di spirito, necessarie a ricevere quelle comunicazioni ed a trascrivere quei fatti, che formeranno il contenuto del volume seguente.